30-08-2011, 14.58.12 | #21 |
Cittadino di Camelot
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Chantal accompagnava le riflessioni ad alta voce dello zio.Certo,era un uomo tutto d'un pezzo,non aveva mai avuto paura di ritrovarsi a sostenere le sue tesi quando diffondeva la parola di Dio,lui che credeva nei valori dell'umanità e della carità.
Accostò al sorriso dello zio anche il suo,era solito riportare esempi eclatanti di contrastanti figure storiche e leggendarie.E a lei piaceva quella sua eclettica personalità,frutto di lunghi studi ed accurate conoscenze. Pian piano andava allentando le dita sulle corde,come a muoverle con maggior lentezza,smorzando sempre più il suono fino a che il suo orecchio fosse capace di scindere ogni singola nota.Ultimarono in sintonia,lei la sua melodia e lo zio le sue riflessioni. "Sì,zio,è ora di ritirarci",fece una pausa."Andate voi,io rimarrò un poco ancora." La notte era calata sull'orizzonte e era scivolata ammainata al buio anche nella sala. Aveva di nuovo indossol'anello,ma pensò a quell'uomo,l'uomo di cui aveva fatto accenno a uo zio,e a se avesse dovuto rivelare in quel momento ciò che aveva appreso di lui. Lo zio se ne stava con imponenza in piedi,dietro lo scrittoio che si accingeva a lasciare,con quel suo sorriso rasserenante.Un uomo…” mormorò “… devo forse preoccuparmi?” Ridendo. “Mi ritroverò dunque un tuo spasimante per casa?” Questo le chiedeva,forse incurante della risposta,ma aveva pur domandato. "Non dite sciocchezze".Rassicurandolo Chantal,"Non è un uomo comune,e ciò che narra ha la trascendenza dei misteri della Fede.Da questi ho appreso del fiore.Ma ora andate,zio,andate a riposare,l'ora è tarda,e il sonno vi reclama." Sapeva bene che,se avesse taciuto,lo zio non l'avrebbe forzata ulteriormente.E così era. Rimase sola,un raggio argenteo si proiettava dalla pallida Luna fino ai suoi piedi,attraverso la vetrata.Pensò come era calma la sera,come la notte era tanto rassicurante,quieta e silenziosa,mentre il giorno che le aveva ceduto il passo,fosse reo di tanto fragore ed agitazione. "La notte",pensò,"se tutti gli uomini vivessero la notte,sarebbero incapaci di concepire il male,perchè la notte è placida,e seda ogni affanno,ridando il senno persino ai folli." Ma poi scosse il capo."I folli.Già,i folli e le loro follie",sentenziò. Si portò nella camera da letto,ma non era molto avvezza al sonno.Chantal non dormiva,non molto.Dormono i cuori ignari,e gli animi sereni ,non lei non lei che era attravarsata da inquietudini e affanni. Lasciava sempre i battenti aperti,perchè potesse intravedere il firmamento anche dal suo letto.Per chi non dorme,le stelle sono le migliori confidenti.Ma quella notte erano sfuggenti,e sorde ad ogni richiamo. Poi,d'improvviso,subentrò un ricordo a prendere possesso di ogni suo pensiero. "Allora,Chantal,ti piace?! "Come non piacermi,l'ho desiderato tanto". "Lo so,tesoro mio,per questo lo abbiamo rilevato.Con una rispolverata e velluti pregiati,diverrà come quello dei tuoi sogni,piccola mia.Sai,ho pensato che lo battezzeremo col tuo nome"Chantal de La Merci".Cosa ne pensi? "E' un nome inconsueto per un teatro,ma mi piace.Sì,già lo vedo animato dallo spirito di grandi tragi-commediografi latini e greci..Sarà bellissimo,madre,il più bel teatro che sia mai esistito ad Animos" Chantal sorrise a quel ricordo non tanto lontano. Aveva sognato di possedere un teatro da quando una vecchia signora ereditiera le aveva donato un vecchio libro sull'Alcesti. E sua madre l'aveva incoraggiata ed appoggiata,acquistandone uno in disuso,perchè riprendesse vita dal cuore della figlia. La notte scivolò nel sogno di quel sipario dietro il quale la ragazza si nascondeva mentre gli attori vi provavano le scene.Vi si portava la sera,quando le luci soffuse non potevano tradire la sua presenza,e si muoveva attraverso le sale a piedi nudi,per non farsi scorgere da alcuno. Fu lì che,per la prima volta,vide il cavaliere che accese in lei tutti i suoi desideri. C'era stato un tempo in cui il teatro di loro proprietà aveva vissuto il suo splendore quando ancora Chantal viveva presso la casa di famiglia. Nel buio che avvolgeva il suo letto,la ragazza si sfiorò l'anello,sotto il polpastrello riusciva perfettamente a riconoscere ogni lineamento di quel volto di uomo su esso intarsiato.E ripensando a quel volto a lei tanto caro e al quale l'anello la legava,fu rapita dal sonno. L'indomani si levò presto,per andare in facoltà,ma non prima di aver espresso un'animata richiesta allo zio: "Buongiorno,zio,ho sentito dire che nel paese giungerà un carrozzone di attori itineranti.Perchè non permettiamo loro di esibirsi nel teatro di famiglia?Il suo palcoscenico è dormiente da tanto tempo,ma il suo spirito ancora viene a destarmi nel sonno,in attesa che io gli presti ascolto." Poi aggiunse:"Quel fiore di cui ti accenavo,zio..mi hanno narrato che è speciale,e non ne sbocciano di simili in alcuna terra.E anche in quel fiore si raccolgono un'anima e un cuore.."Ma fu sfuggente nel pronunciarsi ancora. Chantal,talvolta,appariva folle per quei suoi pensieri.Credeva che ogni cosa avesse un'anima,e suo zio spesso sorrideva di quelle sue fantasie,ma non riusciva a negarle la sua accondiscendenza. Ultima modifica di Chantal : 01-09-2011 alle ore 14.00.22. |
30-08-2011, 15.55.10 | #22 |
Cittadino di Camelot
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La strada si snodava, secca e polverosa, tra i campi che si aggrappavano lungo i crinali delle colline battute dal vento; le pietre bianche che coprivano tutto lo spazio della carreggiata, e che di certo un tempo erano state ordinate e ben disposte, erano adesso, in quei tempi difficili, tutte dissestate e smosse tanto che il procedere sia a piedi che a cavallo risultava arduo e faticoso. C’era il sole quella mattina, un sole debole e dall’aspetto quasi malsano, che ancora faticava a farsi largo tra la cortina di dense nubi, ma che di tanto in tanto occhieggiava tra l’una e l’altra, bagnando la terra di candidi bagliori.
La carovana procedeva lenta lungo la via, tra i mulinelli di polvere e foglie che di tanto in tanto la avvolgevano; la sua stanca andatura, cadenzata dallo scalpiccio dei cavalli, era dovuta in parte, probabilmente, alle pessime condizioni della carreggiata e in parte, di certo, al fatto che non vi era nessun posto in cui essa era attesa... Sospirai e mossi lo sguardo tra i miei compagni, scrutando il volto di ognuno di loro... volti che conoscevo bene, volti nei quali avevo imparato a distinguere ed interpretare ogni piega ed ogni fuggevole emozione, ogni travestimento, ogni maschera... volti stanchi e provati, volti indecifrabili e pensosi, volti diversi eppure tutti simili tra loro in qualche modo... Erano tempi complicati, quelli... tempi difficili, specialmente per la gente come noi! Avevamo conosciuto la nostra fortuna presso i più grandi signori, avevamo avuto giorni di gloria e di prosperità... poi la rivoluzione ci aveva portato via molti privilegi: quando le cose andavano male, dopotutto, chi aveva voglia di assistere agli spettacoli? Chi aveva voglia di ridere o di ascoltare storie? Beh... noi avevamo scoperto, e a nostre spese, che quando le cose andavano male quelli come noi non erano bene accetti da nessuna parte! E ora quel nuovo regime che stava nascendo... persino nel nostro piccolo gruppo le opinioni erano differenti: fiducia e preoccupazione, desiderio e inquietudine... ‘Ma finché avremo una piazza e qualcuno che ha voglia di starci a sentire’ aveva detto Gobert un giorno ‘noi lavoreremo! Non importa per chi, non importa dove... a noi serve solo un palcoscenico e un pubblico!’ Ci aveva infervorati con quel breve discorso, ci aveva ridato fiducia... ed eravamo ripartiti. Di nuovo. Li osservai uno ad uno, cavalcavamo da giorni ormai e la stanchezza e i troppi pensieri correvano nei nostri occhi. Spronai il mio cavallo, quindi, e lo portai un poco più avanti, al centro del piccolo gruppo... “La vie sans aucune tristesse...” iniziai allora a cantare, modulando la voce in tono giocoso “Je veux vivre sans un regret...” Quel canto era il nostro compagno, lo intonavamo spesso nei nostri spostamenti... ad un tratto la voce di Tissier, che era il più vicino a me, si unì alla mia, poi via via anche le altre: “Il faut vivre chaque jour, comme si c'était le dernier jour sur cette terre...” Incrociai i loro occhi e ad uno ad uno li vidi sorridere... Il resto del viaggio trascorse in modo più leggero. Poi, finalmente, la strada giunse alla sommità dell’ennesima collina e di fronte a noi apparve una città di medie dimensioni, grigia com’erano spesso le città di quei tempi, ma movimentata e vivace... Sostammo per un memento là, muovendo lo sguardo intorno, poi prendemmo a scendere la china verso la porta principale... “Eccolo qui, il nostro nuovo palcoscenico!” mormorai tra me, spronando il cavallo per seguire gli altri.
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** Talia ** "Essere profondamente amati ci rende forti. Amare profondamente ci rende coraggiosi." |
30-08-2011, 17.06.30 | #23 |
Cittadino di Camelot
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Abassai il capo in segno di rispetto , verso colui che indossando una divisa lo meritava , " No mi dispiace, non ho notato nessuno .E' da poco che sono qui, arrivo da un lungo viaggio , mi dispiace non so cosa dirvi".
Alzando lo sguardo verso il cavaliere notai il suo sguardo, forse non ero stata poi tanto convincente, anche se dalla mia bocca usciva solo la verità. " Possiamo proseguire Jalem? ho premura di incontrare lord Tudor.Vogliateci scusare ma noi dobbiamo andare". Ripercorrere quella grande scalinata , fu per me un emozione indescrivibile. Erano passati tanti anni da quando usavo stare la a giocare senza preoccuparmi che non era decoroso per una dama.Ma io non lo ero, a quei tempi ero solo una ragazzina che a tutto pensava tranne a come si fa un inchino. Mi sembra quasi di sentirlo lord Tudor " Gonzaga tu sarai una nobildonna , è ora che te lo metti bene in testa" Ma a queste urla , ricordo anche la prima e ultima volta che vidi sul suo volto una lacrima , fu proprio il giorno che mi aiutò a salire sulla carrozza che mi avrebbe portato lontano da lui . E adesso eccomi qui, come lui voleva..una gentil dama nella mente e nell'anima. Tutto era rimasto come allora , la grande vetrata ai piedi della scalinata e il grande roseto che circondava questa. "Jalem datemi la mano , statemi vicino, le mie gambe tremano"....
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[SIGPIC][/SIGPIC][B][I][SIZE="2"][COLOR="Wheat"] Nessun sole potrebbe risplendere se gli occhi del cuore non ne vedessero la luce.(anonimo)[/COLOR][/SIZE][/I][/B] |
30-08-2011, 20.15.07 | #24 |
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Melisendra rimise così a posto quei suoi documenti di famiglia, sotto però lo sguardo vigile ed attento di Mercien.
E quando la giovane e bella vedova pronunciò alla devota Giselle la sua volontà di ricominciare una nuova vita in terra straniera, marito e moglie si scambiarono una fugace occhiata. La governante dell’ultima dei Du Blois mostrò chiaramente timore e dubbi per la decisione della sua padrona. Ricominciare una nuova vita, in una terra, l’Inghilterra, ostile ai rivoluzionari, presentava senza dubbio difficoltà non da poco, soprattutto se l’impresa era tentata da due donne. Ma la scelta era quasi obbligata. Troppo incerto era ormai lo scenario che si andava a delineare nella Repubblica di Magnus. “E sia, mia signora…” sospirò la fedele nutrice “… comincio sin da ora a preparare ciò che ci è rimasto per la partenza. Clementine fissò, con uno sguardo quasi enigmatico, sospeso tra la paura, l’incertezza e l’angoscia, suo marito. “Io sono fedele ai miei signori, i nobili Du Blois!” Disse Marcien, guardando sua moglie. “Bevo alla salute del casato dei Du Blois!” E si scolò l’ennesimo bicchiere di liquore, seguito, quasi titubante, da Clemenine. Il giorno della partenza arrivò presto. I quattro attesero i primi cenni del crepuscolo per prepararsi. Calais era ad un paio d’ore circa, dove avrebbero trovato ad attenderli il battello con altri profughi, diretto a Dover, in Inghilterra. Il viaggio fu segnato da un tetro silenzio fra i quattro. Un’opprimente angoscia aleggiava fra loro, visto che il pericolo di essere scoperti era concreto. Giunsero così ad un piccolo molo fuori mano e poco sorvegliato, a causa del basso porto che rendeva possibile il transito solo a piccoli pescherecci, ma tuttavia adattissimo per un piccolo battello come quello che si apprestava a salpare. Con attenzione e prudenza Marcien si avvicinò ad alcuni uomini fermi sulla banchina e indicò, oltre se stesso, le tre donne che erano con lui. “Ho appena parlato col capitano…” disse poi appena ritornato dalle tre donne “… tra un momento ci faranno salire a bordo…”
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30-08-2011, 20.35.33 | #25 |
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Daniel, attratto dai profumi e tormentato dalla fame, si era nascosto in cucina, ma uscendo allo scoperto si era ritrovato davanti un giovane valletto.
“E tu chi sei?” Chiese questi fissando il giovane ladruncolo. “Ehi, voi due, presto!” Chiamò all’improvviso uno dei cuochi. “Cosa fate li impalati? Il padrone se non mangia in orario sapete bene che va su tutte le furie! Avanti, cominciate a servire a tavola o vi prendo a randellate!” “Allora sei uno dei servitori.” Fece il valletto a Daniel. “Certo, potevi vestirti un po’ più decorosamente… e sia, è tardi e non c’è tempo da perdere… avanti, aiutami a servire in tavola… seguimi.” I due allora, presi alcuni vassoi, si diressero verso la sala da pranzo, dove trovarono il signore del palazzo già spazientito per il ritardo. “Ero sul punto di ordinare da mangiare in qualche locanda del villaggio!” Tuonò Lord Tudor. “Accidenti a voi, sciocchi valletti! Un giorno vi metterò tutti a pane ed acqua! Avanti, servite in tavola che ho fame!”
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30-08-2011, 21.06.44 | #26 |
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Jalem guardò Gonzaga e sorrise.
“Suvvia, milady…” disse il servitore prendendola per mano “… sapete bene che lord Tudor vi ama come una figlia e che ha atteso fino ad oggi il vostro ritorno… ormai voi siete la sua unica gioia, l’unica cosa che può addolcire la sua vita…” il moro sorrise di nuovo ed aprì la porta, facendo entrare Gonzaga nella sala dove si trovava l’austero aristocratico. Questi era impegnato ad inveire contro i suoi valletti, ma appena Jalem e la bella dama fecero il loro ingresso lord Tudor si ammutolì all’istante. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che aveva visto Gonzaga. Era un’aggraziata ed elegante dama dal portamento e dai modi squisitamente cortesi. Bruna, con occhi vispi di chi ama osservare e far suo il mondo che lo circonda, lineamenti ammirevoli, un colorito soffuso di pesca e di rose. Ma i segni della sua nobiltà non si fermavano qui. Il portamento, come detto, era da gran dama ed ogni suo gesto tradiva gentilezza e grazia. Il sorriso era luminoso ed il suono della voce melodioso e delicatamente musicale, di chi era abituato a recitare versi ad alta voce. Ma questi particolari, sebbene importantissimi per qualsiasi nobile uomo o artista, erano del tutto indifferenti al signore di Camberbury. L’uomo, infatti, vinto quel primo momento di stupore e, diciamolo, commozione, si alzò e tese le braccia verso la ragazza. “Ti avevo mandata ad imparare le regole della cortesia, ma forse sei giunta fin sul Parnaso… a quale delle nove muse hai rapito la bellezza?” E abbracciò teneramente la sua pupilla finalmente ritornata a casa.
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30-08-2011, 22.14.42 | #27 |
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Mi ero ritrovato con in mano un vassoio pieno di carne.. Avevo una fame ed ero tentato di arraffarne un pezzo mo non potevo.. Ero davanti a Lord Tudor.. Avevo l'impressione che mi guardasse male.. Si era accorto che non ero un suo cameriere? E se mi avesse scoperto? Mi avrebbe consegnato alle guardie che mi avrebbero chiuso nelle segrete.. No! Non potevo permetterlo! Servii quel poco che mi era rimasto nel vassoio e andai in cucina presi una sacca dove misi un pò di pane, formaggio, carne secca e acqua e decisi di andarmene.. Proprio mentro stavo per uscire vidi il capitano della polizia ritornai immediatamente nelle cucine..
"Rimanderò la fuga a dopo.." dissi tra me e me..
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30-08-2011, 22.56.48 | #28 |
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L'aria fresca e salmastra mi pizzicava le guance, mentre ciocche ribelli sfuggivano dalla semplice acconciatura che li tratteneva.
Avevo indossato i vecchi abiti di una cameriera, che Giselle aveva trovato nella casa del mio defunto marito. Erano abiti semplici e la stoffa ruvida mi prudeva nei punti in cui si appoggiava alla pelle. Avevamo stipato i miei abiti dentro a sacchi di iuta e tutti i preziosi di famiglia, salvati dall'avidità degli uomini, erano stati cuciti con estrema cura nella biancheria che indossavo. Mi ero dovuta disfare di alcuni beni della mia famiglia. A malincuore Marcien aveva venduto l'argenteria al mercato nero, poichè il denaro ci sarebbe servito per il viaggio. Con noi recavamo viveri e generi di conforto. Ero quasi certa che nessuno mi avrebbe riconosciuto, in fondo non ero nota negli ambienti fuori dalla corte. Vestita in quel modo potevo sembrare una semplice ragazza in viaggio con la sua famiglia verso l'Inghilterra. Con le dita cercai la foglia d'edera che non abbandonava mai il mio petto e, appena le mie dita sfiorarono il freddo metallo, mi affrettai a celarla nuovamente tra le vesti, confortata. Non avevo mai affrontato un viaggio per mare. Improvvisamente quella distesa d'acqua sferzata dai venti mi sembrò cupa e minacciosa. Rammentai i pomeriggi trascorsi in barca, nel laghetto del parco del Palazzo di Ostyen, insieme ai miei compagni di svago. Le dolci melodie dei trovatori e le fresche risate delle ragazze ci cullavano mentre scivolavamo pigramente sull'acqua. Amavo ascoltare i trovatori cantare e intrecciare versi in quel gioco meraviglioso che era l'amor cortese. Il vociare dei pescatori mi fece tornare alla realtà. Anuii alle parole di Marcien e mi incamminai verso il molo, affascinata dalle onde che si infrangevano contro gli scogli. Scrutai l'orizzonte, quasi credendo di poter vedere al di là dello stretto, ma rassegnandomi all'ignoto che ci attendeva. "Giselle, pensi che i parenti di mia madre potrebbero aiutarci? Tu l'hai conosciuta fanciulla, quando giunse a Animos... forse ti ha parlato della sua famiglia al di là del mare... dovremmo inviare una lettera per annunciare il nostro arrivo... ma a chi? Rimpiango di non essermi mai interessata ai polverosi libri di genealogia della nostra biblioteca..." Mi incamminai con Giselle verso il battello in attesa, stringendo a me il mio fagotto.
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31-08-2011, 02.22.18 | #29 |
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“Non badate ora a queste cose, madame…” disse Giselle alla sua padrona “… se il Signore ci permetterà di lasciare questa terra ormai insicura, allora sono certa che guiderà i nostri passi anche in Inghilterra…” esitò un momento, per poi riprendere “… ricordo che vostra madre parlava sempre di una lontana zia… era una marchesa e viveva in un palazzo tra Londra e la contea di Camelot… ma ora non rammento il suo nome… dobbiamo avere Fede, madame… ormai ci è rimasta solo quella…”
La notte senza Luna avvolgeva ogni cosa, rendendo oscura e indefinita quella piatta distesa d’acqua che appariva davanti a loro. L’aria era asciutta ed attraversata da un lieve vento che permetteva, a tratti, di scorgere inquiete e maestose figure attorno al piccolo porto; erano le alte scogliere immerse in quella enigmatica notte. I quattro allora si avviarono verso il battello, ma a pochi passi dalla tavolozza che permetteva di salire a bordo, una strana espressione attraversò gli uomini sul ponte. Infatti alcune ombre avevano preso forma da quell’angosciante oscurità e si avvicinavano al battello. “Madame, è ora!” Esclamò all’improvviso Marcien, per poi arrestare di colpo il suo passo, imitato subito da sua moglie. Quelle parole rivolte a Melisendra suonarono prima inspiegabili e poi sinistramente ambigue alla devota Giselle. Quasi come un messaggio, un segno, come il bacio che Giuda diede a Nostro Signore prima di tradirlo. Quelle ombre, avvicinandosi e mostrando finalmente le loro fattezze, in breve circondarono i quattro. “Chi fra voi è Melisendra Yolande Demetra Du Blois, ex duchessa di Beuchamps e vedova Lambrois?” Chiese con tono solenne uno di quei soldati. Dopo un attimo di sconforto, misto a rassegnazione, che però non aveva impedito a Giselle di comprendere la situazione, la devota nutrice, quasi con un gemito, rispose: “Sono io… sono io… cosa accade, signore?”
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31-08-2011, 03.03.14 | #30 |
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Stavo pensando a mia madre, Lowenna, che così poco mi aveva parlato della sua famiglia d'origine e mi sembrava di rivederla, con quei capelli mossi e rosso fiamma che erano una caratteristica della sua famiglia. Solo in quel momento realizzai quanto poco sapessi di lei, oltre al fatto che fosse mia madre e la Duchessa di Beauchamps. Non mi aveva mai parlato della sua vita prima di sposare Thierry Du Blois. Avrei mai scoperto chi fosse Lowenna di Wendron? O era troppo tardi?
Troppi pensieri affollavano la mia mente. Ciò che accadde intorno a me mi lasciò senza fiato per la sorpresa. Le parole di Marcien, lo sguardo di Clementine e le parole della guardia. Infine quelle della mia amata Giselle. Non potevo crederci. Come osava Marcien tradirmi? Tradire mio padre! La mia fedele Giselle, tra le cui braccia ero cresciuta, si era appena gettata in pasto a quegli uomini che avevano con tanta precisione pronunciato il mio nome. Non potevo permetterglielo. "No, Giselle..." mormorai. Sollevai lo sguardo e dissi: "Sono io. Sono Melisendra Yolande Demetra Du Blois, figlia di Thierry Alexandre Du Blois, Duca di Beauchamps. Cosa posso fare per voi, monsieur?"
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