23-09-2009, 14.53.53 | #51 |
Dama
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Mie care amiche,
chiedo scusa ma parto da dove ho, ahimè, lasciato. Ho avuto problemi con questo "mezzo" di informazione e ora sto cercando di rimettermi alla pari con i vostri interventi e con la narrazione della storia. Mi ha fatto molto sorridere l'arguzia di lady Vivian nello descrivere il nostro buon trovatore sir Guisgard. Geniale interpretazione milady. Sir Guisgard: non me ne vogliate. Voi ben sapete che le dame sono attratte dall'intelligenza del cavaliere -e a Sir Guisgard non manca di certo questo particolare- nonchè dalla capacità di relazione -neppure questa, di certo-. Ora sta a voi, mio caro Amico, a saper usare la giusta misura per ciascuna in quanto, come voi ben sapete, noi dame...sappiamo contare molto molto bene |
24-09-2009, 03.43.20 | #52 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Lady Ilamrei, nessuna delle virtù di voi dame può essere ignota o sconosciuta.
Ognuna di voi meriterebbe un racconto in cui essere la protagonista e la principale eroina. Racconti esotici, avventurosi, in terre lontane e misteriose, avvolte da atmosfere incantate, ricche di fascino e senza tempo. E un giorno forse, grazie all'aiuto di una generosa musa scesa dal Parnaso nel mio palazzo per ispirarmi, riuscirò in questa impresa. Per ora, nel continuare a raccontarvi del valoroso Ardea, troverò, tra le sue gesta, i suoi sogni ed i suoi sospiri, un dono da dedicare ad ognuna di voi
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24-09-2009, 14.42.41 | #53 |
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Vi vedo Sir Guisgard, lo sguardo perso nel vuoto, nella mente una melodia conciliante, mentre dalla vostra penna volatile gocce di inchiostro macchiano la sfrigolante pergamena.....lo scrittoio e' posto d'avanti alla finestra, e la leggera brezza fa' tremolare la fiamma della candela......nulla vi distrae, troppo assorto a scrivere la storia di un giovane cavaliere........vi esorto Sir a proseguire, e' talmente bella che si vorrebbe leggere tutta d'un fiato........
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24-09-2009, 20.25.45 | #54 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Milady, le vostre parole hanno per me lo stesso effetto di quelle di una musa.
Cos'altro è in fondo l'ispirazione per chi scrive, se non lo slancio che, sollecitato da un qualcosa di straordinario, viene dal cuore e permette di dar vita a ciò che è racchiuso in fondo al nostro animo.
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25-09-2009, 03.22.58 | #55 |
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ARDEA DE' TADDEI
XII “Io la vidi quella spada e nulla di mortale possedeva, se non il dono di rendere un mortale un eroe.” (Inni Eroici, II, III) Quella notizia ovviamente scosse gli invitati alla cena. Sul cuore di Ardea scese un velo di intensa quanto prevedibile tristezza, nonostante diventare cavaliere era da sempre il suo sogno più grande. Ma l’idea di separarsi, anche se per un tempo limitato, da suo padre, lo rendeva malinconico ed inquieto. Il duca, accortosi che l’atmosfera non era più gaia a tavola, chiamò a gran voce i musici. “Avanti” ordinò il duca a questi “ fateci sentire qualche audace verso di qualche nobile impresa, sfaccendati che non siete altro!” E subito nella sala musica e rime si diffusero liete, alleggerendo, per quanto possibile, la tristezza dei presenti. Alla fine della cena però avvenne una singolare scena. Tre servitori, senza essere chiamati, passarono in processione, portando ciascuno un misterioso oggetto. Il primo aveva con se un candelabro d’oro sul quale ardeva una candela rossa; il secondo invece recava con se un grosso gufo reale impagliato con le ali spiegate; il terzo infine reggeva su un cuscino purpureo, bordato da drappi dorati, una magnifica e pesante spada, riccamente adornata di luccicanti pietre preziose. Nessuno dei presenti sembrò dar peso a quelle singolare scena. Nessuno tranne Ardea. Il giovane restò molto stupito da quella processione, ma ancor più lo fu del silenzio del duca e dei suoi ospiti. Allora, vinto dalla curiosità, Ardea decise di chiedere cosa rappresentasse quella scena appena svoltasi nella sala. “Padre mio” esordì, ardendo di viva curiosità “quale significato è celato in quella processione fatta dai servi?” Il duca, ad udire quelle parole, lanciò uno rapido sguardo ai due nobili ospiti seduti a quella tavola, per poi continuare a mangiare come se niente fosse. Anche gli ospiti, alla domanda posta dal giovane, scambiarono un fugace sguardo con il duca. Poi, anch’essi con tutta la naturalezza del mondo, ripresero a mangiare. “Uno degli oggetti che hai veduto” inizio a dire il duca senza smettere di mangiare e senza sollevare lo sguardo dal piatto e dalla sua coppa “è contenuto nell’arca di pietra custodita nella cappella del castello.” “In effetti ognuno di quegli oggetti poteva essere contenuto nell’arca della cappella.” Pensò Ardea. “Secondo te di quale si tratta?” Chiese il duca, con un tono di singolare non curanza. “In verità non saprei.” Rispose Ardea. In quel preciso momento di nuovo i servi passarono in processione con quei misteriosi oggetti, per poi sparire in una delle porte della sala. Ardea restò sempre più confuso e stupito da quella scena. E dopo un po’, ancora quei servi comparvero nella sala, recando stavolta con loro proprio l’arca della cappella. Poi, giunti davanti ad una pedana rialzata, vi posarono sopra l’arca e si ritirarono. “Sono anni” iniziò a dire il duca “che quell’arca ti incuriosisce. Ogni giorno passi presso la cappella chiedendoti cosa contenga. Stasera, ti è concesso saperlo.” “Cosa devo fare, padre?” “Avvicinati, aprila e guardaci dentro.” Disse con un tono deciso il duca, guardando fisso il giovane negli occhi. “Altro non puoi fare se davvero vuoi scoprire cosa contiene.” Ardea non se lo fece ripetere due volte e si avvicinò all’arca per svelare quel mistero che lo ossessionava da anni. Sollevò così il solido e pesante coperchio di pietra e guardò dentro il misterioso contenitore. E con suo grande stupore trovò custodita in quell’arca la splendida e massiccia spada vista nella mistica processione avvenuta pochi momenti prima. “Prendila e portala qui!” Ordinò il duca. Il primo pensiero di Ardea fu quello di non riuscire a sollevarla. La spada infatti era massiccia e poderosa, tanto da sembrare pesante quanto un macigno. Tuttavia Ardea, che non era tra quelli che lasciano intentato un proposito, afferrò la superba arma e la sollevò di colpo. Incredibilmente, quella spada, a tenerla fra le mani, sembrava leggera come l’aria. Passato qualche attimo ad ammirarne la mirabile fattura, Ardea portò la spada al duca. “Hai osservato con che maestria” disse il duca, tenendo fra le mani la spada “è stata costruita questa straordinaria arma?” Infatti quella spada era, non solo superba e magnifica come arma, ma stupendamente intarsiata di gemme e pietre preziose. L’elsa era rivestita da fili dorati che l’avvolgevano fino al pomo, il quale era stato ricavato da un grande diamante. “Ogni parte di questa spada ha un suo significato.” Disse il duca ad Ardea. La lunga lama d’acciaio vedeva poi incisa alla sua base una scritta in latino antico. Ardea, che durante il suo apprendistato presso il duca aveva potuto imparare tale lingua, riuscì subito a decifrarla: “Sono Parusia la magnifica, forgiata dal fuoco dei cieli e temprata dai venti dell’empireo. Temi dunque la mia lama, bagnata nel sangue maledetto degli angeli ribelli.” “Parusia…” Disse Ardea dopo aver letto quella scritta. “Si, Parusia è il nome di questa favolosa spada.” Intervenne il duca. “Essa fu forgiata nei cieli ed utilizzata dagli angeli buoni per scacciare dalla Divina Dimora gli angeli ribelli. E quando cadde sulla terra, fu custodita dalla nostra nobile stirpe.” “Una spada che ha dunque origine divina!” Rispose Ardea. “Si. E chi la impugna non può conoscere sconfitta. Scruta bene il suo aspetto e leggerai la storia della nostra razza. Questa rubino rappresenta l’origine divina dei nostri antenati. Questo smeraldo invece simboleggia la nostra devozione all’Onnipotente. Queste paste vitree colorate evocano poi ciascuna le imprese che svolsero i membri della nostra stirpe. Questo disco di giada invece è il simbolo della nostra alleanza con la Chiesa di Roma.” Spiegò il duca. Poi, alzatosi da tavola, ripose Parusia nell’arca e richiuse il pesante contenitore. “Quando tornerai da me, con il titolo di cavaliere, Parasia sarà tua, figlio mio.” Quella notte Ardea ripensò e sognò, come in una mistica visione, quella meravigliosa spada, come glorioso presagio della sua futura fama di cavaliere. (Continua...)
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28-09-2009, 01.02.39 | #56 |
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ARDEA DE' TADDEI
XIII “Assaporo la tenera terra della mia casa. Stringo le redini, monto la sella e sistemo le staffe, ma come è dolorosa la partenza!” (Racc Pesc, III, 7) Il terzo giorno dopo quella sera, fu quello del doloro saluto. L’autunno aveva già soffiato con il suo alito sulle Cinque Vie e quella mattina il cielo appariva colmo di alte e dense nuvole. Un freddo vento secco, come sorto dall’inquieta terra, attraversava in lungo e in largo la verde brughiera, come a voler far sfiorire in anticipo i fiori sopravvissuti alla calda stagione. “Meglio mettersi in viaggio presto” disse il duca scrutando il cielo grigio “il tempo non promette niente di buono, oggi.” Ardea controllava la sella, il suo equipaggiamento e le cose che aveva con se. Ripetè questa operazione due, tre, forse quattro volte, sempre con il medesimo esito. “Gli stallieri sanno fare bene il loro lavoro, non credi?” Esclamò il duca osservando suo figlio. “E’ così.” Rispose Ardea senza voltarsi. “Quindi è inutile che controlli ancora il tuo cavallo.” Ma le raccomandazioni del duca erano inutili. Ardea infatti cercava di distrarsi in ogni modo, pur di rinviare anche solo per qualche altro istante il momento del saluto. Ma anche questo, come tutte le cose necessarie, arrivò e chiese udienza. “E’ tutto pronto, milord” disse Vico d’Antò, che avrebbe accompagnato Ardea fino alla capitale, al duca. “E’ l’ora, ragazzo mio.” Disse il duca, mostrando forse per la prima volta incertezza nella sua voce orgogliosa. Ardea sentì una morsa stringergli lo stomaco e poi il cuore. I suoi occhi si inumidirono e una profonda tristezza scese nel suo animo. “Padre mio” disse stringendo forte il duca “abbiate cura di voi!” “Quando tornerai” rispose il duca commosso “mi troverai qui ad aspettarti.” “Che Dio vi assista!” Disse Ardea piangendo. “Che Dio ti benedica!” Rispose il duca con la voce rotta. Vico osservava con rispetto quella pietosa scena. In tanti anni mai aveva visto il duca commuoversi. Anzi, in realtà, era sempre stato convinto che quell’uomo non fosse capace di piangere. In molte battaglie era stato al suo fianco e l’aveva visto sfidare nemici di ogni genere; da folli e visionari eretici, schiavi del demone dell'illusione, ad orde di selvaggi pagani, fino a cimentarsi con più avversari alla volta. Mai la paura aveva albergato nei suoi occhi durante battaglie e duelli, come ignota era anche la pietà al suo cuore davanti a traditori e malvagi cospiratori. Con i suoi occhi, Vico, aveva visto una volta il duca ferito sul campo di battaglia, con una punta di lancia piantata in una gamba, senza però indietreggiare davanti ai nemici. Quell’uomo, era convinto Vico, avrebbe dato la caccia anche al demonio. E fino all’Inferno! Eppure oggi, quello stesso uomo, campione di incredibili avventure e vittorie, era la, davanti ai suoi occhi, a commuoversi per la partenza di un ragazzo che egli amava come un figlio. Il suo cuore sanguinava ed i suoi occhi si inumidivano durante quel triste e sentito congedo. E per pudore e rispetto verso quell’uomo che ammirava più di ogni altro, Vico si allontanò,lasciandolo solo nelle braccia di chi più gli era caro. “E sia. Ora basta però!” Disse il duca, dopo alcuni istanti passati a stringere a se il caro figlio, con il tono di chi voleva apparire più duro di quanto in realtà non fosse. “Abbiamo già troppo rinviato questa partenza! Come ho detto, il tempo volge al peggio e non è saggio attraversare la brughiera durante una tempesta. Vico, dove siete?” Chiamò poi il suo più fedele cavaliere. “Non vorrete certo far ritardare ulteriormente la partenza, spero!” “Eccomi, milord!” Rispose prontamente il cavaliere. “Tutti gli uomini sono pronti.” La brigata, composta da Vico, Ardea e undici uomini, tra paggi e guardie ducali, dopo un ultimo saluto, partì dal castello delle Cinque Vie. Ardea in cuor suo non sapeva quanto tempo sarebbe trascorso prima del suo ritorno a casa. Egli in quel momento non aveva più certezze né sapeva cosa l’attendeva. Sarebbe stato degno e capace di essere nominato cavaliere dal re? Sarebbe riuscito a mostrare il suo vero valore alla corte di Afragolignone? Ma ora il ragazzo non aveva nessuna risposta a queste domande. L’unica cosa che sentiva era un sordo dolore nel profondo del suo cuore. (Continua...)
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO Ultima modifica di Guisgard : 28-09-2009 alle ore 01.08.37. |
29-09-2009, 22.53.00 | #57 |
Dama
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........partire con la tristezza nel cuore....credo sia una cosa dolorosissima.....chissà se riuscirà a trovare una risposta alle sue domande....Vi riuscirà, Guisgard?
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30-09-2009, 02.38.49 | #58 |
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Milady, ciò che mi domandate è custodito nelle parole della musa, che ci svelerà ciò che nemmeno lo scorrere del tempo ha potuto inaridire
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30-09-2009, 03.15.04 | #59 |
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ARDEA DE' TADDEI
XIV “Capomazda, santuario del divino Arcangelo Michele, bellicosa dimora di uomini e cavalli che gioiscono al ferro.” (Inni Eroici, III, XIII) Il vento, che era aumentato di intensità, soffiava con vigore nella vasta campagna, spazzando via le foglie e piegando le cime degli alberi, che sotto quei fieri aliti sembravano come inchinarsi davanti alle indomite e selvagge forze della natura. L’aria, resa asciutta dal forte vento, mostrava con chiarezza il paesaggio circostante. Alte ed azzurre montagne si ergevano lungo l’orizzonte infinito, a fare da cornice a quell’irrequieto scenario. Le nuvole, alte e grige, attraversavano veloci il cielo, come l’impetuoso corso di un fiume in piena. Di tanto in tanto, cercando qualche spiraglio in quel chiuso cielo, i raggi del sole parevano voler squarciare il manto di nuvole, ma l’impetuosa massa grigia chiudeva inesorabile ogni varco. La compagnia percorreva quell’agitato scenario in un profondo silenzio, rotto di tanto in tanto dal motteggiare di qualcuna delle guardie oppure da uno dei paggi con la musica del proprio strumento. Del resto a tenere banco vi era il forte ed incessante sibilo del vento, che a tratti sembrava portare con se i lamenti di persone lontane. Verso il primo pomeriggio, la compagnia avvistò le torri della capitale. Queste si ergevano alte e maestose verso il grigio cielo, dominando l’intera campagna circostante. “Ecco” disse Vico ad Ardea “quella è Afragolignone!” Il ragazzo restò colpito e meravigliato da quella superba visione. Mai infatti aveva visto una grande città in vita sue ed oggi, non solo questo era avvenuto ma aveva avuto anche il privilegio di vedere la grande capitale del regno, dove aveva sede la corte e dove le più importanti decisioni venivano prese. Disseminata di torri alte e slanciate, bianche cupole di maestose chiese e un’infinità di case, grandi e piccole, rozze e lussuose, la splendida città gettava ovunque le sue braccia nella verde e lussureggiante campagna che la ospitava. Man mano che la compagnia si avvicinava alle imprendibili mura che racchiudevano Afragolignone, si udivano sempre più i suoni che da essa si diffondevano. Ma a coprirli tutti vi erano i rintocchi di diverse campane, che quasi annunciavano una nuova era per la città, mentre ad Ardea questo sembrò una sorta di saluto che Afragolignone gli porgeva. In breve la compagnia, raggiunta una delle porte della città, la Porta Verde, si trovò all’interno della capitale. Mai Ardea aveva visto una simile moltitudine di genti. Queste affollavano ogni strada ed ogni angolo della grande città. Un pullulare incessante e chiassoso diffondeva ovunque la vitalità che emanava quell’immenso agglomerato urbano. La compagnia seguendo la strada principale, tagliò in due la città e giunse nella sua parte più alta, detta acropoli, dalla quale sorgeva e dominava il palazzo reale. L’immensa e sfarzosa struttura era circondata da guardie, a piedi ed a cavallo, e da ben tredici torri pentagonali che notte e giorno osservavano e scrutavano tutti coloro che entravano ed uscivano da quell’edificio. Un ‘infinità di stendardi sventolavano al vento, dalle torri, dal camminamento delle mura, dalle finestre e dalle lunghe aste che sporgevano dal palazzo. Vico d’Antò si fece riconoscere ed annunciare da uno dei capitani della guardia reale e subito l’intera compagnia fu fatta entrare nel palazzo. Ed poco dopo, Vico ed Ardea, furono ricevuti nella grande sala del trono. Qui vi erano i più importanti e nobili baroni del regno e tutti resero omaggio a Vico, in quanto rappresentante del duca Taddeo d’Altavilla. E ad un certo punto il lieto brusio diffuso nella sala cessò all’istante. Una grande porta si aprì ed un araldo annunciò l’ingresso del re. Tutti salutarono il grande sovrano, ma questi, avvertito dell’arrivo di una compagnia dalle Cinque Vie, volle subito ricevere gli uomini che la componevano. Vico rese omaggio al re, portò i saluti del suo padrone e le scuse per la sua assenza, dovuta a circostanze non dipendenti dalla sua volontà. Mostrò poi alcuni doni che il duca aveva inviato al sovrano ed infine presentò Ardea all’intera corte. “Costui è il figlio del duca, maestà!” Disse Vico. “Ed è volontà del mio padrone e vostro servitore, che il giovane renda omaggio al suo re ed all’intera corte del reame.” “Non sapevamo che il duca avesse un figlio.” Rispose il re. “Conducetelo al nostro cospetto.” Vico fece un cenno ad Ardea e questi si inchinò davanti al trono. “Tuo padre è il nostro più valente cavaliere. Tu gli somigli, ragazzo?” “Maestà, si dice che il sangue sia ereditario e trasmetta le virtù da padre a figlio. Ma il nome di mio padre è tanto grande che, in casa sua, anche i servi sono virtuosi. Quanto a me, sarei soddisfatto se un giorno si potesse dire che il mio valore sia stato la metà di quello di mio padre.” Il re lodò le parole del giovane e tutti restarono meravigliati dalla sua nobiltà d’animo. Ed una gran gioia sorse in quel momento nel cuore di Ardea. (Continua...)
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02-10-2009, 01.43.42 | #60 |
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ARDEA DE' TADDEI
XV “Una bufera si può prevenire scrutando il cielo ad Occidente, come dalla tempesta vi si trova riparo in un capanno. Ma dall’ardore di un giovane cuore non vi è scampo.” (Il Predicatore, IV, 7) In breve Ardea, con la sua nobiltà e le sue virtù, conquistò tutta la corte. Il re vedeva in quel giovane un valente rampollo di quella grande nobiltà che reggeva le sorti di Afragolignone. Ardea eccelleva in diverse arti, come la musica, la poesia e la pittura. Conosceva inoltre i grandi classici antichi, sia i trattati scientifici, sia quelli letterari. Il suo lignaggio sembrava non avere pari, anche in mezzo alla più antica nobiltà esistente. Anche negli esercizi fisici teneva testa ai migliori giovani del reame. E diverse dame a corte lodavano la bellezza del suo aspetto. Ardea scriveva spessissimo a suo padre, raccontandogli le sue giornate a corte e quanto tutti ne lodavano il carattere. Tuttavia un assillo aveva nel cuore: si chiedeva spesso quando il re, che pure ne decantava continuamente il valore, l’avesse investito a cavaliere. Scrisse di questo anche a suo padre, ricevendo come risposta un invito alla calma e a non farsi vincere dall’ardore. Ma il giovane era impetuoso e bramava quell’investitura. Anche perché si avvicinava una ricorrenza molto particolare: il grande torneo di Capo degli Orafi, che con la sua conclusione sanciva l’iniziò delle festività per il Santo Natale. I migliori cavalieri avrebbero partecipato a quell’evento e solo chi trionfava in quel torneo poteva dirsi il migliore fra tutti. Ardea desiderava ardentemente parteciparvi, ma non essendo cavaliere ciò era impossibile. Aveva manifestato la sua impazienza anche a Vico d’Antò, ma questi, come suo padre, gli aveva consigliato di attendere con umiltà. Ma Ardea riteneva ingiusto tutto ciò. Si sentiva il migliore fra i cavalieri presenti e voleva dimostrare il suo valore davanti al re. Ma spesso la foga e l’ardore, se mal gestiti, possono nuocere all’animo ardimentoso di un giovane. Un pensiero si impossessò di Ardea e giorno dopo giorno, seppur ardito, egli lo sosteneva e nutriva, come il contadino fa con la giovane ed acerba vigna, sperando che un giorno possa ricambiarlo con i suoi frutti. E in suo aiuto sarebbe corso un giovane che Ardea aveva conosciuto proprio a corte: Biago, il figlio del maniscalco del re. Il ragazzo aveva ereditato il talento di suo padre e sapeva costruire armi e corazze con tale maestria che il suo stesso genitore spesso usava i suoi lavori per soddisfare i clienti. Ardea, che aveva sin dal suo arrivo a corte stretto amicizia con Biago, decise di chiedere aiuto al suo amico. Così, in un soleggiato pomeriggio di inizio Novembre, mentre si trovavano a passeggio nel bosco, Ardea iniziò a dire: “Ormai il torneo è alle porte.” “Già. E anche quest’anno sarà grandioso. Credimi, vedremo il meglio della cavalleria!” Rispose Biago. “Darei qualsiasi cosa per parteciparvi!” “Non essere impaziente” rispose Biago “presto, con il tuo valore, sarai cavaliere e potrai mostrare a tutti la tua abilità. Anzi, sono pronto a scommettere che già il prossimo anno, a Dio piacendo, vi potrai partecipare.” “Ma io mi sento pronto ora!” Replicò impaziente Ardea. “Spetta a sua maestà decidere quando sarai pronto.” “Il re è troppo impegnato con la conduzione del regno. Non segue costantemente ciò che accade a corte. Io meriterei già di essere cavaliere!” “Amico mio, io ti ammiro più di ogni altro. Vorrei emularti e assomigliare anche soltanto un po’ a te. Ma queste tue parole tradiscono ciò che pensa probabilmente il re.” “Cioè?” Chiese Ardea. “Che sei ancora acerbo e troppo irruento!” Ardea fece qualche passo, alzando lo sguardo verso il cielo e sentendo la brezza accarezzargli il volto. “Biago, amico mio” disse senza voltarsi verso l’amico “sono anni che mi sottopongo ad allenamenti durissimi ed a privazioni impensabili. Ho accettato tutto per un unico e solo ideale…la cavalleria! Mi sento pronto e non voglio attendere oltre!” “Capisco cosa provi” rispose Biago “ma…” “Non credo tu possa capirlo, Biago!” Lo interruppe bruscamente Ardea. “Credi?” Rispose Biago. “Perché? Perché sono il figlio di un semplice maniscalco? Perché non sarò mai un cavaliere? O forse solo perché non ho il sangue blu come te?” Ardea lo prese per un braccio e lo fissò diritto negli occhi con un ardore che quasi intimorì Biago. “Credi questo di me?” Disse con un espressione di chi si sente colpito fin dentro il cuore. “Se lo credi davvero, allora va via, poiché io non posso insegnarti nulla allora!” Biago, che si era subito pentito di ciò che aveva appena detto, rispose: “Scusami, non volevo…” “Il mio spirito non è diverso dal tuo” riprese a dire Ardea “ed il mio cuore ospita i tuoi stessi sentimenti e stati d’animo. Credi che la nobiltà venga dal sangue? Sei davvero convinto che possa esistere a questo mondo qualcosa di più puro, sacro e nobile di ciò che sinceramente pulsa dal cuore di un uomo? Se davvero pensi che il divenire cavaliere sia per me solamente un privilegio proveniente dal mio lignaggio, allora non indugiare oltre in mia compagnia, poiché sarei incapace di insegnarti qualsiasi cosa.” Biago, mortificato, gli diede una pacca sulla spalla e lo scosse, come a voler fargli scivolare da dosso quel brutto momento. “Come ti ho detto” gli disse “sono convinto che tu sia il più degno di tutti a divenire cavaliere. E so per certo che, quando lo sarai diventato, nessuno ti sarà pari.” “Credi davvero in me?” “Si, più di qualsiasi altro!” “Allora aiutami!” “E come? Io non posso esserti di nessun aiuto in questo!” “Biago” disse Ardea fissandolo negli occhi “procurami un’armatura e delle armi!” “Tu sei folle!” “No, solo impaziente!” “Non è l’equipaggiamento che fa il cavaliere!” “Infatti. Ed io, pur non avendo nulla, mi sento tale!” “Anche se sarai armato, non potresti comunque partecipare al torneo!” “Si, invece.” Rispose convinto Ardea. “Tu procurami quanto ti ho chiesto ed io mi guadagnerò l’investitura!” “Sei pazzo!” “Achille non andò contro gli dei pur di vendicare l’amico Patroclo? E Ser Galeotto non rischiò forse tutto per aiutare il suo amico Lancillotto?” “No, ti prego” intervenne Biago “non confondermi con le tue storie!” “Aiutami e sarai partecipe delle mie gesta!” “Il re sarà molto contrariato.” “Egli è un grande uomo!” Rispose lesto Ardea. “Vedrai che saprà riconoscere la nostra audacia!” Detto questo, Ardea, sorrise al suo amico e questi lo fissò con occhi incerti. Poi una stretta di mano, sancì quell’ardito patto tra i due giovani. (Continua...)
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