15-05-2013, 03.10.09 | #131 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Ricordo un tardo pomeriggio a casa di alcune mie zie.
Ebbene, io ero da poco ritornato da un viaggio, non ricordo precisamente come, ma cominciammo a parlare dei desideri, o per meglio dire dei sogni, poi dell'Amore e del Destino. Alla fine una di loro pronunciò una frase, tratta, come amava dire lei, dalla saggezza popolare, che tradotta dal dialetto suona così: “Quando in Cielo è scritto, in Terra avverrà.” E questa bellissima e struggente leggenda che ci avete raccontato, buon Taliesin, mi ha fatto ricordare quel pomeriggio trascorso da quelle mie zie, tra ricordi, aspettative e sogni custoditi gelosamente. La leggenda di Lorenzo e Maria è una degna dimostrazione di come l'Amore, quello vero, non può trovare ostacoli o impedimenti a questo mondo. E neanche nell'Aldilà, visto che, ne sono certo, ora Lorenzo e la sua Maria si saranno di certo ritrovati. Grazie, caro bardo, per questa meravigliosa storia fatta di Amore e di Eternità.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO |
15-05-2013, 09.40.46 | #132 |
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Grazie a voi Cavaliere dell'Intelletto,
leale e prezioso amico, nelle vostre parole c'è quella sana malinconia del ricordo passato e dell'amore fanciullo, che per una sorta di magia, continua a seguire i vostri passi incerti di uomo, accarezzati dall'occhio vigile d'oltremondo delle vostre zie. E' sempre un piacere, anche se raro, incrociare il vostro cammino, Taliesin, il bardo
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber) |
15-05-2013, 10.12.27 | #133 |
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LUCIDA MANSI: LO SPECCHIO DELLA VANITA'.
Lucida Mansi (Lucca, 1606 ca – Lucca, 12 febbario 1649) è stata una nobildonna italiana. È un personaggio di incerta attribuzione, probabilmente appartenente alla famiglia Samminiati. Lucida si sposò molto giovane con Vincenzo Diversi, il quale venne assassinato nei primi anni di matrimonio. Rimasta vedova molto giovane, si risposò con l'anziano e ricco Gaspare di Nicolao Mansi. La famiglia Mansi era molto ricca e conosciuta in gran parte dell' Europa grazie al commercio delle sete già prima del secolo XVI. Il matrimonio destò scalpore per l'elevata differenza d'età tra i due coniugi e per la bellezza di Lucida rispetto a quella del nuovo sposo. Lucida sviluppò così un forte desiderio di evasione, tanto da divenire dissoluta nei costumi e perdere ogni dignità. Essa non rinunciava a lusso sfrenato, banchetti, feste e innumerevoli giovani amanti. Divenne anche talmente vanitosa da ricoprire di specchi un'intera stanza di Villa Mansi a Segromigno per potersi ammirare in ogni occasione. Lucida morì di peste il 12 febbraio del 1649 e le sue spoglie riposano nella Chiesa dei Cappuccini a Lucca, nella cripta dedicata alla sua famiglia. Ma c'è una storia nascosta oltre la leggenda... Lucida Mansi, figlia di nobili lucchesi, era una donna molto attraente e libertina. Ella era talmente crudele ed attratta dai piaceri della carne che arrivò ad uccidere il marito per contornarsi liberamente di schiere di amanti. Pare inoltre che uccidesse gli amanti che le facevano visita, facendoli cadere, dopo le prestazioni amorose, in botole irte di lame affilatissime. Una mattina però le sembrò di scorgere sul suo viso una quasi impercettibile ruga: il passare del tempo stava spegnendo la sua bellezza. Lucida, disperata, pianse e si lamentò tanto che apparse di fronte a lei un magnifico ragazzo, il quale le promise trent'anni di giovinezza in cambio della sua anima. Dietro le fattezze del ragazzo si nascondeva però il Diavolo. Lucida accettò il patto. Per tutto il tempo pattuito con il Diavolo le persone che la circondavano continuavano a invecchiare, mentre lei manteneva intatta la sua bellezza e perdurava nella sua dissolutezza, fagocitando lusso e ricchezza e continuando a uccidere i suoi amanti. Trent'anni dopo lo scellerato patto, la notte del quattordici agosto 1623, il Diavolo ricomparve per prendersi ciò che gli spettava. Lucida, ricordatasi della scadenza, tentò di ingannarlo: si arrampicò sulle ripide scale della Torre delle ore con la speranza di allontanare la sua fine inevitabile. Lucida saliva la Torre, affannata correva a fermare la campana, che stava per batter l'ora della sua morte. A mezzanotte in punto il Diavolo avrebbe preso la sua anima. Ma il tentativo di bloccare la campana fallì, Lucida non fece in tempo a fermare le lancette dell'orologio e così il Diavolo la caricò su una carrozza infuocata e la portò via con sé attraversando le mura di Lucca fino a gettarsi nelle acque del laghetto dell' Orto botanico di Lucca. Ancora oggi chi immerge il capo in questo lago pare possa vedere il volto addormentato di Lucida Mansi. Nelle notti di luna piena pare oltretutto che sia possibile vedere la carrozza mentre dirige la donna verso l'inferno e sentirne le grida. Altre fonti individuano il fantasma della bella lucchese vagare nel palazzo di Villa Mansi a Segromigno o presso un'altra residenza Mansi in località Monsagrati (comune di Pescaglia) luoghi in cui essa soleva intrattenere e poi giustiziare i suoi amanti. tratto da: wikipedia Taliesin, il bardo
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15-05-2013, 10.30.48 | #134 |
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GENOVEFFA DI BARDANTE: LA VIRTUOSA CONTESSA PALATINA.
Come ha fatto notare recentemente il bollandista M. Coens in un eccellente articolo che fa il punto sulla questione, esistono attualmente quattro racconti in latino che riguardano Genoveffa e si fondano su un modello comune: una copia, più o meno del 1500, che ci presenta la leggenda nel suo stato più sobrio e più arcaico un altro è conosciuto da un'edizione del 1612; un terzo data dal 1472 ed è dovuto a Matthias Emyich, priore dei Carmelitani di Boppard; un quarto, del sec. XVI, è stato redatto da Giovanni Senius di Friburgo in Brisgovia. Si trova nei racconti un tema letterario comune, quello della donna innocente, circuita da un seduttore, calunniata da lui e vittima di un castigo iniquo (il racconto tessuto intorno a Genoveffa sarebbe il più vicino a quella narrazione germanica della fine del sec. XIV: Die Konigin von Frankreich and der ungetreue Marschall). Vi si ritrovano anche dei temi secondari: la cerva dispensatrice di latte, il pretesto della battuta di caccia che conduce poi alla scoperta di chi è stata abbandonata, ecc. Dal punto di vista storico, si può avvicinare la leggenda di Genoveffa all'episodio di Maria di Brabante, sposa di Luigi II, duca di Baviera, che fu punita per adulterio, il 18 gennaio 1256 a Mangeistein, in seguito a un malinteso. Dal punto di vista archeologico, si sono trovate tracce di un antico culto nella cappella di Fraukirch, presso Thür, santuario che ebbe un grande ruolo nella vita pubblica della Pellenz, e dove, in seguito a scavi recenti (Die Fraukirche in der Pellenz im Rheinlande and die Genove/alegende, in Rheinisches Jahrbuch für Volkskunde, II [1951], pp. 81-100), è stata rinvenuta una sepoltura che si crede di Genoveffa. L'insieme di questi dati diede l'ispirazione per un romanzo popolare in versi e in prosa che ebbe un grande successo dal sec. XVII. Genoveffa, la moglie virtuosa del conte palatino Sigfrido, che sarebbe vissuto nel sec. VIII, resiste a tutti i tentativi di seduzione del maestro di palazzo Gob durante l'assenza del marito ed è condannata dall'innamorato deluso al supplizio dell'annegamento col suo neonato. Il servitore incaricato dell'esecuzione della sentenza la abbandona in un luogo isolato in mezzo a un'immensa foresta, dove, con l'assistenza divina, Genoveffa riesce a sopravvivere, è scoperta per caso dal marito che era andato a caccia da quelle parti, e prova a lui la sua innocenza. Genoveffa non è stata inserita in alcun martirologio o calendario ufficiale. Dall'inizio del sec. XVII, però, eruditi come il Miraeus e il Ferrari non hanno esitato a darle il titolo di santa. tratto da:www.santiebeati.it di Albert D'Haenens Taliesin, il Bardo
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15-05-2013, 16.11.58 | #135 |
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TROTULA DE RUGGIERO: LA SAPIENTE SIGNORA.
Con la raccolta di erbe, frutti e radici per uso commestibile per la cura della propria famiglia e della propria tribù le donne, fin dalla preistoria , acquisirono grande esperienza nel riconoscere le piante sia curative che velenose ponendo le basi della moderna farmacologia e medicina. Nei secoli il ruolo della donna in medicina conobbe però alterne fortune. Contrariamente a quanto si pensa nel medioevo si formarono “ Medichesse” con un importante ruolo sociale e pubblico, spesso specializzate in ostetricia e ginecologia, con buone conoscenze di chirurgia. Nella Scuola Medica Salernitana, già nell’anno 1000 si ricordano nomi di medici donne: Abella, Mercuriade, Rebecca Guarna, Costanza Calenda, Trotula de Ruggiero (1050-1097). In primo luogo vi dico che una donna filosofa di nome Trotula, che visse a lungo e che fu assai bella in gioventù e dalla quale i medici ignoranti traggono grande autorità ed utili insegnamenti, ci svela una parte della natura delle donne. Una parte può svelarla come la provava in sé; l’altra perché, essendo donna, tutte le donne rivelavano più volentieri a lei che non a un uomo ogni loro segreto pensiero e le aprivano la loro natura.1 La figura di Trotula (diminutivo di Trota, da Trocta o Trota o Trotta, nome assai diffuso in età medievale nell’Italia meridionale), è storica, non leggendaria, nonostante spesso, soprattutto da parte maschile, si sia dubitato della sua esistenza, e talvolta sia stata ritenuta anche uomo (Trottus o Eros); dama effettivamente vissuta nell’ XI (secondo alcuni XII) secolo, fu la prima donna medico della storia. Dotta, scienziata, scrittrice, profondamente sensibile e dalle idee innovative, non magistra, non avendo il diritto di fregiarsi del titolo accademico,ma quasi magistra, o tamquam magistra, per le competenze e la stima popolare di cui godeva, considerata, fra il XII ed il XIV secolo, massima autorità in problemi di salute, igiene e bellezza femminile, operò nella realtà della famosa Scuola medica salernitana,2di cui fu la prima e più famosa esponente. In questa scuola, celebre nei secoli perché vi si fusero le grandi correnti del pensiero medico antico, la tradizione greco-latina e le nozioni provenienti dalle culture arabe ed ebraiche, ed operarono i massimi nomi dell’epoca, furono attive le mulieres Salernitanae, una schiera di donne, la cui esistenza è suffragata da numerose testimonianze, esperte in medicina,che preparavano cosmetici per le dame della nobiltà. Sulle mulieres Salernitane, tra il XIII e il XIV secolo, circolavano, però, voci deplorevoli, le si credeva più ciarlatane che scienziate, poiché il famoso medico e scienziato spagnolo Arnaldo da Villanova attribuiva alle levatrici di Salerno la pratica di somministrare alla donna, al momento del parto, una pozione contenente tre granelli di pepe, accompagnando la recita del Pater noster con una misteriosa formula magica: Binomie lamion lamium azerai vaccina deus deus sabaoth Benedictus qui venit in nomine Domini, osanna in excelsis. Nonostante queste voci di discredito, però, la loro fama accrebbe, ed insieme anche quella di Trotula, il cui nome era legato, non solo in Italia ma anche oltralpe. Fra le mulieres Salernitane, oltre a Trotula, si ricordano Abella, che scrisse due trattati in versi Sulla bile nera e Sulla natura del seme umano, Rebecca Guarna, autrice di opere Sulle febbri, Sulle orine e Sull'embrione, Mercuriade (forse uno pseudonimo), che compose Sulle crisi, Sulla peste, Sulla cura delle ferite e Sugli unguenti, Francesca di Roma, autorizzata dal duca Carlo di Calabria, nel 1321, ad esercitare la chirurgia, e Costanza Calenda che, forse nella prima metà del XV sec., grazie agli insegnamenti paterni, studiò medicina all'università di Napoli. Trotula nacque, probabilmente, a Salerno dall’antica e nobile famiglia de Ruggiero, attiva verso il 1050; sposa del celebre medico Giovanni Plateario il vecchio, ebbe da lui due figli: Giovanni il giovane e Matteo, pure famosi nella Scuola medica salernitana e conosciuti come Magistri Platearii. Sapiens matrona (secondo la leggenda anche una delle donne più belle del tempo, il cui funerale, nel 1097, sarebbe stato seguito da una coda di 3 chilometri), della sua competenza si legge nella Storia ecclesiastica del monaco anglo-normanno Orderico Vitale (III, pp. 28 e 76 Chibnall, vol. II) a proposito di Rodolfo Malacorona, un nobile normanno che aveva compiuto studi di medicina in Francia, che, giunto in visita a Salerno nel 1059 “non trovò alcuno che fosse in grado di tenergli testa nella scienza medica tranne una nobildonna assai colta” ([...]neminem in medicinali arte, praeter quondam sapientem matronam sibi parem inveniret). E nel Dict de l’Herberie il trovatore parigino Rutebeuf, attivo fra il 1215 e il 1280, fece affermare ad un suo personaggio di essere al servizio di una nobildonna salernitana di nome Trota (ainz suis à une dame qui a nom madame Trotte de Salerne), la donna più saggia del mondo (sachiez que c’est la plus sage dame qui soit enz quatre parties du monde), che faceva uccidere dai suoi emissari degli animali feroci dai quali estrarre unguenti per curare i suoi ammalati. Trotula, chiamata anche sanatrix Salernitana (guaritrice di Salerno), nel Medioevo era riconosciuta autorità indiscussa in disturbi e malattie femminili e cosmesi, godendo in quanto donna di fiducia delle sue consimili, offrendo a tutti garanzie per l’appartenenza alla Scuola medica salernitana; fornita di una cultura medica superiore, sottolineò l’importanza dell’igiene, del controllo delle nascite, dei metodi per rendere il parto meno doloroso, ed ebbe anche delle avanzate intuizioni, come, ad esempio, che l’infertilità potesse dipendere anche dall’uomo. Considerava in medicina fondamentale la prevenzione e l’accurata anamnesi, al fine d’individuare la giusta terapia ed evitare l’intervento chirurgico, spesso erroneamente prospettato, o attuato, dai suoi colleghi maschi, come si evidenzia dalla lettura del passo seguente: …Poiché, infatti, si doveva praticare un’incisione a una ragazza che, appunto per un gonfiore del genere, minacciava una lacerazione, Trotula, dopo averla visitata, rimase assai stupita… La fece venire dunque a casa sua per scoprire in un luogo appartato la causa del disturbo… Avendo individuato che il dolore non era causato da una lacerazione o da un ingrossamento dell’utero, ma dal gonfiore, le fece preparare un bagno con un infuso di malva e paritaria, ve la fece entrare e le massaggiò la parte più volte e assai dolcemente per ammorbidire. La fece restare a lungo nel bagno e, quando ne uscì, le preparò un impiastro di succo di tasso barbasso, di rapa selvatica e di farina d’orzo e lo applicò ben caldo per far sparire il gonfiore. Quindi le prescrisse un secondo bagno eguale al precedente e la ragazza guarì. A Trotula nel Medioevo si attribuivano due opere, il De ornatu mulierum (Come rendere belle le donne) noto anche come Trotula minor, e il De passionibus mulierum ante, in et post partum (Le malattie delle donne prima, durante e dopo il parto) noto anche come Trotula maior o semplicemente Trotula, delle quali non si tramandarono le copie originali bensì dei manoscritti contenenti i suoi trattati, e grande fu la confusione nei secoli, tanto che divenne difficile discernere fra le varie altre opere a lei attribuite, infine si pervenne ad una sistemazione e, grazie anche al ritrovamento di un manoscritto madrileno del XIII secolo, fu possibile fare chiarezza e scoprire le conoscenze, la competenza, talvolta superiore a quella dei colleghi maschi, l’acume delle sue osservazioni ed anche la profonda sensibilità verso le pazienti e le donne in generale. Le donne di Salerno pongono una radice di vitalba nel miele e poi con questo miele si ungono il viso, che assume uno splendido colore rosato. Altre volte per truccarsi il viso e le labbra ricorrono a miele raffinato, a cui aggiungono vitalba, cetriolo e un po' di acqua di rose. Fa' bollire tutti questi ingredienti fino a consumarne la metà e con l'unguento ottenuto ungi le labbra durante la notte, lavandole poi al mattino con acqua calda. Questo rassoda la pelle delle labbra e la rende sottile e morbidissima, preservandola da qualsiasi screpolatura, se essa è già screpolata, la guarisce. Se poi una donna vorrà truccarsi le labbra, le strofini con corteccia di radici di noce, coprendosi i denti e le gengive con del cotone; poi lo intinga in un colore artificiale e con esso si unga le labbra e l'interno delle gengive. Il colore artificiale va preparato così; prendi quell'alga con cui i Saraceni tingono le pelli di verde, falla bollire in un vaso d'argilla nuovo con del bianco d'uovo finché sarà ridotta a un terzo, poi colala e aggiungi prezzemolo tagliato a pezzetti, fa' bollire di nuovo e lascia di nuovo raffreddare. Quando sarà il moment, aggiungi polvere di allume, mettilo in un'anfora d'oro o di vetro e conservalo per l'uso. Questo è dunque il modo Ìn cui si truccano il viso le donne saracene: quando l'unguento si è asciugato, per schiarire il viso vi appli- cano qualcuna delle sostanze suddette, come l'unguento di cera e olio, o qualcos'altro, e ne risulta un bellissimo colore, misto di bianco e rosato. Questi consigli di bellezza venivano impartiti da Trotula nel De ornatu mulierum, il trattato di cosmesi che insegnava alle donne come conservare, migliorare ed accrescere la propria bellezza e come curare le malattie della pelle. Citando spesso come fonte autorevole le mulieres Salernitanae, oltre ad impartire insegnamenti sul trucco, suggeriva come eliminare le rughe, il gonfiore dal volto, le borse dagli occhi, i peli superflui, come rendere la pelle bianca e rosea e privarla di lentiggini e impurità, come far tornare i denti candidi e guarire le screpolature di labbra e gengive. Siccome le donne sono per natura più fragili degli uomini, sono anche più frequentemente soggette a indisposizione, specialmente negli organi impegnati nei compiti voluti dalla natura. Siccome tali organi sono collocati in parti intime, le donne, per pudore e per innata riservatezza, non osano rivelare a un medico maschio le sofferenze procurate da queste indisposizione. Perciò la compassione per questa loro disgrazia e, soprattutto la sollecitazione di una nobildonna, mi hanno indotto a esaminare in modo più approfondito le disposizioni che colpiscono più frequentemente il sesso femminile. Dunque, poiché le donne non hanno calore sufficiente a prosciugare l'eccedenza di umori cattivi che si formano quotidianamente in loro e poiché l'innata fragilità non consente loro di sopportare lo sforzo di espellerli naturalmente attraverso il sudore, come fanno gli uomini, allora la natura stessa, in mancanza del calore, ha assegnato loro una forma speciale di purificazione, cioè le mestruazioni, che la gente comune chiama "i fiori". Infatti come gli alberi senza fiori non producono frutti, così le donne senza i propri fiori sono private della facoltà di concepire. Questo passo è tratto, invece, dal prologo del De passionibus mulierum ante, in et post partum, l’opera più importante di Trotula, un vero e proprio manuale di ostetricia, ginecologia e puericultura, il primo trattato sistematico di ginecologia attribuibile a una donna, in cui i rimedi e le prescrizioni, talvolta molto semplici o semplicistici, riguardavano le malattie delle donne ed aspetti squisitamente femminili come il ciclo mensile, la gravidanza, il parto, i rischi del parto, l’allattamento, le difficoltà del concepimento, i disturbi fisiologici, le malattie dell’utero, l’isteria, ma che offriva consigli e suggerimenti su malesseri anche degli uomini, come il vomito, le malattie della pelle e persino i morsi del serpente. Trotula, in osservanza dell’insegnamento del padre della medicina antica, Ippocrate, Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno ed offesa,3in attenzione delle afflizioni delle donne, si adoprava sempre per il giovamento del corpo, penetrando nei loro più intimi segreti, procurando, con garbo e discrezione, di offrire un rimedio per ogni tipo di disturbo che le affliggesse, senza pregiudizi e preconcetti, senza scandalizzarsi su quelli che avrebbero disturbato la morale del tempo, come descritto, ad esempio, nel capitolo De virginitate restituendo sophistice (Come ripristinare ingannevolmente la verginità), in cui offre consigli per parere vergini, a chi in tale stato più non si trovava, o quello in cuiin cui spiega come apportare sollievo ai problemi delle vergini o delle vedove private della regolare attività sessuale: Ci sono donne cui non sono consentiti rapporti sessuali, vuoi perché hanno fatto voto di castità, vuoi perché sono legate dalla condizione religiosa, vuoi perché sono rimaste vedove. A certune, infatti, non è consentito di cambiare condizione e poiché, pur desiderando il rapporto sessuale, non lo praticano, sono soggette a gravi infermità. Per esse dunque si provveda in questo modo: prendi del cotone imbevuto di olio di muschio o di menta e applicalo sulla vulva. Nel caso che tu non disponga di quest’olio, prendi della trifora magna e scioglila in un po’ di vino caldo e applicalo sulla vulva con un batuffolo di cotone o di lana. Questo infatti è un buon calmante e smorza il desiderio sessuale placando dolore e prurito. Comprensiva dell’universo femminile, Trotula era dotata di approfondite conoscenze, sicuramente maggiori di quelle maschili, sulla fisiologia della donna (ad esempio aveva ben identificato i segni della gravidanza incipiente relazionandola alla cessazione del fluxus matricis e alla duritio subita mammarum, l’aumento e l’indurimento delle mammelle) e ciò non stupisce dal momento che, in misoginia scientifica, nel generale clima sfavorevole al “sesso debole”, che faceva considerare le donne inferiori anche per la diversa anatomia e fisiologia, la maggior parte dei medici non le visitava approfonditamente (nemmeno aveva accesso alla stanza del travaglio e neppure presenziava nemmeno al parto, considerato “affare di donne”). A Trotula, dunque, va ascritto anche il merito di aver offerto ai medici ignoranti, che lasciavano le donne alle terapie delle altre donne, offrendo cure solo all’altro sesso, utili insegnamenti, sulla natura delle donne. NOTE 1) [C. A. Thomasset (ed.), Placide et Timéo ou Li secrés as philosophes, Genève 1980, pp. 133-134] in « Medioevo al femminile, Laterza, Roma- Bari, 1989. 2) La Scuola Medica Salernitana fu la prima e più importante istituzione medica d'Europa all'inizio del Medioevo ed accolse anche molte donne nella pratica e nell'insegnamento della medicina. 3) dal Giuramento di Ippocrate. FONTI F. Bestini, F. Cardini, C. Leopardi, M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri-Medioevo al femminile, Laterza, Roma- Bari, 1989. Né Eva né Maria, a cura di Michela Pereira, Zanichelli, Bologna, 1981. P. Arès- g. Duby- La vita privata dall’Impero romano all’anno mille, Edizione CDE S.p.a.Milano, 1987 Taliesin, il Bardo
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15-05-2013, 16.58.42 | #136 |
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Su questa storia " la sapiente Signora ".......vi devo ringraziare personalmente.....avete dedicato un po' di spazio alle Donne medico .......Grazio mio Amato Bardo....
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15-05-2013, 17.22.46 | #137 |
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Signora delle Scienze,
la differenza tra un uomo medico e una donna medico consiste non nelle capacità professionali o nei pregiudizi ancestrali di perduta memoria di cui anche la buona Trotula dovette subire fin dall'alba dei tempi, ma nella capacità o meglio nella sensibilità di riconscere il Cristo negli occhi dell'ammalato...E spesso gli eruditi Uomini della Politica Medicamentosa non conoscono questo dizionario. Ma voi, Madonna, grazie al Signore del cielo e degli acquitrini, sapete bene di cosa io vado farneticando, o no...? Taliesin, il Bardo
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16-05-2013, 02.25.30 | #138 | |
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Citazione:
Io leggo sempre con attenzione ogni vostro scritto e ogni vostra considerazione. Seguo con vivo interesse questa discussione, che state alimentando con il vostro entusiasmo ed il vostro sapere, attraverso questi magnifici ritratti di donne straordinarie. E leggerli la sera, prima di andare, quando tutto a Camelot tace, da a queste storie un sapore particolare. E anche per questo vi sono debitore
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16-05-2013, 13.15.58 | #139 |
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LA LEGGENDA DI MELUSINA: LA DONNA SERPENTE.
Melusina era una delle tre bellissime figlie della fata Presina e del re d’Albania, Elinas. Quando pressina sposò Elinas, gli fece giurare che in determinati giorni non le avrebbe fatto visita a nessun costo. Ma Elinas, raggiante per la notizia della nascita delle figlie, si precipitò nelle stanze della regina, sorprendendola mentre faceva il bagno alle bimbe. Pressina protestò perché egli era venuto meno alla parola data e, prese le figlie, se ne andò per non più tornare. Allevò le bimbe in un’isola lontana ed inaccessibile; esse potevano guardare dalla vetta della montagna più alta verso l’Albania e lamentare così la perdita del loro regno. Quando poi le figlie ebbero l’età giusta per capire, Pressina raccontò loro di come il padre aveva rotto la promessa. Melusina escogitò subito un piano per vendicare la madre e convinse la sorella ad aiutarla. Le tre giovani fate si recarono in Albania dove, con l’aiuto di un incantesimo, imprigionarono in cima ad una montagna il re con tutti i suoi tesori. Quando la madre venne a conoscenza di una tale impresa si irritò moltissimo e le punì severamente. Melusina fu condannata a diventare, ogni sabato, un serpente dalla vita in giù e tale castigo sarebbe dovuto durare fino a che non avesse sposato un uomo capace di mantenere la promessa di non vederla in quel determinato giorno. Allora Melusina intraprese un lungo viaggio in cerca dell’uomo che l’avrebbe liberata. Percorse tutta Europa attraversando la Foresta nera e le Ardenne, finchè arrivò nel Poitou, in Francia, dove, nella foresta di Colombiers, divenne regina delle fate di quei luoghi. Una sera un giovane cavaliere di nome Raimondo, mentre vagava per la foresta, incontrò Melusina vicino alla fontana della Sete. Raimondo si innamorò subito della bellissima fata e la chiese in moglie. Ella rispose che sarebbe stata contenta, a patto che le giurasse che non avrebbe mai cercato di vederla il sabato: il cavaliere promise ed essi si sposarono. Melusina costruì per lui un grande castello, il castello di Lusignan, che sorgeva su una rocca vicino alla sorgente presso la quale si erano incontrati per la prima volta. Ma l’incantesimo pronunciato da Pressina aveva gettato la sua bieca luce sull’intera esistenza della figlia, la cui prole nacque tutta deforme. Un maligno cugino di Raimondo lo convinse allora a spiare la moglie, dopo aver seminato nella sua mente il seme della gelosia e del sospetto: Raimondo si appostò in un angolino nascosto nell’appartamento della consorte e da lì, un giorno, vide il suo corpo trasformarsi in serpente. Allora venne preso dall’angoscia di poter perdere Melusina per sempre, ma decise di non confidarle la sua scoperta. Uno dei loro figli, però, soprannominato Geoffey del Dente, perché un enorme dente gli sporgeva dalla bocca come una zanna di cinghiale, uccise il fratello Freimund. Nell’apprendere la notizia di questa nuova sventura, il conte Raimondo non potè nascondere il dolore e l’ira e disse a Melusina “inqufuori dalla mia vita, serpente malefico! Tu che hai inquinato la mia razza!” Udendo le sue parole Melusina capì che lo sposo aveva rotto il giuramento e che, per obbedire al proprio destino, se ne sarebbe dovuta andare per sempre. Gemendo e singhiozzando, lasciò il castello del Lusignan e da allora vagò come spettro per la terra con dolore e sofferenza. Come spesso accade, il utto tra storia e leggenda... La storia di Melusina fu uno dei racconti più popolari diffusi nel Medioevo. Nel 1387 Jean d’Arras raccolse tutte le leggende che si conoscevano sull’argomento e le pubblicò nella sua cronaca. Stefano, un monaco del casato del Lusignan, le rielaborò nella “Cronaca di Jean d’Arras” e la storia di Melusina divenne famosa. Molte nobili famiglie europee, tra le quali i Rohan e i Sassenaye, falsificarono i loro alberi genealogici per vantare la discendenza da Melusina. Il casato di Sassenageeven arrivò al punto di rinunciare alla propria stirpe reale pur di annoverare Melusina tra i suoi antenati affermando che, dopo essere stata scacciata dal Lusigna la fata si era rifugiata nella grotta si Sassanaye nel Delfinato. Secondo una leggenda lussemburghese Melusina, in seguito, sposò Sigfried che, nel 963, espugnò il formidabile Bock, un’enorme rocca che domina la valle del fiume Alzette e con l’aiuto della moglie costruì poi sulla roccia l’inespugnabile fortezza del Letzbelburg, divenuta in seguito il regno del Lussemburgo. Un sabato Sigfried vide Melusina che si bagnava in un’ insenatura riparata del fiume Alzette. Secondo il volere del fato Melusina scomparve e fu tenuta prigioniera nella grande rocca per aver stretto alleanza con un mortale. Ogni sette anni però, ritorna e per un breve periodo la si vede sul bastione della vecchia fortezza; In bocca tiene una chiave d’oro e qualunque giovane riesca a prenderla può chiedere Melusina in moglie, liberandola. Sempre una leggenda lussemburghese vuole che durante i giorni di prigionia ella si dedichi a cucire una camicia di lino a cui mette un punto ogni sette anni; se la camicia sarà terminata prima che lei venga liberata, allora il Bock e tutta la città di Lussemburgo scompariranno dalla terra con un grande boato. Taliesin, il Bardo
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LA NINFA SCILLA: IL MOSTO CHE CHE DILANIA.
Perdonate Giovani Viandanti, il mio improvviso dilagare e divagare dagli argini definiti dagli Uomini dei Lumi, che coprono uno spazio temporale che si getta tra gli anni della caduta dell'Impero Romano d'Occidente agli anni della Ri-scoperta delle Americhe, ma le due figure mitologiche hanno attraversato i millenni e si sono depositate nell'immaginario collettivo dell'uomo di mare medioevale, che aveva personificato nelle due donne mostro, le ninfee di cui vado narrarvi la storia... Taliesin, il Bardo Se è vero che l’attraversamento del mare rappresenta il superamento di qualcosa di ignoto e quindi di terribile, ancor più pericoloso doveva esser il superamento di uno Stretto dove delle correnti diverse potevano sballottare il naviglio da una parte o dall’altra e dove la visuale da una terra a l’altra dava la concreta idea del superamento di un confine. Successe così che, per gli antichi marinai, lo stretto di Messina, fosse abitato da due terribili mostri: Scilla e Cariddi. Sulla punta della Calabria, troviamo Scilla (il significato greco del nome è: colei che dilania). Prima di diventare un mostro marino, Scilla era una ninfa, figlia di Forco e Ceto. Secondo la leggenda, Scilla viveva in Sicilia, ed aveva la passione di andare sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno. Una sera, mentre la ninfa era sulla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, il figlio del dio Poseidone, un dio marino metà uomo e metà pesce. Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che si trovava vicino alla spiaggia. Il dio, infatuato dalla visione di Scilla, iniziò ad urlarle il suo amore, ma la ninfa continuò a fuggire, lasciando il poveretto solo con il dolore per un amore non corrisposto. Glauco, senza darsi per vinto, andò all'isola di Eea dove aveva dimora la maga Circe chiedendole un filtro d'amore. Circe, innamorata del giovane dio, gli propose di lasciar perdere ed accettare invece il suo amore. Glauco si rifiutò, confermando il suo amore per Scilla. Circe, furiosa per essere stata respinta, decise di vendicarsi sulla giovane ninfa. Quando Glauco fu lontano, la maga preparò una pozione per vendicarsi dell’affronto subito e si recò presso la spiaggia di Zancle, senza essere vista, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora. Scilla arrivò sulla spiaggia per fare un bagno. Appena entrata nell’acqua vide crescere intorno a sé delle mostruose teste di cani. Spaventata fuggì al largo, ma si accorse che i cani la seguivano dato che erano il frutto del filtro di Circe. Si rese conto allora che sino al bacino era ancora una ninfa ma al posto delle gambe, attaccati al resto del corpo con un collo serpentino, spuntavano sei musi feroci di cani. Per l'orrore Scilla andò a vivere nella cavità di uno scoglio che da lei prese il nome. LA DEA CARIDDI: IL MOSTRO CHE RISUCCHIA. Cariddi (dal greco: colei che risucchia) nella mitologia greca era un mostro marino che prima beveva enormi quantità di acqua e poi le sputava. Secondo la leggenda, Cariddi, era figlia di Poseidone, dio del mare e Gea dea della terra. Cariddi faceva delle rapine ed era famosa soprattutto per la sua ingordigia. Un giorno, la giovane ladra, rubò ad Eracle i buoi di Gerione per mangiarne qualcuno. Zeus, per punirla del saccheggio, la fulminò facendola cadere in mare. Per mantenerla in vita, Cariddi venne trasformata in un mostro che formava un vortice marino, così potente da inghiottire le navi, per poi risputarne i resti, che passavano vicino a lei. La leggenda pone la tana del mostro presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla. Le navi che passavano per lo stretto di Messina, così, erano obbligate a passare vicino ad uno dei due mostri. Nella realtà, in quel tratto di mare si trovano davvero vortici potenti causati dall'incontro delle correnti marine. Se al giorno d’oggi si volesse visitare il nascondiglio di Cariddi, dovrebbe andare sulla punta messinese della Sicilia, a Capo Peloro. Cariddi è menzionata anche nel canto XII dell'Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse preferì affrontare Scilla, per paura di perdere la nave passando vicino al gorgo. Anche Virgilio nella sua Eneide, fa menzione dei due mostri. Odissea libro XII Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando: la voce è come quella di cagna neonata, ma essa è mostro pauroso, nessuno potrebbe aver gioia a vederla, nemmeno un dio, se l'incontra. I piedi son dodici, tutti invisibili: e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa da fare spavento; in bocca su tre file i denti, fitti e serrati, pieni di nera morte. Per metà nella grotta profonda è nascosta, ma spinge le teste fuori dal baratro orribile, e lì pesca, e lo scoglio intorno intorno frugando delfini e cani di mare e a volte anche mostri più grandi afferra, di quelli che a mille nutre l'urlante Anfitrìte. (...) L'altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo, vicini uno all'altro, dall'uno potresti colpir l'altro di freccia. Su questo c'è un fico grande, ricco di foglie: e sotto Cariddi gloriosa l'acqua livida assorbe. Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe paurosamente. Ah che tu non sia là quando assorbe! Virgilio (Eneide III 420-23) “Il fianco destro di Scilla, il sinistro Cariddi implacabile tiene, e nel profondo baratro tre volte risucchia l’acqua, che a precipizio sprofondano, e ancora nell’aria con moto alternale scaglia, frusta le stelle con l’onda" tratto da: www.correrenelverde.com Taliesin, il Bardo
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