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Vecchio 24-06-2010, 19.11.39   #1
Gaelle
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Gaelle è sulla buona strada
Contest di storie/fanfiction: Della volta del bastardo del re...

Della volta del bastardo del re e del suo amico, e del giorno in cui tutto finì.




Nome Autore: Gaelle
Nome autore su EFP: Elos
Nome autore su EFP - forum: elos.gordon
Titolo: Della volta del bastardo del re e del suo amico, e del giorno in cui tutto finì.
Link su EFP: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=524911&i=1
Categoria su EFP: Libri - Leggende Arturiane.
Personaggi: Mordred, Galahad.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: Slash, One-shot.
Note dell'autore:
Ho preferito non classificarla nel blocco delle AU o delle what if...? perché non appartiene né all'uno né all'altro. Non è un'AU: il mondo è quello della Tavola Rotonda nei romanzi di Chrétien de Troyes e di Jacques Boulenger, contraddizioni interne ai due a parte, l'ambientazione più conosciuta e più accreditata delle leggende arturiane; e non è una what if...?, perché il ciclo della storia si svolge come raccontato nei suoi passaggi fondamentali.
Il rating è giallo per alcune descrizioni un poco sanguinose e per un paio di temi trattati di sfuggita qua e là: ma debbo dire d'averlo messo più per prudenza che altro. Lo stesso vale per l'avvertimento slash: il rapporto tra Mordred e Galahad rimane interpretabile a piacimento del lettore.
I miei ringraziamenti alle organizzatrici del concorso per ospitalità, disponibilità e gentilezza.







Ho aspettato per averti un mattino d'estate.
Avrei avuto i tuoi capelli tra le dita - e al sole sarebbero stati rossi, come i miei.


- - -


La prima volta in cui lo incontra è primavera inoltrata.
E' qualcuno che non ha mai visto prima nel castello, e quindi degno di nota, e poi è qualcuno che è arrivato assieme a un grande cavaliere dallo scudo rosso. Sono sembrati tutti felici di veder arrivare il cavaliere, e tutti un po' meno felici di veder arrivare il bambino, e così lui ha deciso che forse, forse, forse, un tentativo per avvicinarglisi può anche farlo.
Al bastardo del re nessuno nega nulla: gira con le saccocce rigonfie di nespole acerbe, e le nespole son sempre un buon argomento per iniziare una conversazione, così come le mele, le pesche, il miele - soprattutto il miele: bellissimo, dorato, dolcissimo miele. Allunga una mano e ne offre una allo sconosciuto:
- Ne vuoi? -
E' più piccolo di lui. E' pallido e chiarissimo, gli occhi troppo grandi per il viso affilato. Si tiene in ombra nel porticato di pietra, appoggiando due mani minuscole ad una colonna. Allunga il collo da uccellino per sbirciare le dita dell'altro, piene di frutti piccoli e schiacciati, e pare per un attimo combattuto: ha uno sguardo pieno di desiderio, ma il viso vergognoso. Inghiotte a vuoto, alla fine, e scuote a malincuore la testa.
Il bastardo alza le spalle e si caccia in bocca una nespola. E' aspra, è liquida e fresca, succosa. Ripulisce con cura il nocciolo prima di sputarlo via. Osserva di sottecchi il nuovo arrivato e lo vede inghiottire di nuovo, poi arrossire e guardare altrove.
- Guarda che ne ho tante. - Butta lì, noncurante. - Vedi? -
Rovescia le tasche. Ha un sacco di nespole davvero, abbastanza per avere la pancia piena fino a sera: ma potrebbe averne anche il doppio, anche cento volte tante, e non gli basterebbero comunque per comprarsi un po' di compagnia. Al bastardo del re nessuno nega nulla, però non può stare con i figli dei cavalieri che non son nati bastardi - è troppo poco per loro - né con i figli dei servi e dei braccianti - sono troppo poco per lui. Né gli uni né gli altri, e questo significa star da soli.
Lo sconosciuto azzarda un'altra occhiata ai frutti. Comincia a scuotere la testa, ancora, ma poi azzarda un passo verso di lui.
L'attimo dopo sono entrambi occupati a spartirsi le nespole.


E' solo al tramonto che qualcuno li viene a cercare: non il bastardo, che sa che nessuno andrà a controllare dove lui si sia cacciato - non prima che faccia buio, almeno - ma il bambino chiarissimo. A venire è il grande cavaliere dallo scudo rosso, che è senza scudo, ora, e senza elmo.
Mordred si alza in piedi, perché gli hanno insegnato che è così che si salutano i cavalieri, in piedi e con rispetto. L'uomo lo guarda per un attimo solamente, e l'espressione del suo viso si scurisce di disappunto.
- Saluta e andiamo, Galahad. -
Galahad. Il bambino chiarissimo si chiama Galahad.
Il bambino chiarissimo raggiunge svelto e ubbidiente il cavaliere, i passetti piccoli e la testa china. Si gira solo quando gli è accanto, guardando verso il bastardo. Alza una mano per salutarlo, e poi gli sorride.
Anche il suo sorriso è chiarissimo.
- A presto. - Dice Galahad.
- A presto. - Dice il bastardo.
Li guarda andar via e i noccioli delle nespole che ha ancora in tasca, conservati per farne proiettili da fionda, gli sembrano pesare tutto ad un tratto come fossero fatti di pietra. Galahad cammina attaccato al cavaliere e, così piccolo e intimidito, sembra niente più che un topolino.


Il bastardo scopre solo a sera che il nome del cavaliere dallo scudo rosso è Lancillotto, Lancillotto del Lago, primo cavaliere del re: glielo dice Mornia, che è la serva che lo mette a letto tutte le notti. Non è proprio una balia, ma una specie, e gli racconta sempre quel che si dice in giro per il castello.
Gli dice che essere primo cavaliere è un grande onore. Gli dice anche che Lancillotto se l'è guadagnato più con i tornei che con le guerre, quest'onore, e che quando è partito per un lungo viaggio attraverso il regno non ha più dato notizie di sé per molti, molti, molti mesi.
Gli dice che Galahad forse non è figlio della moglie di Lancillotto.
Essere figlio di qualcuno che non è una moglie significa essere bastardo.
Come me. Pensa Mordred.


- - -


La seconda volta in cui si trovano è quello stesso anno, solo qualche mese più tardi.
Galahad è ancora un bambino chiarissimo e limpido, come trasparente, spaventato da tutto quel che ha attorno e vergognoso di farsi vedere, di farsi toccare, di parlare e di respirare. Suo padre lo tiene con sé tutto il tempo che può, ma deve lasciarlo da solo nei giudizi, in mezzo alla corte, quando siede alla destra del re.
Il tempo che non passa con suo padre, Galahad lo trascorre con Mordred.
Mordred è felice. C'è un altro bastardo con lui, adesso: Galahad non è né troppo né troppo poco per lui, e questo significa non essere più solo. Il re li guarda insieme e non dice niente, Lancillotto li guarda insieme e non dice niente. Si vede che nessuno dei due è felice, ma sembra non sappiano bene cosa dire per dividerli. Dividerli. Perché, poi?
Galahad e Mordred restano vicini.


Mangiano le nocciole dell'autunno dorato, le caldarroste lasciate ad abbrustolirsi nei camini. I servi fingono di non vederli quando s'infilano di soppiatto nelle cucine per sottrarre gli avanzi: è il bastardo del re, quello, e non gli si nega niente. E poi c'è il bambino con lui che piace a tutti, è timoroso ed educatissimo ed adorabile, e di lui tutti si dimenticano di dire che è un bastardo.
Galahad è chiaro, pensa Mordred. Ha la pelle chiara, gli occhi chiarissimi. Ha i capelli che sembrano biondi - tutti pensano che lo siano - ma solo lui sa la verità.
Quando lo tiene per mano, per aiutarlo a scavalcare un muro, ad esempio, o ad arrampicarsi su per i rami contorti di un albero, la pelle bianca di Galahad contro la sua, che è invece abbronzata, sembra ancora, ancora, ancora più chiara.


Lancillotto parte prima dell'inverno: parte con carri e cavalieri al seguito, tutta una carovana che scivola poco alla volta fuori dalle mura del castello. Camelot è ornata a festa con tutti i fiori scarni che la stagione permette, e ci sono drappi di seta e picche piantate ovunque, la gente per strada vestita con gli abiti migliori mentre li saluta.
Galahad si ferma vicino a Mordred per salutarlo, e gli stringe entrambe le mani mentre dice:
- A presto. -
Questa volta suona come una promessa.


- - -


La terza volta, la quarta, la sesta. Settima e ottava, decima. Lancillotto del Lago, primo cavaliere, viaggia attraverso il regno per sorvegliare i confini e badare agli affari del re, ma torna di frequente a Camelot. A Mordred Lancillotto non piace, ma crede che sia soprattutto perché lui non piace a Lancillotto: lo capisce dal modo in cui lo guarda, come fisserebbe una cosa un po' sporca rimasta appiccicata alla sua luminosissima armatura, dalla maniera in cui lo evita, dal sollievo che prova a portar via da lui Galahad quando può.
Mordred direbbe a Galahad molte pessime cose su suo padre - tutte quelle che i servi del castello sanno, tutte quelle che Mornia gli racconta la sera - ma Galahad ne sarebbe rattristato: per cui le tiene per sé e si cuce la bocca. Non sopporta Lancillotto, ma Galahad gli piace. Galahad è il suo migliore amico.
Stanno con i gomiti appoggiati alle fosse tra i merli delle mura esterne: alle loro spalle il mastio è una spada di pietra gettata a sfiorare il cielo; davanti a loro il ponte levatoio è abbassato per far passare una lunga fila di carri. C'è una donna bellissima seduta su un palafreno più alto dei carri, vestita con con il bianco del lino ed il giallo dello zafferano: dev'essere ricca, dev'essere nobile, perché per mantello ha una stola sottilissima tinta con l'indaco e per compagno ha uno sfavillante cavaliere dallo scudo legato sul dorso. Sullo scudo ci sono bande d'argento e due grandi ali frangiate di rosso, artigli e una fiamma in giallo a scorrere trasversalmente.
- Mi piacerebbe averne uno così. - Osserva Mordred tutto ad un tratto. E, all'occhiata perplessa di Galahad, si spiega: - Uno scudo così. -
Perché Galahad e Mordred avranno presto uno scudo. Galahad e Mordred saranno cavalieri. Galahad e Mordred avranno fama e onore e gloria, da conquistare in battaglia, Galahad e Mordred faranno cose che faranno dimenticare a tutti che sono nati da donne che non erano mogli, cose che verranno cantate durante le cene di corte e che tutti si ricorderanno, poi, anche quando saranno morti.
Galahad e Mordred, pensa Mordred, porteranno orgoglio ai loro padri, e ai padri dei loro padri, e a tutti i padri dei padri che sono venuti prima. E' un pensiero che lo rende avido, questo.
Galahad si sporge un altro po' per poter guardare meglio la dama e il cavaliere.
- Credo di sì. - Un attimo di silenzio, prima che aggiunga: - Credo... credo però che avrò quello di mio padre. Non è così che si fa? -
Lo scudo di suo padre, pensa Mordred, di mio padre. Lo scudo con la torre, la spada e la corona, ma quello lo avranno i figli legittimi di Artù. La regina è infertile, dicono tutti, e forse è solo questo il motivo per cui tengono Mordred a corte: è una soluzione di riserva. Ma Ginevra è ancora giovane, c'è tempo. Tanto tempo per restare incinta, tanto tempo per avere figli maschi. Non è detto che prima o poi Mordred non venga mandato via.
Il pensiero è una fitta allo stomaco: non è che Camelot gli piaccia poi tanto, con tutti quelli che lo chiamano bastardo, quelli che lo commiserano, quelli che lo evitano, però è un posto che conosce. C'è Mornia, lì. C'è Galahad. Se lo manderanno via forse non sarà mai un cavaliere. Se lo manderanno via non potrà rendere fieri i suoi avi, non potrà rendere fieri i suoi figli: perché avrà tanti figli, Mordred, tutti da sua moglie.
- Penso sia così che si fa, già. -
Rimangono zitti a lungo, poi, finché la fila di carri non è scomparsa all'interno del portone: le grate si alzano, il ponte levatoio viene sollevato. Il lago ha riflessi di luce azzurra, pallidissima, che sembrano tingere anche le prime case della città.
E' Mordred a parlare di nuovo:
- Lo scudo di tuo padre è rosso, però. -
- Uh, sì. Perché? -
- Mah, perché non sarebbe giusto. Dovresti portarne uno bianco. - Lo guarda, gli sorride. - Quello sì che sarebbe giusto su di te. -
Anche Galahad sorride.


A dodici anni Galahad ha una pelle da latte e da neve. Ha gli occhi azzurri, nebbiosi, non ha efelidi né nei. Il viso è sottile come quello di una ragazza, il corpo slanciato.
Tutti pensano che abbia i capelli biondi - solo Mordred sa la verità.


- - -


Perché i capelli di Galahad sono rossi.
A sedici anni - sedici anni bellissimi da spezzare il cuore alle fantesche e alle contadine, sedici anni bellissimi e radiosi da spezzare il cuore delle dame e quello dei cavalieri per la sua bellezza da angelo etereo, la Chiesa non dice che gli angeli di Dio non hanno sesso? - li porta lunghi fino alle scapole, proprio come suo padre: ma poi si vergogna di lasciarli sciolti perché così al sole l'inganno diventa evidente.
Sono rossi, rossi, rossi.
Rossi, pensa Mordred, che ne tiene una ciocca tra le dita e poi ride:
- Non è il colore del diavolo, questo? -
Anche il viso di Galahad è rosso, adesso, e non c'è proprio nulla di diabolico in questo.


Per la Festa del Raccolto loro si scelgono due ragazze del popolo, per portarle a ballare attorno ai fuochi, per portarle tra i cespugli quando la festa finirà. Sono più belle delle dame della corte del re, malgrado odorino di fieno ed abbiano i piedi e le mani sporche di terra, perché ridono forte e non si vergognano di farlo; e quando Galahad e Mordred le accompagnano insieme nei boschi sorridono solo.
Al mattino Mordred si sveglia con la morbidezza della terra fertile sotto la schiena e un braccio morbido e lentigginoso buttato oltre il ventre, la peluria dorata della ragazza come un solletico lieve che la brezza gli fa scorrere a fior di pelle. L'odore del fieno sa di selvatico, adesso, sa di sudore, di calore, di fuochi. Appena oltre il braccio della ragazza splende una chioma chiara, chiarissima. dorata: il sole si infrange tra le foglie e la tinge di rame lì dove la sfiora. Galahad dorme ancora, rannicchiato attorno alla sua compagna, e da assopito ha un viso sereno come quello dei santi miniati.
E' così che dovrebbe essere tutta la vita, tutta la vita, pensa Mordred. Non dovrebbe finire mai.


- - -


Il re li fa cavalieri insieme, lo stesso giorno. Mordred ha uno scudo con la torre e la spada, ma senza la corona, e c'è il re - suo padre - che regge Excalibur la sacra con tutte e due le mani e gliela posa sulle spalle, un tocco alla volta, sfiorandolo appena. Il prete lì accanto li benedice, e il caso vuole che proprio in quel momento si spostino le nuvole grigie che hanno coperto il cielo sin dalla notte di Natale: la luce che attraversa le vetrate opache invade lo scudo di Galahad facendolo risplendere radioso, perché Galahad alla fine ha preso uno scudo bianco, accecante, e tutta la chiesa comincia a mormorare e a dire che è un miracolo, che è un segno, che quel ragazzo chiaro, chiarissimo, dev'essere molto amato da Dio.


Lì per lì Mordred pensa che sia divertente. Pensa anche che sia bello, perché lui Galahad lo può avere vicino, lo può sfiorare, lo può toccare, Galahad è suo amico, è suo: ha quella cosa bellissima e candida che ha acceso la chiesa, la cosa bellissima e candida che anche Dio vuole.
Quello è il loro giorno di gloria. I due bastardi hanno uno scudo, hanno una spada, sono cavalieri. Renderanno orgogliosi i loro padri, fieri i loro figli. Avranno fama e gloria e onore e le loro gesta le canteranno i giullari nelle corti molti secoli dopo che saranno morti.
- Alla salute. - Dice Mordred, levando il calice.
Galahad sorride. Ha sempre un sorriso bellissimo quando suo padre non è nei paraggi, un sorriso sicuro, sereno, convinto. Mordred allunga una mano e gli afferra una ciocca tra le dita, ancora, e Galahad fa rintoccare il calice contro il suo e ripete:
- A quella del re. -


Il re li ha fatti cavalieri, oggi. E' il giorno di Santo Stefano.


- - -


E' un mattino splendente di primavera quando Mordred sente qualcuno salire le scale che portano alla sua stanza tre, quattro gradini alla volta, e poi spalancare la porta: il battente oscilla sui cardini malamente oliati e va a sbattere rumorosamente contro la parete di pietra. C'è Galahad, sulla soglia, radioso e raggiante com'era stato il giorno della sua investitura: ha il viso pieno di luce, gli occhi sfavillanti. Ora che è in ombra, lontano dal sole, i suoi capelli sono solo oro, biondi, non rossi.
- Partiamo! - Esclama, entusiasta. - Io e mio padre! Prendiamo parte ad una cerca sacra! -
Mordred vorrebbe esserne contento, davvero. Pensa che dovrebbe andargli incontro, ora, e abbracciarlo e augurargli ogni bene: e invece lo fissa e aggrotta la fronte.
- Una cerca sacra di cosa? -
- Del Graal! Non hai sentito? Ne parla tutta Camelot! -
No, Mordred non ha sentito. Mordred non ascolta quel che la gente di chiesa dice, perché tra quelli che lo chiamavano bastardo a voce più alta, quand'era bambino, c'erano i preti della corte del re; erano i preti di corte che rimproveravano suo padre per la sua nascita, ancor più per non averlo allontanato debitamente. Un re dovrebbe dare il buon esempio, dicono.
Scacciando il proprio figlio, dicono. Uomini di chiesa. Le loro parole non hanno più valore del fango sotto gli zoccoli del suo cavallo.
E' abbastanza intelligente, comunque, da tenere per sé le opinioni di questo tenore.
- No, non avevo sentito. Non sapevo che... quanto starai via? - Dopotutto gli interessa questo, non altro. Le cerche del Graal vengono indette ogni volta che la cerchia dei cavalieri diviene troppo numerosa - e troppo annoiata - e se non è il Graal è la testa di san Costantino, la stola di Santa Etelburga, pezzi di corpi e di vesti e di libri che tornano a Camelot nelle mani dei cavalieri trionfanti. Sono un'abitudine: si parte con la stagione calda e si torna prima dell'inverno. Con un po' di fortuna Galahad sarà a casa per Samhain.
- Un paio d'anni almeno. - Dice lui, invece. - Mio padre pensa dovremmo spingerci a nord, oltre i confini del regno: è arrivato un sant'uomo da una città portando notizie, e... -
Mordred non lo sta più ascoltando.
Due anni. Due anni almeno.
- E se venissi con te? -
Galahad esita, incerto:
- Non credevo ti interessasse. -
Mi interessi tu.
- Potrebbe essere una buona occasione per cominciare ad interessarmene. -
Galahad tace per un lungo istante. Arrossisce - Dio, Dio, non è un buon segno - e poi mormora impacciato:
- Non so cosa ne dirà mio padre. -
Mordred sente il proprio cuore sprofondare, inabissarsi, mentre realizza che quello è un no.


Non pensa più che sia bello, oggi, spartire Galahad con Dio.


E così si ritrova a guardarlo partire dalle mura di Camelot. Si sporge dalle mura merlate, come usavano fare lui e Galahad tanti anni prima, e guarda il ponte levatoio abbassato: ci sono due cavalieri dai mantelli pesanti avvolti attorno alle cotte di maglia, più leggere e più adatte a un viaggio così lungo e scomodo dell'ingombrante armatura completa. Nella penombra azzurrata che precede un'alba carica di nebbia e nuvole Lancillotto è a malapena una sagoma scura; ma, accanto a lui, i capelli di Galahad splendono malgrado la luce fioca.
Mordred potrebbe giurare di avergli visto volgere il capo, guardare verso di lui. Sta sorridendo, pensa, mi saluta.
Galahad alza una mano verso il castello: e, per la prima volta da giorni, Mordred sente un po' del peso che gli preme sullo stomaco alleggerirsi, dissolversi. Tornerà. Due anni passano in fretta, dopotutto, e Galahad tornerà.
Gloria, fama e onore aspettano tutti e due, nelle canzoni dei giullari, negli occhi dei padri.


- - -


L'anno dopo i Sassoni calano sulle spiagge ad est del regno. Artù scende in battaglia e porta con sé tutto il suo esercito: ed è così che i sogni di gloria, fama e onore di Mordred si spengono in un lago di sangue, di melma, interiora rovesciate ad essiccare al sole ed a marcire sotto la pioggia, case bruciate, i morti, le donne.
Non c'è gloria in battaglia, non c'è onore. La fama gli resta appiccicata addosso ad ogni testa che spicca, ma ad ogni giorno che passa scopre che lo fa per la gente di strada, di terra: né per i cantori, né per i padri.
L'ostessa che ha preparato a lui e al suo scudiero zuppa di pane raffermo e birra, e non ha voluto esser pagata. La ragazza che gli ha lanciato un bacio dal bordo della strada, il ragazzetto che s'è fermato a guardarli appeso alla staccionata, con gli occhi sgranati.
Stacca le teste e le guarda rotolare per terra, sente il sangue rimanergli addosso, intriderlo, ma pensa che ne valga la pena solo per loro.
Ne vale la pena, di far questo, questo scempio. Ne vale la pena, ne vale la pena, ne vale la pena...


- - -


Galahad torna due anni dopo esser partito, come promesso. E' di nuovo primavera, c'è un bel sole, fiori ovunque, bianchissimi e azzurri. Si prepara la festa per Beltane.
Non torna tutto di lui: torna il suo scudo, torna la sua spada, non il suo corpo.
Lancillotto dice che l'ha seppellito ai piedi di una collina, in terra consacrata. Dice che ha lasciato due contadini a guardia della tomba. Dice che è morto come un vero cavaliere. Dice che stavano proteggendo un i villaggi al confine. Il Graal non l'hanno trovato, ma su a nord si parla già di farlo santo, al ragazzo chiaro, chiarissimo, amato da Dio.


E' tornato, non tornerà. Non lo avrà, non l'avrà mai più. L'ha voluto come nient'altro mai, come non è ragionevole che si vogliano le cose le cose. L'ha desiderato come nient'altro mai, come non è ragionevole che si desiderino le cose, l'ha amato come nient'altro mai, e non era ragionevole neanche amarlo così.


Guarda Lancillotto, guarda Artù.
Si chiede se ne sia valsa la pena di lasciarlo partire, di permettergli di andare, solo per non venir meno al giudizio di chi è venuto prima, al giudizio di chi verrà poi.


- - -


Ho aspettato per averti un mattino d'estate.
Avrei avuto i tuoi capelli tra le dita - e al sole sarebbero stati rossi, come i miei.


La spada ha acceso nelle mie viscere, affondando, una lancia rossa di dolore.
Respiro e respiro male, inghiotto aria e sangue insieme mentre la vita mi scappa via tra le dita: le serro a fatica intorno alla ferita, cercando di chiuderle, ma è come se uno spirito maligno m'avesse cacciato manciate di lana a forza nei tendini, nei nervi. Non ho forza, non ho fiato. Sto morendo.
Respiro e respiro male, inghiotto aria e sangue insieme e sento la vita scappare via, sento l'odore del sale ancor più forte di quello del sangue. Da qui al mare è un passo o nulla più.
Sulle onde così vicine vedo le lame di luce del sole, all'alba. Hanno il riflesso chiaro degli specchi, quello liquido del liquore ambrato ad oscillare in una coppa piena. Me ne riempio gli occhi e ne godo, adesso, perché è l'ultima volta, perché sto morendo. Muoio, oggi, e sapere che è Excalibur la sacra quella che mi ha straziato le budella no, affatto, non m'aiuta. Domani qualcuno racconterà la nostra storia e mi darà un nome, bugiardo, mentitore, ma oggi muoio: di quel che diranno poi non m'interessa.


Mi è importato per tutta la vita, ma oggi no. Oggi non m'importa. Né di prima, né di poi. La mia vita è scivolata via solo negli anni in cui ho respirato. E' stata vita solo quando ti ho potuto respirare accanto.


Ho ingannato e mentito. Ho impugnato una spada. Ho ucciso. Ho saccheggiato e rubato e combattuto e voluto. Non mi pento di nulla, perché ciascuna delle cose che ho fatto è stata compiuta per mia scelta, e mia sola. Per una di queste scelte avrò il nome di traditore, per un'altra ti ho perso. Per una sono qui, oggi, e aspetto che tutto finisca.
Una spada nella pancia. Almeno non è un coltello nella schiena.
Muoio su una spiaggia bianca e vuota per mano di mio padre, con il corpo sepolto fino ai fianchi nel sangue, mio, altrui: e mi pare che tutta la mia vita abbia ruotato attorno a questo momento.
Ho ingannato e mentito. Ho impugnato una spada. Ho ucciso. Ho saccheggiato e rubato e difeso, difeso, difeso, ho combattuto e voluto: ti ho voluto più di qualunque altra cosa io avessi, potessi avere, potessi desiderare. Ti ho voluto come nient'altro mai, come non è ragionevole che si vogliano le cose.
Ti ho voluto e ti ho avuto come non è ragionevole che s'abbiano le cose.
Quel che la gente ha pensato, quel che la gente penserà, non m'interessa. Ti ho voluto e ti ho amato come non è ragionevole che s'ami qualcuno.


Ti vedrò ancora. Tu mi saluterai e mi chiederai perché ci ho messo tanto ad arrivare, ché c'è un'altra cerca da iniziare: ma prima di tutto ti scuserai per non essere tornato come m'avevi detto che avresti fatto.
Avremo altre Feste del Raccolto, dall'altra parte, altre contadine da abbracciare in boschi scuri dove nessuno vede se la mia mano cerca anche la tua. Altre battaglie da combattere contro chi uccide e massacra, non nel nome dei nostri padri, dei padri dei nostri padri, non nel nome della nostra gloria: ma nel nome di quelli della terra, quelli del popolo, perché io sono stato figlio di re, bastardo, e so cosa il popolo e la terra sono.
Noi siamo il sangue che abbiamo versato, non quello che ci scorre nelle vene.


A confronto di tutto ciò il giudizio degli altri - quelli che sono stati, quelli che verranno - è nulla.


Ho aspettato per sedurti un mattino d'estate.
Avrei avuto i tuoi capelli tra le dita - e al sole sarebbero stati rossi, come i miei.
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Vecchio 25-06-2010, 14.46.12   #2
Hastatus77
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Bella storia lady Gaelle.
Complimenti. Siete brava
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