30-11-2010, 17.30.59 | #671 |
Cittadino di Camelot
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Mentre Goldblum nominava quelle antiche leggende del suo popolo, quasi inavvertitamente Morven socchiuse gli occhi, sentendoli improvvisamente pesanti. Scivolò per un istante in uno strano dormiveglia, in cui la voce acuta del suo amico si intrecciava con quella pungente di Bumin.
La stanchezza del viaggio e delle mille traversie per un attimo prese il sopravvento, strappandolo alla realtà che lo circondava, e piombandolo in uno strano ricordo lontano... ... sempre da solo... si era abituato a viaggiare da solo. Era molto più comodo. Nessuna domanda, nessuna obiezione, e la libertà di cambiare posto a proprio piacimento, non appena l'aria che tirava non era più di suo gradimento. Così si era condotto Morven in tutto quel tempo. Molte conoscenze, ma nessun amico. Cortese con tutti, ma vicino a nessuno. Egli arriva in un villaggio, si metteva al servizio del signore di turno, svolgeva per lui due o tre incarichi, quindi, così com'era arrivato, andava via. Il tempo di guadagnare un po' di soldi, o un cavallo, o un nuovo pezzo della sua armatura. Poi, ottenuto il suo compenso, nottetempo, ripartiva. ... sempre da solo... fino a quel giorno in cui si era imbattuto in quel bizzarro cacciatore. Aveva pensato subito che fosse un uomo facoltoso… forse un ricco mercante, probabilmente un viaggiatore anch’egli... era vestito di tutto punto, con un enorme arco e due spade corte che brillavano appese alla sua cintura, e un grosso cane da caccia che lo seguiva docile... vestito di tutto punto, sì, ma senza avere la minima idea di come si usassero davvero quelle armi! Il loro primo incontro, in una radura poco fuori dal villaggio verso cui viaggiava, fu in verità uno scontro. Morven aveva cominciato ad inveire contro quello sconosciuto che si esercitava a tirare freccie contro un albero, adirato contro la scarsa maestria di quel giovane che con la sua imperizia per poco non lo trafiggeva con uno dei suo maldestri dardi. Era sceso da cavallo deciso a dare una lezione a quello sprovveduto. Cinque minuti dopo ridevano insieme dell'accaduto, e il gioviale cacciatore lo stava accompagnando nella taverna più vicina per offrirgli il pranzo. Avevano parlato a lungo, e Cypher, questo era il nome del cacciatore, era rimasto sempre più affascinato dalle avventure narrate da Morven. Lo sorprendeva sopratutto il fatto che, così giovane com'era, fosse già riuscito a perfezionare tanto l'arte della spada, e non avesse alcun timore di affrontare nemici e battaglie. Quando, sul far della sera, Morven si rimise a cavallo per ripartire, poco dopo aver lasciato il villaggio, udì un lieve canticchiare portato dal vento. Un attimo dopo lo vide. Cavalcava senza apparente fretta sul suo elegante stallone. Aveva il solito sorriso cordiale sul viso, e le labbra sempre pronte ad articolare uno scherzo o una battuta. Aveva con sè l'arco da guerra e i due pugnali che non sapeva brandire. Il suo cane inseparabile lo seguiva baldanzoso, ed emise due o tre versi gioiosi alla vista di Morven. "Pensavate di esservi liberato di me, messere?" esclamò con fare gioviale. Morven sorrise suo malgrado nel vederlo arrivare. "Certo che no... anzi speravo che sareste venuto. Temevo per la vostra vita a lasciarvi da solo in quella locanda!” "Avete ragione... mi occorre qualcuno che mi insegni davvero come usare questi gingilli" affermò il cacciatore, sfiorando le due spade. "E sia... venite con me! E spero siate lesto ad imparare, o moriremo tutti di fame, compreso il vostro Sauron!", rispose Morven additando il cane che saltellava festoso tra le zampe del suo cavallo. L’altro, per tutta risposta, gli allungò una pacca sulla spalla e rise di gusto. Da quella sera divennero inseparabili. Morven attaccava gli avversari frontalmente, mentre Cypher, che col tempo si era rivelato molto più abile di quanto non avesse promesso in principio, teneva a bada i nemici con le sue frecce e con gli attacchi rabbiosi del suo cane. Una sera si erano trovati a scaldarsi davanti ad un bel fuoco scoppiettante, al riparo di un’antica costruzione crollata… proprio come stanotte, gli sovvenne in quel lucido dormiveglia... davanti al fuoco, come tante altre notti. Ma quella volta c’era qualcosa di speciale. Cypher non smetteva di fissarlo. Nonostante il suo fare allegro e la sua fluente parlantina, che tanto contrastava con i modi scostanti di Morven, il cacciatore non aveva mai osato intromettersi nei suoi pensieri. Ma quella sera, forse, era davvero speciale. Dopo aver fatto emesso una sonora risata, Cypher lo fissò con interesse. “E’ strano che dopo tutto questo tempo, e dopo averti così lungamente parlato di me… dopo aver combattuto con te, e averti guardato le spalle… dopo che tu mi hai salvato la vita innumerevoli volte… è strano che dopo tutto questo e tanto altro io non sappia davvero quasi nulla di te, a parte il tuo nome di battesimo… dì, cavaliere… chi è Morven, il più forte spadaccino che io conosca in questo regno?” Morven sobbalzò a quella domanda. Per un attimo, istintivamente, parve desiderare di sfuggire a quello sguardo e a quella richiesta. Ma poi ricordò il patto di lealtà che lo legava al suo compagno, e non potè che ammettere che l’altro aveva ragione. Non erano solo compagni di viaggio. Non dividevano soltanto le ricompense dei ricchi signori. Erano amici. Cypher era il suo primo, vero amico. Quello con cui divideva il freddo e la birra. Quello con cui poteva parlare di tutto… o quasi… povero Cypher, mi dispiace… la tua lealtà non merita questo… la mia disonestà non merita la tua fiducia! “Chi è Morven, vuoi sapere?” Si era disteso accanto al fuoco, aveva intrecciato le braccia dietro la nuca e aveva preso a seguire con lo sguardo le ombre che si disegnavano sul soffitto. “Morven discende dal casato nobile dei Cassis…” “Un nobile… ridacchiò Cypher “ci avrei scommesso! Con quei modi da principino e quell’aria innocente, persino quando affondi la spada nel ventre di un uomo!” Poi parve riflettere un istante, prima di tornare a guardare Morven, stavolta con uno sguardo serio. “De Cassis… ho sentito già questo nome, anche se non ricordo bene quando… De Cassis…” ripetè lentamente “non era quel casato su cui si dice si fossero abbattute fosche sventure?” Morven tacque, continuò a guardare il soffitto ricoperto di umidità. “Non ricordo molto, a dire il vero… ma qualche anno fa mi pare che la giovane erede del casato fu costretta ad un matrimonio con un nobile delle terre vicine… uno strano matrimonio, invero, fatto in tutta fretta per impedire che le terre dei Cassis fossero confiscate, per non so quale sfortunato affare” Cypher fissò Morven per un lungo istante. “Ho forse sbagliato, amico mio?” Morven infine si decise a rispondere. “No, non hai sbagliato…” mormorò infine, con un fil di voce “E’ proprio questa la storia… la triste storia della duchessa Zulora…” “Sì, è proprio questo il nome della giovane di cui si è tanto parlato nel mio villaggio. La duchessa Zulora… si diceva che fosse molto giovane e molto bella” “Sì, lo era…” Cypher lo guardò con uno sguardo attento, curioso, mentre l’altro non poteva vederlo. “Tu… la conoscevi bene, non è così?” Morven si lasciò sfuggire un lungo sospiro. “Sì…” rispose pianissimo. L’amico gli lanciò un’occhiata colma di comprensione. Il suo abituale sorriso e il suo sarcasmo si spensero a quell’affermazione di Morven, e Cypher lo guardò con la simpatia con cui si guarda un compagno di cui si intuiscono i dolori, pur non conoscendoli… “Devi averla amata molto…” azzardò, dopo un lungo silenzio. Morven strinse gli occhi per non lasciarsi sfuggire le parole che non voleva pronunciare. “Non abbastanza…” disse soltanto, con una voce distante, carica di rimpianto “non abbastanza…” Un brivido lo scosse. Si mosse agitato da un sordo dolore, da un oscuro pensiero. “Zulora…” mormorò nel silenzio che si era creato attorno a quel fuoco, e subito spalancò gli occhi nella semioscurità. Si sollevò sul gomito, si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse potuto udire quell’esclamazione sommessa del suo sogno. Goldblum dormiva sopra la sua spada, Bumin si era ritirato in un angolo, nascosto dalla sua pesante cappa, e Lady Gonzaga… gli ci volle un attimo per realizzare. Strizzò gli occhi, per convincersi di essere sveglio. Gonzaga non c’era più. Comprenderlo e levarsi in piedi fu un solo gesto. Si precipitò verso l’ingresso della cappella. “Milady!” gridò al silenzio della notte, afferrandosi con forza ai battenti malandati e affacciandosi all’esterno “Milady, dove…” Ma le parole gli morirono sulle labbra, e il suo corpo, già lanciato nel gesto di correre all’aperto dovette bruscamente fermarsi su quella soglia. Il rumore degli zoccoli gli colpì le orecchie, poi l’ordine sommesso dei cavalieri e i nitriti bassi dei cavalli cui venivano tirate le redini, come dopo una lunga galoppata. Morven si trovò di fronte uno stuolo di cavalieri, scuri come la notte. L’unico che riconobbe immediatamente fu quello che stava ritto di fronte a lui. “Ed ecco che è arrivato il degno compare…” pensò tra sé e sé, con enorme fastidio “Di male in peggio…”
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?" "Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!" Ultima modifica di Morrigan : 01-12-2010 alle ore 00.24.46. |
30-11-2010, 18.02.57 | #672 |
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Varcai quella soglia dietro ai miei compagni e lentamente feci qualche passo nel buio corridoio che ci trovammo di fronte...
Credevo di essere pronta a tutto, quando avevo lasciato Cartignone ero convinta che l’immane sofferenza che avevo provato e il senso di colpa che mi logorava dentro mi avrebbero resa impermeabile a qualsiasi altra emozione, pensavo che niente più avrebbe potuto ferirmi o spaventarmi, pensavo che mai più il mio cuore avrebbe provato pena o rammarico... ma in quell’istante, in quel corridoio, mi resi conto di essermi sbagliata. E vacillai. Quel debole gemito ci sorprese tutti... a malincuore mi voltai e vidi la ragazza in quelle orribili condizioni. Fu un attimo: la testa mi girò forte e dovetti aggrapparmi alle sbarre di una delle celle per non cadere, mentre il mio pensiero -contro ogni mia volontà- volava lontano da lì... Era ormai il crepuscolo quando il carro, scortato da sei cavalieri, varcò le porte della città. Lo vidi entrare nella piazza antistante il palazzo, fare un piccolo giro e fermarsi giusto di fronte alla scala... una parte di me sapeva che cosa portava, avevo udito delle voci in proposito, ma non ci credevo. Non ci volevo credere. I soldati stavano smontando da cavallo ma io non badai loro, mi precipitai verso il carro... dovevo vedere... dovevo accertarmi che... Due mani mi afferrarono prima che potessi avvicinarmi al candido lenzuolo che lo copriva... “Milady, che cosa fate fuori a quest’ora?” disse l’uomo. “Lasciatemi!” risposi “Lasciatemi, io...” “Tornate a casa, Talia!” mi interruppe lui. Una voce si sovrappose alle nostre: “Sir Dukey... finalmente siete tornati!” Guxio era comparso sulla soglia del palazzo e se ne stava immobile a guardarci. “Eccellenza!” si inchinò il cavaliere, senza tuttavia mollare il mio braccio, sebbene io stessi ancora cercando di liberarmi. “Avete fatto quanto vi fu chiesto dal principe?” “Sì, Eccellenza. Abbiamo seguito le indicazioni e ritrovato i corpi esattamente dove quei soldati avevano indicato di averli scoperti...” Lo stomaco mi si stava annodando ad ogni parola, la testa sembrava volermi esplodere e non ero certa per quanto tempo ancora le ginocchia mi avrebbero tenuta; tirai con forza il braccio indietro e riuscii, finalmente, a sottrarmi dalla presa dell’uomo. Un istante dopo ero di fianco al carro, afferrai il lembo della copertura e, con un rapido gesto, la tirai via... Tre corpi erano stati adagiati là sopra, tutti e tre erano coperti da orribili piaghe, tutti e tre avevano subito terribili ingiurie, e tuttavia uno in particolare attrasse tutta la mia attenzione: quello più vicino a me, anche se appena riconoscibile, era il corpo senza vita di Eileen. Non avrei saputo dire cos’era avvenuto dopo... ricordavo a fatica due braccia che mi avevano afferrata e portata via, ricordavo dolore e senso di colpa, ricordavo incubi e notti insonni, ricordavo rabbia incontrollata e immensa afflizione... Inspirai profondamente e mi costrinsi a tornare in quella prigione, mi costrinsi a riaprire gli occhi e a rimettermi in piedi... “Apriamo quella cella!” mormorai, accorgendomi di non avere ancora la voce molto ferma “Quella scure con cui avete rotto le mie catene... credo che ci servirà di nuovo!”
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** Talia ** "Essere profondamente amati ci rende forti. Amare profondamente ci rende coraggiosi." |
01-12-2010, 00.56.19 | #673 |
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Arowhena non riusciva ad intuire il trascorrere nel tempo, poiché come nei sogni, non esistevano le dimensioni di spazio e tempo...
Vedeva la luna di giorno e un sole rosso la notte... vedeva le costellazioni cadere e il cielo diventare nero e senza stelle.. voltando il suo sguardo verso la terra, questa era coperta di mani che si muovevano e comunicavano come se cercassero qualcosa sul terreno.. prendevano pugni di terra e la lasciavano cadere... Fare un passo in quegli spazi era difficilissimo... Il pane era duro ed immangiabile e spesso ciò che toccava diventava piccolo ed inutile fino a sgretolarsi... Leggere i libri che trovava sotto gli alberi era impossibile perché la vista le si appannava ogni volta che si concentrava nel leggere le parole e parlare era quasi impossibile... le costava uno sforzo sovraumano... Accendere una candela non dava nessuna luce in più... Per lei, strega veggente che interpretava sogni, quel mondo rischiava di farle esplodere la testa... c'erano troppe informazioni, c'era davvero troppa confusione... probabilmente erano i sogni e gli incubi che tutte le anime fuori, nella dimensione reale, dovevano avere mentre dormivano. Essere bloccata nella dimensione onirica, lontana dalla realtà, rendeva inutile ed ininterpretabile anche il sogno medesimo... tutto diventava senza senso e Arowhena iniziava a cedere e stancarsi... e non credere più a nulla, non poteva poiché senza la dimensione reale, il sogno stesso perde il suo significato... Da quanto non dormiva lei stessa?... Quanto avrebbe voluto almeno incontrare una persona vicina dentro quel mondo di confusione... il sogno stesso sembrava il suo epitaffio... la lapide era là, doveva solo scavare la marba bianca con l'unghio dell'indice e scrivere le parole della sua fine... ma non era ancora la fine, non ancora... Che sonno... che stanchezza fisica insopportabile... ma non stava dormendo, lo sapeva...
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01-12-2010, 01.20.04 | #674 |
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La notte.
Come un manto copriva ogni cosa, lasciando ovunque il suo alone spettrale. La chiesa sconsacrata sembrava scricchiolare sotto il vento che cominciava ad alzarsi. Goldblum dormiva e Bumin aveva lo sguardo perso nell'infinita oscurità della notte. Morven invece sembrava inquieto, mentre cercava Gonzaga, svanita improvvisamente. "E' andata via." Disse Bumin fissandolo. "L'ho veduta io stesso prendere la via che conduce dall'altra parte del bosco." In quel momento giunsero i cavalieri da Cartignone. "Che io sia dannato!" Esclamò Dukey. "Giungiamo dunque in tempo! Siete tutti salvi!" "Giungete con imperdonabile ritardo!" Rispose Bumin, senza tradire nessuna emozione. "Che posto sinistro è questo..." mormorò il Cappellano fissando la chiesa sconsacrata. Poi, rivolgendosi a Morven, chiese: "Notizie dei dispersi, milord?"
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01-12-2010, 01.31.18 | #675 |
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La notte avvolgeva anche il villaggio dei nani.
E la notte portava con se confusione, paura, malinconia ed inquietudini. E proprio queste ultime sembravano affollare il cuore e l'animo di Arowhena. Visioni, segni, immagini, figure, frutto forse di stati d'animo o sensazioni, che sembravano materializzarsi davanti agli occhi della donna. Il sogno e la realtà. Era definibile quel confine? E dove finiva il sogno e cominciava l'incubo che attanagliava quel luogo? Nessuno poteva saperlo. Come nessuno poteva comprendere le inquietudini di Arowhena. Belven forse avrebbe voluto. Le aveva parlato, ma lei sembrava assente, come rapita. Restò allora a fissarla. Era bella, ma il cavaliere non solo dalla sua bellezza sembrava preso. I suoi pensieri. Belven avrebbe pagato chissà cosa per conoscere i pensieri di Arowhena.
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01-12-2010, 01.59.38 | #676 |
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Nel frattempo, nel ventre rinnegato del bosco, dove gli Atari avevano gettato le colonne del loro regno di morte, Guisgard, Talia e Gila erano penetrati nelle prigioni.
E la vista di quella ragazza li aveva pietrificati per l'orrore. A quelle parole di Talia, Gila fissò Guisgard che rispose annuendo. Il nano allora ruppe il legno di quella cella con la sua possente scure. Entrò e scacciò i topi agitando la sua arma. "Grazie, amico mio..." mormorò Guisgard. "Ed ora?" Chiese Gila, mentre il corpo martoriato di quella ragazza era davanti a loro. "Dobbiamo per prima cosa tagliare questo filo spinato..." disse il cavaliere "... ne sei capace?" "Si, certo..." annuì il nano. Estrasse allora un piccolo coltello dalla sua borsa insieme ad una tenaglia. "Non sarà bello da vedere..." disse Guisgard a Talia. Il nano allora cominciò a sollevare dalla carne della ragazza quel filo spinato, per poi tagliarlo e tirarlo via. La martire restò immobile, nonostante la dolorosa operazione, lamentandosi solo lievemente. "Ecco... il filo è tolto..." mormorò il nano. Guisgard allora si tolse la giubba ed avvolse adagio la ragazza. "Solleviamola." Indicò Gila. "Sentirà un dolore insopportabile..." disse Guisgard "... con tutte queste piaghe..." "Non credo sia più in grado di avvertire molto dolore..." rispose il nano "... avrà i nervi quasi tutti recisi... è praticamente solo carne macellata, appena attraversata da un lieve soffio di vita..." "Un buon motivo allora per portarla via!" E detto questo, Guisgard la prese in braccio, indicando al nano di condurli fuori da quell'Inferno.
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01-12-2010, 02.05.36 | #677 |
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Arowhena era così stanca... decise di sedersi su una coperta rossa poggiata sulla terra arida e spaccata per la mancanza di acqua... adesso vedeva gente passarle accanto e lei si sentiva una mendicante invisibile agli sguardi della gente... anzi... quella gente non aveva occhi, le facce avevano grandi bocche per parlare, orecchie piccolissime per non ascoltare e non avevano occhi per vedere... e la coperta era adesso cenciosa... un topolino dagli occhietti neri e rotondi le si era soffermato dinnanzi e sembrava l'unica creatura che potesse vederla... ma cade, cade dentro una crepa tra una zolla e l'altra della terra e sparisce... Arowhena, che fino a quel momento era rimasta salda e forte, cede in un pianto disperato per aver perso il topolino, l'unica creatura che le avesse rivolto uno sguardo interessato...
Singhiozzi, singhizzi, lacrime asciutte non bagnano il terreno, la terra è arida... Qua non c’è acqua ma solo roccia roccia e niente acqua e la strada sabbiosa la strada che si dipana su tra le montagne che sono montagne di roccia senz’acqua se l’acqua ci fosse ci fermeremmo a bere tra la roccia non ti puoi fermare o pensare il sudore è asciutto, i piedi nella sabbia se solo ci fosse acqua tra la roccia bocca di montagna morta dai denti cariati che non può sputare qui non si può sostare né sdraiarsi né sedere non c’è neppure silenzio tra le montagne solo un asciutto sterile tuono senza pioggia non c’è neppure solitudine tra le montagne solo scontrose facce rosse che ringhiano e digrignano dalle porte di case fatte di fango screpolato se ci fosse acqua e niente roccia se ci fosse roccia e pure acqua e acqua una sorgente una pozza tra la roccia se ci fosse il suono dell’acqua soltanto non la cicala ed erba asciutta che canta ma il suono dell’acqua sulla roccia dove il tordo eremita canta tra i pini drip drop drip drop drop drop drop ma non c’è acqua
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01-12-2010, 02.16.58 | #678 |
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Morven fissò per un attimo la scena come sospeso, incapace di riordinare i pensieri in una forma definita. Tutto si confondeva... il suo sogno... le parole di Bumin... Gonzaga... il silenzio della notte... il rumore dei cavalli... che accade? Cypher, mio buon amico... guidami tu in questa notte... che accade?
Poi una voce lo riscosse, e lo riportò di colpo alla realtà, come una violenta scossa che gli traversò il corpo e gli schiarì la mente. Guardò l'uomo che lo aveva interrogato. Era un religioso... lo conosceva... gli scrutò meglio il viso, nella penombra della notte. Era quel cappellano che aveva conosciuto nel bosco, in compagnia di Guisgard, tanti... ma quanti in realtà?... giorni fa... giorni che sembravano anni, nel tempo alterato che possedeva quella foresta... e Guisgard... chissà che fine aveva fatto, quel cavaliere! Ogni tanto gli era accaduto di ripensare al suono malinconico dell'ocarina, a quel motivo triste e bello che tanto lo aveva colpito nella notte... Si riscosse, fissò il Cappellano, e il suo volto gli parve finalmente l'unico baluardo di salvezza tra quegli uomini che non gli ispiravano alcuna fiducia. Così non degnò Duckey nemmeno di uno sguardo, e subito si rivolse al religioso: "Dispersi, mio buon cappellano? Che dispersi? Qui non ci siamo che io e il mio compagno, e quel tale sir Bumin di Cartignone, spuntato qui da chissà dove. I miei compagni, il capitano Belven e i gli altri uomini li abbiamo persi di vista già da giorni, dopo essere stati attaccati vilmente a sorpresa in una radura... di loro, ahimè, non so più nulla!"
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?" "Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!" |
01-12-2010, 02.37.14 | #679 |
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"Perchè vi trovate in questo luogo maledetto?" Chiese il Cappellano a Morven. "Avete forse trovato qualche traccia da seguire, o qualcosa che vi ha condotto qui?"
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01-12-2010, 02.55.52 | #680 |
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"Incontrammo uno strano uomo nel bosco... con abiti da mendicante e fare piuttosto villano... egli tuttavia, dietro compenso, ci disse che qui avremmo trovato traccia dei nostri compagni e risposta alle nostre domande. Così giungemmo a questo luogo, alla ricerca di qualche segno che ci indicasse la strada..." quindi abbassò il tono di voce e si fece da presso all'orecchio dell'altro "... quando quel cavaliere comparve dall'ombra a sbarrarci il cammino e a distoglierci dalla nostra ricerca!"
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?" "Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!" |