05-01-2014, 21.06.37 | #291 |
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Vi ringrazio del dono Milord.....è una melodia molto bella....vivace, pacatamente vivace e che dà serenità al cuore!!!
Grazie infinite, Sir Parsifal25!!!
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Il cuore di una dama apprende solo la bontà, la sua beltà sostiene i cavalieri, il suo coraggio difende gli inermi e la sua mente conosce solo la verità!!! Eilonwy |
05-01-2014, 21.12.47 | #292 |
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http://youtu.be/UXOYcd6KZ0E
Uno dei primi brani che la mia insegnante di musica mi fece ascoltare...me ne sono subito innamorata..spero che piaccia anche a voi!
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Prendi l'aspetto del fiore innocente, ma sii il serpente sotto di esso!...Macbeth... |
05-01-2014, 21.24.58 | #293 |
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Stupendo....veramente bello, Lady Tara!!!
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06-01-2014, 00.53.47 | #294 |
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Bellissima interpretazione della opera di Mozart..in lingua originale poi..grazie lady Tara.
Ecco un pezzo dalla Bayadere (opera secondo me lasciata in sordina)..la morte di Nikyia interpretata dalla grande etoile Svetlana Zakharova
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe "Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit. "I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam) "La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea Ultima modifica di Hastatus77 : 07-01-2014 alle ore 13.34.27. |
06-01-2014, 03.09.06 | #295 |
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Benvenuta nel nostro teatro, madamigella Tara. Il mio nome è Parsifal, cavaliere dei Longino.....in codesto spazio troverete molto spesso la mia persona, ne sono divenuto il mecenate
Ringrazio il dono che ci avete presentato e spero che diventerà assidua frequentatrice del Teatro di Corte......sapete, insceno molte opere cosicchè possiate riposar cullata dalle note ed opere che si levano da questo piccolo angolo..... Il primo debutto vi è stato nel periodo natalizio.....credo che ce ne saranno delle altre.....
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"Covenant's Love"..... le dolci parole di colei che è entrata nel mio cuore..... |
12-01-2014, 01.18.25 | #296 |
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Le vere storie dei balletti classici
Il Lago dei Cigni:
C'era una volta una regina che era rimasta vittima del sortilegio di un mago. Il fatto era accaduto da così tanto tempo che nessuno ricordava più la causa della maledizione; però nessuno aveva dimenticato la tragedia della vendetta del mago. Cercando attentamente cosa avrebbe potuto maggiormente addolorare la regina, lo sguardo del mago cadde sulla sua giovane figlia, che giocava con le altre fanciulle. Raccolse tutti i suoi poteri malefici e trasformò le sorridenti fanciulle in uno stormo di candidi cigni, la cui bellezza e il cui candore serbavano testimonianza della loro vera natura. La regina fu completamente distrutta da quella crudeltà e fino al giorno della sua morte non cessò di piangere per la cattiveria subita. Le lacrime salate che colarono dai suoi occhi si raccolsero in un lago scuro, tanto profondo e senza fine come la sua disperazione. E fu in questo lago che quando non poté proprio tollerare oltre il suo dolore, la regina si gettò, annegando. Passarono molti anni. Grandi alberi crebbero attorno a quel luogo; la principessa insieme alle altre fanciulle, immortali e senza età erano ancora sotto l'effetto dell'incantesimo: nuotavano infatti come bianchi cigni sul lago di lacrime. Ma un giorno un giovane principe capitò in quel luogo. Mentre era a caccia, rimase indietro, lontano dal gruppo di amici e si trovò in una densa foresta. Intanto si era fatta notte. Gli alberi della foresta erano così fitti e alti che non gli permisero di trovare un sentiero da seguire. Poi vide un barlume di luce davanti a sé, si diresse allora in quella direzione e giunse sulle rive di un grande lago che sotto i raggi della luna sembrava d'argento. Vide uno stormo di candidi cigni che nuotavano sulla superficie dell'acqua e in un primo momento, da buon cacciatore, afferrò il suo arco e prese la mira. Ma qualcosa lo fermò: forse la bellezza di quegli uccelli o il fatto strano di averli trovati di notte, quando la gran parte dei volatili dorme. Si fermò all'ombra di un albero domandandosi perché mai la vista di quei cigni turbava il suo cuore. Poi, come lo videro, quei candidi uccelli nuotarono verso la riva e, a turno, ognuno batté le ali bianche nell'aria trasformandosi uno dopo l'altro in bellissime ragazze. Infine gli si avvicinò l'ultimo cigno che diversamente dagli altri, notò il principe, aveva una coroncina di perle sul capo, e quando anche questo si trasformò, capì di aver trovato la principessa dei suoi sogni. Avanzò di qualche passo, spostandosi cauto per non spaventarla. Ma quando la ragazza cigno lo scorse, protese verso di lui le braccia senza timore e gli corse incontro leggera. «Finalmente,» ella mormorò, «finalmente c'è speranza per tutte noi!». Poi prendendo il principe per mano e fissandolo con i grandi occhi scuri gli raccontò la storia dell'incantesimo subito. Terminato il racconto, cominciò a piangere e disse: «Solo per breve tempo, ogni notte, il mago ci restituisce il nostro aspetto umano e solo allora ci permette di dimenticare il nostro destino, interrompendo così per qualche minuto la nostra sofferenza.» Il principe non sopportò di vederla piangere. «Dimmi come si può spezzare l'incantesimo,» supplicò. «Qualunque sia il prezzo, io lo pagherò!» «L'incantesimo potrà essere spezzato solo dall'uomo che mi amerà con tutto il cuore,» disse la principessa cigno, «da colui che giurerà di sposarmi e che non tradirà mai la mia fiducia.» «Se è così, sarà presto fatto,» replicò il principe colmo. di gioia,<tu hai già il mio cuore! ». Mentre parlava, la luna era passata dietro una nuvola; si era alzato un vento freddo e il lago era diventato grigio acciaio. Il principe rabbrividì, perché sentì come un cattivo presagio, mentre le ragazze cigno si nascosero al passaggio di un'ombra scura sopra di loro. Allora abbracciò la principessa e stringendola a sé per proteggerla, il principe sentì il cuore della fanciulla battere contro il suo come quello di un uccellino catturato. «È il mago!» sussurrò la principessa cigno. «Viene ogni notte sotto le sembianze di un grosso gufo nero, per osservarci mentre torniamo cigni. Prova un crudele piacere nel vedere il potere che ha su di noi.» Il principe afferrò stretto il suo arco. «Lascia che venga, questa notte,» disse incollerito, «e io lo eliminerò dalla faccia della terra!» «No!» gridò la principessa, «non farlo! Solo lui può liberarci dall'incantesimo. La sua morte sarebbe la nostra rovina.» Mentre ancora stavano parlando, si allontanò da lui e insieme a lei le altre ragazze cigno tornarono verso l'acqua. Camminavano come in sogno, col capo chino, ed egli si accorse che una grande forza le sovrastava. «Non abbandonarmi,» supplicò la principessa, voltandosi mentre stava già sulla riva dell'acqua, «vieni ancora a trovarmi, domani notte. «Non mancherò!» rispose il principe, e guardò, sentendo una fitta al cuore, come in un attimo la fanciulla aveva sollevato le candide braccia per trasformarsi di nuovo m cigno. Il giovane cavalcò veloce nella notte e arrivò a casa, ma non riuscì proprio a prendere sonno. Si alzò presto il mattino dopo, e si accorse che in tutto il palazzo c'era un gran trambusto; si ricordò allora che era il giorno in cui diventava maggiorenne e sentì come un tonfo al cuore, perché ci sarebbe stato un gran ballo al quale avrebbero partecipato tutte le probabili future principesse. Il giovane principe avrebbe dovuto scegliere tra loro una donna con cui condividere la vita e, in futuro, il trono. Sapeva però che questo non sarebbe mai avvenuto, perché ormai non poteva amare che una sola donna, quella che aveva vista la notte prima. Ma non poteva certo raccontare ai genitori la strana vicenda della principessa cigno, perché non gli avrebbero mai creduto. «No,» disse tra sé, «non ho scelta, devo partecipare a questo ballo, ma le rifiuterò tutte, una dopo l'altra. Niente potrà mai separarmi dal mio vero amore!» Quel giorno sembrò non finire mai. Giunta finalmente sera, indossò i suoi abiti più eleganti e con la tristezza in cuore andò al ballo. Vi erano sei principesse e nel corso della festa il principe danzò con tutte. Alcune erano belle ma altere, altre semplici e carine. Una sembrava molto bella e gentile e il principe pensò che forse, in altre circostanze, l'avrebbe anche amata. Ma i grandi occhi scuri, imploranti, della principessa cigno erano sempre tra lui e quei visi sorridenti. Non poteva più aspettare la fine delle danze, avrebbe voluto fuggire sulla riva del pallido lago, nella buia foresta. Terminate le danze, la regina lo chiamò vicino a sé e gli chiese di scegliere tra quelle sei principesse la sua promessa sposa. «Madre, non posso,» rispose, «volete forse che io scelga solo per il suo aspetto una ragazza che conosco appena?». Queste cose richiedono tempo!» Eppure sapeva di avere amato la principessa cigno al primo sguardo. Prima che la madre potesse rispondere vi fu un'improvvisa agitazione nel cortile del palazzo; si sentì un fragore di carrozze correre sul selciato e un sonoro nitrire di cavalli. Le porte del salone da ballo furono subito spalancate e nella sala entrò a grandi passi un uomo alto e possente, che faceva roteare un gran mantello nero. Con lui entrò una gelida ventata e il principe sentì odore di pini, ma anche un puzzo di acque stagnanti. Questa persona dall'aspetto terrificante teneva per mano una principessa che, nonostante il lussuoso abito nero e argento, aveva l'inconfondibile aspetto della sua amata principessa cigno. Il principe non poteva quasi credere ai suoi occhi. Il viso era quello della sua principessa, non c'era dubbio, ma i suoi modi erano arroganti, lo sguardo era trionfante. «Maestà,» disse l'uomo alla regina, «io vi porto una principessa degna di vostro figlio, spero proprio che lui non la rifiuterà. Il principe danzò con la nuova principessa». «Ma sei proprio tu, amore mio?» le chiese. «Che cosa ti porta qui, e in tale compagnia? » «È il mago che mi ha portato da te,» rispose la principessa. «Ci ha visti vicino al lago, e udendo che ci scambiavamo una promessa d'amore, ha capito che tu eri l'uomo destinato a rompere il suo maleficio. Tuttavia, sapendo che un giorno tu governerai su queste terre, lui ora cerca la tua amicizia.» Mentre parlava, gli sorrideva e lo guardava fisso coi grandi occhi scuri. Ma il principe aveva una strana sensazione, si sentiva inquieto; gli pareva di danzare con una ragazza diversa da quella del lago. Aveva occhi indagatori che lanciavano bagliori come i preziosi diamanti che aveva sul vestito. Il principe provò un senso di smarrimento, ricordando lo sguardo gentile che, quando era davanti al lago, si fissava sui suoi occhi. «Sono davvero legato a questa creatura altera e sfavillante, oppure anche questo è un sortilegio del mago?» pensò tra sé. La principessa sembrava aver letto nei suoi pensieri. «Amore mio,» sussurrò la ragazza, «non respingermi. Temo che il mago insinui nella tua mente dei dubbi, facendomi apparire diversa da quella che sono realmente. Lui punta tutto su questo inganno, sapendo che se ora tu mi rifiuti, io sono perduta per sempre!» «Questo non accadrà mai!» rispose il principe. «Ti ho fatto una promessa, e io non sono mai spergiuro!» Gli occhi scuri, coi loro freddi bagliori, lo tenevano avvinto come un serpente che immobilizza la preda. Il giovane non poteva vedere oltre la finestra del salone lo stormo dei cigni bianchi che attraversava il cielo notturno. «Allora fa' che tutti ascoltino la tua promessa,» disse la principessa, sorridendogli con quell'espressione che lui amava tanto, «impegnati verso di me, così che l'incantesimo possa spezzarsi e possiamo finalmente essere felici insieme.» Ora parlava a voce bassa, ma senza dolcezza. Il principe si fece coraggio, si convinse che l'intrigo del mago non doveva indurlo a rifiutare la sua principessa cigno. «Una volta che l'incantesimo sarà rotto,» pensò, «io avrò di nuovo la mia cara e dolce amata.» Prese la principessa per mano e la portò davanti al trono dove sedevano i genitori. «Guardate,» esclamò, «ho fatto la mia scelta: questa ragazza e nessun'altra sarà la mia sposa!» Tutto a un tratto il mago le fu vicino e disse: «Fallo giurare davanti a tutti questi invitati. Che giuri di concludere queste nozze e che, se non terrà fede alla promessa, ne andrà della sua vita.» Quando gli occhi scuri della ragazza si rivolsero a lui, il principe sentì di nuovo l'odore di cose fetide, che marciscono in oscure profondità. E ancora una volta fu assalito da mille dubbi. «Ah!» si lamentò la principessa, guardandolo con volto amorevole. «Ti ha messo contro di me, come temevo!» E abbassò il capo, coprendosi il viso con le mani, e al principe sembrò che ella piangesse. La prese allora tra le braccia. «Giuro,» gridò, «che sposerò questa principessa, e se non sarò fedele alla mia promessa ne andrà della mia vita!» Appena ebbe pronunciato queste parole, udì un tremendo rumore vicino alla finestra in alto. Tutti guardarono in alto e videro un cigno bianco che freneticamente sbatteva le ali contro i vetri. Allora il principe capì che era stato ingannato. Guardò la ragazza che aveva tra le braccia e, quando lei sollevò il capo, vide inorridito che ora mostrava un volto completamente diverso: i suoi occhi lo schernivano e la bocca assunse un ghigno beffardo. Spingendo la ragazza lontano da sé, il principe corse fuori dal salone, mentre nelle orecchie gli risuonava lo sgradevole suono della risata sghignazzante della donna. Fuori, nel freddo della notte, prese un cavallo da uno stalliere e cavalcò disperatamente verso il lago dei cigni. Mentre cavalcava, vide sopra di sé i candidi cigni che, in volo, passavano davanti alla luna. Raggiunse il lago insieme ai cigni e osservò ancora una volta i candidi uccelli che prendevano forma umana. Quando la principessa cigno fece un passo fuori dall'acqua il principe la prese tra le braccia e se la strinse al cuore. «Perdonami,» le disse, «per aver creduto per un solo momento che quella immonda persona potessi essere tu!» «Quella è la figlia del mago,» gli rispose la principessa cigno. «Lui ha usato i suoi poteri magico per darle il mio aspetto. «Cosa si può fare,» egli chiese, «per distruggere questo maleficio? Come ti posso salvare, ora?» . «Non biasimarti,» disse dolcemente la ragazza, «il mago è troppo subdolo, perché un cuore leale possa capirlo! Presto lui si trasformerà in un gufo nero per godere della nostra pena. Questa volta, quando verrà, tu devi ucciderlo.» «Ma se lo uccido, l'incantesimo non potrà mai più essere spezzato,» ribatté il principe. «Se non lo farai,» disse la principessa cigno «ne andrà della tua stessa vita.» . «Come posso lasciarti per sempre sotto il maleficio di questo spregevole individuo?» «Non temere,» disse la principessa cigno, «la fine del mio incantesimo è ora in mio potere. Prima che termini questa notte andrò a unirmi a mia madre nelle profondità del lago di lacrime. Mi ha invocata per tanto tempo e io le ho sempre risposto: «Aspetta, madre, ma solo per un poco, perché c'è ancora qualche speranza. «Ora ogni speranza è svanita e la mia unica salvezza sta nelle sue mani.» Mentre parlava, s'alzò il vento, lo specchio del lago si oscurò e sopra di loro passò un'ombra paurosa. Poi, disperato, il principe sollevò il suo arco, lo tese e scoccò una freccia che colpì quell'oscuro nemico schiantandolo in volo. I due innamorati restarono vicini, fianco a fianco, guardando il corpo del grande gufo che si contorceva; mentre lo guardavano cambiava forma di continuo e alla fine il mago cadde morto ai loro piedi. Allora la principessa cigno baciò il suo principe per l'ultima volta, e disse: «Ora tu sei salvo e il mio dolore e il mio tormento presto saranno finiti.» Il principe vide che nel frattempo le ragazze cigno erano nuovamente diventate uccelli, e cercò di trattenere stretta a sé la principessa che invece stava dirigendosi verso l'acqua, dicendo gli: «Amore mio devi lasciarmi andare da mia madre. lo non prenderò mai più aspetto umano.» Piangendo, il principe la lasciò andare e la guardò mentre entrava nell'acqua. Avanzò senza esitare e senza voltarsi indietro, finché il lago di lacrime si chiuse sopra il suo capo. Allora il principe volse le spalle alla fredda riva su cui giaceva il mago morto, e camminò accecato dal dolore, addentrandosi nella foresta. Un viottolo serpeggiante lo condusse su un alto dirupo a picco sul lago. Si voltò a guardare per l'ultima volta quelle acque scure. Ora una bufera infuriava, sollevando enormi, furiose ondate, e al giovane sembrò di udire nel vento la voce dell'amata che lo chiamava. D'un tratto capì che l'unica cosa che desiderava era raggiungere l'amata perduta. Con un urlo straziante si gettò dalla cima del dirupo e precipitò sulle onde burrascose che si infrangevano sulla scogliera.
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Il cuore di una dama apprende solo la bontà, la sua beltà sostiene i cavalieri, il suo coraggio difende gli inermi e la sua mente conosce solo la verità!!! Eilonwy Ultima modifica di Eilonwy : 12-01-2014 alle ore 13.23.31. |
12-01-2014, 01.22.08 | #297 |
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Le vere storie dei balletti classici
Giselle:
Berta,osservava dalla finestra,la figlia Giselle che danzava con una tal grazia,che il suo cuore si colmò di gioia. Berta, però oltre ad essere fiera della figlia, era anche tanto preoccupata,data la sua cagionevole salute; infatti Giselle ballava con così tanta passione che arrivava a casa sempre sfinita dalla fatica.Intanto fuori, in mezzo agli alberi un gruppetto di giovani guardavano le ragazze danzare e, Berta, osservava Ilario, il guardiacaccia, che con il suo sguardo cupo fissava Giselle. Purtroppo l'uomo era un carattere collerico e dai modi rozzi, nonostante fosse onesto e premuroso con sua figlia, non avrebbe mai conquistato la ragazza, così solare ed allegra.Dopotutto Giselle amava Loys,un ragazzo dai modi gentili ed affettuosi. Egli,era arrivato da poco in paese e viveva in una piccola dimora, però di lui si sapeva ben poco.Berta intanto, si accorse che Giselle era sfinita dal ballo e le intimò di rientrare a casa. " Guarda come sei accaldata e il tuo cuore sembra impazzito!" disse la madre alla figlia. Un bel giorno potresti morire mentre danzi....e lo sai vero a cosa andresti incontro?" borbottò. "Mamma,lo dici sempre. Raggiungerò gli spiriti delle fanciulle morte prima delle nozze e vagherò come un'anima in pena nel bosco, con un lungo abito bianco e spaventando le persone." rispose sorridendo Giselle. Berta corrucciò il viso e la figlia l'abbracciò dicendole di non preoccuparsi, ed aggiunse: "Mi sposerò presto ed avrò tanti bambini, che tu magari vizierai.." Berta si confortò e guardando Giselle negli occhi aggiunse :" Figliola, credo di sapere chi sposerai" La fanciulla arrossì, visto che non aveva detto a nessuno quello che provava per Loys. Il suo viso si fece malinconico nel pensare quello che Ilario le aveva raccontato di averlo visto indossare un sontuoso mantello ed impugnare una spada tempestata di pietre preziose. Fra sé e sé pensò ancora che Ilario avesse inventato tutto per pura invidia ed il suo viso tornò sorridente.Fuori, intanto proseguivano le danze e, quella mattina Giselle aveva danzato con Loys per tutto il tempo. Le danze ad un tratto vennero interrotte da un suono di corni seguito dall'arrivo di un nobiluomo a cavallo e da un'elegante ragazza. Giselle che osservava dalla finestra si accorse che si stavano avvicinando alla sua casa e corse ad aprire invitandoli ad entrare. Il nobiluomo accettò l'ospitalità e si presentò come il principe del paese con la figlia principessa Batilde.Questa pregò Giselle di far continuare i festeggiamenti e i balli che appunto erano cessati causa il loro arrivo."Oh mamma, ti supplico, lascia che danzi ancora per i nostri gentili ospiti." disse e corse fuori a raggiungere le amiche e cominciò a ballare. Danzava con così tanta bravura, che la principessa Batilde, volle chiamarla a sé per donarle la sua catena d'oro. Giselle, emozionata , accettò il prezioso dono e corse subito da Loys, che nel frattempo era tornato, e l'abbracciò. Non ebbe nemmeno il tempo di mostrargli la bellissima catena, perché nella penombra scorse il viso adirato di Ilario che li fissava. "Finalmente vi ho preso!" esclamò l'uomo a Loys mostrandogli il mantello e la spada tempestata di pietre ed aggiunse:" Penso ti appartengano; certo che un povero contadino come siete,pare strano che possegga così tanto valore." " Cosa dite? Io non so nulla di quello che mi dite!" gridò Loys ad Ilario. " Non mentite ancora voi siete un impostore che si prende gioco di un'ingenua fanciulla!" disse con tono sempre più collerico. "Ti prego Loys, dimmi che non è vero" supplicò Giselle stringendo disse con tono sempre più collerico. "Ti prego Loys, dimmi che non è vero" supplicò Giselle stringendo forte a sé l'amato. Intanto dalla casa di Berta uscirono il principe e Batilde dirigendosi verso di loro."Ebbene, eccomi qua. Come sta il mio prode fidanzato?" disse con tono festoso Batilde a Loys. Giselle fu subito sopraffatta da un tremore e non riuscì più a tener ferme le mani. "Ho capito bene....fidanzato?" balbettò Giselle. "Si, è il mio fidanzato... lui è Albrecht" disse Batilde mostrando a Giselle l'anello prezioso che aveva al dito. Gli occhi della fanciulla si riempirono di lacrime e non servì a nulla il conforto delle amiche che, nel frattempo erano accorse per consolarla. Giselle iniziò a correre sembrando un animale braccato che andava di qua e di là. Berta, uscì da casa e rimase atterrita nel vedere il volto sconvolto della figlia. Urlò " Cosa è successo alla mia bambina? scrutando tutte le persone. A quel punto Giselle iniziò a danzare lentamente con gli occhi fissi e sbarrati ; piano piano il ballo diventò sempre più frenetico e veloce. La fanciulla smise di colpo e, come una preda ferita, barcollando, tese le mani verso Albrecht, colui che aveva sempre creduto fosse Loys. Mentre il giovane le corse incontro, di colpo il cuore di Giselle cessò di battere e la fanciulla cadde a terra priva di vita.I presenti subito credettero fosse svenuta, ma quando udirono la disperazione di Berta, capirono che era morta. Albrecht sollevò il corpo della ragazza, ma Ilario lo fermò intimandogli di andarsene immediatamente. Il giovane ebbe subito un tremendo senso di colpa ; per tutta la notte, non chiuse occhio e non riuscì persino a mangiare. La notte seguente, montò a cavallo e si diresse verso la foresta, come attratto da una invisibile forza che lo portò sul punto dove era sepolta Giselle. Proprio sulla tomba, Albrecht scorse Ilario e, i due, si scambiarono sguardi pieni di odio. Entrambi stavano impugnando le armi, quando udirono strani movimenti e videro pallide luci che volteggiavano aumentando sempre più la luce, fino a prendere la forma di una fanciulla dal lungo abito bianco. Intorno a lei si misero a cerchio altre fanciulle dal viso pallido ed una di loro, la più alta, chiamò a sé Giselle. Albrecht ed Ilario terrorizzati videro un chiarore che si levava dalla tomba assumendo le sembianze della fanciulla. Ilario d'istinto,si avvicinò a lei, ma fu spinto dentro un vortice che lo trascinò fino al lago, facendolo precipitare nelle sue profondità.Intanto Giselle ed Albrecht erano sempre lì, nel bosco, accanto la tomba. Il giovane teneva la mano della fanciulla, ed insieme danzavano trascinandosi in un ballo sempre più veloce e furioso. Lo spirito di Giselle oramai, poteva danzare, senza più stancarsi, ma , sapeva che Albrecht non avrebbe retto per molto tale sforzo. Nel cuore di Giselle non c'era vendetta, lei lo amava ancora e non voleva che morisse Lentamente Giselle lo condusse vicino alla croce della sua tomba, ed il giovane sfinito si aggrappò con tutte le sue forze appoggiandosi sulla lapide dove fu immediatamente inghiottito dalle tenebre. Venne l'alba, ed Albrecht aprì gli occhi e, fu solamente allora, che egli capì che un simile amore é concesso solo una volta nella vita e, che, il suo destino sarebbe stato quello di trascorrere il resto della sua vita senza incontrare più l'amore.
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12-01-2014, 01.27.41 | #298 |
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Le vere storie dei balletti classici
Lo Schiaccianoci:
Tutti gli anni, la Vigilia di Natale,in casa di Clara si teneva un magnifico ricevimento e,quella sera,amici, parenti, giovani, vecchi si riunirono tutti quanti nel grande salone ,dove un grande albero di Natale splendeva di mille luci. Clara, frastornata, ammirava gli abiti di seta delle eleganti signore che, con un colpetto al capo, le dicevano quanto fosse cresciuta. Dappertutto c'era un gran vocio; la bambina si sentiva un pò a disagio e cercava di nascondersi dietro le pesanti tende di velluto incantandosi a guardare la coltre di soffice neve posata sui tetti. Il nascondiglio però durò poco e Clara dovette uscire dalla tenda richiamata dai suoi genitori. La bimba distinse fra gli invitati un curvo signore vestito di nero che salutò mamma e papà e che guardò Clara esclamando "Ah, sì tu sei speciale!" Immediatamente a suo seguito arrivarono dei servitori che portarono grosse scatole e che posero al centro del salone. Gli ospiti si avvicinarono incuriositi per vedere cosa contenessero e, con gran meraviglia videro uscire da essi graziosi pupazzi, fantocci colorati, c'era persino Arlecchino e Colombina e tanti soldatini. L'uomo allora prese in mano una chiave ed ad uno ad uno li caricò per farli danzare. Clara, insieme ai partecipanti, era stupita e fissava tutta quella meraviglia che si muoveva a suon di musica. Venne però distratta da una mano che si posò sulla sua spalla. "Ho un regalo speciale per te... é per una persona speciale" disse l'uomo vestito di nero alla bimba,dandole in mano un brutto pupazzo di legno con la bocca piena di grossi denti in fuori.Ma a Clara piacque tantissimo e fece capire all'uomo che lo trovava alquanto buffo e divertente. "Sono contento che ti piaccia, ma guardalo bene, esso ha una dote particolare."Subito l'uomo prese in mano una noce la infilò nella bocca del pupazzo ed i grossi denti la spaccarono in due pezzi. Fu proprio in quel momento che, Franz, fratello minore di Clara, si ingelosì a tal punto da strappare dalle mani della sorella lo Schiaccianoci, gettandolo per terra e calpestandolo.La bambina si mise a piangere e raccogliendolo cercò di mettergli qualche piccola benda portandolo al riparo dietro la tenda dove rimase con lui. Si era intanto fatto molto tardi, e gli ospiti cominciavano ad andarsene. I genitori di Clara notarono la bambina che si era addormentata ed il papà la prese in braccio per portarla a letto, ma non si accorse che lo Schiaccianoci cadde dalle mani della piccola e finì sul pavimento. Nel mezzo della notte,la bambina si svegliò di soprassalto cercando il suo pupazzo che non trovò da nessuna parte. Decisa, si infilò le pantofole e piano piano scese per recarsi in salone dove lo aveva lasciato. Quando aprì la porta, una folata di vento fece aprire la finestra e , la corrente d'aria riaccese il fuoco del camino. Improvvisamente la sala si riempì di ombre paurose e, Clara impaurita corse a prendere il suo Schiaccianoci e lo tenne stretto a sè. Di colpo un rumore graffiante pervase e la stanza si ingigantì a vista d'occhio ; persino l'albero di Natale sembrava una foresta invasa da tantissimi topi appesi ad esso che mordicchiavano gli omini di marzapane.Peggio ancora c'era un topo a capo di tutti che era di proporzioni gigantesche e che portava in testa una corona. Clara tremava dalla paura temendo di essere vista, sebbene si fosse nascosta in un angolo buio. All'improvviso dalle scatole uscirono i soldatini di piombo che si dirigevano verso i topi per combatterli ed il loro comandante....era proprio lui ..il suo amato Schiaccianoci. Clara, atterrita osservava la strana lotta fra i soldatini ed i topi ; ad un certo punto le sembrò che il Topo enorme stesse ferendo con la sua spada lo Schiaccianoci ; a quel punto si tolse una pantofola e gliela scagliò facendogli perdere l'equilibrio, solo così il suo adorato pupazzo poté colpire la testa del re dei Topi. Clara notò che dello Schiaccianoci si era persa ogni traccia, mentre un bellissimo principe in carne ed ossa le si avvicinava. "Grazie a te è stato spezzato un incantesimo malefico che per anni mi aveva colpito" disse il giovane alla bambina abbracciandola. "Sono io, lo Schiaccianoci che solo tu col tuo amore hai potuto finalmente sciogliere questo sortilegio" esclamò il principe sorridendo a Clara. La bambina era stupita e incantata; non sapeva se stesse sognando o cosa fosse successo, ma stringeva a sé il giovane con tutte le forze che aveva."Pensa, un tempo vivevo in un regno chiamato il regno dei Dolci, finché un giorno fui vittima di questo incantesimo e diventai il brutto e buffo pupazzo Schiaccianoci; solo tu mi hai amato nonostante il mio goffo aspetto e, per questo voglio che tu ora esprima un desiderio." disse il bel principe alla bimba. Clara espresse subito il desiderio di volare in mezzo alla neve e immediatamente si trovò leggera come una piuma per mano al Principe a volare sulla città innevata. "Non aver paura, ti condurrò nel mio Regno" disse il giovane. I due attraversarono foreste, montagne, città, mari, fino a raggiungere un bellissimo castello completamente fatto di zucchero. Il principe fece conoscere a Clara la Fata dello Zucchero,padrona della terra dei Dolci, raccontandole che, la piccola lo aveva liberato dal tremendo incantesimo. Tutto ad un tratto tutti i dolci, le caramelle, i biscotti di marzapane si misero a ballare intorno a Clara e formarono un grandissimo cerchio intorno al principe. Però questa festosa atmosfera non durò a lungo; infatti i balli , i suoni ed i dolci sparirono e tutto tornò tranquillo. Clara aprì gli occhi... era la mattina di Natale. Il suo primo pensiero fu per lo Schiaccianoci, che per fortuna, era ancora lì, accanto a lei, e non era il bellissimo principe, ma bensì il brutto pupazzo dai denti grossi. La bimba lo strinse forte a sé pensando di aver sognato e, in silenzio per non svegliare nessuno, si avviò nella sua cameretta.
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12-01-2014, 01.31.00 | #299 |
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Le vere storie dei balletti classici
Coppelia:
Svanilda entrò nella piazza del paese in cerca di Franz, il suo ragazzo. Sembrava molto arrabbiata. Franz l'aveva corteggiata per circa un anno. Ogni giorno era passato da casa sua per prenderla e poi passeggiare con lei vicino al torrente, o danzare insieme alla festa del paese, o semplicemente per tenerle stretta la mano e giurarle eterno amore. Franz aveva ottenuto il consenso dei genitori della ragazza, i quali avevano fissato il giorno delle nozze: e questo giorno era arrivato. Il giorno prima Svanilda aveva aspettato Franz invano, perché lui non si era fatto vedere.Aveva invece incontrato una ragazza, che del resto non le era mai stata simpatica, la quale l'aveva fermata proprio per dirle che Franz aveva un nuovo amore. «È la figlia del vecchio dottor Coppelius,» le aveva detto la ragazza, «è davvero bellissima. Tutti i ragazzi impazziscono per lei, ma il preferito sembra essere proprio il tuo Franz!» Dapprima Svanilda scosse il capo e non volle crederle. Dopo tutto, era poco probabile che il fabbricante di giocattoli avesse improvvisamente acquisito una figlia, e oltretutto anche bella. Era un uomo, ripugnante e irascibile. Aveva sempre vissuto solo nella sua casa malandata nella piazza del villaggio. La gente del posto si teneva alla larga e raccontava storie raccapriccianti su ciò che accadeva in quella vecchia casa da cui provenivano suoni strani, scricchiolii e colpi di martello a tutte le ore del giorno e della notte. Ma quella sera, quando Franz non era ancora arrivato, Svanilda decise di andare a vedere come stavano le cose. Si fermò dietro uno degli alberi che circondavano la piazza e guardò verso le finestre di casa del vecchio. Era proprio vero! Là, bene in vista, c'era una ragazza, pallida in viso, con lunghi capelli neri. Aveva il capo inclinato, come stesse ricamando, e doveva essere veramente molto bella. Svanilda notò che molti giovani del villaggio passavano davanti alla finestra e salutavano la nuova arrivata. La ragazza girava il capo e sorrideva ogni volta con grazia, prima di tornare a ricamare. Poi Franz svoltò all'angolo e sostò a fissare verso la finestra. Questa volta la ragazza sollevò anche una mano e salutò mentre il giovane le sorrideva. Franz sembrava felicissimo e in risposta, prima di riprendere il cammino, le mandò dei baci. «Infame!» pensò Svanilda rabbiosa. «Se solo riesco a mettergli le mani addosso! Quanto a quella astuta creatura, se crede di rubarmi il mio Franz!...» E cominciò così a progettare una terribile vendetta. Svanilda si era allontanata di poco quando vide il dottor Coppelius che usciva di casa. Chiuse la porta malandata, la serrò con una grande chiave d'ottone e si voltò per incamminarsi lungo la strada. Ma proprio allora due ragazzini che avevano svoltato l'angolo di corsa andarono a sbattergli contro, urtando il suo bastone da passeggio e facendolo così cadere. La grossa chiave fece un volo per aria, brillò al sole e cadde vicino ai piedi di Svanilda. Era così occupato a ritrovare il suo bastone che si dimenticò della chiave. Agitando minacciosamente il bastone urlò dietro ai ragazzi, poi se ne andò. Svanilda raccolse la chiave e la osservò pensierosa. Proprio in quel momento alcune sue amiche camminavano lungo la via chiacchierando tra loro: stavano sparlando della nuova arrivata. Dicevano che si chiamava Coppelia e che stava flirtando con tutti i loro fidanzati. «Il tuo Franz è infedele come gli altri,» le dissero, «ma lei non ha occhi che per lui solo!» «Ma davvero?» esclamò Svanilda accigliata. «Presto vedremo cosa fare!» E attraversò svelta la piazza dirigendosi verso la casa della ragazza. Ma di lei ora non c'era traccia. «Esci fuori, Coppelia!» chiamò Svanilda e a lei fecero eco le altre ragazze. Ma non ci fu risposta. La casa restava buia e silenziosa. «Succede sempre così!» disse una ragazza. «Lei sorride e saluta tutti i ragazzi, ma se noi la chiamiamo, lei non ci vuole neppure conoscere!» Svanilda guardò la chiave che aveva in mano. «Lei può anche non volerci conoscere,» disse, «ma io credo proprio che noi andremo a farle visita.» E raccontò loro come aveva avuta la chiave di casa di Coppelius. Svanilda introdusse allora la chiave nella serratura. All'interno la casa era malandata, buia e le imposte erano chiuse. «E tu oseresti entrare?» sussurrò una ragazza con un po' di paura. «Intendo dire, se hai udito cosa si racconta di quanto succede in quella casa!» «Bene, se voi avete paura, io non ne ho!» ribatté Svanilda. In realtà si sentiva piuttosto agitata, ma amava Franz e non avrebbe rinunciato a lui senza lottare. «Venite,» disse mentre un raggio di sole penetrava nell'ombra polverosa. Alle ragazze un po' spaventate pareva che strane forme si appostassero negli angoli, immobili ma minacciose. Alcune di loro volevano tornare indietro, ma le più coraggiose le spingevano in avanti. «Al piano superiore,» fece segno Svanilda, «la ragazza è di sopra e io voglio parlare con lei.» In cima alle scale c'era un po' più di luce che proveniva dalla finestra con le mezze tendine dove stava seduta Coppelia. La luce del sole metteva in evidenza delle sagome in grandezza naturale: un Arlecchino, un Giocoliere, un Pierrot e molte altre. Tutte le figure erano immobili, braccia e gambe ferme in goffe posizioni. Cautamente, Svanilda allungò un dito e toccò il Giocoliere; questi si mosse di scatto, facendo sussultare e terrorizzando le ragazze. Poi la figura tornò immobile. Svanilda la guardò più attentamente e vide una grande chiave inserita nel mezzo della schiena. La fece girare due volte e il Giocoliere cominciò a muoversi come un essere vivente, a balzare qua e là, ad afferrare palline di colori vivaci. «Ma come, sono solo grandi giocattoli meccanici,» disse stupita la ragazza. Poi le venne un sospetto e si mise a cercare intorno finché trovò un'alcova protetta da una tenda, la scostò e scoprì che lì dietro stava seduta l'incantevole Coppelia, zitta e ferma. Cercando sulla schiena, Svanilda vide un'altra chiave, la girò e, anche questa volta, la giovane cominciò a sorridere e si girò verso di lei. Come capirono che la loro rivale, causa di tante gelosie, era solo una bambola meccanica, tutte le altre ragazze cominciarono a ridere. E risero ancora di più pensando quanto fossero stati sciocchi i ragazzi, fantasticando su una grande bambola a cui mandavano sguardi e baci. Alla fine, risero tanto da diventare imprudenti; correvano dappertutto, caricando le altre bambole, finché tutte queste cominciarono a danzare, giocare e ad agitare le braccia. Poi, proprio quando il gioco era ormai sfuggito dalle loro mani, udirono un grido rabbioso e, voltandosi, videro il dottor Coppelius fermo sulla soglia di casa. Le ragazze smisero di ridere e rimasero impalate. Solo gli automi continuarono a muoversi a scatti, e a contrarre i loro arti meccanici, finché, finita la carica, si bloccarono. Per un lungo momento ci fu un silenzio irreale; poi Coppelius lanciò un urlo improvviso e corse fuori, muovendo il bastone. Le ragazze scapparono via, giù lungo la scala, squittendo impaurite come topi in un solaio. Rimase solo Svanilda, bloccata nel punto più lontano della stanza. Si guardò attorno poi si infilò nell'alcova di Coppelia e ne rinchiuse in fretta la cortina. L'uomo allora chiuse la porta e rientrò nel buio della sua casa borbottando. Accese una lampada e controllò se le sue bambole erano state danneggiate. Sembrava che non amasse la luce del giorno.Quando infine arrivò all'alcova, tirò indietro la cortina per vedere se c'era ancora la sua Coppelia. Avvicinandole la lampada si accorse che aveva la parrucca di traverso, allora gliela sistemò con cura. Ma prima che potesse esaminarla più attentamente, sentì un rumore vicino alla finestra. Spense allora la lampada e, silenzioso come un fantasma, si ritirò nel buio. Un attimo dopo la persiana si aprì cigolando e Franz scese dal davanzale nella camera. Credendosi solo, chiamò dolcemente Coppelia, e sussultò quando la voce del vecchio esclamò: «Cosa avete a che fare con mia figlia, che vi porta qui come un ladro in casa mia?» Colto in fallo, Franz poté dire solo la verità. «Perdonatemi, dottore,» rispose il giovane, «ho sbagliato, lo so, ma l'amore che provo per vostra figlia mi ha reso imprudente. » «Quindi voi amate mia figlia, è così?» La sua voce cambiò tono, si fece improvvisamente accondiscendente. «Allora forse sarete contento di farmi un piccolo favore?» «Qualsiasi cosa chiediate!» rispose ansioso Franz. «Allora sedetevi, giovanotto,» disse il dottor Coppelius, «e datemi la prova di quanto vi stia a cuore mia figlia.» Franz era felice di essere stato così ben accetto. Il vecchio riaccese la lampada, andò a prendere una bottiglia e offrì al giovane un bicchiere di vino. Franz notò appena che questo aveva uno strano sapore amaro. Forse il vecchio desiderava tanto trovare un marito per l'amata figliola, pensò il giovane speranzoso. A mano a mano che il pensiero gli entrava in testa, si sentiva sempre più stordito e confuso. Ebbe appena il tempo di capire che il vino era drogato prima che precipitasse, a testa in giù sulla tavola, in un sonno profondo. «Ecco quale era il piccolo servizio per cui eri tanto volenteroso!» Il maligno gongolava sul sonno del povero Franz. «lo userò il tuo inutile spirito per dare vita alla mia adorata creatura!» Poi andò a tirar fuori da uno scaffale polveroso un enorme libro di magia, lo pose sul tavolo, lo aprì e cominciò a recitare con voce monotona uno dei sortilegi che conteneva. E mentre lo leggeva, muoveva in aria le mani ossute, come se tentasse di estrarre da Franz la forza del suo spirito vitale per passarlo alla bambola che aveva creato. Gli parve che la magia si realizzasse! Mentre la guardava, gli sembrò infatti che Coppelia stesse come svegliandosi da un lungo sonno. In realtà la bambola era Svanilda, che si era travestita da Coppelia, coi suoi vestiti e la sua parrucca. Spostandosi con movimenti rigidi, si alzò dalla sedia e camminò per la camera. All'inizio seguì i comandi del vecchio Coppelius, ma poi, con grande sgomento di questi, sembrò acquistare una propria volontà. Cominciò a muoversi qua e là urtando contro preziosi giocattoli, rompendo loro braccia e gambe. Infine si mise a danzare, roteando per la camera, e ogni volta che si accostava a Franz si fermava per un attimo e lo scrollava energicamente, cercando di svegliarlo. Nella camera buia, piena d'ombre, il vecchio era disperato. Aveva fatto alla sua Coppelia il dono della vita, l'aveva trasformata da bambola meccanica in creatura vivente, e ora lei aveva perso completamente il controllo di se stessa. Franz si stava svegliando ed era ugualmente sbigottito nel vedere la delicata e tranquilla Coppelia comportarsi come una pazza. Girava ancora intorno, su se stessa... e poi crash! La lampada volò via e la luce si spense. Qualcuno lo tirava per i piedi e lo spingeva giù dai gradini. Franz scese volentieri: ne aveva abbastanza della figlia del dottor Coppelius! Intanto il dottore tentava di riaccendere la lampada. Come si accese una debole luce, restò a guardare allibito una scena di assoluta desolazione: tutte le sue bambole erano state ridotte in pezzi. Ma finalmente Coppelia sembrò aver esaurito il potere di muoversi, e ora giaceva immobile sul pavimento dall'alcova. I suoi vestiti erano sparsi qua e là e aveva perso la parrucca; era comunque un modesto prezzo da pagare, pensò , per la pace e la quiete. Scuotendo la testa, perplesso, Coppelius giurò a se stesso che sarebbe rimasto fedele ai suoi automi, e non avrebbe mai più tentato di praticare la magia. Fuori, nella strada sempre più buia, Svanilda si affrettava verso casa insieme a Franz, ancora piuttosto confuso. Non era affatto sicuro di cosa lei stesse brontolando, o perché lei lo colpisse di tanto in tanto. Ma era molto felice di essersi liberato della strana e pazza Coppelia e di aver ritrovato il suo vecchio amore. Qualsiasi cosa egli avesse fatto, pensava che Svanilda lo avrebbe perdonato e dimenticato.
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Le vere storie dei balletti classici
Petrushka:
Nella cassetta di legno il buio era assoluto. Non vi filtrava neppure un raggio di luce, una volta chiusa la serratura. Ma il buio non preoccupava Petrushka, anzi a volte lo trovava piacevole. Petrushka aveva infatti passato gran parte della sua vita in quella cassetta. Una volta terminato lo spettacolo, il burattinaio non perdeva tempo. Quando il sipario calava tra gli applausi degli spettatori e le risa dei bambini, il sorriso svaniva dal volto del vecchio. Osservava accigliato quei flosci burattini che erano gli strumenti della sua attività, e passava in rassegna i danni del tempo e dell'usura. Le finiture dorate della giubba rossa del Moro stavano staccandosi: andavano ricucite. La Ballerina aveva uno strappo nella gonna, nel punto in cui era rimasta impigliata con la spada del Moro: bisognava rammendarlo. In quanto al Pagliaccio, cioè a Petrushka, la sua faccia di legno era così logora e tutto il costume era così stracciato, che doveva proprio essere presto sostituito da un altro nuovo. Da solo nel buio, Petrushka ascoltava i rumori degli scenari che venivano abbassati e riposti. Sobbalzò quando le cassette vennero gettate sul carro, e udì quindi il rumore delle ruote sulla strada, mentre lo spettacolo dei burattini si spostava verso un'altra città. Dentro la cassetta la vita era molto più semplice. Il dolore e la tristezza non se ne andavano, ma comunque non poteva farci nulla. E ogni volta che pensava alla propria vita, riusciva a persuadersi che in futuro le cose sarebbero potute cambiare. Rabbrividì nel pensare al Moro, imponente nell'aspetto, ma crudele. Non è poi colpa sua se è così spaventoso, pensò Petrushka, ma era quella la parte che doveva recitare. Tuttavia questo pensiero non gli era di gran conforto quando il Moro danzava sul palco, facendo roteare la spada di legno sopra la sua testa e sfiorandogli quasi il cuore con la lama. Petrushka pensava però che tutto questo non avrebbe poi avuto molta importanza, se la Ballerina lo avesse amato! Ma perché lei invece si sedeva sulle ginocchia del Moro e gli sorrideva con tanta dolcezza? Quando pensava alla Ballerina, ai suoi capelli d'oro, ai suoi grandi occhi azzurri, alle sue guance rosate, la sofferenza di Petrushka diventava quasi insopportabile. Ma sarebbe stato diverso la prossima volta, pensò. Lei avrebbe finalmente capito quanto lui l'amasse e improvvisamente avrebbe ricambiato il suo amore per lei. E tirò un lungo sospiro immaginando quanto sarebbe stato dolce vivere insieme. Poi si addormentò, cullato da quel monotono dondolìo. Si svegliò di soprassalto quando la cassetta fu gettata sul palcoscenico; di nuovo il cuore gli cominciò a battere svelto. Il rumore sull'acciottolato era finito, poté udire suoni attutiti di musica e risate. Sembravano i rumori tipici di una fiera, rumori conosciuti e di buon auspicio. Significava infatti che ci sarebbero stati un pubblico numeroso e molti incassi, e questo avrebbe messo di buon umore il burattinaio. Quando si alzò il coperchio della cassetta la luce lo abbagliò dopo la fitta oscurità. Petrushka si sentì sollevare e, subito dopo, eccolo di nuovo al suo posto sul palcoscenico, in attesa che il polveroso sipario si aprisse. Ebbe appena il tempo di gettare uno sguardo di fianco, per vedere la sua amata Ballerina in equilibrio sulle punte dei piedi al centro del palco, col feroce Moro dall'altro lato. Poi il sipario si aprì, apparve la massa dei volti attenti dei bambini e lo spettacolo ebbe inizio. La Ballerina danzò per prima, con grazia, sulla punta dei piedi. Sollevando le mani sopra il capo piroettò tutt'attorno al palco, mentre tutte le bimbe del pubblico morivano dalla voglia di fare come lei. Petrushka si inginocchiò sul davanti del palco e tese verso di lei le braccia imploranti; ma lei gli passò davanti piroettando e sembrò non averlo quasi notato. «Lei in realtà non è così crudele,» pensò l'infelice Pagliaccio, «è solo la parte che deve interpretare sulla scena, come io devo fare quella del pagliaccio malinconico.» Per lui non era difficile recitare questa parte, amandola come lui l'amava. Il pubblico non avrebbe mai saputo che le sue lacrime erano vere! Poi la Ballerina si fermò sul fondo del palco, mentre il Moro balzò al centro. Come appariva bello, coi ricami dorati che spiccavano sulla giubba rossa, e coi riflessi argentei che balenavano quando brandiva la spada di legno! Tutti i maschietti del pubblico (ma forse anche alcuni loro papà) sognavano di poter apparire così fieri e coraggiosi. Il Moro mandò baci alla Ballerina, che timidamente avanzò verso di lui sulla punta dei piedi, e quando le si inginocchiò davanti, lei gli si sedette sulle ginocchia. Il pubblico applaudì e la Ballerina ricambiò mandando baci a tutti. «Se mi mandasse anche un solo bacio,» pensò Petrushka, «mi accontenterei anche di un unico piccolo bacio, ma lei non guarda neppure dalla mia parte!» Allora le andò vicino, sempre più vicino, lentamente, fino a raggiungerla e a toccare la sua mano. Spaventata, ella emise un piccolo grido, e allora il feroce Moro si voltò a quella voce, e fissò i minacciosi occhi neri sull'implorante Pagliaccio. Poi balzò furente ai suoi piedi, spaventando la piccola Ballerina, che continuava a far sorridere il pubblico. Si lanciò quindi verso Petrushka, facendo roteare la spada attorno allo sfortunato Pagliaccio che si rannicchiò impaurito sul davanti del palcoscenico. Tutto questo faceva parte dello spettacolo, ma era il momento che Petrushka temeva sempre. Infatti pensava che, prima o poi, la spada gli si sarebbe accostata troppo, e avrebbe posto fine alla sua infelicità. E questo accadde davvero. Le assi che coprivano il palco erano irregolari e ormai logore, e un piede del Moro si bloccò contro un listello. Il Moro incespicò, poi rapidamente riprese l'equilibrio. Ma in quel breve attimo la sua spada si impigliò nel logoro corpo fatto di stoffa di Petrushka: lo spaccò spargendo segatura su tutto il palco, mentre il burattinaio richiudeva in fretta il sipario. Petrushka giaceva sul palcoscenico in un mucchio di segatura. Mentre la sua vista si faceva sempre più confusa, vide che il Moro e la Ballerina venivano sollevati e sistemati nelle loro cassette. Poi il burattinaio guardò in basso, verso di lui. «Ahimè, ora abbiamo davvero bisogno di un nuovo Pagliaccio!» borbottando spinse col piede il povero Pagliaccio giù dal bordo del palco, facendo lo cadere nel buio. Il palcoscenico fu smontato, le cassette furono riempite, e il rumore del carro si spense lontano, nella notte. Petrushka udì quel rumore svanire lontano. «Proprio così,» pensò tristemente, «finisce anche la mia vita»; ma era troppo debole per muoversi. E allora, proprio in quel momento, gli passò vicino una bimba. Stanca e assonnata, dopo un lungo giorno passato alla fiera, si trascinava dietro alla mamma che la teneva saldamente per mano. Era una bimba assai graziosa, con riccioli d'oro, grandi occhi azzurri e guance rosa. Si fermò, quando vide il vecchio e malandato pagliaccio buttato nella polvere, afferrò il vestito del povero e sbrindellato Petrushka e, sollevatolo lo pose in salvo tra le sue braccia. Guardando verso l'alto, nella debole luce, Petrushka vide due grandi occhi azzurri che lo guardavano con dolcezza, e una graziosa bocca che gli sorrideva. Non capì bene se ora si trovava veramente in paradiso, o se invece aveva trovato solo una nuova parte da recitare.
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