08-01-2010, 02.58.31 | #141 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Vi ringrazio, milady.
Sono lieto che le vicende di Ardea vi appassionino tanto. Ciò che mi fa amare questo racconto è che esso è un pò la storia di tutti noi: i sogni, la fama, l'illusione, il peccato, la sofferenza, il coraggio, l'amicizia e l'amore. Tutte queste cose fanno parte della vita di ogni uomo. L'eroe, la sua caduta nel baratro e la rinascita, tutto avvolto nelle nebbie del fato inesorabile: questo è il racconto di Ardea.
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11-01-2010, 01.57.08 | #142 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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ARDEA DE' TADDEI
LXXIV “Benvolio: <<Ahimè, perché Amore, di aspetto così gentile è poi, alla prova, così aspro e tiranno?>> Romeo: <<Ahimè, perché Amore, anche bendato, deve vedere senza occhi il sentiero che lo guidi ai suoi desideri.>>” (Romeo e Giulietta, I, 1) Quelle donne guerriere, abbigliate con tuniche rosse, fissate con piastre cromate che emanavano luccicanti bagliori, erano tutte bellissime. Le loro corazze erano lavorate finemente ed aggraziate da incisioni di pregevole fattura. Avevano il passo dei soldati, ma le movenze tradivano grazia e soavità, come nemmeno il mitico Paride poteva vantare. Esse erano molto più simili alle leggendarie amazzoni e quel luogo appariva ad Ardea come un regno al di fuori del mondo. Le quattro guerriere entrarono con passo deciso nella stanza e subito si inchinarono davanti alla misteriosa dama che Ardea aveva visto al suo risveglio. “Comanda, mia regina!” Dissero in coro. Ardea restò stupito e turbato, come poche volte gli era accaduto in vita sua. “Date ordine” cominciò a dire Alaida “che domani cominci il processo ai tre prigionieri.” “Sarà fatta la tua volontà.” Risposero in coro le quattro guerriere ed uscirono dalla stanza. “Siete voi…Alaida, dunque?” Chiese Ardea sempre più sorpreso. La donna lo fissò con un leggero sorriso. Poi si avvicinò ad un piccolo tavolino di delicata fattura e prese le due coppe che vi erano poggiate sopra. “Siete stupito?” Chiese la regina porgendo una delle due coppe ad Ardea. “Poche donne mi hanno così sorpreso in vita mia…” La regina sorrise. “Voi uomini” cominciò a dire “non mancate mai occasione di rivelare come e quanto abbaiate amato nel vostro passato.” “Voi donne invece?” Chiese Ardea. “Noi amiamo e basta. Ed è questo che ci rende deboli.” “Amore non rende deboli, ma solo felici.” “Allora” sentenziò la donna” voi, come tutti gli uomini, non avete mai amato veramente!” “Prima dicevate che amare rende deboli voi donne…” Disse Ardea. “Si, è vero.” Rispose Alaida. “Fragili ed indifesi.” “Amore rende forti, non indifesi.” Disse Ardea. “Sembra che voi abbiate molta fiducia nell’amore.” “E’ l’unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta.” Rispose Ardea. “Vi sembro fragile, forse?” Chiese Alaida. “Avete l’impressione che io sia indifesa?” Sorseggiò ancora la coppa e poi, facendo segno all’ambiente circostante, aggiunse: “Tutto questo che vedete non è il dono di Amore! Il potere, la mia gloria e i cuori su cui governo non sono tributi di colui che ama tormentare gli altri con i suoi dardi incantati!” “I dardi di Amore” rispose Ardea “colpendoci ci ricordano che siamo vivi!” “La vostra sciocca devozione verso il più inutile dei sentimenti è patetica!” Sentenziò Alaida. “Siete stolto come tutti gli uomini!” “Voi invece vi sentite forte, vero?” Chiese Ardea. “E non lo sono forse?” Ribatté la regina. “Guardatevi intorno! Ho tutto…potere e bellezza! E con essi la felicità!” “Se la vostra felicità” rispose Ardea “è come l’effimero potere che vantate di possedere, allora siete la donna più infelice del mondo!” “Come osi parlarmi così, uomo!” Ribatté infastidita la regina. “Questa contrada appartiene al duca!” Disse Ardea. “E presto dovrete rendere conto del vostro comportamento! Quanto alla felicità…se credete ad una sola delle parole che avete detto finora allora la mancanza di amore vi ha inaridito, assieme al cuore, anche l’intelletto!” “Tu mi invidi, sciocco uomo!” “Vi compiango, invece.” Rispose Ardea. “Potrei farti mettere a morte in questo stesso momento!” “E cosa vi impedisce di farlo?” Chiese Ardea. La regina lo guardò senza rispondere. “Ditemi piuttosto perché mi avete fatto portare qui, invece di attendere con il mio amico il vostro processo?” “Chi ti dice che non sarai processato anche tu?” Rispose la regina voltandosi e fissando il luminoso cielo da una finestra della stanza. Ma un istante dopo, con rapido scatto, Ardea la raggiunse e le portò una mano attorno al collo. “Siamo soli” disse “e le guardie sono lontane…potrei torcervi il collo con un solo gesto!” “E cosa ti impedisce di farlo?” Chiese la regina, voltandosi verso di lui e liberandosi dalla sua presa. Ardea la fissò per qualche istante e poi la baciò con passione, stringendo il bellissimo corpo di lei contro il suo . (Continua...)
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11-01-2010, 12.38.00 | #143 |
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interessante
bellissimo sir interessante racconto mi sto sempre piu appassionado e spero di imparare sempre di piu su questo meravigoioso mondo i miei ossegui sir guisgard
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fabrizio |
11-01-2010, 22.57.41 | #144 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Sono lieto che questo racconto vi stia appassionando, cavaliere.
Del resto, la vita di noi devoti alla cavalleria è un continuo richiamo alla perfezione. Durante il cammino si può anche cadere, ma ciò che conta è sapersi rialzare. Questo fa di un uomo un cavaliere
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12-01-2010, 01.44.51 | #145 |
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ARDEA DE' TADDEI
LXXV “L’eroe giunse nel palazzo reale di Puteoli. Ma tra mille tesori favolosi solo lo sguardo di lei gli parve inestimabile.” (L’Imperiade, libro V) E dopo quell’intenso e passionale bacio, i due si persero nell’azzurro dei loro occhi. La pelle rosea e vellutata di lei, come una carezza si era posata sul volto di lui, che ancora sentiva le sue dolci labbra sulla sua bocca. Lei non disse nulla. Lui la guardava, cercando di leggere cosa celasse il fondo dei suoi meravigliosi occhi, mentre la teneva ancora fra le sue braccia. E quegli attimi sembrarono essere stati abbandonati dallo scorrere naturale del tempo. “Potrei farti mettere a morte per questo…” Disse lei. “I tuoi occhi non dicono questo…” Rispose lui. Lei allora si staccò da lui. “Non puoi leggere nei miei occhi.” Disse lei. “Nessun uomo può.” “Lo credi davvero?” “Ricordati, uomo” intimò lei “che come tutto ciò che si trova a Cardizia, anche tu sei una mia proprietà! E come tale dipendi dal mio umore!” Poi si incamminò verso la porta. Si voltò indietro e poi uscì. Ardea rimase solo e turbato. “Perché mi ha condotto qui?” Pensava. “Perché non sono dove si trovano ora gli altri condannati?” Resto allora da solo, in balia di dubbi e pensieri, a passeggiare in quella favolosa quanto misteriosa sala. Ma in tutto ciò non riusciva a togliersi quella donna dalla mente. E così trascorsero indefiniti attimi e momenti, senza che Ardea riuscisse a quantificarne lo scorrere. Fino a quando nella sala entrarono due donne. Erano abbigliate come ancelle, senza indossare quindi armi e corazze. Lo fissavano con curiosità, apparendo quasi divertite. Posarono su un seggio pregevolmente intarsiato alcune vesti. Poi, sorridendo con fare infantile, uscirono. Ardea, che indossava solo i suoi attillati pantaloni di pelle e niente più, si avvicinò a quel seggio e prese le vesti portate da quelle donne. C’era una camicia di lino bianchissima e profumata., una tunica di velluto verde senza maniche e dei pantaloni larghi e trapuntati. Dopo un po’, giunsero nella sala altre tre donne. Anch’elle vestite come ancelle. Condussero ben sei vassoi d’argento ricolmi di cibi artisticamente preparati, di mille colori e profumi come se fossero giunti dalla lontana Persia. Posati i vassoi su una grossa tavola al centro della sala, le donne si avviarono verso la porta. “Ma siete solo donne qui?” Chiese con tono sarcastico Ardea. Una delle tre lo fissò con enigmatico sorriso. E senza rispondere nulla, le tre donne uscirono. Ardea si avvicinò alla tavola. “Sembra che non manchi niente.” Disse ad alta voce. Ad un tratto, di nuovo la porta della sala si aprì. E di nuovo la regina entrò. Meravigliosamente vestita, con un abito di raso vermiglio, rifinito da purissima seta orientale. Ricami d’oro e d’argento poi abbellivano quello sfarzoso vestito. La bellezza della regina era poi incorniciata da alcuni splenditi gioielli che impreziosivano la sua luminosa figura. “Sono felice di rivederti.” Disse Ardea. “Tutto questo lusso e queste leccornie sarebbero andate sprecate se fossi rimasto da solo.” Alaida non disse nulla. Si avvicinò alla tavola e riempì due coppe con un profumatissimo liquore ambrato. “Potrei farti strappare la lingua” cominciò a dire, mentre porgeva la coppa al suo ospite “per la tua insolenza.” “E perché allora” rispose divertito Ardea “sono ancora vivo, di grazia?” Alaida sorrise. “Forse perché” continuò Ardea “vostra maestà ha bisogno di compagnia per stasera?” Alaida sorrise con fare malizioso. “Forse come la mantide” aggiunse mentre prese la coppa che lei gli porgeva “che divora il suo compagno dopo un momento d’amore?” “Pressappoco.” Rispose lei divertita, mentre sorseggiava la sua coppa. “Cosa c’è qui dentro?” Chiese Ardea. “Temi di essere avvelenato? Eppure hai assaporato le mie labbra…e sei ancora vivo.” Ardea si avvicinò di nuovo a lei. Ancora i loro occhi si incontrarono e si persero gli uni negli altri. Ardea baciò ancora quella bellissima donna. La baciò con ancora più passione. Poi la prese e la stese sul soffice letto. E lì si abbandonarono, con vivo e reciproco piacere, alle gioie dell’amore. (Continua...)
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13-01-2010, 01.01.31 | #146 |
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ARDEA DE' TADDEI
LXXVI “A lui il figlio di Venere <<O Febo- disse- il tuo arco trafigga pure ogni cosa, ma il mio colpisca te, e di quanto tutti gli esseri animati sono inferiori a un dio, di tanto è inferiore la tua gloria alla mia.>>” (Metamorfosi, I) La notte trascorse dolce. I due si amarono con vigore e forte passione. In quel profumato e soffice letto, i capelli di lei avvolgevano ed accarezzavano il corpo di lui. Le loro mani più volte si strinsero le une alle altre, quando entrambi i due amanti assaporarono il momento più alto ed intenso della loro passione. Allora i loro corpi vibrarono al dolce suono della lira di Amore. E quando l’alba sorse, diffondendo e riversando su tutto il creato il suo roseo sospiro, li trovò abbracciati ed addormentati l’uno sull’altra. Allora un leggero e luminoso raggio di quell’alba si posò sui loro visi, uniti dal medesimo sospiro. Ardea in quel momento si svegliò e rimase ad ammirare il volto di Alaida per alcuni istanti. La sua bellezza, non più ornata da gioielli e colori, dopo quella notte dedicata ai giochi d’amore, appariva fresca come una rosa. Naturale e più viva. In quel momento Alaida aprì gli occhi. Non disse nulla e restò in silenzio, con il viso sul petto del suo amante. “Icaro che vola troppo vicino al Sole e cade sulla terra.” Disse Ardea fissando un dipinto sul soffitto della stanza. Ed una lacrima inumidì il vellutato volto di lei. Allora si strinse ancora più forte ad Ardea. “Sei sveglia…” Sussurrò il cavaliere. “Non dire nulla ti prego…” Sospirò lei. Ardea le baciò la testa e la strinse forte a se. Restarono così, in silenzio, per diversi istanti. E quel silenzio era rotto solo dal battito del cuore di Alaida. “Vorrei che questo momento possa non finire mai.” Disse all’improvviso. “Anche se che questo è impossibile.” Ardea la guardò senza dire nulla. “L’amore non da felicità” continuò sedendosi al centro del letto “ma solo un effimera e breve gioia.” Ardea si sedette accanto a lei e l’abbracciò. “Chi è la donna che si cela dietro la regina Alaida?” Chiese il cavaliere. “Una donna” rispose lei dopo un momento di silenzio “che non vuol cedere alle illusioni di Amore.” “Amore non illude. Mai.” Alaida, a quelle parole di Ardea, cominciò a piangere. “Chi sei?” Chiese Ardea. “Mio padre era un vassallo del duca” cominciò a raccontare lei “e resse Cardizia fino a due anni fa. Era un uomo giusto, ma amava le donne. Mia madre ha sofferto per anni. E quando lui morì, mia madre non visse a lungo, consumata com’era dalla sofferenza e dalle umiliazioni.” Pianse di nuovo. Ardea la baciò sul viso e la strinse forte. “Io giurai che mai avrei ceduto alle calunnie dell’amore” riprese a raccontare “e che mai avrei permesso ad un uomo di rendermi fragile e debole. Così, quando rimasi padrona di Cardizia, al comando di tutte le altre donne, cacciai nella foresta ogni uomo. E da quel giorno nessun uomo è vissuto più di tre giorni in questa contrada.” “Allora” disse Ardea “gli uomini che le tue soldatesse catturarono nella foresta erano fra quelli scacciati da Cardizia!” “Si” rispose Alaida “e vivono come cacciatori e pastori attorno alle mura di Cardizia. Ed è vietato loro tentare di entrare.” “Come è possibile” chiese Ardea “che degli uomini si facciano cacciare dalla loro casa da un gruppo di donne?” “Sono poco più che contadini” rispose Alaida “mentre noi eravamo addestrate e ben armate. Sebbene Cardizia sia sempre stata una contrada pacifica, mio padre amava le armi e da piccola mi istruì su come maneggiarle. Ed io ho fatto lo stesso con le mie compagne. Ed una notte di Maggio, con le armi e con la forza prendemmo il potere a Cardizia.” “E davvero” chiese Ardea “siete convinte di poter vivere in questa eterna illusione? Davvero credete che l’uomo e la donna, l’armonia del creato, concepite da Dio ed unite attraverso Amore per Sua volontà, possano vivere separati?” “Si!” Esclamò Alaida. “Lo credo! E nulla mi farà cambiare idea!” Ardea la fissò senza dire nulla. “Cosa credi?” Chiese lei. “Che questa notte abbia forse cambiato il mio più profondo credo? Credi che questa notte ti abbia risparmiato la giusta punizione che spetta a voi uomini! Se l’hai creduto, allora sei uno sciocco!” Ardea la prese per le braccia. “Guardami negli occhi e dimmi che per te questa notte non ha significato nulla! Dimmelo!” Esclamò. Alaida si staccò dalle sue mani ed afferrò una campanella d’oro che aveva su un mobiletto accanto al letto. E la suonò con agitazione. Un attimo dopo, nella stanza, giunsero dieci guardie armate. Circondarono il letto, puntando contro Ardea le loro lance affilate e lucenti. “Conducetelo via.” Ordinò Alaida. “Sapete dove.” Ardea la fissò mentre le guardie lo portarono via. Giunto sulla porta gridò: “Guardami Alaida! Guardami!” Ma ella non ascoltò le sue parole. Anzi, non ebbe la forza di guardarlo mentre lo portavano via. E quando restò da sola in quella stanza, avvolta da quelle coperte che ancora avevano il profumo di lui, Alaida, la regina che non voleva amare, pianse amaramente. (Continua...)
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15-01-2010, 01.44.02 | #147 |
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ARDEA DE' TADDEI
LXXVII “Io sono follia. Ma non sono solo. Tutti coloro che amano sono come me.” (Anonimo) Intanto, nelle segrete del palazzo, tre uomini attendevano un processo che sembrava già aver sentenziato la loro condanna. “Siamo caduti in trappola come degli allocchi.” Disse uno di loro. “Sta zitto” lo riprese l’altro “e facciamo vedere a queste donne come muore un uomo!” Ma mentre uno si lamentava e l’altro era già rassegnato, il terzo sembrava non prestare attenzione alle loro parole. Era accasciato accanto alle sbarre e sembrava studiarle con attenzione. “Cosa fai li vicino?” Gli gridò uno dei due. “Speri di farle aprire a furia di guardarle?” “Queste sbarre” prese a dire il terzo di loro, che altri non era che Biago “avrebbero bisogno di una sistemata, ogni tanto. La ruggine le sta consumando.” “Già” sembra che le nostre dame non si curino molto di questo genere di lavoretti!” Rispose l’altro. “E questo è il loro guaio.” Disse Biago. Poi, tirò fuori da uno stivale una sorta di chiodo sottilissimo e cominciò a farlo girare nella serratura. Alcuni istanti dopo uno scattò precedette l’apertura di quelle sbarre di ferro. “Sei un demonio, mio buon amico!” Esclamò uno dei due prigionieri. “Zitti e seguitemi!” Ordinò. “Cerchiamo un modo per uscire da qui.” Così i tre cercarono di evadere da quelle segrete. Percorsero un lungo ed umido corridoio, fino a giungere ad una sorta di cella scavata nella roccia. “Sembra un vicolo cieco.” Disse uno dei due prigionieri. “Forse siamo in trappola!” “Sono sicuro che qui vicino c’è la galleria nella quale scorre il corso d’acqua” disse Biago “e se riuscirendo a raggiungerla saremo salvi.” Ad un tratto si udirono dei passi di soldati. “Sono quelle maledette!” Disse uno dei due prigionieri. “Siamo perduti!” I tre si fecero sotto l’umida parete di roccia, sperando che le soldatesse non scrutassero, al loro passaggio, quella buia cella di pietra. I passi erano sempre più vicini e sembravano echeggiare nelle orecchie dei tre fuggiaschi in maniera sempre più opprimente. Sentivano la paura prendere sempre più possesso di loro. Le mani tremavano ed il sudore rigava i loro volti. Mentre quei passi erano sempre più vicini. Ma all’improvviso udirono una voce provenire da una piccola crepa nella roccia. “Ehi voi…” disse quella voce “…per di qua.” Biago abbassò lo sguardo e vide un sasso ritirarsi dentro la parete. “Presto, passate qui sotto!” Aggiunse quella voce. In un momento i tre attraversarono quel passaggio e subito dopo la pietra ritornò al suo posto, rendendo praticamente invisibile quella via di fuga. I tre si ritrovarono così in una lunga ed irregolare galleria, dove scorreva, arrivando alle loro ginocchia, un corso d’acqua. “Attraverso questa galleria vi ritroverete fuori da Cardizia.” Disse colui che li aveva tratti in salvo. “Ma tu sei l’uomo che gridava nell’anticamera!” Esclamò Biago. “Si, sono io.” Rispose quell’uomo.” “Maledetto!” Esclamò agitato Biago. “Per colpa dei tuoi schiamazzi ci hanno scoperto e catturati!” “Vi conviene sbrigarvi.” Disse quell’uomo, che sembrava aver smarrito la sua agitata follia. “Ha ragione.” Disse uno dei due prigionieri. “Scappiamo o ci troveranno.” “Sai dove si trova il mio amico?” Chiese Biago a quell’uomo. “E’ imprigionato, ma per ora non credo corra rischi.” Rispose questi. “Come fai a saperlo?” Chiese Biago. “Lo so.” Rispose quell’uomo. “Ora affrettatevi.” “Non posso lasciare qui il mio amico!” Disse Biago. “Lui non corre pericoli, per ora.” Disse quell’uomo. “Voi invece si. Andate!” “Ma tu chi diavolo sei?” Chiese Biago. “Come fai a sapere tutte queste cose?” “Sono solo un uomo, follemente innamorato di un’illusione.” Rispose enigmaticamente quel loro salvatore. “Ora andate. Aiuterò io il vostro compagno.” Allora i tre fuggirono attraverso quella galleria, fino a giungere fuori le mura della contrada. Biago però aveva la morte nel cuore, temendo per la vita di Ardea. Ma, mentre si lasciavano dietro Cardizia e le sue alte torri rese ambrate dal tramonto, Biago giurò a se stesso che sarebbe tornato. E in quel momento una morsa gli attanagliò il cuore, come a volerlo lacerare. (Continua...)
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15-01-2010, 23.57.51 | #148 |
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bellissimo
complimenti cavaliere e amico mio devo dire che siete bravo a raccontare sono molto colpito e mi fa piacere leggervi ogni volta
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fabrizio |
16-01-2010, 15.55.26 | #149 |
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Grazie, cavaliere.
Sono lieto che le avventure di Ardea incontrino il vostro favore
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21-01-2010, 01.53.50 | #150 |
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LXXVIII "Così, la terra variando i semi Vigor non perde, e in non arato campo Con larga usura anch'ei l'ozio compensa." (Georgiche, libro I, 120) I tre fuggitivi ben presto sbucarono nella foresta che circondava Cardizia. Attraverso sterpi e rovi giunsero in uno spiazzo. Biago seguiva i due compagni che sembravano conoscere molto bene quei luoghi. E in quello spiazzo, uno dei due iniziò ad imitare il canto del merlo. Un attimo dopo qualcuno, celato nella vegetazione circostante, fece altrettanto. Poco dopo nello spiazzo comparirono cinque uomini. “Siete vivi!” Disse uno di loro. “Grazie al Cielo!” “Si.” Rispose uno dei due fuggitivi. “Però ce la siamo vista brutta. Disperavamo di potercela cavare.” E tutti loro si abbracciarono. Poi, uno dei cinque, vedendo Biago, chiese chi fosse. “E’ un nostro compagno di cella” rispose uno dei due fuggitivi “e siamo fuggiti grazie a lui.” “Benvenuto tra noi, amico.” Disse l’uomo che aveva chiesto di lui. Poi aggiunse: “Non restiamo qui. Gli altri devono sapere che siete sani e salvi.” E così penetrarono nel cuore della foresta, fino a giungere ad un villaggio, piccolo e ben mimetizzato tra la folta vegetazione. Qui i tre furono accolti con gioia e festa. “Vieni” disse uno dei due fuggitivi a Biago “devi conoscere Lugos.” “Chi sarebbe?” Chiese Biago. “Lugos è il capo del villaggio.” Rispose l’altro. “Senza di lui saremmo persi.” Andarono allora verso una capanna con il tetto quasi del tutto coperto da sterpi e fogliame. Appena giunti fuori a quel rustico tugurio, la porta si aprì e apparve un uomo. Era asciutto, di altezza media, con capelli ed occhi nerissimi e la pelle olivastra. “Lugos…” cominciò a dire il fuggitivo “…questo è Biago. Era prigioniero con noi a Cardizia e senza di lui noi saremmo ancora lì a marcire.” “Benvenuto nel nostro villaggio, Biago.” Disse Lugos tendendogli la mano. Biago si guardava attorno e ammirava come quegli uomini fossero riusciti, in quella natura selvaggia ed inospitale, a costruire un villaggio tanto accogliente e sicuro. “Ehi!” Gridò all’improvviso una voce alle sue spalle. “Io ti conosco!” Biago si voltò per lo stupore. “oI ti ho incontrato nella foresta qualche giorno fa” aggiunse quella voce “ed eri in compagnia di un cavaliere e volevate lasciarmi legato come pasto per le belve feroci!” Biago allora riconobbe quella voce ed il suo proprietario. Era quel ragazzo che lui ed Ardea incontrarono appena giunti nella terra di Cardizia. “Sei sicuro, Tanco?” Chiese Lugos al ragazzo. “Si, sicurissimo!” Rispose lesto questo. “Ti dico che è lui! Ne sono sicuro!” “Che storia è questa?” Chiese Lugos a Biago. “Posso fidarmi?” Chiese Biago. “Ti abbiamo portato qui, nel nostro villaggio” rispose Lugos “e se sospettassimo di te ti avremmo già fatto la pelle.” “E sia.” Disse Biago. “Io sono lo scudiero di un cavaliere giunto qui in nome di sua signoria il duca Taddeo.” “Chi è il cavaliere che accompagni?” Chiese Lugos. “Mi ha imposto di non rivelare a nessuno il suo nome” rispose Biago “ed io non lo disubbidirei mai.” “Dove si trova ora?” Chiese Lugos. “Non l’ho più visto.” Rispose Biago “Forse, quando fummo catturati, fu condotto in un altro luogo. Non so cosa pensare.” “Un solo cavaliere contro quelle streghe?” Gridò uno dei presenti. “Il duca così pensa di riprendersi Cardizia?” “Silenzio!” Gridò Lugos. “Dovete aiutarmi.” Disse Biago. “Devo scoprire dove l’hanno condotto e, se ancora vivo, liberarlo.” “Faremo il possibile.” Disse Lugos. “Purtroppo noi siamo fuorilegge nella nostra terra e nemici per coloro che dovrebbero essere le nostre compagne.” “Ma come è accaduto tutto ciò?” Chiese Biago. “Come può essersi diffusa una tale innaturale follia?” “Seguimi” disse Lugos “e davanti a del buon vino e ad un buon piatto caldo le nostre sventure ci sembreranno meno amare.” “Ma come?” Intervenne il giovane Tanco. “Quest’uomo voleva fare di me il pasto di qualche fiera della foresta e tu lo inviti a mangiare e a bere!” “Sta buono, mio giovane ed irruento compagno.” Disse sorridente Lugos. Entrarono così in una capanna, dove furono serviti loro carne e vino. “Tutto cominciò” iniziò a raccontare Lugos “due anni fa, con la morte del vassallo del duca. Egli era un uomo giusto ma covava una serpe in seno. Sua mogli infatti non gli perdonò mai il suo libertino amore per le altre e istruì in silenzio la loro unica figlia, forgiandola con un viscerale odio verso tutti gli uomini. Ella, divenuta adulta, sfruttò la sua maestria con le armi appresa dal padre e sparse il funesto seme del suo odio nelle altre donne. E così, alla morte di suo padre, il potere fu preso dalle nostre donne, che ci scacciarono da Cardizia intimandoci di non tornarvi più. Da allora noi le chiamiamo le Dame dall’Incertocuore.” “Tutto ciò è assurdo!” Esclamò stupito Biago. “Noi siamo gente pacifica” disse Lugos “ed aliena all’uso delle armi. Nulla abbiamo potuto contro la loro follia.” “E come pensate di far finire tutto ciò?” Chiese Biago. Proprio in quel momento un uomo entrò nella capanna. “Lugos, i cavalieri che attendevamo sono giunti.” Lugos allora si alzò e si diresse fuori. Ma prima di uscire si voltò verso Biago e disse: “Amico mio, qui fuori troverai la risposta alla tuta domanda.” Biago allora lo seguì, incuriosito da quelle parole. E uscito dalla capanna vide tre cavalieri, ricoperti da solide e spesse corazze ed armati di tutto punto. (Continua...)
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