Sollevai gli occhi e fissai Jamiel per un momento, quasi sorpresa dalle sue parole...
contenta, aveva detto...
contenta...
era una cosa che non avevo affatto preso in considerazione, quella: la mia contentezza, il fatto che si supponeva dovessi essere felice riguardo all’attenzione di Musan per me... sì, si supponeva... e allora perché non lo ero?
La strada che scendeva, irregolare e tortuosa, verso il mare era sconnessa e battuta, quel giorno, da un impetuoso vento. Io camminavo spedita, quasi saltando da un ciottolo all’altro... raggiunta la spiaggia, poi, mi fermai un istante e mi guardai intorno, stringendomi nello spesso ma corto mantello che il vento stava tentando di portarmi via dalle spalle.
La spiaggia era ampia ed il mare lontano, il sole pallido si rifletteva sulla sabbia tra il grigio e l’ocra colpendo i miei occhi di mille e più bagliori... e così mi occorse qualche momento per distinguere quella figura, in piedi, che mi dava le spalle. La sua camicia candida sventolava, gonfiandoglisi sulle spalle, gli stivali affondavano appena nella sabbia, il cappello era stretto nella mano, abbandonata lungo il fianco...
Lo raggiunsi quasi di corsa... ero sorpresa per quel biglietto che mi aveva mandato, la richiesta di vederci subito e proprio su quella spiaggia, proprio in quel giorno così freddo ed inclemente... una strana preoccupazione mi invase il cuore, mentre correvo verso di lui... ed iniziai a tremare, non più solo per il freddo...
“Eccomi...” dissi, quando fu a portata di voce “Sono qui!”
Lui si voltò, allora, ed io sorrisi nell’incontrare di nuovo i suoi occhi... sorrisi solo per un attimo, poi il mio sguardo cadde di nuovo su quel cappello stretto nella sua mano, la giacca accuratamente adagiata sull’altro braccio, gli stivali alti e lucidi...
ebbi un tuffo al cuore...
“Cosa significa?” domandai senza preamboli.
“Parto!” rispose “Una chiamata improvvisa, ordini superiori... c’è una nave in partenza, occorre un ufficiale... parto tra un’ora!”
Per qualche attimo rimasi immobile... come pietrificata da quella notizia improvvisa, fredda, ineluttabile...
“Ma...” iniziai poi a dire, alzando di nuovo gli occhi nei suoi con la voce che tremava forte e l’aria di chi sta disperatamente cercando un appiglio da qualche parte “Ma... voglio dire... non sarà un viaggio lungo, vero? Non dovrai stare via per molto... tornerai presto... non è vero?”
Lui chinò appena la testa...
“Non lo so!” disse... poi prese fiato e, con un vago sorriso, tornò a guardarmi “Coraggio... non prendermi in giro, ora! Sono certo che non sentirai affatto la mia mancanza quando non ci sarò... forse non ne avrai neanche il tempo... con tutti i tuoi impegni, la bella vita che fai a casa di tuo nonno... e... chissà... forse, se mai un giorno tornerò, ti troverò anche felicemente convolata a giuste nozze...”
Rise a quelle parole, quasi fosse qualche cosa di molto divertente. Io lo osservai per qualche attimo, incredula... mi sentii sciocca a quelle parole, mi sentii ferita... e quasi mi vergognai di quel dolore profondo che mi stava lacerando l’anima...
E così, perché non lo vedesse, gli voltai le spalle.
“Non c’è alcun bisogno di prendermi in giro...” sbottai, la voce cupa e ruvida, interrompendo la sua risata “Giacché, credo, tu lo abbia già fatto abbastanza! Vattene, se vuoi... e lasciami in pace!”
“Non ti ho mai presa in giro...” mormorò dopo qualche istante.
“Vattene!”
“Talia...”
“Si, che lo hai fatto...” urlai, voltandomi a guardarlo con gli occhi lucidi “Lo hai fatto ogni volta che mi hai fatto una promessa, ogni volta che mi parlavi al chiaro di luna... sapevi che niente di quello che hai detto sarebbe durato, ma mi hai fatto credere il contrario... e io ti odio, ti odio per questo! Ed ora vattene!”
Esitò solo per un attimo... poi si infilò la giacca, si rimise il cappello, si voltò e si allontanò.
Aveva fatto solo qualche passo quando si fermò di nuovo...
“Non erano bugie!” disse senza voltarsi “Niente di ciò che ho detto lo era... mai! E tu lo sai! Tutto era vero... lo è ancora!”
“E allora guardami...” mormorai “Guardami e dimmi che tornerai, dimmi che desideri soltanto questo. Dimmelo ed io ti crederò!”
Lentamente tornò indietro e prese il mio volto tra le mani...
“Lo sai... lo sai che non c’è nessun altro posto dove voglia stare... lo sai che non c’è niente al mondo che io desideri più di questo, di tornare qui... e posso giurartelo, posso giurartelo su quanto ho di più sacro!”
“Non devi giurare, ti credo...” mormorai, chiudendo gli occhi ed abbandonando la fronte contro il suo petto “Ti credo!”
Battei appena le palpebre e quel ricordo scivolò via, dolce e languido come era giunto.
La felicità, ripetei tra me e me, la contentezza... quella era stata la vera, sottile felicità... così intensa, vera, potente... molto, molto al di sopra di qualsiasi sciocco pugnale Musan potesse donarmi, al di sopra di qualsiasi sua intenzioni di ‘scegliermi’... ‘scegliermi’, pensai... quasi fossi solo un oggetto...
Ripensai agli occhi dello spagnolo, allora, a quel lampo gelido che avevo scorto in fondo a quegli occhi, ripensai alla sensazione di disagio e quasi di oppressione che avevo provato stando con lui in giardino...
Nascondeva qualcosa Musan, ne ero certa... nascondeva un lato oscuro... ed io non potei fare altro, per il momento, se non sentirmi sollevata che fosse molto lontano da lì.
I miei occhi scrutarono Jamiel ancora per qualche momento... mi fissava a sua volta e nel suo sguardo potevo scorgere un moto di preoccupazione... ma era solo un bambino, Jamiel, ed io non volevo che stesse in pena per me... così gli sorrisi.
E fu proprio in quel momento che quelle grida ci raggiunsero e mi indussero a correre in casa, dove arrivai appena in tempo per vedere mio padre gridare contro il nonno e Passapour...
Citazione:
Originalmente inviato da Guisgard
“Qui non siamo in Inghilterra e voi dovete sottostare alle regole di questa casa!” Con impeto Philip. “Se domattina vi troverò abbigliato ancora in questo modo, voi lascerete questa casa!” Si voltò poi verso suo padre che fissava quella scena. “Perchè, padre? Perchè volete a tutti i costi rovinare la mia vita e quella della mia famiglia? Solo perchè non sono come voi?” E uscì sbattendo la porta.
“Forse abbiamo sbagliato a venire qui, comandante...” disse Passapour al vecchio Arkwin.
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Rimasi in piedi sulla soglia della bassa porta di servizio che dava nella sala. Mio padre era uscito sbattendo la porta e non mi aveva neanche vista... non lo avevo mai visto così tanto adirato e fuori di sé, prima di quel momento...
Sospirai.
“Nonno...” dissi, facendomi appena avanti “Nonno... ti prego... voi non lo sapete, ma questi sono momenti difficili per mio padre... è molto agitato e sotto pressione... è teso...”
Esitai...
“Non dite così, Passapour, per favore... posso provare a parlargli io di questo, se volete...”