Capitolo V: Auroria, il Fiore d'Oro e le Dame dell'Incertofato
E soprattutto, o Spirito, che sempre preferisci più d'ogni tempio un cuore saldo e puro, poiché tu sai, istruiscimi; tu che fin dall'inizio fosti presente e con ali possenti spalancate come colomba covasti quell'abisso immane e lo rendesti pregno: ciò che è oscuro in me illumina, e ciò che è basso innalzalo e sostienilo; che dalle vette di questo grande argomento io possa confermare la Provvidenza Eterna, e la giustezza delle vie divine rivelate agli uomini.”
(John Milton, Paradiso Perduto)
Guisgard si voltò a guardare Clio prima di uscire, facendo una strana smorfia a quelle sue parole.
“Allora vorrà dire” disse aprendo la porta “che ad eventuali nemici basterà fare casino prima di accopparmi per tenerti lontana dalla mia cabina.” Rise di gusto. “Buon riposo, Clio.” Ed uscì.
Rimasta sola ed indossata la sua vestaglia di seta nera cinese, la ragazza si addormentò.
Non fu un sonno sereno.
L'Hydra, la nave di Picche e poi Samoa e Yanos attraversarono i suoi sogni, rendendoli agitati.
Fu destata poi solo dal fischio dei motori e da rumori che precedevano la partenza.
La Santa Caterina mollò le cime, issò le ancore e gonfiò le vele al vento.
Un attimo dopo l'incredibile vascello volante cominciò ad alzarsi in volo.
Uscì dal molo e dalla fortezza, per poi dirigersi verso Levante, mentre tutta la popolazione dell'isolotto era corsa per salutare quella fantastica nave.
E qualche istante dopo qualcuno bussò alla porta della sua cabina.
Nel frattempo Guisgard era entrato nella sua cabina, trovando Altea stesa sul suo letto.
“Salute a voi.” Sorridendo alla dama. “Posso chiedervi come mai siete qui? Sapete, la nave non è poi grande come una città e le voci corrono. Là fuori qualche allegro marinaio potrebbe dubitare del vostro onore...” rise “...ed a me toccherebbe, se così fosse, battermi a duello con lui.” Prese allora una bottiglietta da uno dei tavolini intarsiati, riempì due bicchieri e ne offrì uno alla dama. “Dunque?” Restando a fissarla.