Il sogno
L'uomo, dal volto marcato ed incanutito, sebbene spigliato nell'espressione e vivace nello sguardo, aveva imboccato la stradina che serpeggiava nella valle.
Attraversò allora un vasto campo di girasoli, passò tra alti cipressi appena sferzati dal vento, lasciandosi poi guidare dal calmo e ritmato scorrere del fiume.
Alla fine si ritrovò davanti ad un vecchio casale signorile.
Gli avevano parlato di un anziano Maestro di Cortesia e delle sue lezioni ad alcuni ragazzini, perlopiù appartenenti alle nobili famiglie patrizie del posto.
Guardò a lungo quel luogo, con la volontà di scorgere qualcuno di quei bambini.
E ad un tratto udì il suono di un'ocarina.
Decise allora di seguire quella melodia, entrando così nel casale, aggirando il cortile d'ingresso e ritrovandosi sul lato opposto, dove sorgevano le scuderie.
E qui, adagiato sul fieno, vide un ragazzino suonare la sua ocarina.
Aveva capelli scuri, la carnagione chiara e due occhi di un luminoso e sognante azzurro.
Restò ad ascoltarlo fino a quando il ragazzino, accorgendosi del vecchio negromante, smise di suonare.
Lo stregone, allora, cominciò a piangere davanti a lui.
“Oh, non smettere ti prego...” disse “... sono anni che vago senza meta, tra le città e le regioni più belle e nobili d'Europa...” piangendo “... ho visto la Navarra, la Provenza, la Normandia e il Carcassonne. Ho raggiunto poi le Fiandre, la Baviera, fino alla foresta delle Ardenne.”
“Chi siete?” Chiese il ragazzino incuriosito.
“Sono tante cose, ragazzo mio...” rispose l'uomo con le sue false lacrime “... e solo viaggiando ho potuto chiedere il perdono per le mie colpe...”
“Quali colpe, signore?” Fissandolo il ragazzino.
“Tante che neanche immagini...” scuotendo il capo il negromante “... ho fatto voto di povertà ed umiltà per pulire la mia coscienza... ma solo oggi ho trovato ristoro per il mio cuore... e grazie a te...”
“A me?” Stupito il ragazzo.
“Si...” annuì l'uomo “... la tua musica mi ha donato un momento di serenità e fanciullesca spensieratezza...”
“Davvero?”
“Si, ragazzo mio...” accennando un sorriso lo stregone “... e per questo voglio ricompensarti...”
“E come?” Domandò il piccolo.
“Come detto” fece il negromante “ho rinunciato ad ogni bene, anche se lungo il mio cammino ho scorto ricchezze come neanche i Cesari nell'antica Roma potevano concepire... le ho raccolte durante gli anni, fino a rinchiuderle in un Giardino...”
“Un Giardino?” Ripetè il ragazzino.
“Si...” mormorò lo stregone “... e ora, per ricompensarti, voglio donarle a te... vuoi venire con me a prenderle?”
“Devo chiedere al mio maestro prima di allontanarmi...”
“Quel Giardino non attenderà...” fissandolo il negromante “... il suo cancello è aperto, ma dopo il crepuscolo si chiuderà per poi riaprirsi in un'epoca lontana ed ignota...”
Il ragazzino non ebbe tempo di dire nulla che subito l'uomo lo prese per mano e lo condusse fuori dal casale.
Insieme allora camminarono a lungo, fino a giungere presso un bucolico e lussureggiante Giardino, racchiuso da un alto muro di mattoni policromi, dai riflessi sconosciuti.
Il mistico Verziere mostrava un cancello d'oro appena socchiuso.
“Io a causa del mio voto” spiegò il negromante al ragazzino “non posso attraversare quel Giardino... ma tu si, tu puoi... entra allora e raggiungi il suo centro... troverai una sontuosa nicchia a volta, divisa in otto absidi, che danno su altrettanti vialetti tra la vegetazione... scegli l'ottavo e percorrilo tutto, fino a quando troverai, in fondo al Verziere, un tempietto con tutte le specie di fiori mai sbocciate a questo mondo... e tutt'intorno vedrai sugli alberi e sulle piante i frutti più straordinari mai maturati... vedrai infatti un'infinità di gioielli con fattezze di frutta, come perle, diamanti, rubini, gemme, topazi, zaffiri e smeraldi. Ma anche di cristallo, di agata, onice, giada, alabastro e ogni altra pietra meravigliosa. E tutto ciò, con i suoi bagliori e i suoi riflessi, rischiara quel Giardino come un luminoso giorno che non conosce la notte. Ma tu non lasciarti distrarre da tutto ciò...” lo ammonì “... raggiungi invece il tempietto ed al centro di esso troverai un Fiore... un Fiore unico, dai petali di un azzurro sfolgorio... allora coglilo e portalo a me... fa come ti ho detto e potrai avere per te tutte le ricchezze di quel Giardino... tutti i suoi frutti che risplendono come le stelle del firmamento... a me basta solo il Fiore e lascerò a te tutti gli altri tesori di quel Verziere...”
E senza attendere la risposta del ragazzino, il malvagio stregone lo spinse oltre il cancello d'oro socchiuso.
“Va, fai in fretta!” Esclamò. “Va, cogli il Fiore e portalo a me! Poi potrai raccogliere tutti i preziosi frutti di questo luogo!”
Il cancello all'improvviso cominciò a muoversi.
“Sbrigati, ti dico!” Gridò il negromante. “Va, portami il Fiore!”
Il cancello iniziò a chiudersi.
“Fa presto!” Fuori di sé lo stregone. “Portami il Fiore!”
Il ragazzino allora si voltò verso l'interno del Verziere.
Ma un attimo dopo il cancello si chiuse, imprigionando di fatto il ragazzino all'interno del Giardino.
“No!” Urlò l'uomo svegliandosi di colpo.
Ansimava, col volto rigato dal sudore.
Guardò allora fuori dalla finestra, dove regnavano solo le tenebre ed una pallida ed enigmatica Luna che lasciava la sua scia sulle acque del mare, come una strada verso mondi incantati.
IL FANTE DI QUADRI
Capitolo I: Il Pegno di Dominus
“Ma inevitabile è il viaggio, e dura la loro fatica.”
(Apollonio Rodio, Le Argonautiche)
L'incredibile vascello volante raggiunse il Palazzo dei Taddei ed atterrò poi tra il suo cortile ed i giardini.
L'allarme fu lanciato in tutta la reggia.
Gli uomini della Guardia Ducale uscirono armati e circondarono l'incredibile macchina volante.
Archi, balestre, moschetti e pistole erano puntate contro quel vascello capace di alzarsi in cielo.
E a pochi passi da tutto ciò, Dominus ed Altea assistevano a quel fiabesco spettacolo.
Poi, ad un tratto, dalla fiancata del vascello si aprì una porta, dalla quale fu calata una scala.
E da essa scese, tradendo un'agilità non comune, un giovane uomo.
Indossava un abito che sembrava richiamare l'uniforme di un qualche ordine militare e allo stesso tempo presentava i tratti di un abito nobiliare.
Ed il suo aspetto, per orgoglio, risolutezza e superbia, appariva magnifico.
Ma appena fu a terra tutti i soldati lo circondarono, puntandogli contro i fucili.
Allora dal boccaporto della Santa Caterina si calarono gli altri dell'equipaggio, affiancando subito il loro capitano.
E tra loro, lo sguardo di Guisgard era implacabile e fisso verso il Palazzo dei Taddei.
Intanto, all'isolotto del castello, sull'Hydra Clio era nella sua cabina con Cid.
E questi sorrise alla ragazza.
“A me l'Hydra piace molto, capitano...” disse poi “... ma davvero eravate disposta ad aiutare il capitano della Santa Caterina? Anche se ad alcuni dei vostri uomini lui non piace? Perchè? Perchè volevate offrirgli il vostro aiuto, capitano?” Fissandola.
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