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Vecchio 05-02-2009, 22.35.45   #308
Lancelot
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Lancelot sarà presto famosoLancelot sarà presto famoso
Ecco una poesia di cui sono abbastanza fiero, La Ballata di Orfeo:

Un triste canto piange la lira
lacrime dalle pizzicate corde,
la memoria al passato rimira
mentre Orfeo il labbro si morde.

Suono che dice ciò che il cuore sente,
suono che più non può dirsi felice.
Solo conosce un dolore struggente,
da che tolta gli è stata Euridice.

Talvolta incauto il cuor suo vola
alla dolcezza della morta sposa;
Sulla promessa che mai sarà sola
a tratti il ricordo fresco si posa.

“Tieniti caro questo giuramento:
mai seccherà del nostro amore il seme,
giuro che mai passerà un momento
che non veda me e te stare insieme”.

Le si rivolse con queste parole
ed ella era di colpo arrossita;
trascorse ora son due stagioni sole
da quando gli dei a lui l’han rapita.

Mentre fuggiva la colse la morte,
ché la inseguiva una brama bestiale;
non le riuscì d’evitar la sua sorte,
e infranse il gaio vincolo nuziale.

Stesa sull’erba Euridice pensava
teneramente al volto dello sposo,
ed assai lieta d’essere schiava
d’un sentimento tanto gioioso.

Così la vide il dio agreste Aristeo,
nuda, bellissima in mezzo alle foglie;
e nell’assenza del marito Orfeo,
credette soddisfar le proprie voglie.

Quando del dio la ninfa s’accorse,
nella fuga si gettò impaurita;
cadde in terra e un serpente la morse,
in un colpo prendendole la vita.

Giunto Aristeo e vedendola morta,
al cuor sentì montargli la pietà;
mentre Euridice varcava la porta
del triste eterno regno d’aldilà.

Ignaro la sera tornò a casa Orfeo,
sperando riabbracciar l’amata moglie;
ma presto scoprì che un destino reo
di lei lasciava solo fredde spoglie.

Grida straziate, pianto triste e mesto,
nella lira sfoga il proprio dolore;
urla la rabbia di chi troppo presto
perduto ha sogni, vita e amore.

A quelle note si commosse il cielo,
lacrimò pioggia e tuonò parole;
s’oscurò chiudendosi in nero velo
per rendergli omaggio un pietoso sole.

I fiumi, i boschi, come ogni animale,
dolenti espressero il proprio cordoglio.
Tutti sapevano che non ha eguale
la pena d’un cuore d’amore spoglio.

Ricorda Orfeo ma non s’arrende al fato,
riavere vuole la giovane moglie.
Per riprender ciò ch’Amor gli ha dato
decide di varcar l’infere soglie.

Mai sopito amor impavido spinge
il bel cantor fin dentro all’Averno;
di non aver paura solo finge,
ché tutto lì è un crudo inverno.

Mentre le fosche contrade attraversa,
innumere anime guardano a lui.
Son coloro che ogni gioia han persa,
che gementi attendon giorni bui.

Ma di loro ormai Orfeo non si cura,
contro pietà egli erge lo scudo
di chi per altro tien premura.
Amor così lo rende agli altri crudo.

Quando infine al trono d’Ade arriva,
non al dio ma alla moglie si volge:
“O regina dell’anime defunte, diva,
morto non son eppur per queste bolge

vaga il mio cuore in cerca di speranza.
Rendi Euridice che morta qui giace
al marito che starne non può senza.
Musica vi do in cambio, se vi piace.”

Soave melodia soffusa accompagna
quella straziata ultima preghiera;
un rivo di lacrime puro bagna
il viso del dio dalla nera criniera.

In un attimo Averno muta in Eliso,
più non soffrono i dannati, ora beati.
Nelle tenebre schiarisce un Paradiso,
e più non rimpiangono d’esser nati.

Toccandosi la dea i capei biondi,
al fosco marito volge il discorso:
“Amor così diviso fra due mondi…
ricordi? Non molto tempo è scorso

da che noi avemmo una stessa guerra.
Era possibile al re dell’Inferno
amar Persefone della Terra?
No…pur ci giurammo amore eterno”.

“Triste storia richiama il mio ricordo,
questi due ci son simili, amore mio.
Non rimarrò al loro appello sordo,
pietoso sa essere il mortifero dio.

Và, cantore, e ti segua Euridice.
Ma voglio che le mie parole ascolti:
mai più con lei potrai esser felice,
se prima dell’uscio a guardarla ti volti”.

Pronto già per il lieto ritorno
sorridendo Orfeo le parole ascolta;
ma beffardo destin prima del giorno
infelice il farà ancora una volta.

Passo dopo passo il cuor gli freme,
il dio della morte non l’ha preso in giro.
Dalla salita affaticata geme
dietro lui la moglie, n’ode il respiro.

Voltarsi allor vorrebbe il poveretto,
ché per la moglie gli scoppia il cuore.
S’avvera così quel ch’il dio gli ha detto,
tradito è Orfeo dal troppo amore.

Timida accenna Euridice un sorriso,
ma subito Orfeo inorridito arretra:
fino alle soglie del tenero viso
il corpo di lei si tramuta in pietra.

“Il troppo amore ha tradito entrambi,
nemmeno tenderti le braccia posso.
Se solo saprò che il mio amor ricambi,
non così tristo sarà questo fosso.”

Alle parole dell’amata moglie,
scoppia il cantore in un pianto cupo.
Di gettar decide le proprie spoglie
nel profondo abisso d’un fero dirupo.

Lì il suo corpo divorano le Furie,
e in pezzi gli riducono le membra.
Accanisce su Orfeo le sue ingiurie
un destino che odiar l’amore sembra.
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Un Cavaliere è devoto al valore, il suo cuore conosce solo la virtù,
la sua spada difende i bisognosi, la sua forza sostiene i deboli,
le sue parole dicono solo verità, la sua ira si abbatte sui malvagi

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