Il castello di Passato, in un attimo, fu avvolto da grandi e devastanti fiamme, che in breve presero possesso di tutto.
Così le murature cominciarono a spaccarsi, a sgretolarsi e a fondersi sotto quell'Averno di fuoco.
Come se la Terra avesse voluto distruggere e purificare quel luogo, da sempre teatro di orrori e blasfemie contro il Cielo.
Il gigante, intanto, ormai coperto di fiamme, tentava di togliersi gli abiti incandescenti da dosso, ma insieme alla stoffa venivano via anche brandelli di carne.
E dal suo mostruoso corpo un fetido insopportabile si diffondeva.
Poi, inesorabilmente, il castello cominciò a crollare sotto quel fuoco.
“Presto...” disse Guisgard ai suoi “... dobbiamo uscire da qui e metterci in salvo!” E fece cenno agli altri cavalieri di dirigersi verso l'uscita.
Qui le fiamme avevano consumato la porta della sala ed era allora possibile uscire da lì.
I cavalieri, così, corsero verso l'uscita del maniero, mentre tutto crollava intorno a loro.
Una pioggia incandescente, fatta di tizzoni e pietre roventi iniziò a cadere in ogni dove.
“Ognuno pensi per se!” Gridò Guisgard ai suoi. “Dobbiamo raggiungere l'uscita e lasciare questo Inferno! E dobbiamo farlo ora! Correte dunque!”
E così fecero quegli eroi, cercando una disperata fuga da quella trappola di fuoco e macerie arroventate.
Ma all'improvviso una tremenda esplosione, forse causata da pece conservata nei sotterranei o da bottiglioni di vino custoditi in una cantina, fece quasi crollare del tutto ciò che restava di quel castello.
Le torri collassarono sulle mura e queste ultime si sbriciolarono tra vampate di fuoco che quasi rischiaravano da sole il cielo notturno.
E tutto ciò scaraventò via Guisgard, facendolo sbattere contro pareti ormai fatte solo di fiamme.
I suoi abiti presero allora fuoco.
Il cavaliere ebbe la lucidità, nonostante tutto, di rotolare a terra per sedare il fuoco che lo stava avvolgendo, fino a quando precipitò in basso.
Cadde nel fossato che circondava il maniero e in quelle acque tutto divenne buio e silenzioso.
La strada era silenziosa e deserta.
Un tetro e muto crepuscolo lentamente calava su ogni cosa.
L'imbrunire fu rapido messaggero di tenebre che in un attimo si presentarono impenetrabili.
Fino a quando il lieve chiarore del Sole morente aveva illuminato la campagna, lui era riuscito a vedere in lontananza la sagoma delle colline, con i loro cipressi, le torri merlate, i ridenti campi di girasoli e i vigneti che impreziosivano quello scenario con i loro chicchi d'uva simili a gemme.
Ora però, col buio, il cavaliere aveva smarrito la via da seguire e cominciò a sentire una vaga angoscia scendere sul cuore ed un soffuso senso di inquietudine, misto ad un'insopportabile solitudine, nell'anima.
La foschia avvolgeva, come un velo, il cielo ed anche le stelle, dunque, parevano nascondersi in quella lunga notte.
Da lontano, poi, per un momento, gli sembrò di udire voci confuse.
Alcune familiari, altre sconosciute.
Forse anche quelle dei suoi compagni.
Ad un tratto, però, avvertì una strana sensazione.
Come di essere seguito.
Si voltò, ma non vide nessuno.
Continuò allora a camminare, cercando, nonostante il buio, un qualche segno per ritrovare la strada perduta.
Ma di nuovo quella sensazione.
Si voltò e stavolta intravide qualcosa dietro di lui.
Una sagoma, leggera, eterea, che sembrava seguirlo.
Lui si fermò e lo stesso fece anche quella.
“Chi sei?” Chiese il cavaliere.
La sagoma non rispose.
“Perchè mi segui?” Ancora il cavaliere.
Ma neanche stavolta ricevette risposta.
“Che luogo è questo?” Domandò allora a quella misteriosa figura. “Devo giungere a Sygma... è questa la direzione giusta?”
“Sygma è lontana...” mormorò quella.
“Possibile?” Stupito il cavaliere. “Fino a che era giorno” continuò lui “vedevo le colline in lontananza...”
“Ora però è notte” fece la figura “e non vi è più luce...”
“E per arrivare a Sygma?” Fissandola lui.
“Sygma adesso è lontana...” rispose quella “... più lontana di qualsiasi altro luogo, cavaliere...”
“Tu chi sei?”
A quella domanda del cavaliere, la figura fece un passo in avanti, svelando il suo volto.
Era quello di una donna con un lungo velo sulla faccia.
“Sono la Solitudine, cavaliere...” rivelò lei.
Ed un lamento lontano, lento ed angosciante, si udì nell'aria.
Uno scossone del carro e Guisgard si svegliò da quel suo sonno.
Aprì lentamente gli occhi.
Era ormai giorno.
Cercò di muoversi, ma avvertì le braccia e le gambe pesanti e doloranti.
“Non muoverti...” una voce accanto a lui “... ti ho spalmato un unguento sulle bruciature... sentirai bruciore ancora per un po', ma poi vedrai che pian piano passerà...”
Erano su un carro e Guisgard era steso con la schiena all'ingiù.
“Chi sei tu?” Chiese poi a colui che gli stava accanto. “E dove siamo?”
“Sono Nestos...” rispose quello “... e siamo diretti al mercato degli schiavi...”
Ma Guisgard quasi non badò a quelle ultime parole di Nestos.
Davanti agli occhi aveva ancora il volto di quella misteriosa figura vista in sogno, che aveva rivelato di essere la Solitudine.