Sottocapitolo: Le donne di Vacolis e la felicita perduta
“Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m'abbandona.”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto V)
Icarius guardò Clio, le sorrise e poi strinse nella sua la mano di lei.
“Sai...” disse piano, mentre con un dito giocava sul palmo della mano della ribelle “... da piccolo sognavo di poter leggere il futuro attraverso il palmo della mano... cercavo di scorgere l'Amore e l'avventura sulla linea della Fortuna...” fece scivolare sul palmo una goccia di elisir rimasta sul fondo del bicchiere, per poi spargerla con un dito “... ma naturalmente non avevo le capacità dei maghi e dei veggenti...” la guardò negli occhi “... ma so leggere nello sguardo altrui... nel colore dei suoi occhi, nei riflessi e nei bagliori che li animano... nei tuoi occhi, ad esempio, vedo un chiarore trasparente, un azzurro luminoso ed incontaminato... scenario ideale di avventure e sogni... avventure e sogni di ogni uomo...” sfiorò con un bacio la mano di lei, per poi assaporare quella goccia di elisir mischiata al sapore della pelle della ragazza “... ti porterò con me, Clio... in questo viaggio verso l'ignoto e verso i sogni... ti porterò con me alla ricerca dell'unica cosa capace di dare forma, significato e valore ai sogni... ti porterò con me ed in cambio chiederò solo i tuoi pensieri come pegno...”
In quel momento si udì la vedetta che gridava.
“Terra!” Urlava. “Terra!”
Poi il fischio della Divina Misericordia.
Icarius allora si avvicinò alla finestra, sempre tenendo Clio per mano, la aprì e i due videro la terra che si stagliava davanti a loro, tra mare e cielo, quasi a congiungere due mondi.
“Siamo arrivati...” mormorò lui.
Una striscia di terra che come prolungamento del continente raggiungeva il mare, come a porsi linea di confine, tra il noto e l'ignoto.
Una terra che sorgeva dalla foschia e dalla calura, tra i bagliori dorati del Sole e il flusso eterno delle onde che danzavano fino a spegnersi su quelle coste.
E poi il vascello volante si avvicinava, più quel luogo definiva le sue fattezze.
Ma ad un tratto, da quella visione prese corpo qualcosa di indefinito e di enigmatico.
Immani, titaniche ed austere forme si innalzavano da quella terra come se fossero i pilastri del cielo.
Come divine colonne su cui l'intera volta celeste trovava appoggio e congiunzione col mondo.
“Cosa sono?” Stupito Pinto dal parapetto.
“Sono i giganti...” disse Hansiner “... i guardiani di Vacolis... e non riusciremo mai ad oltrepassarli...”
Icarius prese Clio e lasciarono la cabina, per raggiungere gli altri sul ponte.
“Allora siamo perduti!” Gridò Pinto.
“Che il cielo ci aiuti!” Impaurito il pellegrino.
“Cq...” Icarius al piccolo droide “... hai dati relativi a ciò che stiamo vedendo?”
“Negativo, signore.” Meccanicamente il droide. “Non ho dati, né informazioni circa queste latitudini.”
“Icarius, fermo il vacello?” Chiese Palos.
“No...” scuotendo il capo lui “... scendiamo in acqua... disattivazione aerosistema ed innesto navesistema.” Ordinò.
Cominciarono subito le manovre e la Divina Misericordia planò dolcemente sulle onde, per poi navigare verso la misteriosa Vacolis.
“Datemi il betascopio...” voltandosi Icarius verso i suoi e subito Pepino gli passò il potente cannocchiale.
Il Taddeide allora cominciò ad osservare quelle coste con le potenti lenti termiche del suo futuristico cannocchiale.
“Maremma Titanica...” stupito.
“Cosa si vede?” A lui Palos.
“Non sono giganti quelle cose che vediamo...” fece Icarius, sempre col betascopio puntato verso l'arcaica terra di Vacolis.
“Allora cosa diavolo sono?” Nervosamente Palos.
“Non potete neanche immaginarlo...” abbassando l'infallibile cannocchiale Icarius.