Cittadino di Camelot
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Oggi, La Morte di Francesco
Ancora non era notte,
il Sabato dopo i Vespri
Frate Francesco chinò il capo
Ed al Signore tornò.
L’anima sua come luce
Oltre le nubi si levò
Come una nave sulle acque
Nella gloria dei cieli entrò
Ed al calar delle ombre
Vennero le allodole cantando,
sopra le case roteando
stettero a lungo gridando.
Ancora non era notte,
il Sabato dopo i Vespri
compiuto in lui ogni mistero
Frate Francesco spirò.
(tratto da: "L'Infinitamente Piccolo" di Angelo Branduardi a.d.200)
FRATE FRANCESCO ED IL SULTANO DI BABILONIA
Quando Francesco si reca dal Sultano per salvargli l’anima Frate Illuminato era preoccupato e tremante, mentre con Francesco, dopo aver lasciato alle spalle l’accampamento crociato, si era messo in cammino verso le mura di Damietta, per incontrare il Sultano El-Kamil.
Era trascorso circa un mese dalla cruenta sconfitta che i crociati avevano subito, come Francesco aveva intuito nella sua visione.
Né l’appoggio di Gerard, né la straordinaria insistenza di Francesco con ogni comandante crociato, erano valsi a scongiurare la battaglia, Ed ora, durante la tregua, Francesco aveva deciso che non riuscendo a convincere i crociati a fare la pace, avrebbe provato a parlare al Sultano in persona.
Nel campo crociato tutti avevano cercato di dissuaderlo dal suo proposito. “Appena ti vedranno, ti taglieranno la testa!”. Così lo avevano scongiurato di non partire. Ma Francesco era stato irremovibile, anche se sentiva dentro di sé che quella nuova avventura, per lui e il suo compagno, sarebbe con ogni probabilità finita con il martirio.
I due frati, provati dalle fatiche dei viaggi e dal caldo insopportabile, dalla dissenteria e da ogni tipo di malattia, si trascinavano intrepidi per quel lungo tratto di “terra di nessuno”, ancora disseminata da tutto ciò che ricordava la battaglia: pezzi di corazza, lance spezzate, carogne di cavalli. Unica compagna la loro fede.
“Sei sicuro di volermi seguire fratello Illuminato?”, chiese Francesco, vedendo il tremore del compagno, sudato all’inverosimile.
“Sempre”, rispose Illuminato con un filo di voce “e spero di seguirti anche in Paradiso”.
Francesco lo carezzò e disse: “Forse non è ancora la nostra ora, ma se così fosse ti assicuro che sarà Gesù stesso ad accoglierci!”.
Non aveva finito di pronunciare la frase che quattro cavalieri saraceni al galoppo, i temibili giannizzeri, erano apparsi al loro fianco, li avevano circondati e dopo averli gettati a terra e picchiati, cominciarono ad interrogarli.
“Soldan, soldan”, urlava Francesco. “Sono cristiano. Voglio parlare con il Sultano”. E alzava le braccia al cielo, per far capire che venivano in nome di Dio. Uno dei saraceni aveva già estratto la scimitarra, ma il capo giannizzero lo fermò. Era incuriosito dallo strano modo di vestire dei due frati, così diverso da cavalieri o sacerdoti cristiani.
Nell’Islam, i saggi, i “sufi” (“suf” vuol dire cappuccio) portavano abitualmente un rosso abito con un cappuccio. E quei due infedeli erano abbigliati di stracci, ma anch’essi avevano un cappuccio.
Ciò fu sufficiente per far smettere ai saraceni di insultarli e picchiarli. Vennero legati e mentre Francesco ringraziava Dio, continuava ad urlare “Soldan, Sultano”. Dopo qualche tempo furono condotti al cospetto di El-Kamil, il Sultano d’Egitto, che ammirato di tanto coraggio, li trattò bene e li ospitò presso di sé alcuni giorni, ascoltando ciò che avevano da dire.
Francesco all’inizio predicò il Vangelo, raccontò con parole dolcissime la nascita del Salvatore a Betlemme, fino al supplizio della sua morte in croce. In ogni modo tentò di persuadere il Sultano, i saggi e gli “ulema” musulmani, come la fede in Cristo fosse vera e la loro sbagliata.
I due frati rischiarono anche di vedersi tagliare la testa, quando sfidarono la corte, proponendo l’ordalia del fuoco, una prova medioevale che consisteva nel lasciare a Dio le risposte. Bisognava entrare nel fuoco e chi non veniva bruciato era quello che diceva la verità.
El-Kamil era lieto di quell’incontro. Ascoltava con attenzione Francesco, quel giullare della fede, che tentava di ammaliarlo in ogni modo, con canzoni, danzando, con la mimica dei gesti, ma che sentiva innamorato del Cristo più di qualunque uomo di fede avesse mai conosciuto. Uno sgorbio d’uomo, ammantato solo di stracci puzzolenti, che dimostrava una forza, una volontà inimmaginabili. Neanche il più potente tra tutti i crociati, era degno di stargli a fianco.
Il Sultano si era perfino commosso quando Francesco, insultato ed offeso dai suoi dignitari, che gli magnificavano le meraviglie del Paradiso del Profeta – dove scorrono fiumi di ambrosia e miele e dove bellissime giovani tornavano ad esser vergini ogni volta, dopo aver fatto l’amore – si sentì rispondere: “Ma tutto questo cosa conta se non c’è l’amore, il perfetto amore di Gesù, che ci ha insegnato ad amare anche i nostri nemici”.
“Perché mai tu dovresti amare anche me, che posso farti tagliare la testa in ogni momento?”, aveva chiesto El-Kamil.
“Certo che ti amo, come amo tutti voi. Sono qui perché voglio salvare la tua anima, voglio che la fede in Cristo entri nel tuo cuore”.
El-Kamil era affascinato dalla dolcezza di carattere e dall’indomabile volontà di Francesco. Parlarono anche dell’Islam, che considera Gesù un profeta, certo non grande come Maometto e che prova venerazione anche per Maria. E parlarono delle crociate, che insanguinavano quelle terre da più di un secolo.
“Tu credi davvero”, aveva provocato il Sultano, “che i crociati siano qui solo per Gerusalemme o per Betlemme, che tu ami tantissimo? O sono qui per impadronirsi delle nostre terre, delle nostre ricchezze?”.
Francesco aveva compreso che quell’uomo descritto, come una belva sanguinaria, come crudele assassino, aveva un cuore e che le loro anime si erano incontrate. Tanto che El-Kamil, temendo che la predicazione di Francesco potesse indurlo a qualche debolezza, che non sarebbe stata accettata dal suo “entourage”, preferì farlo tornare al campo crociato. Prima però gli offrì dei mandati per recarsi nei luoghi santi, ma soprattutto una grande quantità di doni, per i poveri che Francesco amava tanto.
Francesco non poteva accettare quelle ricchezze. Sia per la situazione in cui era, sia perché aveva fatto voto di povertà. Ma capì che il suo incontro non era stato vano quando El-Kamil gli chiese: “Frate, prega per la mia anima, perché Dio si degni di mostrarmi quale fede gli è più gradita”.
E così Francesco ed Illuminato fecero ritorno all’accampamento cristiano.
Lì i crociati non riuscivano a credere che quei due monaci, partiti qualche giorno prima, potessero essere usciti vivi da quell’avventura e che il Sultano li avesse ascoltati e trattati con grande rispetto.
Purtroppo né i consigli di Francesco, né l’offerta del Sultano di consegnare Gerusalemme, Nazareth e le reliquie della vera croce ai crociati, dissuasero Pelagio, il legato pontificio, dal continuare l’assedio.
Chiuso nel suo ostinato rifiuto ad un compromesso con i musulmani, Pelagio finì per costringere i comandanti crociati ad una nuova spaventosa offensiva, che si concluse il 5 novembre del 1219 con la presa della città, che fu saccheggiata, e gli abitanti massacrati.
Un altro episodio inglorioso per i crociati, che due anni dopo subirono la riconquista della città da parte musulmana ed assistettero al fallimento dell’intera crociata.
Francesco, disgustato da tutto quel sangue, dalla morte di tanti giovani mandati al macello – anche Gerard, il suo amico Templare era morto – comprese come venisse frustrato il suo desiderio di pace e se ne tornò a S. Giovanni d’Acri. Nel deserto e al campo crociato, aveva contratto una infezione agli occhi che non riusciva a guarire e che a volte gli impediva quasi di vedere.
Nella primavera dell’anno successivo, Francesco, ormai impossibilitato anche a visitare il Santo Sepolcro e la Betlemme dei suoi sogni, si era imbarcato per ritornare in Italia.
(tratto da “Il Presepe di S. Francesco”, di G.M. Bragadin, ed. Melchisedek)
Taliesin, il Bardo
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber)
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