Cittadino di Camelot
Registrazione: 02-01-2009
Residenza: Cavaliere di Fiori
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Vi ringrazio Sir Morris, siete generoso di complimenti come sempre, questa è la reale conclusione del racconto, e ringrazio tutti voi per avermi voluto onorare della vostra attenzione sino ad ora:
Cominciò la guerra tra noi. Durò molto a lungo, forse secoli, secondo il vostro modo di misurare il tempo. Ciò che in me l’amore non era riuscito a corrompere, ed anzi aveva nobilitato, fu depravato dalla guerra e dall’odio. Come è difficile vincere il nemico, quando lo si odia! Quanti compromessi bisogna accettare con la propria coscienza se si vuol prevalere…
Per me fu fondamentale comprendere che per combattere la malvagità di questa terra, una dote necessaria era la duttilità. Prima di conoscere il mondo ero come un blocco monolitico di pietra, duro, infrangibile, che ha una sola immutabile forma. Era la roccia della mia morale, forgiata nei secoli di permanenza fra i cieli, e mai scalfita dal peccato e dal male, che lassù ancora non conoscevamo. Ma fra i mortali è diverso. Fra gente che convive sulla tenue linea rossa che distingue bene e male, bisogna essere malleabili. Qui tutti i princìpi, anche i più sacrosanti, se spogliati di quei criteri che li rendono applicabili caso per caso, provocano distruzione e sconvolgimento.
Anche io traballavo su quella tenue linea rossa. Cominciava a possedermi la disillusione, la mancanza di fiducia in ogni ideale che sopravviene quando i nostri occhi vengono martoriati dalla visione di troppe crudeltà. A quel punto non distingui più giusto e sbagliato, ti senti soltanto sfinito, saturo di tutto e vorresti solo spegnerti, vorresti che finisse…
Frattanto continuavo a cercare per le contrade del mondo l’anima di Elisa. Fu l’unica compagna che mi concessi mai di avere, l’unica che mi avesse permesso di elevarmi spiritualmente. Speravo che Dio le avesse permesso di rinascere lì dove io alloggiavo. Se era così l’avrei trovata. Se invece la sua anima fosse approdata ad altri lidi, diversi da quelli, sperai che lei potesse incontrare e appagarsi di quella felicità che lo stare accanto a me non era riuscito a garantirle.
Guerra e amore, questa era la quotidianità della mia esistenza. Cosa mi rendeva diverso da un uomo? Cosa me ne rendeva migliore? Non ero forse un essere più perfetto di lui? No, non più. Ormai più nulla ci distingueva.
Cosa mi restava allora? Per non snaturare me stesso nell’anima, oltre che nel corpo, avrei dovuto continuare a servire quegli ideali di perfezione e di sublime giustizia per i quali ero stato fatto venire al mondo. Continuando ad alimentare la speranza delle genti in un qualcosa di superiore e di migliore, continuando a pascermi di infinito… Teso al trascendente, peregrino nell’immanente. Le mie ali erano scomparse per sempre, assieme alla mia immortalità e, forse, alla mia purezza. Ma la fede nel Giusto e nel Buono che è in ognuno di noi, la luce della speranza che unisce e guida gli uomini di buona volontà, quella non scomparve mai. Finché avessi avuto vita io l’avrei consacrata all’Ideale, memore del tesoro di ricordi che il mio cuore custodiva, e cantore della loro bellezza negli anni a venire.
Fu così che divenni quel che gli uomini chiamano Cavaliere. Un angelo ormai decaduto, ma consapevole di cosa fosse virtù. Il mio viaggio comincia così…
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Un Cavaliere è devoto al valore, il suo cuore conosce solo la virtù,
la sua spada difende i bisognosi, la sua forza sostiene i deboli,
le sue parole dicono solo verità, la sua ira si abbatte sui malvagi
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