Le luci del locale si abbassarono e le voci confuse, rozze e assordanti dei legionari in un attimo svanirono.
Le mani di Gaynor sui tasti del pianoforte e poi le note.
Ed infine la sua voce.
La sua chioma di un biondo pallido, quasi tendente al rosso malinconico di quei pomeriggi di Settembre, dopo un'acquazzone.
La musica.
Le sue emozioni, le sue storie, le speranze, i desideri ed i sogni.
Gli sguardi dei legionari.
Le luci basse come aloni di Luna screziata.
Il bianco e nero di quella scena incantata e disillusa.
Il ricordo lontano, almeno per il trascorrere di quelle note, della guerra.
La canzone che scorreva lenta.
Poi l'applauso.
Le grida, gli apprezzamenti.
La spensieratezza, quasi felicità.
“Bellissima...” disse applaudendo Goz.
“Bravissima!” Gridò qualcuno.
“Gaynor, sposami!” Un'altra voce ancora.
“Ancora! Ancora!” Chiedeva qualcun altro.
E Armand portò un bicchiere di champagne alla diva, tra il tripudio generale.