Non era lui.
Io, insaziabile? Era l'ultima definizione che mi sarebbe venuta in mente.
In un attimi mi ritrovai tra le sue braccia, con le sue mani e le sue labbra su di me.
Cominciai a non capire più niente, e per un momento, rischiai di lasciarmi andare.
Ma poi le sue parole, la sua voce, gli occhi, le mani.
No.
Non era lui. Non era così che doveva andare.
Stavo per protestare, ma non lo feci, lo strinsi a me, bramando la sua pelle quanto lui la mia.
Aveva le mani troppo occupate sul mio corpo per immobilizzarmi, e visto che non le stavo usando per respingerlo, non avrebbe cominciato adesso.
Quant'era difficile restare lucida, e non abbandonarsi.
Fosse stato un altro avrei potuto ucciderlo con un colpo di pistola.
Ma certo non gli avrei mai fatto del male.
Lasciai cadere le armi e lo cinsi con le braccia, standogli sempre più vicina.
Non avevo bisogno di fingere, ogni parte del mio corpo fremeva al tocco delle sue mani smaniose.
Lo amavo e lo desideravo con tutta me stessa.
Ma non aveva alcuna importanza.
La mia prima idea fu di atterrarlo, ma il mio maestro sosteneva che la cosa migliore era il massimo risultato con il minimo sforzo.
E non era una situazione in cui valeva la pena rischiare.
Allora compresi qual'era la cosa più logica da fare.
Così, all'improvviso, strinsi il suo collo a me, alzai il ginocchio e lo colpii, un colpo forte, deciso, assolutamente preciso, che avrebbe spento ogni lussuria dai suoi occhi.
Poi sì che portai una gamba dietro di lui per sbilanciarlo e portarlo a terra, così da poterlo controllare.
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