Cittadino di Camelot
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LA DAMA CON L'ERMELLINO: CECILIA GALLERANI.
Cecilia Gallerani (Milano, 1473 – San Giovanni in Croce, 1536) era di nobile famiglia e fu una delle amanti di Ludovico Sforza “il Moro”; feudataria di Saronno e moglie del conte Ludovico Carminati de’ Brambilla, detto “il Bergamino”, feudatario del castello di San Giovanni in Croce. Figlia di Fazio Gallerani e Margherita de’ Busti, è celebre per aver posato per Leonardo da Vinci per il famoso dipinto “La dama con l’ermellino” (1488). Nacque a Milano nei primi mesi del 1473, molto probabilmente nella casa situata nella parrocchia di S. Simpliciano dove dal 1455 vivevano il padre Fazio e la madre Margherita Busti, figlia di Lorenzo, dottore in legge, e sorella di Bernardino, francescano degli osservanti. Di origini senesi la famiglia Gallerani approdò a Milano agli inizi del Quattrocento quando, il nonno di Cecilia, Sigerio Gallerani, giurista di partito ghibellino a Siena, si vide costretto a rifugiarsi nella capitale viscontea a causa della prevalsa guelfa. Qui iniziò la carriera di funzionario pubblico che il figlio Bartolomeo, zio di Cecilia, seguì a partire dal 1450 e che aprì le porte a Fazio, padre di Cecilia, come referendario della duchessa ormai vedova Bianca Maria nel 1467; I ruoli ricoperti dai Gallerani presso la corte ducale permisero alla famiglia di mantenere un tenore di vita elevato e crearsi un cospicuo patrimonio terriero in Brianza, essendo però forestieri non vengono annoverati fra le liste dei nobili milanesi dell’epoca. Dapprima dimorati sotto la parrocchia di Santa Maria Beltrade in pieno centro, il nonno trasferì l’intera famiglia nel 1437 in quella che sarebbe rimasta la casa di famiglia nei pressi di porta Comasina sotto la parrocchia di San Simpliciano, luogo in cui nacque Cecilia nel 1473 penultima di sette fratelli e una sorella. All’età di sessantasei anni il padre di Cecilia morì e per la famiglia si presentò un periodo economicamente difficoltoso quindi l’istruzione di Cecilia verrà probabilmente curata dalla madre che, figlia di studiosi, incoraggia quel talento che verrà poi lodato dai letterati dell’epoca; Nel 1482 quando presumibilmente Leonardo arriva a Milano Cecilia ha nove anni. Nel 1483 all’età di dieci anni la famiglia Gallerani stipula un accordo matrimoniale fra Cecilia e Stefano Visconti per evitarle la vita monastica, allora normale consuetudine per le figlie femmine che non si sposavano. L’accordo verrà poi annullato nel 1487 a causa dell’impossibilità delle famiglie di far fronte alle doti pattuite. Nel 1489 la firma di Cecilia appare in una petizione depositata a corte nella quale lei e i fratelli chiedono, vista la situazione economica poco stabile dei fratelli, di tornare proprietari delle terre del padre confiscate anni addietro e di cui sono ereditari. Questo documento è fondamentale per ricostruire l’evento principale che conduce il suo volto ai giorni nostri grazie al quadro di Leonardo: l’incontro con Ludovico il Moro; infatti oltre la firma di Cecilia e dei fratelli vi sono registrate le loro dimore e Cecilia non risulta domiciliata come i fratelli presso la casa di famiglia, bensì sotto la Parrocchia del Monastero Nuovo. Cecilia ha sedici anni è nubile e il fatto che viva indipendentemente nella città milanese senza vedersi costretta a rifugiarsi in un convento per proseguire gli studi denota già la presenza del Duca, ad avvalorare questa tesi vi è la datazione del dipinto di Leonardo, il quale riceve la commissione da parte del Moro nello stesso anno. È del 1490 l’ufficiale comparsa alla corte di Cecilia divulgata dall’ambasciatore estense Giacomo Trotti poco dopo il matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d’Aragona; in una lettera al duca Estense il Trotti dichiara: « si dice che il male del signor Ludovico è causato dal troppo coito di una sua puta che prese presso di sé, molto bella, parecchi di fa, la quale gli va dietro dappertutto, e le vuole tutto il suo ben e gliene fa ogni dimostrazione » (Giacomo Trotti, stralcio di lettera riportato da Daniela Pizzagalli in “La Dama con l’ermellino”) Il termine “puta” utilizzato per i bambini denota così l’età della Gallerani che ai tempi ha 16 anni. Mentre posava per il dipinto, Cecilia ebbe modo di apprezzare Leonardo e di comprenderne le straordinarie doti. Lo invitò a riunioni di studiosi e di intellettuali di Milano, in cui si discuteva di filosofia e di varia cultura. Cecilia stessa presiedeva alcune di queste riunioni. La contessa Gallerani era una donna ricca di cultura, che parlava correntemente latino e che fece del canto e della scrittura i suoi principali interessi. Cecilia ebbe un figlio da Ludovico il Moro, Cesare. Dopo essere rimasta presso gli Sforza anche dopo il matrimonio del Moro con Beatrice d’Este, alla nascita del figlioletto fu allontanata dalla corte degli Sforza dallo stesso Ludovico ricevendo in dono diversi immobili e beni. Tra questi, il Palazzo Carmagnola, dove grazie a lei verrà istituito uno dei primi circoli letterari e nasceranno la moda della conversazione e dei giochi di società. Rifugiatasi per due anni da Isabella d’Este a Mantova, tornò a Milano con gli Sforza. Al 27 luglio 1492 risalgono le sue nozze con il conte Ludovico Carminati “il Bergamino”. Presso la residenza del Bergamino, l’attuale Villa Medici del Vascello in San Giovanni in Croce (Cremona), Dal marito Cecilia ebbe almeno quattro figli e continuò a tenere in Palazzo Carmagnola eleganti salotti con gli intellettuali dell’epoca. Con l’arrivo dei francesi la Gallerani si rifugia a Mantova assieme a Leonardo. Le furono confiscate le terre donatele dal Moro a Saronno e a Pavia che, al ritorno degli Sforza, le vennero restituite. Dopo la morte del marito e del figlio Cesare nel 1514-15, divise il suo tempo tra Milano e le proprietà a S. Giovanni in Croce nel Cremonese. In quest’ultimo luogo ricevette la visita di Matteo Bandello che le dedicò la Novella XXII definendola, insieme all’erudita Camilla Scarampa, “le nostre due Muse”. Come la maggior parte delle donne intellettuali del suo tempo, destinava la sua cultura solo al piacere e alla soddisfazione personale e, a quel che risulta dalle ricerche finora condotte, non pubblicò mai le sue poesie o i suoi saggi. Cecilia tenne numerosi incontri con artisti, poeti e letterati, trasformando il castello del marito in un luogo comunemente aperto a personalità di alta levatura culturale, tra i quali lo stesso Leonardo, in compagnia di un altro grande, Donato Bramante. La data della sua morte non è nota; in proposito il Calvi ha scritto: “pare che Cecilia campasse […] fino verso l’anno 1536”. Cecilia morì probabilmente percio’ all’età di 63 anni e fu probabilmente sepolta nella cappella della famiglia Carminati nella chiesa di San Zavedro a San Giovanni in Croce.
LA DAMA CON L’ ERMELLINO
La Dama con l’ermellino è un dipinto a olio su tavola (54,4×40,3 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1488-1490 e conservato per anni nel Czartoryski Muzeum di Cracovia. Dal maggio 2012 il quadro è esposto al castello del Wawel, sempre a Cracovia. La donna ritratta è quasi sicuramente identificata con Cecilia Gallerani. L’opera è uno dei dipinti simbolo dello straordinario livello artistico raggiunto da Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese, tra il 1482 e il 1499. L’opera, della quale si ignorano le circostanze della commissione, viene di solito datata a poco dopo il 1488, quando Ludovico il Moro ricevette il prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino dal re di Napoli. L’identificazione con la giovane amante del Moro Cecilia Gallerani si basa sul sottile rimando che rappresenterebbe, ancora una volta, l’animale: l’ermellino infatti, oltre che simbolo di purezza e di incorruttibilità (annotava lo stesso Leonardo che “prima si lascia pigliare dai cacciatori che voler fuggire nell’infangata tana, per non maculare la sua gentilezza”, cioè il mantello bianco), si chiama in greco “galé” (γαλή), che alluderebbe al cognome della fanciulla. La scritta apocrifa (“LA BELE FERONIERE / LEONARD D’AWINCI”) ha anche fatto ipotizzare che l’opera raffiguri Madame Ferron, amante di Francesco I di Francia, ipotesi oggi superata. Esiste poi un’interpretazione, poco seguita ma interessante per capire la molteplicità di suggestioni che ha generato il ritratto, secondo cui l’opera sarebbe una memoria della congiura contro Galeazzo Maria Sforza: la donna effigiata sarebbe sua figlia Caterina Sforza, con la collana di perle nere al collo della dama che alludono al lutto, e l’ermellino un richiamo allo stemma araldico di Giovanni Andrea da Lampugnano, sicario e uccisore nel 1476 dello Sforza. Il dipinto, col Ritratto di musico e la cosiddetta Belle Ferronnière del Louvre, rinnovò profondamente l’ambiente artistico milanese, segnando nuovi vertici nella tradizione ritrattistica locale. Dell’opera si sa che ebbe subito un notevole successo. Immortalato da un sonetto di Bernardo Bellincioni (XLV), venne mostrata dalla stessa Cecilia alla marchesa di Mantova Isabella d’Este che cercò di farsi ritrarre a sua volta da Leonardo, pur senza successo (ne resta solo un cartone al Louvre). Le tracce del dipinto nei secoli successivi sono più confuse. Dimenticata l’attribuzione a Leonardo, l’opera venne riassegnata al maestro solo alla fine del XVIII secolo. In quest’opera lo schema del ritratto quattrocentesco, a mezzo busto e di tre quarti, venne superato da Leonardo, che concepì una duplice rotazione, con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra. Vi è corrispondenza tra il punto di vista di Cecilia e dell’ermellino; l’animale infatti sembra identificarsi con la fanciulla, per una sottile comunanza di tratti, per gli sguardi dei due, che sono intensi e allo stesso tempo candidi. La figura slanciata di Cecilia trova riscontro armonico nell’animale. La dama sembra volgersi come se stesse osservando qualcuno sopraggiungente nella stanza, e al tempo stesso ha l’imperturbabilità solenne di un’antica statua. Un impercettibile sorriso aleggia sulle sue labbra: per esprimere un sentimento Leonardo preferiva accennare alle emozioni piuttosto che renderle esplicite. Grande risalto è dato alla mano, investita dalla luce, con le dita lunghe ed affusolate che accarezzano l’animale, testimoniando la sua delicatezza e la sua grazia. L’abbigliamento della donna è curatissimo, ma non eccessivamente sfarzoso, per l’assenza di gioielli, a parte la lunga collana di perle scure. Come tipico nei vestiti dell’epoca, le maniche sono la parte più elaborata, in questo caso di due colori diversi, adornate da nastri che, all’occorrenza, potevano essere sciolti per sostituirle. Un laccio nero sulla fronte tiene fermo un velo dello stesso colore dei capelli raccolti. Lo sfondo è scuro, ma dall’analisi ai raggi X emerge che dietro la spalla sinistra della dama era originariamente dipinta una finestra. L’ermellino è dipinto con precisione e vivacità. A un’analisi della morfologia dell’animale, esso appare però più simile a un furetto. Può darsi che Leonardo, sempre indagatore del dato naturale, si ispirasse a un animale catturato, allontanandosi dalla, tutto sommato più realistica, tradizione iconografica (ad esempio si può vedere un ermellino nel Ritratto di cavaliere di Vittore Carpaccio del 1510 circa). Del resto, l’ermellino è un animale selvatico mordace e difficilmente ammaestrabile, di conseguenza sarebbe stato molto difficile poterlo utilizzare come modello, al contrario del furetto che può essere addomesticato quasi alla stregua di un gatto, oltre che relativamente semplice da trovare nelle campagne lombarde dell’epoca. Si consideri inoltre che l’ermellino ha dimensioni molto più ridotte, superando raramente e comunque di poco i 30 cm, mentre il furetto, come nel dipinto, a occhio misura tra i 40 e i 60 cm. Acquistata dal principe Adam Jerzy Czartoryski nel 1800, «La dama con l’ermellino», arrivo’ cosi’ a Cracovia nel Palazzo Reale, oggi Czartoryski Museum, in Polonia.
Il dipinto fu sequestrato dai nazisti nel 1940 e recuperata dall’esercito americano nel 1945
La seconda guerra mondiale non fu soltanto un’ecatombe di vite umane, morte e distruzione sulla vecchia Europa, in buona parte dell’Asia e in Russia, oltre che in Africa. Fu anche una tragedia dal punto di vista della cultura, con la distruzione di importanti centri storici, monumenti, chiese e castelli, oppure di opere di millenaria storia e importanza, come la distruzione dell’Abbazia di Montecassino. Una delle caratteristiche specifiche della stessa guerra, in ambito culturale, fu la spoliazione di musei, case private, chiese e luoghi che presentavano opere d’arte importanti; il Fuhrer, pittore di discreto talento, aveva una personale ossessione per l’arte, voleva ad ogni costo costruire un museo che raccogliesse il meglio di quanto espresso dal talento e dalla genialità umana. Perciò, diede ordine ai suoi generali di spogliare e razziare le capitali europee conquistate, così come dette incarico ai capi delle SS di depredare tutti gli ebrei di ogni nazione dei propri patrimoni artistici. In questo venne coadiuvato con entusiasmo ed energia da Hermann Goering, il suo braccio destro, uomo rozzo e poco colto, che difatti venne truffato per esempio dal grande falsario Van Meegeren, che riuscì a vendergli dei Vermeer perfettamente contraffatti. Fu così che nei sei anni di guerra i paesi europei, principalmente la Francia e in seguito all’armistizio del 1943, anche l’Italia, vennero depredati di migliaia e migliaia di pezzi d’arte: quadri, sculture, arazzi, ma non solo.
Nelle rapaci mani dei tedeschi cadde anche il dipinto “La dama con l’ermellino”. La tela fu sequestrata dai nazisti e recuperata dall’esercito americano nel 1945, quando venne restituita alla famiglia Czartoryski per il suo museo di Cracovia. Durante la seconda guerra mondiale venne nascosto nei sotterranei del castello del Wawel, dove fu trovato dai nazisti che avevano invaso la Polonia; quando fu ritrovato recava nell’angolo inferiore a destra l’impronta di un tallone, a cui venne rimediato con un restauro. Il ritratto, restaurato nel 1956, è stato prestato per la prima volta a Mosca nel 1972 e successivamente a Washington e a Malmo-Stoccolma nel 1992, a Roma-Milano-Firenze nel 1998, a Kyoto-Nagoya-Yokohama nel 2001-02, a Milwaukee-Houston-San Francisco nel 2002-03, a Budapest nel 2009 e a Madrid nel 2011. Attualmente è la star della mostra «Volti del Rinascimento» in corso al Bode Museum di Berlino fino al 20 novembre.
Il sonetto di Bernardo Bellincioni
“Sopra il ritratto di Madonna Cecilia, qual fece Leonardo”. Di che ti adiri? A chi invidia hai Natura Al Vinci che ha ritratto una tua stella: Cecilia! sì bellissima oggi è quella Che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura. L’onore è tuo, sebben con sua pittura La fa che par che ascolti e non favella: Pensa quanto sarà più viva e bella, Più a te fia gloria in ogni età futura. Ringraziar dunque Ludovico or puoi E l’ingegno e la man di Leonardo, Che a’ posteri di te voglia far parte. Chi lei vedrà cosi, benché sia tardo, – Vederla viva, dirà: Basti a noi Comprender or quel eh’ è natura et arte. (1493).
Taliesin, il Bardo
tratto da: www.ladamaconl'ermellino.it
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber)
Ultima modifica di Taliesin : 06-04-2016 alle ore 13.18.46.
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