"Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno."
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XIII)
Il frate si sedette su un tronco cavo e restò a fissare Ardea e Biago mentre sgozzavano la scrofa e la preparavano per essere cucinata.
I due accesero poi un fuoco con della legna raccolta nei paraggi e appena pronta la brace cominciarono ad arrostire l'animale.
In breve il profumo delle sue tenere carni e del grasso che si scioglieva si diffuse nell'aria.
Allora il cavaliere ed il suo scudiero, quando la scrofa fu cotta, la servirono al frate, imbastendo quel pasto per il religioso.
Il frate, così, con l'appetito stuzzicato dal profumo di quell'arrosto, cominciò subito a mangiare compiaciuto.
Ma poco dopo accadde qualcosa.
Un sibilo, lungo e leggero si alzò nell'aria, come se la fendesse.
E proveniva dal castello.
Sembrava un flauto a suonare, con le sue oscure ed indecifrabili note che parevano volare tra il vento che percorreva la contrada.
“Ci siamo.” Disse Ardea, intuendo che la loro attesa giungeva ormai al termine.
Biago annuì e subito corse a prendere qualcosa dalla sella di Arante.
Ritornò qualche istante dopo con delle robuste reti.
Erano intrecciate con canapa e lamine di bronzo che le rendevano praticamente indistruttibili.
I due allora, arrampicatisi sull'albero sotto il quale avevano imbastito il pranzo per il frate, cominciarono a sistemare le reti tra i rami.
Ed attesero.
Tutto attorno a loro pareva avvolto da un innaturale silenzio, rotto solo dal rumore del frate che mangiava e dalla brace che ormai andava spegnendosi.
Ma la sensazione del Taddeide riguardo ad un'imminente pericolo era forte, fortissima.
Poi, all'improvviso, si udì qualcosa intorno a loro.
Un mostruoso gracchiare che si ripeteva come un eco stridulo e continuato.
Un istante dopo due veloci falchi apparvero in cielo.
Si spostavano rapidi ed erano più grandi e robusti dei falchi comuni.
Le piume erano spesse e folte, come se fossero scaglie di una corazza, mentre becchi ed artigli luccicavano al Sole di sfavillanti cromature, dato che erano fatti di puro e vigoroso ferro.
In pratica di trattava di vere e proprie armi in grado di volare.
Mai in natura si erano visti simili predatori dell'aria.
Prima cominciarono a volteggiare sopra il pranzo del frate, poi, puntata la preda, si lanciarono in picchiata a grande velocità, come schegge che i bagliori del loro metallo rendeva incandescenti.
Nel frattempo, rimasto immobile a fissarli, il religioso, prima incredulo e poi spaventato, restò pietrificato alla sua mensa e solo quando i due mostruosi falchi erano praticamente su di lui, chinò la testa e si rannicchiò per la paura.
Prese allora a gridare e poi a recitare alcune orazioni ad alta voce, come se fossero la sua unica difesa in quella terribile ed incredibile situazione.
Ma fu proprio allora che, tagliate le reti con un preciso colpo di spada, Ardea fece scattare la trappola.
In un attimo i due falchi si ritrovarono nelle pesanti reti, quasi impossibilitati a muoversi.
Le lamine di bronzo si incagliarono tra le piume di quei rapaci, bloccandoli e quasi soffocandoli con il loro peso.
“Hurrà!” Gridò Biago con fare trionfante.
Ma i due infernali uccelli, sentendosi in trappola, con i loro mostruosi becchi ed i loro artigli metallici cominciarono a far scempio di quelle reti.
Un momento dopo erano di nuovo liberi e volteggiavano minacciosi sul religioso ed il suo pasto.
“Hanno becchi ed artigli letali come armi!” Gridò Biago. “Hanno fatto brandelli delle reti! Reti capaci di imbrigliare orsi! Che bestie sono mai questi uccelli? Come riusciremo a fermarli?”
Intanto i due superbi rapaci puntarono di nuovo la loro preda e un istante dopo erano nuovamente lanciati contro il frate e la sua mensa.