Cittadino di Camelot
Registrazione: 28-07-2011
Messaggi: 203
|
Il generale si mostrò visibilmente apprensivo e premuroso con me, compresi che la città non dovesse essere realmente sicura come prima di quegli avvenimenti, così lasciai che disponesse ogni cosa per il viaggio che avremmo intrapreso in macchina io ed i suoi uomini, e che prevedeva l'essere scortata fino a casa.
Non avrei voluto si osservasse a tal punto il protocollo di protezione per me, non meritavo tante attenzioni nè desideravo essere causa di tanto disturbo per loro, sentivo di sottrarre quegli uomini a doveri più importanti ed urgenti, tuttavia, non avevo mai discusso le decisioni di mio padre, così, quasi remissiva, seguii il tenente fino all'auto.
Il generale mi accompagnò vicino alla portiera, scomodandosi di aprirla per me, sebbene non lo ritenessi necessario che provvedesse anche a quello. Tutto questo mi creava disagio e soggezione. Ma comprendevo che quel portamento ossequioso e galante fosse un'indole per uomini dediti alla disciplina.
Prima di occupare il mio posto sul sedile posteriore lo guardai in volto.
In quel frangente, quando nei suoi occhi lessi preoccupazione ed anche irrequietezza, nutrii una sensazione di freddo e desolazione, ma anche di tristezza, profonda tristezza.
Guardai il cielo cupo e grigio, poi di nuovo il volto teso dell'uomo, si respirava un'aria di agitazione inconscia e di dolore, come se il Cielo stesso piangesse l'orrore di quella morte di quell' uomo tanto amato a Capomazda e patisse lo sfregio degli eventi susseguitisi.
Sì, era come se il Cielo provasse lo sgomento nel quale si stava riversando la città, e lo esprimesse col suo pianto rilasciato attraverso quella fredda e scrosciante pioggia che improvvisamente prese a venire giù più abbondante.
Mi congedai dal generale, lo ringraziai e lo invitai ad essere prudente, probabilmente egli, come il corpo da lui capitanato, e mio padre stesso, erano molto più candidati probabili di un'eventuale minaccia di quanto non lo fossi io stessa, pur figlia di un militare, nell'attraversare la città in quel tempo infausto.
L'auto fu avviata.
Partimmo.
Il tenente guidava con prudenza e morbidezza, tuttavia più volte si rivolse a me, gentilmente, per domandarmi cosa mi occorresse in quella corsa verso casa, se io desiderassi che andasse più velocemente o più lentamente rispetto alla sua attuale guida, e premurandosi di non esitare ad avvertirlo se avessi desiderato fare una sosta.
Con noi, seduto di fianco al posto di guida, c'era il sergente che per primo mi era venuto incontro sulla pista dell'aeroporto.
Entrambi uomini silenziosi, seri, ma tanto giovani che, a guardarli, nutrii tenerezza chiedendomi se veramente avessero coscienza dei pericoli ai quali li esponeva il loro mestiere.
Ma poi.. mi ritenni sciocca e ingenua, probabilmente sottovalutavo il fatto che quegli uomini avessero un coraggio tale da essere preparati a fronteggiare il pericolo e la morte stessa a viso aperto, senza remore.
Lucidità..
Riflessi..
Intuizione..
E.. coraggio.
Tutte cose, tra tante altre, che già apprezzavo in mio padre.
ll guidatore teneva un andamento costante e regolare, e alcuno parlava, ognuno assorto nei propri pensieri.
Ad un tratto il tenente sdrammatizzò quel silenzio nel quale ci eravamo calati facendomi osservare qualcosa di straordinario, una costruzione risalente all'epoca romana.. l'antico acquedotto, ci sovrastava, e attraversato di esso si apriva come un mondo fiori dal comune, custodito in uno scenario d'altri tempi.. d
Si vedevano distese di campagna bellissima ed opulenta, pacata ma fervente, senza ombra di contaminazione, e sotto quella leggera nebbiolina generata dalla pioggia riversatasi sulla terra calda, appariva come il ritratto di un paesaggio fiabesco.
Come avrebbe mai potuto arrendersi al terrorismo un posto così intimamente e sapientemente conservato?
Il pensiero andò alle sue genti, agli abitanti di quei luoghi, ai coltivatori, possessori, amatori e protettori di quella campagna.
Che occhi potessero mai avere quelle genti? Mi domandavo.
Sicuramente ricchi, ricchi di tesori, e splendenti.
Attraversarla all'avvicinarsi della calma della sera, quando la campagna sta per addormentarsi dolcemente sotto i fumi dei focolai che accolgono pane caldo e fragrante, mi dava la sensazione di tornare ad un passato molto lontano, fatto di antichi profumi e cavalleria..
Che meravigliosa sensazione.. subivo quel fascino delle cose di un tempo passato, e quelle cose erano lì, a portata di mano.
Persino la pioggia sembrava battezzare quelle terre di una quasi completa sacralità.
Abbassai a metà il finestrino per sentire gli odori risalenti dai campi e lasciare che l'aria mi accarezzasse il viso. Era un'aria fresca e frizzante, impregnata di aromi fruttati e di muschi.
Terre coltivate, distese di granoturco di un brillante verde smeraldo, ulivi lucidi come giada e viti screziate di magenta .. e poi macchie di paglia ricoperte di pennellate di porpora e cardinale che affascinavano come rubini. Erano mele, mi spiegava il tenente, mele.. ripetei a me stessa.. succulenti frutti che ingolosivano gli occhi, disposti su letti dorati a maturare al sole. Colte, anch'esse, da quell'improvviso temporale di fine maggio.
Credo che se avessi allungato una mano ne avrei preso una, certamente, tanto erano vicine allo stupore dei miei occhi.
E quel temporale non sembrava scomporle da quell'allineamento meticolosamente disposto.
Fiancheggiammo, poi, i ciliegi matur e gli albicocchi traboccanti di frutti di un campo coltivato.
Ricordai in quel momento che mio padre, un tempo, mi aveva narrato che i temporali estivi scaturissero per maturare le ciliegie, e i tuoni risuonavano come campanelli per risvegliare le serpi d'acqua, annunciando loro l'arrivo della bella stagione.
Sorrisi. Attraverso lo specchietto retrovisore, guardai l'uomo alla guida, colsi nei suoi occhi compiacimento del fatto che quel viaggio si stesse rivelando per me piacevole e non una preoccupazione.
Ci sarebbe stato di certo tempo per le preoccupazioni.
Ma lì sembravano non poter mai giungere a scalfire lo scorrere lento del tempo.
L'uomo guidò per circa due ore, arrivammo alla villa che era quasi sera.
La casa mi apparve subito un'abitazione accogliente e deliziosa, sembrava risalente alla fine dell '800 ma era stata adibita, abbellita e disposta come una villetta di quelle che compaiono in quei vecchi film anni '40 , dove il bianco e il nero accolgono tutte le sfumature dei colori conosciuti al mondo. Si intravedevano le tendine di pizzo uncinetto alle finestre, mentre un lussureggiante e fiorito gelsomino ricopriva in larga parte la facciata antariore ed il lato sud.
Tutto era reso ancor più suggestivo da quelle ore di luce fioca che precedono il crepuscolo.
Mi piaceva molto quel momento.
La casa era sormontata da una mansarda dalla cui finestra si scorgeva la luce fioca di un lume.
Una figura si mosse all'interno, riconobbi il profilo di mio padre.
Il sergente mi aprì la portiera, la terra bagnata del sentiero sterrato emanava sentori di foglie e pacciamatura che abbondavano ai bordi, e sotto i piedi quella terra scura appariva un velluto.
Le mie scarpe di vernice lucida e arrotondate sulla punta, trattenute alla caviglia da un sottile "braccialetto" a cavigliera impressero le mie orme sul fango, anche quello mi piaceva molto, mi dava l'idea di appartenere già a quel luogo.
Sul retro dell'abitazione si intravedeva un abbondante frutteto, alberi variegati di frutti succosi e profumati già maturi.
Oh! fu una sensazione bellissima raggiungere quel luogo a me completamente sconosciuto e sentirlo proprio come casa mia, come la mia terra.
Intanto, intenta ad osservare, non mi ero accorta d'essermi incamminata verso l'ingresso sotto la pioggia, il sergente accorse subito a ripararmi, raccomandandomi più prudenza a meno che non desiderassi prendermi un malanno.
Ne fui contenta.
Varcammo il cancelletto di uno steccato di legno tinteggiato di bianco e verde a file alterne, rivestito di cespugli di rose, ortensie ed edere rampicanti.
Ci immettemmo sul vialetto di ciottoli che separava in due il giardinetto antistante, c'erano ancora le primule e le viole favorite da quelle insoliti temperature primaverili più fresche per quella stagione, ed una camelia bianca sul pianerottolo sembrava posta lì appositamente per accogliere gli ospiti.
Le luci degli interni andarono accendendosi una ad una, piano piano.
Il tenente seguiva me ed il sergente.
Io salii l'ultimo gradino delle scale del porticato e mio padre varcò la soglia della porta per accogliermi.
Sorrisi felice e nel rivederlo.
"Bentrovato, padre.." gli dissi incrociando il suo sguardo. E lui mi strinse forte nel suo abbraccio.
|