Capitolo V: Ritorno a casa
“La conversazione fu interrotta dall'ingresso di un messaggero del guardiano, il quale annunciò che si era presentato uno sconosciuto alla porta, chiedendo accesso e ospitalità.”
(Walter Scott, Ivanhoe)
Aveva parlato in fretta.
Senza che Guisgard riuscisse ad interromperla o a risponderle qualcosa.
Ma cosa mai poteva dirle?
Questo pensava.
E così restò in silenzio fino a quando Clio uscì dalla stanza.
Allora l'impostore si lasciò cadere sul letto, con la testa affondata nel morbido cuscino.
“Da quando” disse poi piano, come a parlare a se stesso “resti in silenzio davanti ad una ragazza?” Sbuffò. “Più penso a questa storia, più mi sento un pazzo. Ma che dico? Un idiota.” Si voltò verso il baule. “La spada...” mormorò “... tranquilla... Imone ha saputo onorarla...” chiuse gli occhi, abbandonandosi per un momento ad un misto di pensieri e preoccupazioni.
Poi si alzò, avvicinandosi ad un piccolo specchio.
Si tolse la giacca di lamè e cominciò ad accomodarsi la camicia.
“Beh...” specchiandosi “... dopotutto non devo certo restare qui per sempre... il tempo che le acque si calmino... lei non mi ha riconosciuto e alla fin fine devo solo guardarmi da quel cavaliere... già, lui... ha ucciso Imone e mi ha visto in faccia...” sorrise davanti alla sua immagine riflessa “... però nessuno può impedirmi di rendere il più piacevole possibile questo mio soggiorno qui... ci saranno ragazze immagino... certo, la cugina non si tocca, ma qualche dama di compagnia... mi andrebbe bene anche una servetta... magari una nobildonna... l'ideale però sarebbe una ricca vedova...” rise appena, per poi voltarsi ancora verso la finestra.
Vide allora Clio in giardino che passeggiava.
E restò a fissarla per un po'.
Prese poi dalla borsa il diario di Imone e cominciò a sfogliarlo.
E lo faceva velocemente, mentre fiumi di parole si accavallavano, si rincorrevano, si univano e si confondevano fra loro.
E sfogliò quel piccolo quaderno fino a quando il suo occhio, tra mille e mille parole ormai tutte uguali, riconobbe il nome di Clio.
Si fermò e iniziò a leggere quella paginetta.
Parlava di un vecchio ricordo di Imone.
Di un gioco tra lui e sua cugina.
La ragazza intanto era sola e camminava silenziosa nel giardino della fortezza.
E passeggiò per un po'.
“Quella vecchia quercia è ancora là...” all'improvviso una voce alle sue spalle “... forse non lo rammenti... ma io si... come fosse ieri... la chiamavamo l'Albero del Potere...” sorridendo Guisgard “... fantasticavamo di una maga che viveva nel suo tronco... custodiva una spada magica ed aveva incaricato due potenti guerrieri nani di allenarci... divise poi la spada in due metà, affidandone una metà a me e l'altra a te...” la fissò nei suoi occhi chiari e luminosi “... tu però la volevi tutta per te...” rise piano “... e mi sfidasti in singolar tenzone...” tornò a guardare l'albero “... sappi però che ti feci vincere perchè quel giorno ti eri sbucciato un ginocchio ed io detestavo vederti piangere...” si voltò di nuovo a guardarla “... ma il mio posto preferito, il mio luogo segreto, era laggiù...” indicando dove il giardino cedeva il posto al cortile “... la Loggia degli Eroi... beh, almeno spero ci sia ancora...” rise “... con tutte le statue degli eroi e delle loro eroine... ricordo che restavo ore a guardarle, fino ad imparare a memoria i loro nomi...” si fermò e prese la mano della ragazza “... sono felice di essere tornato... e tu mi sei mancata, cara cugina...” con i suoi occhi in quelli di lei.