Questa la saprete di gia ed è quella che mi ha sempre affascinata fin da bambina...
La spada nella roccia
La spada nella roccia. Una storia attraverso l'Europa
Galgano eremita
La storia di San Galgano s’inserisce nel più ampio quadro delle “fughe dal mondo”, dell’ascetismo cristiano purificatorio e dei movimenti che, poco dopo l'anno mille, si sono sviluppati soprattutto in Italia, dando vita a diversi ordini monastici. Galgano Guidotti nacque a Chiusdino, feudo fortificato del vescovado di Volterra, nell'anno del Signore 1148, da una famiglia nobile. Secondo un codice conservato nella biblioteca Chigiana del Vaticano, da giovane Galgano fu un uomo feroce e incline al vizio. Tre episodi segnarono la sua vita, inducendolo a cambiare radicalmente ogni aspetto della propria esistenza: due sogni ed un'esperienza diurna. Gli apparve San Michele arcangelo, che gli ordinava di indossare un abito da cavaliere. A distanza di qualche anno, sognò di nuovo il santo che gli ordinava di seguirlo. Lo conduceva su una vicina collinetta sulla quale si ergeva una costruzione rotonda. Il terzo episodio si differenzia dai primi perché non è un sogno o una visione, ma un’esperienza del mondo reale: durante un viaggio verso la vicina Civitella, il cavallo s'impuntò e non volle più saperne di proseguire, conducendolo a Montesiepi, che Galgano riconobbe come il luogo del secondo sogno. Qui Galgano si ritirò in eremitaggio, conficcando la spada nella dura pietra, ed usandola come croce di fronte alla quale pregare. Visse di digiuni e penitenza poco meno di un anno, durante il quale pare si recasse dal papa Alessandro III, forse con l’intenzione di vedersi approvare un nuovo ordine monastico. Dopo undici mesi di vita eremitica, morì. Seppellito in prossimità della sua spada infissa nella roccia, il luogo divenne presto meta di pellegrini. In breve tempo fu costruita la rotonda, dove si insediarono i cistercensi. Oltre alla splendida e singolare costruzione circolare, dal tetto a cupola, ciò che ci colpisce maggiormente oggi sono i resti della grande abbazia la cui costruzione iniziò una quarantina d’anni dopo la morte del santo. Stupisce il fatto che della costruzione oggi non restano che i muri esterni con le bifore ad arco acuto e lo splendido rosone del transetto di destra, il colonnato, l’assenza totale del tetto e il prato al posto del pavimento.
Ipotesi di sviluppo di un ciclo leggendario
Il tema della spada nella roccia, ma questa volta nell'azione di estrarla dalla pietra con un gesto magico, lo ritroviamo nel ciclo romano-celtico di Re Artù. Difficile dire fino a che punto il ciclo leggendario di Re Artù, cui recentemente ha attinto una produzione cinematografica di successo, assai complesso e completo nel suo genere, possa essere messo in relazione con le storie che si raccontano in Maremma, e in particolare con la vicenda di Galgano Guidotti. Ci piace pensare che menestrelli, cantastorie e vagabondi, nel medio evo viaggiassero per turriti castelli e villaggi di baracche dei contadini, narrando, in ogni luogo in cui si fermavano, le storie che avevano raccolto altrove. Più facilmente, però, la diffusione di queste storie è da attribuire all’ampio movimento di gente attuato dalle crociate. Principi e cavalieri, scudieri e tutto il seguito, evidentemente portavano a sud le storie del nord e viceversa. Questo sapere, tramandato da un capo all’altro del vecchio continente, è attestato anche da alcuni elementi materiali. Nella basilica di Otranto, uno dei luoghi da cui prendere il mare per raggiungere la terra santa, il pavimento, formato da un enorme mosaico, presenta in una zona marginale, un Re Artù, che, a cavallo a una capra, combatte contro un gatto o un leopardo. Il grande mosaico è stato terminato nel 1165. Se in quegli anni era così diffuso il mito di Re Artù, stando agli elementi del mosaico, non lo era invece quello della spada nella roccia. Se si considera ancora che l’episodio della conversione e del ritiro spirituale di Galgano è di pochi anni successivo al completamento del mosaico, si può supporre che il mito della spada nel ciclo narrativo di Re Artù sia un’aggiunta successiva, la cui origine potrebbe essere quella di Montesiepi. Sembrano invece già presenti altri elementi che sono rimasti nel ciclo narrativo bretone, benché modificati, probabilmente addolciti, e con una maggiore articolazione dei ruoli. Il fatto che il Re Artù del mosaico sia rappresentato a cavallo di una capra, lo mette in relazione ad intrinseche capacità magiche. Le streghe, infatti, e altri esseri magici, erano rappresentati allo stesso modo. Sembra quindi che solo successivamente sia stato definito come mago il vecchio druido Merlino, ed invece siano rimasti solo attributi politici e militari al Re Artù. Ma a questo proposito, anche la narrazione che è giunta fino a noi presenta elementi di ambiguità, poiché Artù sarebbe figlio di una fata o di una strega.
Benché l'ambientazione del ciclo narrativo sia quella di una Bretagna in cui regnano ancora antichi rituali celtici, come elementi sincretici di una cristianizzazione che avanza, la geografia del mito arturiano presenta ulteriori elementi che contribuiscono ad accreditare l’ipotesi secondo la quale l’intero complesso narrativo si sia formato nel tempo, aggiungendo talvolta elementi nuovi, e talaltra perdendoli. Si giustificherebbe così, infatti, il fatto che sull’Amiata un toponimo indichi la “tomba di Merlino”, o che alcune storie di fate raccolte in Maremma presentino un personaggio dal nome Morgana.
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