Il calesse con Pepino e Dacey si immerse nel verdeggiante scenario circostante.
Verde e pulsante, ancestrale e profonda, la campagna avvolgeva ed ingoiava ogni cosa, con il suo splendore selvaggio ed il suo primordiale mistero.
Il cielo appariva velato da alte e malinconiche nubi, mostrando il profilo cupo ed enigmatico della brughiera.
Il calesse avanzava letto, cigolando nei profondi e marcati solchi del sentiero, seguito dal cavallo di Ehiss qualche passo più indietro.
E più andavano avanti, più la brughiera diventava vicina, con lo scenario che mutava con volto tetro e selvaggio.
Ad un tratto davanti a loro si aprì una spianata macchiettata da salici, poco lontana dalla riva del lagno.
Al di sopra degli alberi si ergevano muri vecchi e consumati, ammantati di foglie.
Alcuni istanti dopo arrivarono davanti al cancello del padiglione esterno, un intrigo di disegni fantastici ed evocativi in ferro battuto ormai arrugginito, sorretto ai lati da due pilastri segnati dal tempo, ricoperti di sterpi e rovi, con due teste di civette a sormontarli.
La civetta, emblema dei Taddei.
“Eccoci giunti a Marchesa di Rose...” disse Pepino arrestando il calesse.