La zattera prese il mare, conducendo via Elisabeth e Nettuno da quella misteriosa isola.
Era una fresca sera di Settembre, con un firmamento finalmente limpido e scintillante di stelle, che come tizzoni ardenti d'argento parevano voler indicare la rotta a quei novelli figli del mare.
La rotta verso la libertà.
Sull'isola, però, la fuga dei due non restò un segreto a lungo.
“Signore...” disse Symoin entrando timorosa nel vasto e semibuio salone “... io... io non so come sia accaduto, ma...”
“So già tutto...” mormorò il padrone del castello restando a fissare il mare da una delle finestre “... quella donna, Elisabeth, credeva davvero di potermi ingannare...” rise appena “... ma io percepisco gli esseri umani dal loro odore e sin dall'inizio ho compreso che non fossi tu...”
“Siete in collera ora, padrone Ordifreddus?” Chinando il capo Symoin.
“In collera?” Ripetè lui, per poi voltarsi a fissarla. “Oh, no...” sorrise “... la rabbia è un qualcosa che porta a non essere lucidi e noi non possiamo permetterci di non esserlo... ovunque andranno tu li seguirai.”
“Si, padrone.” Annuì Symoin.
Lui allora le si avvicinò, la spogliò con foga e finì per possedere il suo corpo più e più volte.
La picchiò, la graffiò e la umiliò in mille modi.
Ma lei mai oppose resistenza.
E quando la lussuriosa bramosia del suo padrone terminò, Symoin lasciò quella stanza.
Ordyfreddus allora tornò a guardare il mare, mutando però il suo aspetto.
Come se riacquistasse le sue reali fattezze.
O forse solo quelle della sua anima.
E apparve come un vecchio decrepito e maleodorante.