“Le tue provocazioni non mi toccano...” disse Roxanne a Clio.
E quelle furono le ultime cose che la spadaccina udì.
Poi tutto divenne buio...
Il gradevole vento che soffiava dalla terra sembrava come accarezzare quel prato verde e screziato dai riflessi giallini, azzurrognoli, rosati e violacei dei fiori che lo tingevano.
I monti apparivano vicinissimi, con gli alberi che quasi potevano toccarsi.
Sui pendii irregolari e selvaggi, tra rocce e chiazze irregolari di muschio, sorgevano, un po' qua e un po' là, qualche torre diroccata, la sagoma di un castello abbandonato e dimenticato, i resti di qualche vecchia magione e un monastero dormiente.
“Magari la frase incisa su questo ciondolo” disse Guisgard facendo oscillare la catenina del monile tra le dita “è di qualche innamorato che voleva farsi perdonare dalla sua bella...”
Clio lo fissava.
“Voi donne quando mettete su il broncio” continuo lui, lanciando una rapida occhiata alla ragazza seduta sull'erba accanto a lui “poi ce ne vuole per farvi tornare su il sorriso...”
“Si vede” fece lei “che voi uomini ce la mettete tutta per farci imbronciare.” Sorridendo.
“Chissà...” lui con una finta indifferenza “... magari lo facciamo apposta per farci poi perdonare...”
“E perchè mai?”
“Beh, perchè fare la pace è una delle cose più belle quando si ama qualcuno...”
“Capisco...” voltandosi a guardare i monti lei “... immagino sia uno dei tanti trucchi che adoperi per quel tipo di donne che frequenti...”
“Quale tipo?”
“Quelle che poi paghi...” tornando a guardarlo lei “... comunque non mi interessa... essere donna, intendo quelle che piacciono a te, frivole e civette, non fa per me...”
“Chi ha scritto questa frase” osservando il ciondolo lui “voleva anch'egli pagare la donna a cui era destinato il ciondolo...”
Lei non rispose nulla.
“Col suo Amore intendo...” aggiunse lui “... e questa frase credo ne sia il pegno...” guardò la ragazza.
“Non guardarmi così...” voltandosi di nuovo verso i monti lei “... mi infastidisce...”
“Forse ti spaventa...” fece lui.
“No, mi infastidisce... mi imbarazza ecco...”
“Già, sei un soldato” mormorò lui “e nulla ti spaventa...”
Lei non rispose nulla.
Lui allora le si avvicinò e le mise di nuovo al collo il ciondolo.
E nel farlo le accarezzò lievemente il collo e poi le spalle.
Restarono a guardarsi negli occhi e lui poi, all'improvviso, la baciò.
“Io...” sussurrò lei, portandosi la mano sulle labbra “... io non sono come le altre...”
“Lo so...” annuì lui.
“Io non sono brava...”
Lui non disse nulla.
“Io...” continuò lei “... io forse non so neanche amare...”
Lui le si avvicinò e la baciò di nuovo.
Poi si stese sull'erba e restò a guardare i suoi occhi azzurri.
“Cosa...” arrossendo lei “... cosa devo fare ora?”
“Lo scopriremo insieme...” prendendo la sua mano e portandola dolcemente a sdraiarsi sull'erba accanto a lui.
Clio si svegliò.
Era stato un sogno.
Il prato fiorito, l'aria profumata di campo e i nitidi monti tutt'intorno non c'erano più.
Era in un luogo semibuio, umido e maleodorante.
Dalle pareti giungevano strani rumori.
Erano versi di animali, diversi animali, che si accavallavano fino a confondersi, rendendoli simili a suoni innaturali e disperati.
La ragazza era con le spalle contro un freddo muro di pietra, seduta su un pavimento fatto di selce e muschio, con i polsi legati a pesanti catene inchiodate alle pareti.
E poco a poco i suoi occhi cominciarono ad abituarsi a quell'opprimente penombra, tanto da farle scorgere qualcuno non distante da lei, immobilizzato nella sua stessa posizione.
Quel qualcuno però era senza conoscenza.