24-04-2015, 09.39.26 | #251 |
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Madonna Elisabetta...Madonna Altea,
la vostra emozione, nelle distrazioni di massa massacrate dalla superbia maschile e nelle donne senza gonna di questo tempo, le vostre emozioni riflesse nei miei scritti, sono lo specchio di un nuovo Rinascimento Femminile... Grazie di tutto, soprattutto a nome delle mie Donne, mie care, dolci amiche.... Taliesin, il Bardo
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber) Ultima modifica di Taliesin : 24-04-2015 alle ore 11.45.13. |
24-04-2015, 12.07.54 | #252 |
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IL BIANCO SENO DI BRETAGNA: GWEN TEIRBRON
Gwen Teirbron, chiamata anche Wite (in inglese), Blanche (in francese), Blanca, Candida o Alba Trimammis (in latino) (499 – metà del VI secolo), fu una principessa di Bretagna, venerata come santa dalla Chiesa Cattolica. Nata verso l'inizio del VI secolo, Gwen era una delle figlie di Budic II (anche detto Emyr Llydaw), re di Bretagna. Si sposò con san Fracan (o Fragan), un cugino di re Cador di Dumnonia, da cui ebbe i santi Wethnoc (o Guithern), Iacob o (Jacut) e Winwaloe (o Winwallus). Da questo deriva inoltre anche la leggenda secondo cui avrebbe avuto tre seni, con cui appare nelle iconografie. Per scampare a una pestilenza (o secondo altre fonti per fuggire ai romani), assieme al marito e ai figli attraversò la Manica e si stabilì a Ploufragan. Qui da Fracan ebbe una figlia, Chreirbia, ed evangelizzò la Bretagna. Dopo la morte di Fracan, Gwen sposò il bretone Eneas Ledewig, da cui ebbe un quinto figlio, San Cadfan. Venne rapita due volte da pirati anglosassoni e portata in Inghilterra, ma fuggì entrambe le volte ritornando in Bretagna attraversando il Canale - si dice - a piedi. Negli ultimi anni di vita si ritirò a Whitchurch Canonicorum, nel Dorset, dove visse da eremita fino a che i Sassoni non la scovarono e uccisero verso la metà del VI secolo. Un santuario a lei dedicato è situato in una chiesa costruita sopra la sua tomba, e fu uno dei due soli santuari a sopravvivere alla Riforma Protestante. Altre fonti, comunque, identificano la donna vissuta qui non con Gwen Teirbron, ma con un'eremita uccisa dai Danesi nel IX secolo. Il nome Gwen è la forma femminile di Gwynn, che significa "bianco" o "puro"; i nomi alternativi sono quindi traduzioni letterali del suo nome originale. Teir e bron derivano dalla radici proto-celtiche*tisres, "tre" e *brunda, "seno", in riferimento alla leggenda secondo cui la santa avrebbe avuto tre seni. La santa è ricordata il 5 luglio, mentre altre fonti indicano al 3 ottobre la sua commemorazione per la Chiesa Cattolica e al 18 luglio per la Chiesa Cattolica. Viene invocata dalle donne per avere figli. Taliesin, il Bardo tratto da wikipedia
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber) Ultima modifica di Hastatus77 : 27-04-2015 alle ore 14.10.56. Motivo: Eliminati link a wikipedia |
26-04-2015, 03.51.31 | #253 |
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Una Donna molto affascinante, davvero :) ringrazio il caro e amato Bardo per averla celebrata nel giorno del mio compleanno (uno dei piu` importanti) e per avermi rivolto questo piccolo, seppur profondo pensiero :) grazie :)
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28-04-2015, 13.15.38 | #254 |
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LA PARTE FEMMINILE DELLA MUSICA: MADDALENA DA CASOLE D'ELSA
Nata probabilmente attorno al 1540, Maddalena Casulana, compositrice, liutista, organista e cantatrice, è passata alla storia come Maddalena de Mezari detta “Casulana” o “Casulana Vicentina”. I due appellativi potrebbero derivare rispettivamente dalla provenienza geografica, oggi individuata nel Comune di Casole D’Elsa in provincia di Siena[1]– diversamente da quanto attestato in studi più datati che la fissavano in Brescia, e dal luogo in cui ella svolse parte della sua attività, Vicenza. Il cognome (riportato per i fatti della sua vita posteriori al 1571), invece, potrebbe ricondursi a un matrimonio contratto con tal de Mezari (o Mezari) identificabile con Giacomo Mezari, uno dei partecipanti alla fondazione (Verona, 28 marzo 1556) dell’Accademia alla Vittoria e suo membro ancora nel 1564, anno in cui l’organismo confluisce nell’Accademia Filarmonica (anch’essa operante a Verona). Nebulosi, quindi, i primi dati biografici e, del resto, poco si conosce con certezza di tutta la sua vita, i termini della quale sono per lo più desumibili dalle dediche contenute nelle sue opere o da riferimenti di altri compositori o scrittori del tardo Rinascimento. Ad ogni modo, si sa che a Casole, centro musicale all’epoca di Maddalena molto fiorente dove qualche anno prima operava il compositore e architetto Fra’ Leonardo Morelli, detto Casulano, si compie la prima formazione musicale di Maddalena che, in seguito, ritroviamo alla corte medicea di Firenze, incoraggiata a perseguire l’attività professionale di compositrice da Isabella de’ Medici, la quale le assicura protezione e le commissiona quella che sarà la prima opera interamente sua, Il primo libro de’ madrigali a quattro voci. Pubblicata nel 1568, la raccolta si apre con una dedica della compositrice alla sua mecenate, molto interessante per la storia femminile considerato che vi si può leggere, tra l’altro, della necessità di «mostrare al mondo (..in questa profession delle musica) il vano error de gl’huomini, che degli alti doni dell’intelletto tanto si credono patroni che par loro ch’alle Donne non possono medesimamente esser communi». È una vera e propria rivendicazione del ruolo delle donne nell’arte della musica, questa, che fa il paio con l’essere la Casulana la prima donna ad ottenere la pubblicazione delle proprie composizioni: si tratta dei suoi primi quattro madrigali apparsi nel 1566 raccolti in un’antologia di autori vari intitolata Il Desiderio. Primo libro a quattro voci, cui fanno seguito altre composizioni incluse in ulteriori due antologie (stampate l’anno dopo) intitolate Terzo libro del Desiderio. Madrigali a quattro voci e Il Gaudio. Primo libro de’ madrigali a tre voci, ambedue curate dal compositore e cantante Giulio Bonagiunta e pubblicate dallo stampatore Girolamo Scotto di Venezia. Dotata di notevoli qualità artistiche e diplomatiche, Maddalena riesce a instaurare profondi legami con ambienti veneziani, veronesi, vicentini e padovani, soprattutto nell’ambito di quel genere di rappresentazione che, sorta nel XVI secolo, sarà poi chiamata, nei secoli successivi, commedia dell’arte, avendo modo di confrontarsi con compositori e scrittori dell’epoca che svolgono la propria attività anche, o in alcuni casi esclusivamente, fuori dalla corte medicea, tra i quali Philippe De Monte, Orlando Di Lasso, Stefano Rossetto, Antonio Molino (detto “Burchiella” o “Manoli Blessi”) e Giambattista Maganza il Vecchio. Particolarmente profondo appare il suo legame con Antonio Molino che, già settantenne, apprende da Maddalena l’arte della composizione dichiarandosi suo allievo e definendo i suoi insegnamenti «talmente abili da suscitare ardentemente nuovi desideri di gloria anche nella più vetusta intelligenza»[2]. Oltre al rapporto con Molino, fondamentale per la Casulana è il rapporto con Orlando di Lasso (maestro di cappella alla corte del Duca Alberto V di Baviera) che le consente di acquisire ulteriore notorietà: infatti è proprio di Lasso che, avendola conosciuta nel 1567 a Venezia, la invita l’anno successivo a scrivere una composizione da presentare in occasione del matrimonio di Guglielmo V (figlio del Duca di Baviera) con Renata di Lorena e a partecipare alle stesse celebrazioni nuziali a Monaco in veste di compositrice e cantatrice. In risposta all’invito Maddalena compone il mottetto a cinque voci su testo di Nicolò Stopio Nil mage iucundum[3], cantato alle celebrazioni nuziali (nel resoconto stilato da Massimo Troiano, compositore, poeta ed annalista di corte, presente all’evento, si possono leggere grandi lodi della Casulana compositrice, dal che si può desumere che ella non avesse partecipato all’evento anche come cantatrice). Ritroviamo poco dopo Maddalena a Vicenza, in contatto con il poeta, pittore e liutista Giambattista Maganza che, nel 1569, con lo pseudonimo di Magagnò, le dedica alcune rime in “lingua rustica” (vernacolo) altamente celebrative ma, al contempo, assai audaci, cantando di lei non solo le abilità artistiche ma anche la bellezza e la forte sensualità. Ormai ben nota negli ambienti di corte e in quelli accademici, nel 1570 Maddalena pubblica (sempre con lo stampatore Scotto di Venezia) la sua seconda raccolta intitolata Il secondo libro de’ madrigali a quattro voci con dedica ad Antonio Londonio (potente ufficiale governativo milanese del quale ella riesce ad assicurarsi i favori con evidente abilità diplomatica). Le testimonianze del periodo sembrano avvalorare la supposizione che Maddalena si fosse, nel frattempo, stabilita a Milano: il musicista Nicolò Tagliaferro, infatti, descrive nel suo scritto Esercizi Filosofici le esibizioni di Maddalena e di altre due “virtuose” cantatrici di quel periodo, Vittoria Moschella e Sudetta Fumia, affermando con riferimento alla Casulana che «sì come con le sudette di sopra io tenni strettissima conversatione in Napoli, così con costei io la tenni in Milano» e continuando con il dire che Maddalena anziché il canto prediligesse la composizione, arte nella quale «ella si dilettò molto, anzi più di quello che a profession donnesca conviensi». Il soggiorno milanese chiude probabilmente il rapporto di Maddalena con la corte medicea[4], ma non quello con la corte bavarese come si può desumere dalla sua presenza a Vienna tra l’agosto e il settembre del 1571, in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio di Carlo II d’Asburgo (arciduca d’Austria e fratello dell’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano II) con Maria Anna di Baviera (figlia del Duca Alberto V), oltre che dalla notizia di una sua presenza nel 1572 in Francia, dove ella si reca in visita a Elisabetta d’Austria (figlia dell’imperatore Massimiliano II e, dal 1570, regina di Francia in seguito alle nozze con Carlo IX di Valois) che in tale occasione le elargisce una somma di 500 lire francesi[5]. Dopo questa visita mancano notizie che possano essere reputate certe, ma è ritenuto verosimile che Maddalena abbia trascorso i primi anni Settanta del Cinquecento alla corte viennese dove sarebbe entrata in contatto con altri famosi musicisti dell’epoca tra i quali Mauro Sinibaldi e sua moglie Marta di Mechelen, Andrea e Giovanni Gabrieli, Alessandro Striggio e sua moglie Virginia Vagnuoli, Giovanni Battista della Gostena. Ad ogni modo ritroviamo notizie certe di Maddalena dal 1582, anno in cui ella partecipa a un banchetto a Perugia, dove «La Casolana famosa dopo cena cantò al liuto di musica divinamente»[6]. Nello stesso anno il tipografo veneziano Angelo Gardano le dedica il Primo libro dei madrigali a tre voci di Philippe de Monte con un verso celebrativo di un poeta dell’epoca che la definisce “Di questa nostra età Musa e Sirena”[7]. Ormai all’acme della notorietà, nel 1583 Maddalena pubblica la sua ultima opera pervenutaci, Il primo libro de’ madrigali a cinque voci: in esso si legge la dedica al conte Mario Bevilacqua, personaggio di spicco dell’Accademia Filarmonica di Verona, e il ringraziamento per averle consentito di dimostrare le sue qualità artistiche presso la stessa Accademia. Sempre nel 1583, Maddalena è a Verona in un’esibizione all’Accademia Olimpica[8] che sembra essere stato l’ultimo atto della sua attività artistica, sulla quale non vi sono ulteriori documenti. Le due raccolte di madrigali a quattro voci dal titolo Casulana, spirituali primo & secondo citate in un catalogo pubblicato nel 1591 dall’editore veneziano Giacomo Vincenti, infatti, potrebbero in realtà non essere mai state scritte considerando che nessun’altra fonte dell’epoca cita opere di carattere sacro ascrivibili alla Casulana. Notizie certe della musicista mancano per il seguito della sua vita e per la data della morte, indicata da alcuni studiosi fra il 1586 e il 1590. Dubbia anche l’iconografia di Maddalena della quale un ritratto era sicuramente conservato in una collezione austriaca di provenienza ferrarese insieme con quelli di Isabetta e Lucietta Pellizzari, musiciste vicentine salariate dal 1582 al 1587 da quella stessa Accademia Olimpica dove nel 1583 avviene l’ultima esibizione nota della Casulana. NOTE 1. Maddalena è menzionata tra i musicisti di origine senese «che fiorirono con maggior lode» da Giulio Piccolomini in Siena illustre per antichità. 2. Così Molino in Dilettevoli madrigali a quattro voci. Peraltro da un rapporto epistolare tra Molino e la Casulana si può evincere la loro differenza d’età: settantunenne lui, trentenne lei. 3. Del mottetto è stato tramandato il testo nella trascrizione fattane dal Troiano, mentre è andata perduta la musica. 4. È questa un’ipotesi avvalorata dalle mutate condizioni di forza interne al Granducato di Toscana e, soprattutto, in considerazione della perdita di potere che colpisce Isabella de Medici, protettrice della Casulana. A quel tempo, infatti, a Firenze le lotte intestine dilagano senza freno e, del resto, corrono ormai gli ultimi anni di governo del Granduca Cosimo I de Medici, padre di Isabella che di lì a poco, nel 1576, rimarrà uccisa per mano del marito tradito, Paolo Giordano Orsini. 5. Negli atti della Tesoreria Francese conservati presso la Biblioteca Nazionale di Francia (Paris, BNF F-Pn Clairambault 233, pp.3471-3472) si trova la quietanza di questa donazione firmata da Maddalena il 9 agosto 1572: «A damoiselle Magdelaine Casulana de Vincentia l’une des damoiselles de l’imperatrice la somme de cinque cents livres tom[ois]… dont ledit Seigneur luy a faict don en faveur de la Royne et pour luy donner moyen de supporter les fraiz et despences qu’elle a faicte d’allemagne in France estant venu trouver leurdits Majestez de la part de l’empereur et de l’imperatrice». 6.Cronaca di Perugia dal 1578 al 1586 di Giambattista Crispolti. 7. In exergo. 8. Di essa è memoria negli atti della stessa Accademia: Nel genaro pure di quest’anno fu letta in pubblica Accad.a ridottasi per la venuta di due ragguardeuoli soggetti [..]la Pastorale del S.r Fabio Pace. Vi fu gran concerto di stromenti, e, cantò la virtuosa Maddalena Casulana Vicentina, recitando distinta composiz[ion]e il S.r Gio. Batta. Titoni Acc. Ol. e poi vi fu Banchetto. Dalla lettura degli stessi atti si evince che l’esibizione della Casulana fu di altissimo livello. tratto da: www.enciclopediadelledonne.it Taliesin, il Bardo
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28-04-2015, 14.19.04 | #255 |
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Una grande rivendicazione da parte di questa fantastica Donna e Artista dei diritti delle donne :) un grande esempio da seguire, grazie per avercelo donato :)
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05-05-2015, 19.01.57 | #256 |
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Vorrei evidenziare quanto sia importante questa sezione e ringraziare sir Taliesin, giorni fa ero in biblioteca e ho visto un libro su Artemisia Gentileschi "La Passione di Artemisia" e mi ricordai proprio di averne letto qui qualcosa e ora lo sto leggendo..un libro coinvolgente..e dove si mette in evidenza una donna "femminista" nel 1600 e forse "condannata" per questo...quanta passione vero sir Taliesin per portare a termine la sua "Giuditta" nonostante le mani martoriate dalla tortura.
E grazie a Voi, caro bardo, ho potuto approfondire la mia cultura.
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe "Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit. "I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam) "La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea |
09-06-2015, 17.28.46 | #257 |
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LA SPIETATA AMBIZIONE DEL POTERE : FREDEGONDA DI GALLIA.
Nella ex Gallia romana (non ancora Francia), dal V secolo d.C. si riversano a valanga i Franchi, popolazione di derivazione germanica, ben determinati a prevalere nell’inevitabile lotta per il predominio apertosi alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Un territorio fortemente suddiviso in innumerevoli tribù in cerca di spazio e supremazia, con un spiccata tendenza alla ferocia, al saccheggio e alla devastazione. Caratteristiche da cui non sarà estranea Fredegonda, dapprima una semplice dama di compagnia – successivamente regina dei Franchi della Neustria – che dal sangue e dalla spietatezza pescherà il trono della Francia delle origini: “Un’ambizione senza confini e nessuno scrupolo morale, sembra sempre essere l’anima di tutte le azioni più turpi. Le rappresaglie e i sanguinosi regolamenti di conti anche fra parenti stretti fanno parte delle abitudini dei popoli germanici, ma in questo caso sono portate all’estremo da una donna gelida come un serpente, accecata dall’odio, professionista nell’arte dell’insinuarsi e soprattutto totalmente estranea al sentimento del rimorso. Chi la minaccia, chi la infastidisce o contrasta i suoi piani non ha scampo”. M. Minelli, Le regine e le principesse più malvagie della storia, p.18. Ma perché la storia di una donna apparentemente secondaria? Perché in essa si racchiudono tutte le peculiarità della caotica stirpe dei Merovingi elevata dal condottiero Clodoveo I, agli inizi del 500 d.C., a centro dell’unificazione di tutti i popoli Franchi. Alla sua morte il regno passa nelle mani dei figli che raccolgono in eredità la barbarie del padre ma non anche il genio: “La grande intuizione di Clodoveo fu quella di porsi come vero erede del potere romano in Gallia, ovvero come il garante della sicurezza; ciò gli guadagnò infatti l’adesione dei gallo-romani, concretizzatasi con l’entrata nel suo esercito di soldati che già avevano prestato servizio nelle armate e nelle guarnigioni imperiali. Con l’aggiunta degli ausiliari barbari dei regni che andava man mano conquistando, costituì un esercito potente, dotato anche di un’efficiente cavalleria, con il quale conquistò tutta la Gallia, eccettuate Settimiana, Burgundia e Provenza: la sua opera lo pone a buon diritto come il primo fondatore della nazione francese”. A. Frediani, I grandi condottieri che hanno cambiato la storia, p.150. Ma i suoi successori, passati alla storia come Re fannulloni, tra delitti, tradimenti e guerre civili metteranno in ginocchio lo Stato: “La stirpe di Clodoveo, i cui meriti furono innegabili, venne tuttavia contraddistinta da un’endemica instabilità politica insita nell’antica tradizione franca assuefatta a suddividere i possedimenti territoriali tra i vari eredi maschi. Seguendo tale consuetudine, nacquero così, sempre nell’ambito della dinastia Merovingia, i modesti regni di Austrasia, Neustria, Borgogna, Parigi, Orléans e Aquitania, mentre furono ricorrenti le lotte fratricide”. L. Gatto, La grande storia del Medioevo – tra la spada e la fede, p.603. Tra i costumi mantenuti e tramandati dai Merovingi, non solo crudeltà efferata e sete di vendetta, ma anche la poligamia: “Uno stuolo di concubine, spose di secondo rango, favorite, oltre a una regina ufficiale alla quale spetta anche l’ingrato compito di far vivere in relativa pace tutte queste donne che abitano nella dimora reale, occupandosi principalmente dell’educazione dei figli e dei lavori domestici. Non troppo di rado all’interno di questi ginecei scoppiano delle vere e proprie tragedie, come quella che ha per protagonista assoluta la terribile Fredegonda, amante e poi moglie di Chilperico I (re di parte dell’Austrasia e successivamente della Neustria e Aquitania), uno dei nipoti di Clodoveo”. M. Minelli, Cit., pp.11-12. DAL LETTO AL TRONO La giovane e bella dama viene delegata al servizio della consorte di Chilperico, Audovera, ma l’obiettivo è entrare nel letto del re. Cosa presto fatta, giacché il sovrano merovingio, sanguinario e implacabile, non si fa certo pregare e ripudia anche la moglie che si chiude in convento. Ma le trame di Fredegonda non sono pienamente soddisfatte perché Chilperico desidera una sposa di sangue reale e la trova in Galsuinta, principessa visigota. Fredegonda, tuttavia, non si dà per vinta e “indossa la maschera dell’umiltà, della devozione e chiede di poter restare a palazzo, al servizio della nuova sovrana. La donna sa benissimo che la virtù di Chilperico è fragile e i suoi buoni propositi sono facili da smontare. Infatti dopo pochi mesi il re ricade nel letto dell’amante. Galsuinta però è di tutt’altra pasta rispetto alla prima moglie e minaccia di scatenare un putiferio e tornare in Spagna… Un abbandono così umiliante, dopo un matrimonio tanto prestigioso, sarebbe troppo per un uomo orgoglioso come Chilperico, così la regina non fa in tempo a mettere in atto i suoi bellicosi propositi perché una mattina del 567 viene trovata morta… Strangolata nel sonno, non si sa da chi, ma molti immaginano che dietro l’omicidio ci sia la mente se non la mano di Fredegonda. Chilperico mostra per qualche giorno grande dolore, ma qualche tempo dopo sposa la sua amante”. M. Minelli, Cit., pp.15-16. È la miccia che fa scoppiare la guerra civile con Sigeberto I, re dell’Austrasia e fratello di Chilperico, oltreché marito di Brunechilde sorella di Galsuinta. Uno scontro terribile d’una trentina d’anni che semina morte e rovina e che in una fase di stallo sarà risolto proprio da Fredegonda: “Trova molto più semplice e pratico affidare a due fedelissimi una delicata missione: uccidere Sigeberto, eliminando così il problema alla radice. L’omicidio avviene a Vitry, proprio mentre il re dell’Austrasia sta per essere riconosciuto re di tutti i Franchi. I due uomini trafiggono Sigeberto con la scramassa, il lungo micidiale pugnale franco, al quale – come ulteriore garanzia di successo – è stata avvelenata la lama”. M. Minelli, Cit., p.17. FIGLI VERSO LA FRANCIA E FIGLIASTRI VERSO LA MORTE L’Austrasia è allo sbando, l’esercito disperso e Brunechilde imprigionata in convento. Un trionfo apparente per Fredegonda perché Meroveo II, secondogenito di Audovera, si innamora di Brunechilde liberandola e sposandola in segreto. Riprende, dunque, la guerra civile e questa volta Fredegonda – con un Chilperico sempre più soggiogato – rivolgerà la sua ira contro tutti figli di primo letto del re, a vantaggio dei suoi: “Con Meroveo ha gioco facile: il matrimonio con Brunechilde basta a farlo considerare un traditore, quindi è costretto a tagliarsi i capelli (che i Franchi di alto lignaggio portano lunghissimi) e a farsi monaco. Poco dopo cade in una trappola tesagli dalla matrigna e alla fine, disperato, si suicida. Questa la versione ufficiale anche se per molti in effetti è stata la spietata regina a dare l’ordine di ammazzarlo… Nel 578 la regina della Neustria ha in parte completato la sua opera: Meroveo è morto, Teodoberto, l’altro figliastro, è caduto sul campo di battaglia tre anni prima; resta solo un figliastro, Clodoveo che… non solo ha insultato Fredegonda a più riprese, ma ha come amante una strega che, dopo qualche ora in compagnia del boia, confessa tutto.. Chilperico, terrorizzato dalla paura dei complotti e anche totalmente dominato dalla moglie, consegna il figlio nelle mani della matrigna. Ferocemente torturato, Clodoveo non ha più nulla di particolare da raccontare, però viene imprigionato e qualche giorno dopo pugnalato a morte”. M. Minelli, Cit., pp.18-19. Fredegonda si libera quindi di ogni ostacolo per sé e i suoi figli con l’ambizione un giorno di dominare su tutti i Franchi. E visto che non ha freni, fa uccidere anche Audovera, da anni rinchiusa in convento. Ha le mani libere e Chilperico ormai ininfluente, fin quando egli stesso muore assassinato da “ignoti” mentre torna da una battuta di caccia nel 584. Non sarà una vedovanza allegra per Fredegonda perché sul suo regno tornano a spirare nuovi venti di guerra dal re di Burgundia, Childeberto II, figlio di Brunechilde e Sigeberto, che però viene sconfitto e tre anni dopo avvelenato. Con questa vittoria Fredegonda non ha più rivali, invade la Borgogna e prende Parigi. Il suo lavoro si conclude e, così, muore nella futura capitale di Francia – a quanto pare non uccisa da nessuno – nel 597 lasciando al figlio Clotario II un regno prospero e la prospettiva di imperare su tutte le tribù Franche dopo essersi liberato, con i buoni insegnamenti della madre, dell’ultima rivale superstite, Brunechilde: “Catturata, imprigionata, sottoposta alle peggiori torture e umiliazioni, viene infine attaccata per un braccio, una gamba e i capelli alla coda di un cavallo selvaggio che, aizzato al galoppo, fa a pezzi il corpo dell’anziana regina”.M. Mineli, p.22 www.testedistoria.it Taliesin, il Bardo
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12-06-2015, 21.24.45 | #258 |
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Mio Amato Bardo.......ho letto la storia tutta di un fiato......certo una gran donna, ha dato al figlio una bellissima eredità.......il suo impareggiabile insegnamento.....ma nonostante tutto.....non mi piace come donna............comunque...la storia e' stata fatta anche da Loro.....Grazie...per il vostro immenso impegno
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16-06-2015, 18.15.22 | #259 |
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Madonna Elisabetta...
In verità sono stato molto combattutto in principio nel presenatre il cinico profilo di questa Donna del Medioevo, così lontano dalle altre mie presentazioni, ma in effetti ho fatto il vostro stesso ragionamento, poichè la Storia, quella Vera e non quella scritto solo dai Vincitori, non finisce quasi mai come le favole antiche "...e vissero felici e contenti", ma molto spesso in mniera obliqua e differente da certi stereotipi scolastici o universitari, per non parlare di quelli religiosi...ma questa è un'altra storia. Grazie...ora potete riprendere il filo del vostro fiato, che vi ho fatto smarrire... Taliesin, il bardo
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13-07-2015, 10.38.30 | #260 |
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L'IMPERATRICE DI FERRO: CUNEGONDA DI BAMBERGA.
Le Chiese d’Oriente e d’Occidente in due millenni di cristianesimo hanno attribuito l’aureola della santità quale corona eterna a non poche imperatrici, e talvolta anche ai loro mariti, che sedettero sui troni di Roma, di Costantinopoli e del Sacro Romano Impero. Sfogliando le pagine dell’autorevole Bibliotheca Sanctorum e della Bibliotheca Sanctorum Orientalium possiamo trovare i loro nomi: Adelaide, Alessandra e Serena (presunte mogli di Diocleziano), Ariadne, Basilissa (o Augusta), Cunegonda, Elena, Eudossia, Irene d’Ungheria (moglie di Alessio I Comneno), Irene la Giovane (moglie di Leone IV Chazaro), Marciana, Pulcheria, Placilla, Riccarda, Teodora (moglie di Giustiniano), Teodora (moglie di Teofilo l’Iconoclasta), Teofano. Anche nel XX secolo non sono mancate sante imperatrici: Sant’Alessandra Fedorovna, moglie dell’ultimo zar russo canonizzata dal Patriarcato di Mosca, la Serva di Dio Elena di Savoia, imperatrice d’Etiopia, ed in fama di santità è anche Zita di Borbone, moglie del Beato Carlo I d’Asburgo ed ultima imperatrice d’Austria. Santa Cunegonda è venerata anche insieme al marito, l’imperatore Enrico II, la cui festa è però celebrata separatamente al 13 luglio. Le fonti relative a questa santa sono purtroppo costituite da notizie sparse, tramandate da alcuni cronisti contemporanei quali Tietmaro di Mersburgo e Rodolfo il Glabro, nonché da una vita composta da un canonico di Bamberga oltre un secolo dopo la morte. I genitori diedero alla figlia, sin dai primi anni, una profonda educazione cristiana. All’età di circa vent’anni, Cunegonda sposò il duca di Baviera, Enrico appunto, che nel 1002 venne incoronato re di Germania e nel 1014 sacro romano imperatore. Su questo matrimonio, specialmente al principio del XX secolo, sono sorte parecchie polemiche: in alcuni testi antichi infatti, tra i quali la bolla di papa Innocenzo III, si narra che i due coniugi fecero voto di perpetua verginità e si parlò così di “matrimonio di San Giuseppe” e per tale motivo a Cunegonda è stato talvolta attribuito il titolo di “vergine”, ma secondo altri autori moderni una simile qualifica non corrisponderebbe alle narrazioni di contemporanei come Rodolfo il Glabro. Secondo quest’ultimo, I fatti, Enrico si accorse della sterilità della moglie, ma nonostante il matrimoniale germanico ammettesse il ripudio, non volle usare questo diritto per la grande pietà e santità che riscontrava nella consorte e preferì continuare a vivere insieme a lei pur senza speranza di prole. Fu proprio ciò, unitamente alla fama di santità che circondò i due coniugi, a far nascere in seguito la leggenda del cosiddetto “matrimonio di San Giuseppe”. Nella Vita e nella bolla pontificia di canonizzazione si legge che Cunegonda fu oggetto di una grande calunnia di infedeltà coniugale ed Enrico, per provarne l’innocenza, decise di sottoporla alla prova del fuoco. La moglie accettò e passò miracolosamente indenne a piedi nudi sopra vomeri infuocati. L’imperatore chiese perdono all’augusta consorte per aver dato troppo credito agli accusatori e da quel momento visse in piena stima e fiducia nei suoi confronti. Non ci è dato sapere quale validità storica abbia concretamente questo episodio, resta comunque il suo alto valore simbolico. Il 10 agosto 1002 a Paderborn Cunegonda fu incoronata regina e nel 1014 si recò a Roma con il marito per ricevere la corona imperiale dalle mani di papa Benedetto VIII, il 14 febbraio di quell’anno. La vita dell’imperatrice costituì un mirabile esempio di carità, umiltà e mortificazione, virtù che la caratterizzarono in molteplici manifestazioni. Assecondata dal pio marito, nel 1007 fece erigere il duomo di Bamberga e nel 1021 il monastero di Kaufungen, fondato in seguito ad un voto fatto durante una gravissima malattia da cui uscì pienamente ristabilita. Proprio in questo monastero benedettino volle ritirarsi nel 1025, addolorata per la perdita del marito. Nel giorno anniversario della morte di Enrico II, Cunegonda convocò parecchi vescovi per la dedicazione della chiesa di Kaufungen, cui donò una reliquia della Santa Croce. Dopo la lettura del Vangelo, si spogliò delle insegne e degli abiti imperiali, si fece tagliare i capelli e vestì il rozzo saio benedettino. Continuò, come già aveva fatto in precedenza, a spendere il suo patrimonio nell’edificazione di nuovi monasteri, decorando chiese ed aiutando i poveri. Intrapresa dunque la vita monastica, visse in assoluta umiltà come se mai fosse stata addirittura imperatrice. Prese a trascorrere gran parte delle sue giornate in preghiera e nella lettura delle Sacre Scritture, non disdegnando però i lavori manuali ed i servizi più umili. Un compito assegnatole che gradì particolarmente fu la visita alle consorelle ammalate per portare loro conforto ed assistenza. Si distinse inoltre per la pratica severa della penitenza: asumeva infatti esclusivamente il cibo indispensabile per sopravvivere, rifiutando ciò che poteva solleticare in qualche maniera il palato. Sino al termine dei suoi giorni Cunegonda condusse questo stile di vita. Morì infine il 3 marzo di un anno imprecisato, generalmente viene preferito il 1033 anziché il 1039. Le sue spoglie mortali trovarono degna sepoltura presso quelle del marito nella cattedrale di Bamberga. Nei primi anni non fu oggetto di grande culto, ma dal XII secolo la venerazione nei suoi confronti crebbe grandemente fino a superare quella tributata già in precedenza ad Enrico. La causa di canonizzazione fu introdotta sotto il pontificato di Celestino III, ma solo Innocenzo III con bolla del 29 marzo 1200 ne approvò ufficialmente il culto. Nella diocesi di Bamberga nel XV secolo ben quattro solenni celebrazioni erano dedicate alla memoria della santa imperatrice: il 3 marzo (anniversario della morte), il 29 marzo (anniversario della canonizzazione), il 9 settembre (traslazione delle reliquie) ed il 1° agosto (commemorazione del primo miracolo). Taliesin, il Bardo tratto da: www.santiebeati.it
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