Capitolo VII: Il gufo dei Ciminieri ed il Fiore del Giudizio
“Ed è ora che, come noi allora facemmo, a essa si approssimi il mio racconto, e possa la mia mano non tremare nell'accingermi a dire quanto poi accadde.”
(Umberto Eco, Il nome della rosa)
Quella scena, sotto gli occhi di tutti.
Prima l'arrivo di Altea e la sua sfuriata, poi Clio con la spada puntata verso Guisgard.
Gli altri dell'equipaggio, chi fingendo indifferenza, chi sorridendo, chi scambiando con altri battutine, alla fine si voltarono, allontanandosi.
Il presunto Taddeide allora, incurante di tutto il resto, saltò dalla balaustra e raggiunse Clio, per poi farla voltare ed avere i suoi occhi in quelli di lei.
“Altea si è presentata da sola nella mia stanza...” disse “... praticamente era già là al mio arrivo. E stava dormendo. Allora mi sono messo a leggere e controllare le mappe. Poco dopo sono uscito e venuto sul ponte. Tutto qui. Quando sono poi tornato in cabina, lei era ancora là e si è avvicinata. Si, mi ha baciato, ma un bacio, per essere vero, deve essere dato in due e se vuoi saperlo le mie labbra sono rimaste immobili. Lei dice che l'ho usata, ma ignoro a cosa si riferisca. Mai io l'ho illusa e mai ho incoraggiato i suoi atteggiamenti. E un gesto di affetto o tenerezza è distante un'Eternità da un gesto d'Amore. Questa è la verità. Non ho motivo di mentirti. Non ho un gineceo, non devo ingannare nessuna. Non faccio doppi giochi e né me la sto spassando. Ed ora voglio che tu mi dica la verità... mi credi?”
Intanto, poco distante dalla Santa Caterina ormai ferma sulle acque del Lagno, in una piccola casa adibita a ritrovo di caccia alcuni uomini aveva udito qualcosa.
“Quella musica...” mormorò un uomo.
“Milord?” Uno dei suoi soldati.
“La musica di uno strumento...” fece l'uomo “... non l'hai udita? Era chiara e melodiosa... ed io... io nell'udirla ho trovato sollievo... chi poteva mai suonarla?”