La Luna.
Splendeva nel suo alone sinistro e argentato, sferzando con i suoi bagliori le ombre della notte, che in quella luce inquietante parevano animarsi.
Un sabba di chiaroscuro prese allora a formarsi, quasi danzando nella fredda aria di quelle lande fatte di spettri e demoni.
E forse i fantasmi di un'antica colpa ora venivano a reclamare il loro sacrilego pasto.
Una colpa che era ora pegno della più oscura delle maledizioni.
Guisgard impugnava Mia Amata, puntandola come Rinaldo nella selva oscura contro nemici invisibili ed inesorabili, mentre simile ad Armida, perduta nelle sue paure e nelle pene del suo passato, Marwel si stringeva a lui infreddolita nel corpo e nell'anima.
Poi di nuovo quel ringhio bavoso, tra il fruscio dei cespugli ed il calpestio del pietrisco.
“E' me che vuoi...” disse ad un tratto Guisgard rivolto all'oscurità “... sei qui per me, lo so, lo sai... mi hai trovato!” Gridò. “Lascia andare lei!” Indicando la giovane dama francese accanto a lui.
“Sophie...” sussurrò lui all'orecchio di lei “... al mio cenno correte via... veloce, senza voltarvi indietro... qualsiasi cosa sentirete non voltatevi... come Euridice... non voltatevi... correte lontano da quest'Ade di morte e malvagità... non vi accadrà nulla...” la guardò per un istante con i suoi occhi che la notte aveva reso di una trasparente luminosità.
Un attimo dopo dalla fitta e cupa vegetazione, o forse dal ventre maledetto della Terra, emerse una figura rozza e selvaggia, dal pelo lungo e gli occhi carichi d'odio.