23-12-2010, 10.18.35 | #831 |
Cittadino di Camelot
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Dopo essermi presentato dissi ora che abbiamo fatto le presentazioni potremmo anche fare il punto della situazione dissi poi guardando il capo dei cavalieri gli dissi signore se ci unissimo a voi vi darebbe qualche seccatura? piu siamo e meglio è continuai a dire poi guardando Belven dissi dobbiamo arrivare al inizio di questa matassa dobbiamo capire chi cè dietro a tutto questo ora che siamo in molti non sarà molto difficile scoprirlo tu che dici amico mio domandai mentre guardavo tutti.
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fabrizio |
23-12-2010, 15.43.30 | #832 |
Cittadino di Camelot
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Sorrisi a Gila: “Non avrei mai potuto farlo senza il tuo aiuto, mio buon amico... Questo cavaliere è fortunato se può contare su di te!”
Spostai poi gli occhi su Guisgard... dormiva e i suoi muscoli mi parvero un po’ più rilassati, tuttavia era ancora pallido e piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte... Chiusi gli occhi un momento, sfinita, ma proprio in quell’istante un leggerissimo soffio di vento mi raggiunse e in esso, ancora una volta, percepii mia madre, mentre la sua voce suonò chiara da qualche parte nella mia testa... ‘Hai curato il suo corpo, ma la sua mente è ancora debole... E una mente debole è preda troppo facile... Tu però sai quello che devi fare...’ Aprii gli occhi di scatto: No -pensai- non posso! ‘Devi...’ Non posso... Non so se ne sono capace! ‘Hai un dono... Non hai il diritto di tenerlo solo per te...’ mi ammonì ancora quella voce. Ma ho paura! ‘Non devi avere paura... Ricorda, tu sei mia figlia: abbi fiducia nell’Universo e l’Universo ti aiuterà... proteggi la mente del cavaliere finché non sarà guarito, così che Guxio non possa entrarvi più...’ Sospirai... aveva ragione, e io lo sapevo! Sollevai, quindi, la schiena dalla roccia cui ero appoggiata e guardai Gila, chiedendomi cosa mai avrebbe pensato di lì a qualche minuto... eppure non c’era tempo da perdere, poiché in qualsiasi momento Guxio avrebbe potuto tentare di entrare di nuovo nella mente di Guisgard... E io non potevo e non volevo permetterglielo! Cautamente, dunque, mi accostai al cavaliere e mi inginocchiai al suo fianco... ero tesa, preoccupata, e tuttavia una sorta di consapevolezza stava nascendo in me... mi guardai le mani, sentivo il calore crescere rapidamente in esse, specialmente sulle palme e sulle dita... Lentamente allungai le braccia, avvicinandole quindi a Guisgard... posai piano una mano sulla ferita sul suo braccio e l’altra sul suo petto, poi chiusi gli occhi e inspirai profondamente... Sarebbe stato un lungo viaggio, forse, ma ne saremmo usciti... ne ero certa!
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** Talia ** "Essere profondamente amati ci rende forti. Amare profondamente ci rende coraggiosi." |
24-12-2010, 02.25.47 | #833 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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"Il mio amico ha ragione..." disse Belven dopo le parole di Cavaliere25 "... uniti potremo avere vantaggi per entrambi i nostri schieramenti."
Il misterioso Cavaliere Verde fissava con attenzione Belven e i suoi due compagni. "Noi siamo sufficientemente armati per affrontare chiunque" aggiunse Belven "e il coraggio che ci anima raddoppia il nostro valore. I nani sono noti per la loro forza in battaglia." "I nani?" Ripetè il Cavaliere Verde. "Si." Rispose annuendo Belven. Si voltò ed ordinò ai nani nascosti nella boscaglia di venire fuori. "Mai..." mormorò stupito uno dei cavalieri "... mai vista una simile compagnia di nani in assetto da battaglia..." "Come vedete, milord, noi siamo pronti." Concluse Belven. "E non esiste un nano che tema la morte." Intervenne Goldblum. "Vi è del buono in ciò che dite..." disse il Cavaliere Verde "... unendo le nostre forze aumenteremo le possibilità di riuscire in questa impresa." Belven accennò un lieve inchino. "Ma vi è una condizione essenziale a finchè la nostra unione sia possibile." Aggiunse il Cavaliere Verde. "Quale condizione, mio signore?" Domandò Belven. "Questa nobile compagnia è sotto il potere e la giurisdizione di sua grazia il vescovo" spiegò il misterioso capo di quei cavalieri "e di ogni sua azione, che sia volta alla vittoria o alla sconfitta, ne risponde solo alle autorità ecclesiastiche. Voi, unendovi a noi, accetterete tale condizione?" "Milord, io giunsi a Cartignone perchè mi incaricò la stessa autorità alla quale voi obbidite" rispose Belven "e ad essa ho prestato i vostri stessi giuramenti." "Mio signore..." intervenne uno dei suoi cavalieri "... sui valori di questo cavaliere e del suo compagno arciere" indicando Belven e Cavaliere25 "non vi erano molti dubbi... ma riguardo ai nani? Qualcuno afferma che sono pagani, non Cristiani! Se si unissero a noi degli infedeli sarebbe la rovina!" Il Cavaliere Verde fissò Goldblum e gli altri nani. "Mio signore, ascoltatemi..." prese a dire il nano "... se siete alla testa di questi nobili cavalieri, investiti da un'autorità al di sopra di tutto e tutti, allora i vostri principi sono saldi e assoluti. So dunque che non giudicherete gli uomini in base al loro credo ed ai loro principi. Sapete meglio di me" aggiunse "che non è bastato issare croci sui loro vessilli per permettere ai cavalieri Cristiani di riprendersi Gerusalemme, nè a quelli spagnoli per impedire ai mori di conquistare la loro terra. Mio padre mi ha insegnato molto, tutto. Da lui ho appreso che credere è importante, qualsiasi sia il nome che invochiamo guardando il Cielo. Mio padre era un semplice nano, ma sapeva tutte queste cose. E so che anche voi, mio nobile cavaliere, non ignorante tutto ciò." "Bada a come parli, nano!" Lo ammonì uno dei cavalieri. "Parli bene, Goldblum." Disse il Cavaliere Verde zittendo con un gesto il suo sottoposto. "Parli da valoroso." "Egli è un valoroso, mio signore." Intervenne Belven, mentre e sorrideva al coraggioso nano.
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24-12-2010, 02.55.30 | #834 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il pomeriggio era caldo, ma all'ombra di quella quercia vi era un fresco riparo dalla calura estiva.
Guisgard fissava il mare, mentre le onde si spegnevano lentamente sugli scogli resi lisci dalla salsedine. "Non mi abituerò mai alla bellezza di questo posto..." mormorò. Poi strappata una larga foglia da uno dei rami, la portò alla bocca e soffiandoci contro cominciò ad accennare ad una triste melodia. La donna giunse proprio in quel momento alle sue spalle, fermandosi ad ascoltare quel suono. Ad un tratto una lieve brezza si alzò ed accarezzò i capelli di lui, come a destarlo. "Non smettere, ti prego..." disse la donna. "Carry!" Esclamò il cavaliere voltandosi. "Pensavo non saresti più venuta oggi!" "Invece si." Rispose sorridendo lei. "Ti sono mancata?" "Come al marinaio le stelle del cielo!" I due si abbracciarono e si baciarono. "Posso restare solo pochi istanti..." "Perchè?" Lei sorrise malinconica. "Volevo darti questa..." disse. "Un'ocarina..." "Si, è per te..." rispose lei. "E' molto bella..." "Suona qualcosa per me..." sospirò lei "... mentre mi allontano per tornare al castello..." Guisgard ebbe un sussulto e tentò di dire qualcosa. "Credo sia la febbre..." disse Gila "... ma sta sudando e questo è buon segno..." Il nano fissò allora Talia. "Deve guarire..." aggiunse "... è l'unico che mi abbia mai trattato da amico..."
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24-12-2010, 09.41.41 | #835 |
Cittadino di Camelot
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Ora che siamo pronti possiamo anche incamminarci per andare a cercare quei dannati che ne dite meglio muoversi prima che ci sfuggano e guardai con un sorriso tutti e aspettai
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fabrizio |
24-12-2010, 12.43.23 | #836 |
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Fluttuavo... intorno a me tutto era blu, celeste, bianco... mi sembrava di udire il rumore del mare molto lontano... la mia testa e il mio corpo erano estremamente leggeri, impalpabili... il calore delle mie mani e il loro contatto con Guisgard era l’unica cosa che continuava a tenermi legata a terra...
Ma ero tranquilla perché la sua mente -così blu, celeste e bianca- era serena... lievemente triste forse, un po’ malinconica probabilmente... ma serena! Io non sapevo che cosa stesse vedendo ma, qualsiasi cosa fosse, di certo non era Guxio... e ciò era bene! Improvvisamente sussultò... e anche io sobbalzai. Ma fu un attimo, poi tutto tornò calmo. Udii la voce di Gila, da qualche parte alla mia destra... mi parve lontana, ma ne colsi ugualmente la vibrante preoccupazione. Non aprii gli occhi e non mi mossi, per non perdere il contatto con la mente del cavaliere neanche per un istante, ma sorrisi... sicura che Gila avrebbe capito. Poi tutto cambiò. Tutto divenne buio e freddo e, improvvisamente, due grandi occhi si spalancarono di fronte a me... due occhi fiammeggianti, due occhi malvagi, due occhi che traboccavano odio puro... Vacillai un istante... ma mi costrinsi a non perdere il contatto con Guisgard. ‘Non l’avrai, Guxio!’ pensai ‘Non avrai nessuno dei due!’
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26-12-2010, 03.07.28 | #837 |
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"Milady... Dio non voglia renderci nemici... non credo che qualcuno dei miei nobili compagni voglia opporsi ai vostri fieri e determinati propositi... ma diteci, vi prego, cosa anima di tanto ardore il vostro animo? Nel vedervi giurerei che qualcosa di molto prezioso vi attende in questo bosco... o forse qualcosa a voi molto caro..."
A queste parole, Gaynor si rese conto che il suo comportamento portava a credere proprio quello, e cioè che lei stesse cercando di salvare qualcosa che le stava molto a cuore... Ma cosa poi? Una dama che neanche conosci? Un cavaliere di cui non sai nemmeno il nome? Ma perchè poi non ho ancora chiesto il suo nome a Iodix? Quale misteriosa forza mi ha condotto in questo bosco maledetto? Troppi interrogativi a cui non sapeva dare risposta, mentre il chierico una risposta l'attendeva adesso... "Il motivo che mi spinge qui al momento preferisco tenerlo per me, a voi basta sapere che sono dalla vostra parte, sempre che anche voi siate animati da nobili intenzioni... Sono arrivata, siamo arrivati qui con lo scopo di trovare quel che stavamo cercando, per cui è giunto per noi il momento di proseguire oltre. Sono lieta di apprendere che nessuno ci ostacolerà, tuttavia sono dell'idea che formare un gruppo compatto possa giovare all'impresa. Ad ogni modo, stiamo per proseguire, con o senza di voi." Detto questo, Gaynor fece cenno al giullare ed al vecchio delle fosse di seguirla, muovendo i primi veri passi contro il nemico...
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"Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana [...] Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato." |
26-12-2010, 03.36.43 | #838 |
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In un assolato giorno di primavera, Gaynor era intenta a raccogliere fiori nel giardino del suo castello ad Imperion. Elinor era immancabilmente vicino a lei, mentre Duncan era impegnato con dei cavalieri suoi ospiti. La ragazza si sentiva malinconica e nemmeno prestava attenzione alle belle fresie che profumavano l'aria, strappandole dal terreno con fare distratto. Duncan le aveva chiesto di restare nei paraggi nel caso ci fosse stato bisogno della sua presenza, per cui era escluso che potesse allontanarsi per raggiungere la "sua" collina, luogo in cui amava rifugiarsi nei momenti di tristezza. Anche Elinor scalpitava, desiderosa di correre in libertà...
"Cara amica mia" disse Gaynor rivolgendosi ad Elinor, viaggiando sulla spumosa scia dei propri pensieri "purtroppo qui è tutto un disastro, io stessa sono un disastro..." D'improvviso, una voce sconosciuta la fece sussultare: "Nulla io vedo che non sia perfetto..." Gaynor si girò e vide a pochi passi un cavaliere appoggiato al tronco di un albero, che la guardava con un'aria tra l'indolente e l'affascinato... I suoi capelli erano bruni, mentre gli occhi erano dello stesso colore del cielo terso di quel mattino di primavera... Improvvisamente, Gaynor si ridestò dal quel ricordo lontano, chiedendosi per quale motivo le fosse tornato alla mente, in un momento in cui giocava per la propria vita e quella dei suoi compagni.
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26-12-2010, 23.04.29 | #839 |
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Il feudo dei duchi di Cassis era stato ricco e potente per generazioni. Poi, di colpo, un’ombra si era distesa su quella famiglia, segnando di lutti e di sventure quel casato tanto fortunato.
Gli eredi del vecchio duca, inebriati dal prosperare dalla loro potenza, erano cresciuti in superbia al punto da sfidare perfino il potere del re. Con sdegno avevano concesso a lui i propri servigi, e con arroganza ne avevano provocate le ire, consci del potere che derivava loro dal denaro e dalla protezione delle armi degli uomini a loro fedeli. Ma coloro che troppo in alto si pongono rispetto ai loro simili, sono spesso destinati ad una fine altrettanto rapida e rovinosa. I dissidi interni tra gli eredi portarono il casato alla rovina, indebolendo le forze dall’interno, divorandone le carni come in una malattia silenziosa. Così il nobile feudo prestò il fianco alle vendette e alle invidie dei nemici, e i duchi de Cassis, che un tempo erano stati chiamati “Invincibili”, si trovarono a difendere con le armi in pugno le proprie vite, accerchiati e vinti da quegli uomini che un tempo avevano soggiogato con la loro forza. Armenio de Cassis, ultimo dei duchi del casato a resistere alle arroganze dei vicini marchesi di Saint Roche, fu infine vinto e sconfitto, e pur di non vedere perdute le terre dei suoi padri, preferì puntare la propria spada contro petto e chiudere gli occhi di fronte alla rovina. Lasciava così in balia del marchese Ivan de Saint Roche, che gli era cugino da parte della moglie e per questo in prima linea nella pretesa del ducato, i due figli ancora adolescenti, Morven e Zulora. Approfittando della parentela, il marchese si era proclamato tutore dei due fanciulli, e con questa carica ne aveva usurpato i possedimenti. Il marchese Ivan non aveva a quel punto che da attendere che Morven raggiungesse la maggiore età. A quel punto il suo potere sul feudo dei Cassis sarebbe stato così grande che avrebbe obbligato il ragazzo alla rinuncia dei suoi bene e ad un atto di vassallaggio nei suoi confronti. O questo, o la morte. E il matrimonio forzato con la giovane Zulora era il suggello perfetto di questo scellerato accordo. Quella notte, il giovane Morven si rigirava inquieto nel suo letto. Avrebbe voluto alzarsi, uscire dalle sue stanze, passeggiare lungo i bastioni del castello. Ma non l’avrebbe fatto. Sapeva che cento occhi erano pronti a spiare i suoi passi, a cogliere i suoi sussurri nell’ombra della notte. Non poteva più fidarsi di nessuno all’interno del palazzo. Era un padrone prigioniero, un re senza corona, un fantoccio nelle mani del suo tutore. Così si addormentò, vinto dal troppo pensare. E quella notte, Morven sognò… Era al buio ed era solo, in una stanza coperta dall’oscurità, di cui intuiva le strette mura di pietra senza tuttavia né vederle, né toccarle. Nel silenzio, chiuse gli occhi e respirò. Essere solo non lo impauriva. Al contrario, lo riempiva di una calma soprannaturale. Respirò profondamente, e piano al suo orecchio giunse una voce dolce e musicale, la voce di un uomo che cantava lontano… “Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema…” Il cuore di Morven sussultò all’udire quei versi, e il ragazzino sorrise. Conosceva quelle parole, le udiva ogni anno in una notte speciale, la notte di Natale. E mentre la voce proseguiva nel suo canto, un bagliore si accese nel fondo della stanza. Morven fu subito catturato da quella luce. Un fuoco brillava dentro una piccola fornace. Davanti al fuoco il cupo bagliore di un’incudine, e su quel metallo brunito risplendeva a tratti il chiaro scuro di una lama di acciaio. Morven si avvicinò a quella luce, incuriosito. Un’arma di squisita fattura giaceva sull’incudine, irradiando intorno a sé bagliori di fiamma. Il ragazzo rimase a guardarla, estasiato, quando la voce riprese di colpo, adesso misteriosamente vicina al suo orecchio, come se il cantore fosse apparso al suo fianco. "Cingi, prode, la spada al tuo fianco... nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte!” Meccanicamente, ammaliato da quelle parole, Morven, incurante della fiamma e del calore che sembrava emanare da quel metallo, stese la mano e afferrò l’elsa di quella spada. Il bagliore crebbe al suo tocco, ma la spada era fredda e Morven non si ferì. Osservò la lama con la bocca aperta e gli occhi sgranati dallo stupore, poi, nonostante la grandezza dell’arma, che sembrava immensa tra le sue mani di ragazzo, la cinse al suo fianco. Nel momento in cui strinse la spada a sé, lo scenario cambiò di colpo. Nel sogno Morven vide se stesso cambiato, il suo corpo cresciuto, e in luogo dei suoi abiti di corte vestiva una lucida armatura a piastre. Cavalcava un ricco destriero e petali di rosa piovevano sul suo capo. Il pettorale era riccamente decorato e gli spallacci avevano una foggia particolare, come le ali di un uccello, o di un angelo. “Avanza per la verità, la mitezza e la giustizia!" Così proseguiva la voce misteriosa del cantore, e Morven si mosse, avanzando tra due ali di folla che si aprivano al suo passaggio, fino a giungere all’ingresso di una grande sala, davanti alla quale smontò da cavallo. La sala era inondata di luce e di canti, la sala scintillava di ori e di pietre preziose, e attorno a lui fitte file di cavalieri che risplendevano della gloria delle loro armature lucenti. La luce del sole gli colpì il viso e quel calore lo fece sentire vivo. Davanti ai suoi occhi si ergeva, in fondo alla sala, un ricco trono, e su di esso il re sedeva con aria grave. Morven avanzò con fierezza verso il sovrano. Al suo fianco la spada che aveva preso dall’incudine, che adesso risplendeva di un quieto bagliore di smeraldo, mentre le decorazioni dell’elsa si allargavano come ali di drago, attirando la curiosità e l’ammirazione dei presenti. Giunto di fronte al sovrano, il giovane si inginocchiò. “La tua destra ti mostri prodigi: le tue frecce acute colpiscono al cuore i nemici del re; sotto di te cadono i popoli” Così il cantore accompagnò quel momento, in cui Morven chinò il capo davanti al suo re, che si era sollevato dal suo seggio per andargli incontro. - Tu oggi sarai armato cavaliere e con le tue armi servirai Dio e servirai me! Morven osò levare uno sguardo triste e stupito verso il sovrano. - Mio sire… questo è impossibile… quando avrò raggiunto l’età adulta, dovrò spogliarmi di ogni mio titolo oppure morire… nell’uno o nell’altro caso, mio re, mai potrò servire la vostra causa. Ma il re parve ignorare le sue parole, e sollevando la spada, la posò sulle spalle del giovane. - Segui la tua strada e vinci il tuo nemico, e compirai il tuo destino e quello del tuo casato! Prese allora a recitare la formula di rito, mentre la voce del cantore si scolpiva nella testa del ragazzo, riempiendolo con le sue parole: “Ami la giustizia e l'empietà detesti: Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali!” Da quel giorno si disse che il giovane duca de Cassis aveva smarrito la ragione. Il ragazzo cominciò a vaneggiare che sarebbe diventato cavaliere e avrebbe servito il re. Cominciò ad essere insofferente e irrispettoso della regola e delle imposizioni del suo tutore. Iniziò a trascurare gli studi per dedicare ogni minuti del suo tempo all’allenamento della spada. Poi una notte, a qualche mese dal raggiungimento della sua maggiore età, il duca Morven de Cassis scomparve. Di lui non si seppe più nulla nelle sue terre, nemmeno quando la giovane Zulora andò in sposa al marchese di Saint Roche. In breve si disse in giro che era morto, e sebbene da molti rimpianto, infine anch’egli fu dimenticato. … ma io tornerò, quando avrò compiuto il mio destino! Tornerò per poter dire “Eccomi, sono qui... sono tornato per dimostrarvi come si costruisce un sogno!” Erano quelle le visioni, e quelle erano le parole che gli risuonavano nell’orecchio, mentre Morven sembrava restare sospeso, circondato da onde di luce di cangiante smeraldo. Un’aria calda lo avvolgeva e lo abbracciava, e la voce di Samsagra si avviluppava attorno a lui, rapendolo dal tempo reale e da tutto ciò che lo circondava. Non vedeva più nessuno attorno a sé, e non udiva più nulla che non fosse quella voce che gli parlava: "Nel ventre della terra... scendi nel ventre malato della terra... scendi e troverai ciò cerchi..." E a quella voce Morven si abbandonò. Chinò il capo e piegò il ginocchio. Strinse l’elsa di Samsagra e chiuse gli occhi. "Così sarà" mormorò "... e così avverrà ciò che deve accadere… tu mi guiderai e io ti seguirò… portami nel ventre, dove nasce l’ombra… portami davanti al cuore del mio nemico… Dio, il mio Dio mi ha consacrato, e io obbedirò al suo comando… emergerò dalla terra o perirò in questa impresa!"
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?" "Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!" |
27-12-2010, 02.05.53 | #840 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il bosco.
Cosa celava il bosco? Chiunque fosse cresciuto in queste terre aveva antichi ricordi. Favole, leggende, narrata dai propri nonni o dai genitori. Ma quelle storie, ammuffite dal tempo e sbiadite nella memoria, non avevano lo scopo di spaventare i bambini. Quelle storie celavano qualcosa. Qualcosa che si trovava proprio in quel bosco. Da quando il male albergava a Cartignone? Forse da sempre. La chiesa sconsacrata. Non c'era vento, eppure il grande crocifisso capovolto sull'altare oscillava scricchiolando in modo sinistro ed angosciante. "Cosa facciamo, milord?" Chiese Dukey a Bumin. "Siamo qui per ritrovare i dispersi in questo bosco" intervenne il Cappellano prima che il cavaliere rispondesse al suo sottoposto "e non sarebbe cosa saggia dividere il gruppo. Rischieremmo solo di indebolirci." "Il nostro domenicano" disse Bumin con un ghigno solo appena accennato "sembra un vero esperto su come si comanda un gruppo. A questo punto mi domando se valga tanto anche come chierico." "E chi meglio di un chierico" rispose con un sorriso il Cappellano "potrebbe guidare un gruppo!" "Sapevo che voi uomini di Chiesa" replicò Bumin "avevate competenze per condurre un gregge... ma di pecore, non di uomini." "Magari questo fosse un gregge..." scuotendo il capo il Cappellano "... il pastore, in questo caso, conoscerebbe ognuna delle sue pecore... ed esse lui..." In quello stesso istante, Gaynor, il vecchio delle fosse e Iodix si avvicinarono ai tre. "Direi di non indugiare oltre con chiacchiere inutili" disse il Cappellano "e di muoverci." Fissò allora la grata che precedentemente Morven aveva scoperto ed aggiunse: "Credo che questo passaggio sia omai obbligato per noi." "Si, lo penso anche io..." mormorò Bumin. E, facendo cenno a tutti loro di seguirlo, cominciò a calarsi in quel passaggio.
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