Cavaliere della Tavola Rotonda
Registrazione: 04-06-2008
Residenza: Dalla terra più nobile che sorge sotto il cielo
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Scena XI: Caccia ai pirati
“Io? Conduco la vita più felice che si conosca, una vera vita da pascià. Sono il re del Creato: mi piace un luogo, vi resto; mi annoio, parto; sono libero come un uccello, ho le ali come lui. Le persone che mi circondano mi obbediscono a un solo cenno, e qualche volta mi diverto a burlarmi della giustizia umana sottraendole o un bandito che essa ricerca, o un criminale che perseguita.”
(Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo)
L'aristocratica villa sorgeva su un dolce promontorio a qualche lega dalla via principale per Amsterdam, animata dunque dai traffici mercantili, in un'ansa naturale formata dal mare che in un canale raggiungeva poi un piccolo porto commerciale.
Talia passeggiava nervosamente attraverso una piccola stradina secondaria che dai piedi della collina saliva fin sopra la vetta, sulla quale sorgeva la villa.
La ragazza fissava il mare e si strofinava nervosamente le mani l'una nell'altra.
“Raramente ho veduto il mare così silenzioso...” disse una voce tra i salici “... che sciocchezza, molti neanche saprebbero comprendere quanto sia bello ora il mare...”
“Guisgard...” quasi soffocando un gemito lei “... sei venuto...”
“Se mi conosci come dici” fissandola lui “non dovresti meravigliarti per questo.”
“Potrebbe esserci mio padre” fece lei “o uno dei suoi a sorvegliare la villa. Non dovevi. Non dovevi venire.”
“E cosa avrei dovuto fare?” Tornando a guardare il mare lui. “Accontentarmi dei tuoi scritti? E sapere da essi della tua partenza?”
“Dentro quegli scritti vi è ciò che sento.”
“Si possono scrivere tante cose.”
“Non mi credi dunque?” Scossa lei.
Lui non rispose nulla.
“Non mi credi?” Chiese ancora lei.
“Dimmelo adesso ed io ti crederò.” Rispose lui. “Come ho sempre fatto.”
“Sai...” fissando anche lei il mare “... ho scritto una cosa... una sciocchezza...”
“Dei versi?”
“E' davvero poca cosa...” accennando un sorriso lei “... non li chiamerei versi, no davvero... non ha un vero e proprio titolo... è dedicato a tutti coloro che hanno saputo sognare fino ad oggi... come sto imparando a fare io ora...”
“Tuo padre vuole per te una vita agiata e tranquilla...” mormorò lui.
“Si, credo sia questo il suo desiderio.” Annuì lei. “Del resto è il desiderio di ogni padre.”
“No, non di tutti.” Voltandosi lui. “Mio padre non mi augurerebbe altro dalla felicità.”
Lei chinò il capo.
“Ma per altri la tranquillità è un bene prezioso.” Con un sorriso malinconico lui.
“Forse perchè pensa che qui non sarò mai felice.”
“Questo non conta.”
“E cosa conta allora?”
“Ciò che pensi tu.” Rispose lui.
“Io penso tante cose...”
“Lo so.” Annuì lui. “Ora ne ho la prova.”
“Cosa sai?”
“So che forse è stato bello per te venire qui, fantasticare, sognare...” disse lui “... un meraviglioso passatempo... un angolo di mondo, di mare e di cielo in cui rifugiarsi per scappare dal grigiore quotidiano.”
“Questo pensi?” Facendosi indietro lei, con lo sguardo contrariato ed il mento all'insù.
“In fondo non ci sarebbe nulla di male.” Appoggiandosi ad un ramo lui, con occhi indefiniti verso quella distesa blu. “Del resto tu non mi hai mai illuso, o fatto capire altro.”
“Ero convinta che tu potessi leggere dentro di me” disse lei, con un bagliore negli occhi che poteva celare orgoglio o delusione. O forse entrambe le cose. “Invece vedo che sai dare peso solo alle parole che ascolti, o forse a quelle che non ti arrivano.”
“Non ti sto giudicando, Talia.” Con tono freddo lui. “Non l'ho mai fatto e non comincerò a farlo ora.”
“Ho sbagliato a venire qui.” Fece lei. “Preoccupandomi per te.”
“Anche il colle è proprietà di tuo padre?” Voltandosi verso di lei. “Come la villa?”
Lei non rispose nulla.
“Tuo padre, per quanto ricco e potente, non può avere per sé un intero mondo.” Sussurrò lui. “Nessuno può avere per sé il mondo intero. Anche io mi ero illuso di poterlo racchiudere intorno a te...”
Dalla villa scesero dei rumori.
“E' la carrozza di mio padre...” disse lei “... devo andare... ma non voglio salutarti così... ti scriverò... già domani...”
“Non occorre.” Fece lui. “Partirò prestissimo domani.”
“Partirai?” Stupita lei. “Senza dirmi nulla? Per dove?”
“Non lo so...” sorridendo in modo enigmatico lui “... infondo sono un Lancillotto che vaga in cerca della sua Ginevra... e non mi fermerò fino a quando non l'avrò trovata...”
“Ti auguro di trovarla...” disse lei “... con tutto il cuore... e so che sarà una donna fortunata...”
“Signorina.” All'improvviso una voce. “Suo padre vi sta cercando. Cosa fate qui?” Chiese uno degli uomini di Philip sceso a cercarla.
“Oh...” sorpresa lei “... ero scesa per vedere il mare più da vicino...” si voltò verso i salici, ma Guisgard, con suo sollievo, non c'era più.
“Andiamo, vostro padre vi sta aspettando.”
“Si...” annuì lei, per poi seguire quell'uomo verso la villa.
La porta si aprì di colpo e quel ricordo svanì.
Il capitano entrò e gettò il suo capello su un grosso seggio di panno turco.
“Milady...” disse Guisgard mostrando un lieve inchino “... ma sedetevi pure... non vi trovate a vostro agio forse tra tanti preziosi? Sapete, i gioielli, l'argento e l'oro danno tranquillità.” Sorrise beffardo, per poi riempire due calici di cristallo con un liquore di un rosso caldissimo. “Prego...” porgendole un calice “... qualcuno dice che sia un elisir fatato... come quelli che si leggono nelle Mille e una notte... pare doni l'amore... ma possiamo bere tranquillamente, vero? Io e voi ben sappiamo che l'amore, quello vero, non esiste.” I suoi occhi erano freddi.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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