Ermiano ascoltò con attenzione le parole di Altea.
“Sapete, milady...” disse “... io mi intendo poco di queste cose... gli affari di cuore per me sono troppo complicati... ero cuoco a bordo di una nave che batteva bandiera maltese... facemmo sosta in un porto delle Cicladi e qui fummo assaliti dai pirati, che poi decisero di venderci ad uno degli eunuchi del Sultano Turco... io fui l'unico a scampare alla morte... sono bravo a cucinare e proprio il Sultano mi volle nelle sue cucine... e una mattina di Maggio conobbi il mio padrone... il Cavaliere di Altafonte... aveva fatto una scommessa col Sultano, circa la cottura del latte di dattero per una pietanza dolce... il Sultano nutriva dubbi e promise qualsiasi ricompensa in cambio di quel piatto... ma se esso fosse riuscito male, gli avrebbe mozzato il capo... il cavaliere accettò e chiese a me di cucinarlo dietro le sue indicazioni, promettendomi la libertà... il piatto risultò squisito e il Sultano concesse la ricompensa al cavaliere... egli allora chiese la mia libertà e quella di una delle ancelle dell'harem... il Sultano, vincolato alla promessa fatta, a malincuore acconsentì... il giorno dopo il cavaliere, io e l'ancella lasciammo Costantinopoli... tre giorni dopo sbarcammo a Rodi e il cavaliere lasciò libera l'ancella... lì la stava attendendo il suo amato... compresi solo allora il gesto del cavaliere... l'aveva fatto perchè l'ancella ritrovasse l'uomo che amava...” sorrise “... ecco, questo credo sia il Vero Amore...” annuì “... venite, vi mostrerò la vostra stanza...”
La condusse così in una lussuosa camera da letto, arredata con gusto e classe.
“Se vi occorre qualcosa” aggiunse Ermiano “suonate pure quel campanellino di porcellana... vi auguro una serena notte, milady...” ed uscì, lasciando la dama da sola.