Guisgard guardò Clio con lo sguardo divertito e la sua tipica espressione da Guascone.
“Per quanto io abbia una spiccata fantasia” disse sorridendo “vi confesso che faccio molta fatica ad immaginarvi come una di quelle dame di corte, tutte sospiri, boccoli ovattati e sguardi languidi. Dunque, se pensate che in questa situazione io miri a vedere le vostre grazie o, magari, ad abbattere le vostre stoiche resistenze a difesa di quella mascolina determinazione che tanto sbandierate, vi sbagliate. Non mi interessa trasformarvi in una Isotta o in una Enide. Se volete saperlo sono i vostri vestiti, quelli che indossate, che mi servono. Per questo li infilerete in questo fagotto, non appena messi quelli che vi ho portato. E perdonatemi se non sono riuscito a trovare corazze e cotte di maglie” con sarcasmo lui “ma non conosco molte persone da queste parti e le uniche di cui mi fidi sono quelle ragazze. Quanto poi al tenere caldi, questi vestiti sono indossati da donne che solitamente non si preoccupano di avere freddo o meno. E siccome per riottenere la mia libertà e riprendere il mio viaggio devo portarvi fuori di qui, da bravo soldatino, visto che conoscete solo le regole dei militari, farete come vi ho detto ed indosserete questi abiti. Altrimenti, giuro, entrerò in questa cella e vi spoglierò io stesso per poi rivestirvi. Sono stato chiaro?” E si voltò per un istante verso il corridoio, per accertarsi che il carceriere non stesse tornando. “Avanti, fate come vi ho detto. Non abbiamo tutto il tempo del mondo.” Tornando per un momento a fissarla, per poi voltarsi, dando così le spalle alla cella. “E non temete, non mi volterò a guardarvi. Non mi interessa fare ingelosire il principe...” e dopo quella frase sibillina, cominciò a canticchiare.