La verde, vasta e muggente campagna era tutt'intorno a lui, sussultante sotto quel tiepido vento che faceva oscillare, quasi fossero corde di arpa che vibrano, le foglie dei rami e le cime più alte dei cipressi, sopra la quale le alte e bianche nuvole parevano rincorrersi ed accavallarsi simili ad inquiete ed immense onde di un mare sconfinato.
Solo il verde degli alberi, le tinte screziate delle colline, con i loro paesaggi macchiettati e variegati, fatti di vigneti, uliveti e girasoli che parevano seguire il corso del Sole e il moto infinito del cielo, circondavano quel luogo fatto di vivaci suoni e profondi silenzi.
Carlo gli aveva detto di aver rispetto di quel luogo, di fermarsi ad ascoltarne il lamento delle sue ombre e l'eco del Tempo inclemente.
Se al mondo vi fosse, gli ripeteva sempre il teatrante durante le lunghe prove dei loro spettacoli, un luogo degno di rappresentare insieme la commedia dell'arte umana e l'arte dell'umana tragedia era proprio quella collina.
Essa era la culla della fama e della vanagloria umana, dell'illusione e della speranza, dell'esaltazione e della rovina di tutte le cose.
In nessun altro luogo infatti la Fortuna aveva così eccelsamente innalzato e sommerso l'animo umano.
In nessun “altrodove” il Destino aveva compiuto superba meraviglia della sua potestà sulla ventura umana.
“I Sygmesi” ricordando le parole di Carlo “assediarono la città... e quando i suoi abitanti compresero che la fine era vicina, portarono fuori dalle mura tutto il loro sterminato tesoro...”
Il giovane trasalì.
Aveva udito già questa leggenda anni prima, ritenendola solo un mito.
E se così fosse, pensava mentre con la vanga e la zappa raggiungeva ciò che restava dell'antica fonte,?
Se davvero fosse solo una leggenda?
Se Carlo a causa del suo amore fosse impazzito, giungendo a credere all'impossibile e al fantastico?
Forse egli non aveva lasciato tutto per seguire quella donna?
Come si può rinunciare ad una fortuna simile solo per amore di una donna?
Se davvero stessi rincorrendo solo un mito?
A me cosa resterà?
Ma quando tra gli sterpi e i rovi intravide i ruderi della vecchia fonte, all'improvviso tutti questi pensieri svanirono e rammentò solo l'ultimo commovente saluto tra lui e il commediante.
E prendendo spunto dal protagonista di quella storia che insieme a Carlo portarono sulla scena, il giovane prese vanga e zappa e mormorò:
“Avanti... apriti, Sesamo!”
Ad un tratto un nitrito lontano lo destò da quel ricordo.
Si voltò e vide arrivare Erniano, il fedele servitore a cavallo.
“Perdonate, signore...” disse.
“Cosa c'è?” Fissandolo il Cavaliere di Altafonte.
“E' giunto Ammone...”
“Bene, arrivo subito.”
“C'è dell'altro, signore.”
“Cosa?”
“Un invito.”
“Un invito?” Ripetè il cavaliere.
“Si...” annuì Erniano “... da parte del vostro banchiere... Nicolò Accio...”
“Ci andrai tu, in veste di mio segretario.”
“Non è un invito per discutere di affari, signore.”
“E per cosa?”
“E' un invito per una festa.” Spiegò Erniano. “Pare ci sarà tutta l'alta società di Sygma.”
“Voglio una lista completa degli invitanti, intesi?”
“Si, signore.”
Il cavaliere allora rientrò in casa e poco dopo Erniano gli consegnò la lista richiesta.
Lui la guardò con attenzione e poi la strappò con rabbia.
“Qualcosa non va, signore?” Preoccupato Erniano.
“Nulla di importante...” mormorò il cavaliere “... non ho più bisogno di te, puoi andare per ora, Erniano... grazie.”
Il fedele servitore mostrò un lieve inchino e si ritirò.
Mentre invece il cavaliere restò a fissare con sguardo cupo il vuoto della stanza, come a voler trovare riparo dai fantasmi che giungevano a tormentarlo.