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Ci si potrebbe chiedere perché gli storici moderni chiamano Galli o Gaeli i primi abitanti della Gallia, quando Giulio Cesare ci avverte che i Gallici, nella loro propria lingua, si chiamavano Celti e nella lingua latina Galli. Questi due appellativi sembrerebbero essere sinonimi e avere dunque un significato unico. Il termine Celtae -
Kell - aveva per questi popoli un senso molto concreto che designa l'uomo maturo, e l'espressione Galli, secondo le luminose spiegazioni di M. l'abate Bouisset, conterrebbe lo stesso concetto.
Nella mitologia greca, i Gallici erano i sudditi di
Galate, figlio di Ercole. La reputazione guerriera di Galate era immensa, così come quella della sua forza e delle sue virtù. Non disdegniamo di concentrarci, fra le allegorie di tale mitologia, su questi dettagli in apparenza secondari, ma in realtà di un'utilità rilevante. All'epoca in cui Cesare portò la guerra in Gallia, egli ce la descrive occupata da tre popoli: i Belgi, gli Aquitani ed i Celti
."Differiscono tutti, dice, per il linguaggio". Tuttavia questa differenza non doveva essere molto profonda. In una memoria sull'origine delle lingue celtica e francese, Duclos, nato a Dinan nel 1704, Segretario a vita dell'Accademia Francese, si esprime così: "In mancanza di monumenti, vale a dire di opere scritte, non abbiamo altri lumi sulla lingua celtica che la testimonianza di alcuni storici, dalla quale risulta che
tale lingua fosse comune a tutte le Gallie. Le Gallie erano divise in parecchi stati (
civitates), gli stati in paesi (
pagi) che si governavano con leggi particolari, e questi stati componevano insieme il corpo di una repubblica che aveva un interesse comune solamente negli affari generali. Si formavano assemblee civili o militari, queste chiamate
comitia armata, somiglianti ad una Riserva. Da questo, la necessità di una lingua comune affinché i deputati potessero conferire, deliberare e stabilire sul campo delle risoluzioni che dovevano essere poi comprese dagli assistenti; e
non si vedono autori scrivere che avessero bisogno di interpreti.
Vediamo invece che i
Druidi, facenti al tempo stesso funzione di preti e di giudici, avevano costume di riunirsi una volta l'anno, vicino a Chartres, per rendere giustizia alle persone che giungevano da ogni parte per consultarli.
Occorreva dunque che ci fosse una lingua generale e che quella parlata dai Druidi fosse familiare a tutti i Galli.
C'erano anche altre nazioni la cui lingua doveva avere radici comuni con quella gallica. Sembra che i Galli ed i Germani non dovessero differire molto, avendo questi popoli la stessa origine celtica; alcuni Germani erano venuti a stabilirsi nelle Gallie e dei Galli erano passati reciprocamente nella Germania, dove avevano occupato delle vaste contrade..."
Questi pensieri assennati conducono l'autore della memoria ad affermare che
le differenze di linguaggio osservate da Cesare erano solamente delle differenze dialettali. Non lo seguiremo in queste interessanti valutazioni sulla considerevole alterazione prodottasi nella lingua celtica per lo stanziamento in Gallia della famiglia latina. Facciamo tuttavia notare che, traendo dai suoi ragionamenti una deduzione rigorosa, si sarebbe portati a concludere che la
lingua celtica abbia dovuto conservare un'integrità perfetta su un territorio del quale i Romani non hanno mai calcato il suolo.
È certo che i Galli non hanno lasciato opere scritte, forse perché avevano più fiducia nelle tradizioni. Tuttavia, non è ammissibile che la nazione celtica non abbia lasciato ai secoli futuri alcun ricordo dei propri costumi, della sua religione e della sua attività. Questa storia dei Galli non è certo scritta nei libri; è incisa nel suolo stesso che occupavano.
Essi hanno dato alle tribù, alle terre, alle montagne, ai fiumi della Gallia nomi che neanche il tempo ha potuto cancellare. Là è racchiusa la loro vera storia.
Queste denominazioni hanno certamente un senso preciso, pieno di rivelazioni interessanti, sebbene tutte le lingue sembrino inefficaci a sciogliere tali enigmi.
La scomposizione di questi nomi propri di luoghi, di uomini, di tribù, ha interessato seriamente un buon numero di pensatori: ci si è sforzati di ricercare questa lingua che ha riempito il nostro suolo di denominazioni indelebili, il cui oscuro significato lancia alla nostra legittima curiosità una sfida incessante.
Sir William Jones, fondatore della Società asiatica di Calcutta, aveva notato innanzitutto una certa
affinità tra il sanscrito, il greco e il latino. Dovevano avere un'origine comune dunque e, senza osare affermarlo, ha sospettato che il
celtico ed il gotico provenissero dalla stessa radice del sanscrito.
La grammatica comparata delle lingue europee di Francoise Bopp ha poi spiegato come le leggi grammaticali permettano di scoprire fra il sanscrito, il persiano, il greco, il latino ed il gotico, non più una semplice affinità, ma una reale comunità di origine.
Possiamo osservare che i dialetti parlati in Francia, in Irlanda e in Scozia dovrebbero darci più facilmente questa chiave che non il sanscrito, poiché l'alterazione del linguaggio non impedisce, ancora oggi, di ritrovare gli stessi termini celtici nei dialetti irlandese, scozzese, gallese, bretone e linguadociano. Si potrebbero citare numerosi esempi, ma ne segnaleremo solo qualcuno.
La pellicola del grano macinato e passato al setaccio si chiama, in dialetto linguadociano,
brén; in bretone
bren; in gallese
bran; in irlandese e scozzese
bran. La brughiera (
bruyère), così comune nelle Lande della Gallia, é chiamata, in linguadociano
brugo; in bretone
bruk e
brug; in gallese
grug e
brwg. Il verbo francese pulire (
nettoyer) si traduce in linguadociano con
scura; in scozzese con
sguradh; in irlandese con
sguradh. Il nome francese dell'ontàno (l'aune), la specie d'albero, si dice in linguadociano
bergné; in bretone ed in gallese
gwern; in scozzese e in irlandese
fearn.
Fonte:
http://www.renneslechateau.it/rennes...d1=2&id2=2&l=I