04-08-2011, 04.40.30 | #2031 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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I nostri si misero così in marcia verso Capomazda.
“Tranquilla, amica mia…” sussurrò Icarius a Sayla con tono dolce e sereno “… non vi è più nessuna guerra a Capomazda… le nostre terre sono finalmente libere…” le sorrise “… vuoi diventare una guerriera? Curiosa richiesta davvero!” Esclamò divertito. “Sayla, io ti sono debitore per la tua fedeltà, il tuo valore ed il tuo affetto verso me e Talia… è mio desiderio che tu possa vivere con noi a Capomazda per sempre…” la fissò negli occhi come a voler vedere in fondo all’animo della ragazzina “… ma so che hai una tua strada da seguire e qualcosa ancora da portare a termine… ma noi ti aspetteremo… aspetteremo il tuo ritorno… perché troverai sempre un posto a Capomazda…” “Come fate a dire che non vi è più guerra nel ducato, milord?” Domando stupito Lho. “Ho visto molte cose, mio buon guerriero…” rispose Icarius “… molte cose… alcune infinitamente belle, altre immensamente tristi…” Sospirò per poi stringere a sé la mano di Talia, che baciò come fosse il suo tesoro più prezioso. Sayla poi si rivolse ai suoi due compagni, Nishuru e Luna. E questi annuirono alle parole della ragazzina. Poi, appena Icarius e Talia, seguiti da Sayla, Lho, Nishuru e Luna, giunsero a vedere Capomazda che dominava nella verdeggiante campagna, si accorsero che una grande festa era pronta ad iniziare nel ducato. Una festa che attendeva solo il ritorno del suo signore per cominciare. Ed appena l’Arciduca e la Granduchessa, accompagnati dai loro quattro fedeli compagni, entrarono in città tutti esultarono. Furono proclamati tredici giorni di festa, con giostre, canti, balli e spettacoli in piazza. E nel rivedere la loro padrona, Pascal ed il traghetto Kodran, gli si lanciarono incontro, riempiendola di coccole e moine. Quella notte tutti ballarono al suono della Gioia ritrovata. “Balliamo come se fossimo ancora nel verziere, in quella notte di Primavera…” disse Icarius a Talia “… balliamo fino all’albeggiare… e balliamo come se l’albeggiare non dovesse arrivare mai, amore mio…” e la baciò. E un grande falò fu acceso nel cuore della cittadella. “Brucia bene, eh!” Disse Monteguard fissando il grande ariete che avrebbe dovuto abbattere la Porta dei Leoni e che ora invece alimentava quelle fiamme gioiose. “Non trovate, Lho?” “Già…” annuì il guerriero “… del resto si sapeva… è quercia afragognese!” E i due si abbandonarono ad una sonora risata, mentre i bagliori di quel fuoco illuminavano il palazzo, la cappella e le alte mura di Capomazda.
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04-08-2011, 20.24.59 | #2032 |
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Guisgard fissò Uriel accanto al corpo senza vita del Cavaliere del Gufo, per poi volgere il suo sguardo verso Melisendra che era qualche passo più indietro.
“Guisgard!” Chiamò all’improvviso una giovanissima voce. “Guisgard, state bene!” “Gavron!” Esclamò Guisgard. “Cosa ci fai qui?” Ma prima che il bambino rispondesse, alle sue spalle apparve il vecchio Diacono. “Si era intestardito nel volervi seguire…” mormorò questi “… e non me la sono sentita di farlo venire da solo, milord…” Guisgard guardò il bambino ed un tenero sorriso illuminò il suo sguardo ancora teso per il duello appena concluso. “Dovresti essere a casa, sai?” Gli disse poi accarezzandogli i capelli. “Si, ora torneremo a Capomazda, vero?” Chiese il bambino. “E salirò in sella con voi su Peogora e torneremo tutti insieme a casa.” Il cavaliere sorrise di nuovo, ma stavolta una pallida malinconia attraversava i suoi occhi. “Gavron, io non tornerò a Capomazda…” “Perchè no?” “Un cavaliere ha la sua strada, il suo destino da seguire, Gavron.” “Ma perché? Non capisco…” “Gavron, vedi…” sussurrò Guisgard asciugandogli le prime lacrime che scendevano sul suo visino “… Capomazda ora ha bisogno di pace, di serenità… se io restassi nel ducato ci sarebbero altri scontri… quando nella regione si spargerà la voce che qui vive colui che ha ucciso il Cavaliere del Gufo, molti avventurieri e spadaccini giungeranno per sfidarmi ed allora a Capomazda tornerebbe a scorrere il sangue…” sorrise “… la vita di un cavaliere errante è questa, piccolo mio.” Si voltò poi verso Melisendra ed il piccolo Uriel. “Ora anche tu avrai una famiglia…” continuò Guisgard “… lady Melisendra ed il piccolo Uriel ti daranno tutto l’amore che meriti, Gavron… ed un giorno, lo so, sarai un grande cavaliere.” Il piccolo Gavron allora abbracciò forte Guisgard, piangendo fra le sue braccia. “Siete libera, milady…” fece il cavaliere rivolgendosi poi a Melisendra “… ora nessuno più potrà far del male a voi e a vostro figlio… e sono sicuro che il piccolo Gavron sarà felice insieme a voi.” “Guisgard…” piangendo il bambino. “Su, un vero cavaliere non si abbatte mai.” Disse Guisgard. “E ho un compito per te. Un compito da vero Cavaliere.” Allora gli mostrò Parusia. “Ora che tornerai a Capomazda voglio che riporti nella Cappella della Vergine questa spada.” “Ma è la vostra spada…” “No, è dei Taddei.” Rispose Guisgard. “E servirà a loro per difendere Capomazda dalle forze del male. Lo farai?” Gavron annuì. Guisgard allora, dopo averlo abbracciato un’ultima volta, montò in sella a Peogora per partire. “Avete proprio deciso, milord?” Domandò Diacono. “Si, è una vecchia storia…” rispose il cavaliere fissando l’orizzonte sterminato “… una vecchia storia che si ripete e a cui non posso sfuggire…” “Credo di conoscerla quella storia.” Annuì Diacono. “Ora dove andrete?” “Dove potrò trovare un po’ di serenità e pace…” rispose Guisgard “… addio, vecchio mio.” Si voltò ancora una volta e restò a fissare, con una velata malinconica, Melisendra, Uriel e Gavron. Un attimo dopo spronò Peogora e galoppò via, verso la brughiera. E galoppò fino a quando il suono della sua ocarina non arrivò a confondersi col sibilo del vento. Il vento di Capomazda... Il vento di Capomazda… Soffiava fresco, portando con se quell’asciutto e pulito profumo di campo, sulla sterminata campagna che giungeva a toccare il folto bosco. E sulla piccola altura, che guardava verso la vicina Capomazda, dominata dall’antico palazzo dei Taddei, stavano un vecchio ed un ragazzino persi in quel bucolico scenario. “E così si conclude questa storia…” disse il vecchio. “Che bella, nonno…” sospirando il ragazzino “… ma è una storia vera?” “Beh, in ogni storia, per fiabesca che sia, vi è sempre un fondo di verità.” Sorridendo il vecchio. “Allora, magari, da qualche parte qui intorno ci sarà qualche traccia di quella lontana avventura…” fece il ragazzino guardandosi intorno “… chissà, forse proprio qui sarà passato Icarius per liberare Talia…” “E chi può dirlo!” Esclamò il nonno. “Su, ora però torniamo a casa, o chi la sentirà tua madre!” Aggiunse poi sorridendo e facendo l’occhiolino al nipote. Presero allora le loro biciclette e, incamminandosi lungo il vecchio sentiero, si avviarono verso Capomazda. E poco distanti da loro, proprio sulla sommità di quella collinetta, quasi tutta coperta da sterpi e fogliame, si vedeva il granito sbiadito di una vecchia tomba. Dai rovi emergeva a fatica un nome. Un nome muto e dimenticato da tutti, il cui eco era ricordato solo dal vento. Il vento di Capomazda… FINE
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