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Vecchio 30-07-2012, 19.38.47   #91
Morris
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Medioevo Donna 2° puntata

Susanna Berti Franceschi presenta: Il Beghinaggio



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Vecchio 31-07-2012, 12.45.41   #92
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Medioevo Donna 3° puntata

Susanna Berti Franceschi presenta: Donne e Potere



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Vecchio 01-08-2012, 15.15.57   #93
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Medioevo Donna 4° puntata

Susanna Berti Franceschi presenta: La Mitologia Celtica

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Vecchio 03-08-2012, 15.16.10   #94
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Medioevo Donna 5° puntata

Susanna Berti Franceschi presenta: Streghe, Processi e Roghi

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Vecchio 13-08-2012, 13.26.55   #95
Taliesin
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LA DONNA TEMPLARE DI CLY: JOHANNETA CAUDA

Per secoli gli storici valdostani hanno negato la presenza dell'inquisizione nel loro territorio. Solo negli ultimi vent'anni nuovi studi basati sull'analisi di documenti ignoti alla storiografia precedente hanno permesso di concludere diversamente.

Si è infatti osservato che almeno a partire dalla nomina a vescovo di Aosta di Oger Moriset nel 1416 è iniziata un'indagine che ha coinvolto le diverse parrocchie alla ricerca di eretici. Sin dai primi viceinquisitori attestati – Bartholomeus Revettini compare nel 1428 – la direzione delle inchieste pare essere stata saldamente in mano all'Ordine Francescano, salvo un breve periodo intorno al 1460 in cui ha ricoperto la carica Balduynus Scutifferii, vicario generale della Diocesi aostana.

Il vicario generale, rappresentante della diocesi di Aosta, affiancava il viceinquisitore formando con lui l’organo giudicante.

Degno di nota è anche l’importante ruolo svolto dal procuratore fiscale, ecclesiastico con il compito di difendere nella causa la fede cattolica, che si adoperò sia nella fase istruttoria precedente alla formulazione dell’accusa, sia nel corso del processo per richiedere la tortura e la condanna degli inquisiti. E’ da sottolineare, inoltre, che più volte è stato garantito alle persone inquisite il diritto alla difesa: un esperto in diritto le affiancava per fornire un sostegno quanto meno giuridico e per cercare di dimostrare l’infondatezza delle accuse. Altra funzione di garanzia può essere vista nel ruolo del consiglio di providi viri che ordinariamente il viceinquisitore interpellava prima di decidere in merito all’applicazione della tortura.

Bersaglio principale delle inchieste paiono essere state all'inizio le donne che praticavano forme di guarigione attraverso l'uso di formule e rituali particolari. Uno degli aspetti interessanti che risultano dalle inchieste a loro carico sono sicuramente da ricordare le preghiere e le formule impiegate nelle loro attività. Tra le altre cose le formule sono riportate nella forma originale nel volgare dell'epoca, espressione poco conosciuta nella documentazione medievale della Valle.

Assai presto, però, le inquisite videro aggiungersi al carico di reati loro ascritto anche quello di antropofagia, come avvenne nel 1428 per Johanneta Cauda, personaggio emblematico e misterioso probabilmente legato al sacro Ordine dei Cavalieri del Tempio, tanto da comparire non solo nella documentazione della castellania sabauda di Cly, ma anche nell' Errores gazariorum, importante testo relativo alla stregoneria dell'area alpina occidentale risalente all'incirca al primo trentennio del quattordicesimo secolo.

La donna, ritenuta colpevole di aver mangiato i nipoti in compagnia di un'amica, fu bruciata nel borgo di Chambave il giorno del patrono della parrocchia.

A partire dalla metà del secolo alle accuse di infanticidio e antropofagia si aggiunsero quelle di orge che si sarebbero svolte nel corso degli incontri tra adepti del diavolo. Le inquisite vi si sarebbero trasferite in volo grazie all'uso di un unguento particolare e di mezzi di trasporto disparati, bastoni, seggiole, ma anche animali. In questa nuova fase si assiste ad inchieste aperte a carico sia di donne, la maggioranza parrebbe, sia di uomini. Per ambedue i sessi le accuse erano corrispondenti così come le condanne.

Alle precedenti accuse venivano ad aggiungersi, a seconda dei momenti, altri sospetti. Spesso gli inquisiti erano accusati di aver ucciso, dopo averli seviziati, neonati che dormivano nelle culle. In altri casi li si riteneva responsabili di venefici, di aver generato l'impotenza negli uomini, aver procurato l'aborto nelle donne o fatto morire neonati e puerpere.

Obiettivo dei giudici era certamente ottenere la confessione dell’accusato, al fine di provarne la colpevolezza e per questo ricorrevano spesso alla tortura. La procedura prevedeva la richiesta di un parere preventivo ad un consiglio di uomini saggi – presumibilmente la Cour des Connaissances – che, messo al corrente per sommi capi della causa, esprimeva il proprio giudizio in ordine all’opportunità del ricorso ai tormenti. L’inquisito, quindi, veniva condotto nel luogo apposito e torturato. Il metodo utilizzato era la strappata, consistente nel legare le mani della persona ad una corda che era tirata con violenza più volte.

Soltanto Bartholomeus Bertaca subì un trattamento diverso: i suoi piedi furono avvicinati al fuoco e il calore lo convinse subito a parlare.

Frequentemente la sentenza del tribunale impose la condanna al rogo. Su una quarantina di casi esaminati la metà circa risulta aver subito tale supplizio, il numero però potrebbe essere più alto perchè per molti accusati non si conosce la sentenza definitiva. La pena del rogo, cosi come nella fase precedente la tortura, venivano eseguite dal braccio secolare.

Negli altri casi le condanne consistevano nell’esilio dal paese o dalla diocesi, in pellegrinaggi perpetui – condanna assai pesante perché imponeva l’abbandono per sempre della famiglia e della propria abitazione – e in pene cosiddette infamanti, consistenti nell’indossare croci di color porpora o zafferano per mostrare a tutti la propria colpa.

In ogni caso, il condannato era costretto ad abiurare le proprie colpe, promettendo di non ricadervi mai più.

Poco si conosce del periodo che segue alla metà del XVI secolo a causa della scarsità di documentazione presente. Parrebbe però che una nuova posizione presa dalla autorità del ducato abbia ridotto l'influenza dell'inquisizione facendo passare nelle mani del vicario episcopale le procedure per eresia.

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Vecchio 16-08-2012, 15.16.59   #96
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LA PICCOLA ORSA: ORSOLA DI BRITANNIA

Le non poche leggende che avvolgono la figura di S. Orsola potrebbero considerarsi racconti esuberanti, che si diramano da realtà importanti: da una iscrizione nel coro della chiesa omonima in Colonia, ritenuta oggi autentica ed assegnata al IV-V secolo, fino alla protezione degli studi alla Sorbona e nelle università di Coimbra e Vienna.

La collocazione nella storia della santa può oscillare dai tempi di Diocleziano, il dalmata imperatore romano che perseguitò i cristiani nel 303-304, a quelli di Attila (395-453), il re degli Unni e “flagello di Dio” che pure non scherzò affatto coi cristiani. D’altra parte la leggenda medioevale intorno ai santi non va considerata riduttivamente come propaganda dei preti o come esigenza localistica di prestigio.

Orsola o Ursula, figlia di un re di Britannia, era bellissima, segretamente consacrata a Dio. Un re pagano, di nome Aetherius, si fece ben presto avanti per ottenerla in sposa. Il matrimonio avrebbe scongiurato una guerra, quindi diventava politico; perciò il padre fu quasi obbligato a dare il proprio consenso. Ma la giovane pose alcune condizioni: una dilazione di tre anni, la promessa del pretendente che si sarebbe convertito e la programmazione di un pellegrinaggio insieme a Roma.

Scaduti i tre anni,Orsola e undici nobili fanciulle (che diventeranno successivamente undicimila per un errore di trascrizione dell’iscrizione di cui sopra) salparono dai propri lidi e per mare e poi per fiume raggiunsero Colonia. Dopo avere là brevemente soggiornato,le undici giovani, incoraggiate da un angelo, proseguirono, sempre navigando sul Reno, fino a Basilea. Dalla Svizzera raggiunsero a piedi, oranti pellegrine, Roma, dove Orsola fu ricevuta dal Papa. Davanti al Santo Padre comparve anche il promesso sposo che, nel frattempo, si era convertito al cristianesimo.
Nello stesso anno e seguendo il medesimo tragitto, le vergini ritornarono a Colonia. In tale antica e importante città tedesca Orsola e le altre, per la loro manifesta fede cristiana, vennero torturate e messe a morte a colpi di freccia.

Colonia, che pure coltiva dal 1162 un grande culto verso i Magi, la ricorda come propria patrona insieme a S. Cuniberto, vescovo nel VII secolo. Le comunità cattoliche la venerano sempre, anche attualmente, in buona parte del mondo e talora con grandi cerimonie religiose, il 21 ottobre, suo giorno del calendario liturgico. Anche Mantova non ha voluto essere da meno, facendo costruire in suo onore, nel 1608 su progetto dell’architetto di corte Antonio Maria Viani, la chiesa di recente restaurata e che prospetta sul corso Vittorio Emanuele II.

Non marginale il fatto che le Orsoline, fondate nel 1535 da Sant’Angela Merici, abbiano operato per più di un secolo nella città di Virgilio, educando tanta gioventù femminile.
Innumerevoli sono, come in parte già accennato, i patronati di Sant’Orsola; tra loro riveste particolare significato quello sul matrimonio felice.

Considerata la condiscendenza del promesso sposo, la santa può venire invocata infatti dai nubendi per avere un buon matrimonio.

Taliesin, il bardo

tratto da:www.santiebeati.it di Mario Benatti

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Vecchio 24-08-2012, 12.02.36   #97
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LA SERENISSIMA DEI VAMPIRI: L'ANONIMA FANCIULLA DI VENEZIA.

Recentemente sono stati ritrovati in un sito archeologico nella laguna di Venezia quelli che potrebbero essere considerati i primi resti documentati di una "donna vampiro". Il teschio della donna appare infatti "impalato" con un piccolo mattone in bocca, secondo le "usanze" indotte dalle superstizioni dell'epoca, ovvero in pieno Medioevo, cui risale il teschio.

I resti sono stati rinvenuti dal gruppo di Matteo Borrini dell'Università di Firenze nell'isola del Lazzaretto Nuovo che è un'area di grande interesse storico nella Laguna Nord di Venezia presso S. Erasmo e deve il suo nome al fatto che nel 1468 con decreto del Senato della Serenissima vi fu istituito un Lazzaretto con compiti di prevenzione dei contagi, detto "Novo" per distinguerlo dall'altro già esistente vicino al Lido, dove invece erano ricoverati i casi manifesti di peste.

Quando la peste dilagava, ha spiegato l'esperto al meeting della American Academy of Forensic Sciences tenutosi a Denver, Colorado, "dilagava" anche la credenza che gli untori fossero donne vampiro. L'idea delle vampire veniva probabilmente dal fatto che spesso chi moriva di peste emetteva un rivolo di sangue dalla bocca, come i vampiri appunto. Inoltre secondo l'assurda leggenda le vampire "non-morte", sepolte a fianco dei cadaveri degli appestati, si nutrivano del sangue di questi ultimi per poi riuscire fuori dalla tomba e contagiare altre persone.

Per "scongiurare" il contagio coloro che erano addetti alla "sepoltura" dei cadaveri degli "appestati" inserivano quindi un "palo" nella bocca delle sospette donne vampire per impedire loro di "mangiare".

Ed è esattamente così che è stata ritrovata la "vampira" italiana, con un mattone in bocca che le ha frantumato tutti i denti.

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Vecchio 24-08-2012, 12.16.12   #98
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IL SEGGIO DELLA SANTA: CATERINA DA BOLOGNA.

Figlia di uno stimato giurista bolognese, sui 9 anni deve trasferirsi con la famiglia a Ferrara: suo padre va al servizio di Niccolò III d’Este, che sta costruendo il ducato di Ferrara, Modena e Reggio. E lei è nominata damina d’onore di Margherita, figlia di Niccolò. La città di Ferrara sta diventando una meraviglia, chiama artisti da ogni parte, vengono illustri pittori e architetti italiani (e uno addirittura vi è nato: Cosmé Tura), e letterati francesi, e artisti fiamminghi dell’arazzo...

Caterina va agli studi, si appassiona di musica e pittura, di poesia (anche latina, presto). Ma d’un colpo tutto finisce, sui suoi 14 anni: le muore il padre, la madre si risposa, e riecco lei a Bologna, sola, abbattuta, in cerca di pace nella comunità fondata dalla gentildonna Lucia Mascheroni.

Ma presto il rifugio diventa luogo di sofferenza e travaglio, per una sua gravissima crisi interiore: una “notte dello spirito” che dura cinque anni.

E allora torna a Ferrara, ma non più a corte: nel monastero detto del Corpus Domini. Qui la damina si fa lavandaia, cucitrice, fornaia. Preghiera e lavoro, mai perdere tempo, dice la Regola delle Clarisse che qui si osserva. E a lei va bene: lava i piatti, dipinge, fa le pulizie, scrive versi in italiano e in latino, insegna preghiere nuove, canti nuovi.

Con lei il monastero è un mondo di preghiera e gioia, silenzio e gioia, fatica e gioia. Diventa famoso, tanto che ne vogliono uno così anche a Bologna, dove va a fondarlo appunto Caterina, come badessa.

Porta con sé la madre, rimasta ancora vedova. Siamo nel 1456: anche questo monastero s’intitola al Corpus Domini. Caterina compone testi di formazione e di devozione, e poi un racconto in latino della Passione (cinquemila versi), un breviario bilingue.

Si dice che abbia apparizioni e rivelazioni, e intorno a lei comincia a formarsi un clima di continuo miracolo. Ma anche restando con i piedi per terra, è straordinario quel suo dono di trasformare la penitenza in gioia, l’obbedienza in scelta. C’è in lei una capacità di convincimento enorme.

Garantisce lei che la perfezione è per tutti: alla portata di chiunque la voglia davvero.

Già in vita l’hanno chiamata santa. E questa voce si diffonde sempre più dopo la sua morte, tra moltissimi che non l’hanno mai vista, e la conoscono solo dai racconti di prodigi suoi in vita e in morte. A quattro mesi dal decesso, dice una relazione dell’epoca, durante un’esumazione, sul suo viso riapparvero per un po’ i colori naturali.

Santa da subito per tutti, dunque, anche se la canonizzazione avverrà solo nel 1712, con Clemente XI. Il suo corpo non è sepolto. Si trova collocato tuttora sopra un seggio, come quello di persona viva, in una cella accanto alla chiesa che a Bologna è chiamata ancora oggi “della santa”.


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tratto da: www.santiebeati.it di Domenico Agasso
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Vecchio 10-09-2012, 13.39.14   #99
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LA SIGNORA DEGLI ONERI E DEI DOVERI: ISOTTA DEGLI ATTI

Isotta degli Atti, nacque a Rimini tra la fine del 1432 e l’inizio del 1433. Figlia di Francesco degli Atti ricco mercante e nobile di Sassofeltrio, che godeva a corte di ragguardevole dignità.

Isotta fu battezzata col nome della madre morta nel darla alla luce, fu l’amante bambina e poi la moglie di Sigismondo, che la sposò senza interesse né politico né dinastico, ma solo e soltanto per amore. Sigismondo appena ventenne s’innamorò di Isotta e l’amore per lei fu il più profondo sentimento che avesse nell’animo, un amore che crebbe col passar del tempo e fu corrisposto altrettanto profondamente.

Infatti fu l’unica donna del Signore di Rimini le cui effige furono impresse su una medaglia appositamente coniata da Matteo da’ Pasti.
Nel 1445 Isotta, alla giovane età di 12 o 13 anni, fu notata e corteggiata da Sigismondo Pandolfo, che la conquistò solo nel 1446.
Un anno dopo, nel 1447, nacque il loro primo figlio Giovanni, che morì in fasce, la loro storia d’amore venne resa pubblica da Sigismondo solo dopo la morte della moglie Polissena Sforza nel 1449.




Molte furono le cantate, le rime, le poesie composte in latino e in volgare per celebrare questo amore, persino lo stesso Sigismondo in panni petrarcheschi cantò il suo amore, si fece poeta per la sua donna:

"O vagha e dolce luce anima altera! Creat~tra gentile o viso degno O lume chiaro angelico e benegno. In cui sola virtu mia mente spera."

Tu sei de mia salute alta e primiera A nchora che mentien mio debil legno Tu sei del viver mio fermo sostegno Turture pura candida e sincera.

Dinanzi a te l'erbetta e i fior s'inchina Vaghi d'essere premi del dolce pede e commossi del tuo ceruleo manto. El sol quando se leva la matina.

Se vanagloria e poi quando te vede Sconficto e smorto se ne va con pianto Isotta era intelligente, colta e anche bella
."

L’unione fu regolarizzata solo nel 1456 in forma molto privata, nacquero altri figli e figlie, ma di questi solo Antonia sopravvisse. Antonia andò sposa a un Gonzaga di Mantova, che la uccise per sospetto adulterio.

Alla fine del 1447 iniziarono i lavori per le prime due Cappelle, quelle oggi chiamate di Sigismondo e di Isotta, nel Tempio Malatestianol.

Sigismondo per motivi politici si sposò due volte ed ebbe molti amanti in parte sconosciute, tranne Vannetta de’ Toschi e Gentile di Giovanni dalle quale ebbe molti figli, tuttavia Isotta rimase sempre il suo unico amore, la donna veramente amate presso la quale cercare rifugio e conforto.

Isotta fu una consigliera prudente e forte, lo consolò nei momenti di sconforto, riparò gli errori politici e stimolò le opere dell’arte e della cultura, ma soprattutto gli fu fedele nella buona e cattiva sorte.

Vigile e accorta resse lo stato in assenza del marito, trattò con gli ambasciatori e diplomatici, vendette i suoi gioielli negli anni del declino del principe, lo sostenne quando fu cacciato da Rimini, fu madre esemplare, sacrificandosi per i figli e i figliastri di Sigismondo.

Nel 1468 a 51 anni Sigismondo morì, assunse il governo della città cercando come meglio poteva di mantenere lo Stato insieme al figliastro Sallustio e tentò inutilmente un accordo con Roberto.

Questi nel 1469 ordinò l'uccisione di Sallustio e conquistò la signoria.
Isotta, lasciò con prudenza il palazzo, morì nel 1474, fu sepolta con tutti gli onori nel Tempio Malatestiano, dove erano già stati sepolti altri Malatesti Signori di Rimini, così era inizialmente il loro nome.

Taliesin, il bardo

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Vecchio 22-01-2013, 13.17.37   #100
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LA LAVANDAIA DEL PRINCIPE: PIPPA LA CATANESE.

Era una florida popolana nata a Catania, e morta a Napoli. Visse a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. Il suo vero nome era Filippa per vezzo familiare detta Pippa. Di mestiere faceva la lavandaia ma il destino le riservò poi un’esistenza quasi splendida conclusa però con una morte atroce. Giovanissima, fù scelta per nutrice di Luigi, figlio di Roberto d’Angiò e Violante d’Aragona nato nel castello Ursino, per cui si addisse al nuovo servizio con entusiasmo di affettuosa mamma siciliana, tirando su con ogni cura il principe, che cresceva vigoroso. Allorché gli Angioini furono cacciati dalla Sicilia e ritornarono a Napoli, Pippa seguì la Corte dove i sovrani l’ebbero in particolare benevolenza, l’arricchirono di doni e la tennero in onore, anche quando il bambino regio improvvisamente morì. Anzi, conquistò un ruolo sempre più importante e frattanto aveva acquistato gentilezza di modi, fino a sposare il siniscalco del regno al quale diede tre figli. Nel 1343 sul trono salì Giovanna I d’Angiò che aveva sposato il principe Andrea d’Ungheria, il quale, ancora prima dell’età dei ventidue anni, volle essere consacrato re di Napoli, ostentando nella cerimonia dell’incoronazione, la minaccia della mannaia per i dissidenti, i quali erano molti e facevano affidamento sull’antipatia e l’intolleranza che la sovrana, che amoreggiava con il cugino Luigi duca di Taranto, nutriva per il marito contro il quale fu ordita una congiura; e il meschino fu strangolato e scaraventato giù da una finestra. Intervenne il Papa, quale supremo signore feudale sul Regno di Napoli, e cominciò, per identificare i congiurati, la caccia all’uomo ma la prima ad essere indiziata fu una donna, Pippa assurta da qualche tempo a rango di confidente della Regina. L’ex lavandaia fu atrocemente torturata, disse di aver saputo della congiura ma di non avervi preso parte. Ma dalla catanese si voleva sapere di più, adoperando tenaglie infuocate per dilaniare le carni di lei, per costringerla a parlare. Ma la donna, o perché veramente non sapeva nulla o per fedeltà alla sua regina, non parlò e spirò fra strazi orrendi. Anche uno dei suoi figli e un nipote furono martirizzati: bruciati vivi sul rogo mentre quelli che avevano assassinato Andrea restarono immuni da qualunque punizione.

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