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Vecchio 30-06-2014, 03.59.12   #239
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Cavaliere della tavola rotonda
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Capitolo III: Il magnifico avventuriero


“Era nato con il dono della risata e la sensazione che il mondo fosse pazzo.”

(Rafael Sabatini, Scaramouche)


“Senza sosta lo cercan qua, lo cercan là,
Capomazda tutta si strugge e dov'è non sa.
Che sia sbocciato in uno sguardo o in un sussurro,
questo inafferrabile e meraviglioso Fiore Azzurro!”




La piccola locanda, data l'ora mattutina, appariva vuota e silenziosa, fatta eccezione per quel rumore di posate sui piattini di scadente ceramica che il giovane continuava a fare distrattamente, mentre sfogliava con gesti meccanici quell'opuscolo stropicciato.
“Devo dedurre” disse l'individuo seduto di fronte a lui, fermo a guardarlo mentre continuava a tenere lo sguardo fisso su quel piccolo fascicolo “che queste notizie giunte dalla guerra tra Imperion e Nagos debbano suscitare un tal certo interesse...”
“Non più di quanto non faccia questa confettura di albicocche sulla mia focaccia...” mormorò l'altro, senza alzare lo sguardo dall'opuscolo “... però ti dirò, Petrin, che mi stuzzica non poco l'appetito... oh, non che questo sia un problema, visto le squisite colazioni che sa servire la nostra madama de Fornì...” abbassando per un momento quel libretto e facendo un occhiolino malizioso alla ragazza intenta a pulire i tavoli vuoti, la quale rispose lesta con un largo sorriso ammiccante “... ma trovo che leggere di queste cose renda il mio umore decisamente gaio...” tornando a guardare quelle paginette.
“In pratica cosa dice quella roba?” Chiese Petrin, allungando una mano e prendendo un pezzo di focaccia.
“Elenca i propositi liberali ed illuministici del governo di Imperion...” rispose l'altro “... e devo ammettere che lo fa in modo molto convincente, quasi da fare sembrare vero ogni vaneggiamento qui descritto.”
“Beh, il popolo che spinto dalla fame e dai soprusi giunge a fare una rivoluzione” mormorò Petrin “credo sia la storia più vecchia di questo mondo...”
L'altro smise di leggere ed abbassò il libretto, lasciandolo poi cadere con indifferenza sulla tavola.
“Amico mio...” prendendo con un cucchiaio altra confettura e spalmandola su un quadratino di focaccia “... se davvero esistesse una forma di governo aurea e perfetta, allora questi individui di Imperion meriterebbero un posto nella storia come inspirati di ogni tempo... ma dubito che siano riusciti a giungere a tale filosofica ricetta... voglio dire...” assaggiando la focaccia “... cosa hanno scelto per reggere la loro città? Una repubblica, no? Ecco, la migliore fra tutte le repubbliche non può che seguire l'eccelso modello principe di ogni repubblica, ossia quello dell'antica Roma. Riflettici su, Petrin... all'epoca, come adesso, il potere era delle grandi famiglie patrizie che vivevano nel lusso, tenendo per sé benessere, ricchezze, diritti e qualsiasi altra cosa valesse la pena possedere. Poi c'era la plebe, il volgo, oppresso, afflitto, affamato, sanguinante ed infine moribondo nei tuguri e nelle cloache di Roma. E quella era proprio una repubblica. La più potente e grande che mai vi sia stata.”
“Beh, lo scopo di una rivoluzione è portare i più deboli ed oppressi al potere immagino...” masticando la focaccia Petrin.
“Lo scopo di ogni rivoluzione” sorseggiando del tè l'altro “è quello di sostituire una classe al governo con un'altra. E sai ad Imperion mira a tale privilegio? Te lo dirò io... la borghesia.”
Petrin lo guardò sorpreso.
“Ma se è il popolo che si è mosso con le armi ad Imperion, spodestando il vecchio regime monarchico!” Esclamò poi.
“Certo, il popolo.” Annuì il giovane. “Ma spinto dai propri datori di lavoro. In piazza e nelle strade scendono contadini, operai, artigiani, bottegai, ma tutti mossi come tante marionette da chi sta dietro di loro, da chi per anni, anzi secoli, non ha fatto altro che opprimerli. Gente che si è arricchita sfruttando il volgo con paghe miserevoli, nelle loro botteghe e fabbriche. Oppure facendo commercio di spezie, stoffe, armi e persino di esseri umani come i mercanti di schiavi. Questa è la borghesia. Gente arricchitasi a spese dei più deboli, ingrassatasi all'ombra dell'aristocrazia e del Clero e che oggi muove i fili del volgo ignorante e disperato per giungere ad ottenere ciò che la sua miserabile nascita non gli concederà mai, ossia il potere, il governo.”
L'eloquenza del suo giovane amico zittì Petrin.
“Bah, io non mi intendo di queste cose...” farfugliò poi.
“Anche io amo tenermene fuori.” Sorridendo l'altro. “E direi ora di preparare il tutto per quel nostro viaggio verso Baias...” alzandosi dalla tavola “... ho bisogno di ispirazione e ciò vuol dire che necessito di ammirare qualche bel paesaggio... e naturalmente delle graziose figliole.”
“E con quale denaro?” Domandò Petrin.
“Oh, bella!” Esclamò l'altro. “Non sai forse, amico mio, che vi sono solo due modi a questo mondo per possedere denaro? Sposarlo o ereditarlo. E fortunatamente io, nella mia condizione di figlio naturale, posso vantarmi di sguazzare in quest'ultima situazione.” Rise appena. “Ora non mi resta dunque che dirigermi dal gentile e disponibile notaio de Gaitan e riscuotere la mia rendita mensile. E dopo nessuno potrà impedirci di correre verso le meravigliose sponde di Baias.”
Petris annuì sorridendo.
“Ora tu torna pure nella tua bottega” continuò l'altro “mentre io passerò dal mio buon notaio. Ci ritroveremo da tè fra... diciamo un'oretta.”
I due allora si salutarono, per poi separarsi.
Il giovane eloquente si avviò allora verso il centro cittadino, raggiungendo così la casa del notaio de Gaitan.
E appena arrivato nell'androne che dava al suo studio, il giovane si presentò alla governante.
“Messere...” mormorò la donna “... non... non avete annunciato la vostra visita questo mese...”
“Beh, mia bella signora...” mostrandole un vistoso inchino lui e baciandole la mano “... non capita sovente che mi presenti qui alla fine di ogni mese? E' un atto di riguardo il mio, sapete? Non oserei mai piombare qui mentre magari il nostro signor de Gaitan è occupato con qualche cliente di ottima reputazione. Non vorrei mai che il caso di un figlio naturale si mischi alle pratiche di gente altolocata.” Facendole l'occhiolino.
“Ecco io...” farfugliò la donna “... temo che il signor notaio sia impossibilitato ad incontrarvi oggi... non è qui...”
“Davvero?” Il giovane. “E' strano... venendo qui ho veduto la sua carrozza in strada... suvvia, non temete, ci metterò poco... il tempo di riscuotere la rendita mensile e poi andrò via.” Di nuovo le mostrò un inchino e poi, senza attendere la sua reazione, entrò nello studio del notaio.
“Voi?” Vedendolo entrare il notaio.
“Proprio io, signor de Gaitan.” Sorridendo il giovane.
“Oggi no.” Scuotendo il capo de Gaitan. “Oggi non posso vedervi.”
“Oh e avete provato con una lente?” Scherzando l'altro. “O magari un cannocchiale? Ne vidi uno a Pisa tempo fa davvero strabiliante.” Ridendo.
“In questo momento il vostro sarcasmo, come la vostra visita qui, è del tutto fuori luogo, Guisgard!” Alzandosi dalla sedia il notaio. “Non ho nulla per voi oggi!”
“Perchè” con sospetto Guisgard “ho l'impressione che vogliate tenermi nascosto qualcosa, signor de Gaitan?”
Il notaio non rispose nulla, limitandosi a chinare il capo, senza più fissare il giovane.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO

Ultima modifica di Guisgard : 08-07-2014 alle ore 01.27.22.
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