La penna scorreva rapida sul foglio di carta lievemente ruvido, grattando appena e producendo quel rumore per me tanto gradevole.
Amavo scrivere...
avevo bisogno di scrivere...
mi era sempre sembrato che, mettendole nero su bianco sui miei quaderni, molte delle mie idee riuscivano poi a trovare un ordine ed un senso. E spesso li trovavano autonomamente.
E su quei quaderni scrivevo e appuntavo qualsiasi cosa: impressioni, opinioni, fatti rimarchevoli, stati d’animo che altrimenti sarebbero stati troppo fuggevoli per essere compresi.
Sollevai la penna per un istante e portai gli occhi fuori dal finestrino, osservando distrattamente il paesaggio che correva fuori...
Il medico sollevò gli occhi dai suoi fogli e mi osservò...
“Signorina...” iniziò poi a dire, con quella sua tipica voce calma e profonda “Signorina, da quel che vedo... da ciò che ho potuto appurare, durante i nostri incontri... lei non è malata!”
Lo osservai in silenzio, impassibile.
“Ciò che le è capitato...” continuò l’uomo “...può essere imputabile a molti fattori: lo stress in primo luogo, e poi la suggestione. Ha ammesso lei stessa di aver compiuto molte ricerche... come dire... particolari, per il suo lavoro. Ciò nonostante, io non credo che vi sia minimamente ragione per ritenere che il suo stato sia imputabile ad una patologia!”
“Faccio ancora quei sogni...” dissi.
“Sempre lo stesso sogno?” chiese.
“Sogni simili!” risposi.
“Ha ripreso a scrivere?”
“No... non come vorrebbe il mio editore!”
“Scrive ancora soltanto sui suoi quaderni?”
“Si!”
Lui mi fissò...
“Senta...” disse poi “Le darò un consiglio: cambi aria! Lasci la città, vada da qualche parte dove non è mai stata, faccia nuove esperienze... si rilassi, e vedrà che anche quei sogni presto svaniranno e riprenderà a scrivere.”
Lo osservi per qualche momento, poi mi alzai...
“Grazie, dottore!” dissi, tendendogli la mano.
“Buona fortuna!” rispose, alzandosi a sua volta e stringendola.
Il fischio del treno mi destò da quel ricordo.
Una voce metallica di donna giunse, poi, da un altoparlante per informare i passeggeri che eravamo giunti al capolinea.
Eravamo a Capomazda.
Con un sospiro, richiusi il quaderno e lo riposi nella borsa, insieme alla penna... poi presi dalla rastrelliera il trolley di vernice bianca, lo posai a terra e lentamente mi avviai verso la porta centrale, proprio mentre il treno si fermava ed apriva le porte.
La stazione centrale di Capomazda era una struttura moderna in ferro e vetro, un’umanità disparata correva su e giù per i binari, si accalcava, premeva contro le barriere...
io, con la borsa sulla spalla e trainando il trolley, mi diressi verso l’uscita.
Avevo quasi raggiunto l’ampio e luminoso atrio che dava sull’esterno, quando qualcosa attrasse la mia attenzione... diversi giornali erano appesi di fronte ad un’edicola, e su di essi campeggiava un’immagine ed un titolo a caratteri cubitali... il mio sguardo fu attratto da alcune parole... “mistero”, “morte sospetta ed inspiegabile”... e poi un nome... un nome che, da solo, bastò a bloccarmi dov’ero...
“Me ne dà uno, per favore?” dissi, avvicinandomi alla donna nel chioschetto ed accennando ai giornali “Quanto le devo? Ecco a lei! Grazie... buona giornata...”
E, con il giornale tra le mani, mi allontanai in fretta.
__________________
** Talia **
"Essere profondamente amati ci rende forti.
Amare profondamente ci rende coraggiosi."
|