Cittadino di Camelot
Registrazione: 02-01-2009
Residenza: Cavaliere di Fiori
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Mi onorate, Lady Deirdre :)
Oggi vorrei raccontarvi dei miei viaggi a Cipango e nel Catai, focalizzandomi su ciò che mi ha maggiormente colpito di quelle terre. Sicuramente usi, costumi, architetture, tutto è differente da noi: i loro castelli sono edifici enormi, a corpo unico, con una pianta quadrangolare che posa su un alto basamento in pietra. Chiamati kasutera, essi sono sviluppati verticalmente e sono costituiti da diversi piani, ciascuno dei quali dotato di un proprio tetto a falde spioventi con gli spigoli inferiori curvati verso l'alto, generalmente di forma quadrangolare o ottagonale. Solo in seguito, una volta che ebbi appreso i rudimenti della lingua del Catai, venni a conoscenza del fatto che tali castelli si rifacevano a un particolare edificio sacro della religione autoctona, chiamato pagoda, e che nella lingua del posto significava proprio "torre a otto angoli".
Considerano indecente e impuro tutto ciò che ha a che fare con gli animali e la materialità: la concia delle pelli, la macellazione della carne, persino cibarsi di animali pare sia considerato impuro, per quanto mi sembra di aver capito che alcune eccezioni siano concesse alla casta guerriera, cui evidentemente si vuole garantire un maggiore contributo nutrizionale.
Venendo a quest'ultima, essa eccelle nell'arte della guerra ma è del tutto carente di qualsivoglia Cavalleria o galateo cortese. Le donne sono trattate alla stregua di proprietà private, seppur con il rispetto apparente dell'etichetta formale, i deboli e gli inermi non vengono compatiti, ma per lo più sono considerati anzi indegni della vita, e un samurai (così mi pare di aver capito che si chiamino i cavalieri del posto) può essere arbitro di vita e di morte sulle classi inferiori. Pensate che esiste addirittura un diritto legale chiamato kirisute gomen, che consente al samurai di uccidere senza giusta causa chiunque gli si pari dinanzi, purché non sia della sua stessa casta sociale o superiore.
La cosa che mi ha maggiormente lasciato sbigottito, è l'assenza di un qualsivoglia Codice di ispirazione morale o ideale cui attenersi: in Oriente si crede che tutto ciò che accade è strettamente connesso ai meriti o alle colpe accumulati nella nostra vita precedente, e pertanto esso è, in un certo qual modo, "ciò che ci spetta". Ivi è compresa la morte, la malattia, la sofferenza, i soprusi.
A distanza di tanti anni, ancora non riesco a farmi capace di come questi ardimentosi guerrieri riescano a coniugare una visione così brutale e cinica dell'esistenza con un senso dell'onore che è esasperato, scioccante, e forse addirittura superiore al nostro. A volte mi viene da pensare che se solo questo onore fosse ben riposto, e dedicato alla causa del bene, Cipango avrebbe i Cavalieri più perfetti di ogni altro paese al mondo.
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Un Cavaliere è devoto al valore, il suo cuore conosce solo la virtù,
la sua spada difende i bisognosi, la sua forza sostiene i deboli,
le sue parole dicono solo verità, la sua ira si abbatte sui malvagi
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