“Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?”
(Salmo 15, L'ospite del Signore)
Sulla contrada un lento e lamentevole vento si era alzato, soffiando da Nord e ammutolendo tutto ciò che sorgeva in quella landa.
La campagna era intrisa di un cupo silenzio ed il cielo, con le sue sue inquiete nubi, sembrava quasi maledire tutto ciò che si trovava sulla Terra.
Poi, nel vento, si udì ancora una volta il sibilo sinistro di quel flauto.
Giungeva dal castello e in un attimo si diffuse su tutta la campagna.
Ma nulla rispose a quel funereo richiamo.
E di nuovo, dopo qualche istante, quell'inquietante sibilo, simile ad un antico e disgraziato lamento, ad una tacita sentenza di morte, si diffuse nei cieli della contrada.
Ma neanche stavolta ci fu risposta a quell'oscuro segnale.
Allora le secolari porte di quel maniero di aprirono ed una figura uscì da quelle antiche mura.
Alta e snella, dalla postura austera, indossava un lungo mantello grigio ed il suo capo era nascosto da un cappuccio stretto da bende.
La misteriosa sagoma si guardò intorno e restò così per diversi istanti, come se quel silenzio l'avesse sorpresa e turbata.
Montò poi in sella ad uno scarno palafreno e scese verso la campagna sottostante, continuando a suonare quel suo malefico flauto ad intervalli quasi regolari, senza però ricevere mai risposta alcuna.
Suonava e si guardava intorno, come se attendesse di vedere una qualche reazione a quel suo richiamo.
Ma non accadde nulla.
Fino a quando, sospinto dal vento, un odore di carne raggiunse i suoi sensi.
La misteriosa figura incappucciata, così, seguendo quell'aroma, percorse buona parte della campagna, raggiungendo infine il luogo in cui Ardea e Biago avevano preparato quel pasto per il chierico.
Ed in quel momento, finalmente, la figura incappucciata vide su un rudimentale altare, fatto di pietre e rami secchi, i due falchi coperti da tagli e ferite che respiravano a fatica.
La figura allora, incredula, scese da cavallo e si avvicinò ai due falchi moribondi.
Lanciò un grido per la rabbia e si tolse, dopo essersi strappato le bende, con vigore il cappuccio, mostrando così il suo aspetto.
Era un essere ripugnante, che di umano aveva ben poco.
La pelle era di un bianco che richiamava i cadaveri e grinze simili a squame gli ricoprivano il volto ed il collo, come se un morbo infettivo ne avesse martoriato le carni.
Gli occhi erano piccoli e scuri, i capelli grigi e sottili, la testa irregolare.
Il viso si mostrava scarno e deforme, mentre la bocca appariva come una fessura e i pochi denti non riuscivano ad evitare che la saliva, gialla e fetida, fuoriuscisse attraverso le sottili e scure labbra.
E per la rabbia, quell'orrendo falconiere, picchiò con forza il pugno su quel rozzo altare.
“Dannazione...” disse con la sua voce stridula e grottesca “... chi ha osato fare questo ai miei falchi? A me, Picas, signore di questa contrada? Chi?” Urlò di rabbia. “Chi ora subirà la mia giusta collera?” Con un moto di frustrazione. “Oh, gente malvagia! Così ripagate chi vi ha lasciato in vita, invece che gettarvi in pasto ai suoi nobili falchi? Così rispettate chi ha scelto di prendersi solo i frutti di questa terra, invece che le vostre sudicie vite?” Scosse il capo. “E sia! Ora conoscerete la vera sofferenza!” Con occhi colmi di odio e crudeltà.