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Vecchio 31-08-2009, 02.44.07   #1
Guisgard
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Knight Ardea de'Taddei

Questo racconto, come tutti quelli che amo narrare, proviene dalle tradizioni e dal folklore della mia nobile terra. Chi a suo tempo mi raccontò questa storia giurò che ogni cosa in essa contenuta è vera e che ancora oggi le sue meraviglie sono visibili a chi frequenta i luoghi che ospitarono tali eventi.
Da parte mia, sperando che molti ne trovino diletto, continuerò a raccontarla su queste pagine fino a quando ci sarà qualcuno che leggerà ed apprezzerà.


ARDEA DE' TADDEI

I

"Nato non era, l'audace e bell'eroe,
per oziare in quell'accademia, destinato
invece, per volontà del fato, a immortali
imprese ed alle gioie d'Amore."

(L'Imp, libro I)

La giovinezza è simile alla primavera.
Entrambe sono infatti le stagioni in cui la vita inizia a fiorire nelle sue infinite e meravigliose sfaccettature.
Come la primavera porta con sé i nuovi fiori ricchi di colori, profumi e suoni, così nella giovinezza nascono i nostri sogni più belli e i desideri più fantasiosi.
Ma proprio come la primavera, così breve seppur intensa, anche la giovinezza è di effimera durata.
A cavallo tra il freddo inverno e l’afosa estate, la primavera consuma presto i suoi teneri ed intensi giorni, come la giovinezza stessa, rapido intermezzo tra la fanciullezza e l’età matura, come viva fiamma brucia rapida l’ardore del suo tempo.
E con essa smarriamo anche la volontà di rincorrere quei sogni mai realizzati e quei desideri mai sufficientemente cercati, ritrovandoci a vivere con rimpianti che assumono presto l’immagine di eterni fantasmi.
Se l’uomo avesse, assieme alla forza e la vitalità, anche la saggezza per poter godere a pieno di quel grande dono che è la giovinezza, egli sarebbe davvero il re del creato come l’Altissimo l’ha da sempre designato.
Proprio come Ardea, che alla vigilia della sua primavera, era pronto a conoscere e dominare il mondo.
La povertà del piccolo borgo Saggese non consentiva di coltivare nei cuori dei suoi abitanti i frutti dello slancio e dell’ambizione.
In uno sperduto angolo del regno di Afragolignone, lontano dai giochi di potere che scuotevano il paese, il piccolo borgo, asilo di contadini e pastori, era scandito da una statica e mediocre quotidianità che col tempo, come avviene quando le stanche ed oziose abitudini prendono il sopravvento, finiva per rendere arido ed appassito lo spirito di chi vi abitava.
Ma non per Ardea.
Il bambino infatti aveva un’insolita vitalità e un fuoco dentro che gli divampava dal cuore e rendeva ardente il suo animo.
Nonostante l’eroismo e la gloria fossero estranei in quel borgo quanto la villania in una corte, in quel bambino uno strano valore si era impossessato del suo animo che pareva nato apposta per ospitarne l’essenza: la cavalleria.
I suoi passatempi infatti erano, quando non giocava con i suoi amici impersonando paladini e crociati, tuffarsi in uno dei suoi vecchi libri o in qualcuno di quelli conservati nell’antica chiesa del borgo, dove non mancavano mai storie di valenti ed invincibili cavalieri, oppure ascoltare sognante i cantastorie che, vagabondi, arrivando nel borgo durante una delle annuali fiere o per qualche festa religiosa, recitavano a memoria i versi di favolosi poemi cavallereschi.
Era quindi imbevuto, il fanciullo, di nobili ideali ed eroici propositi e la più alta immagine che egli aveva di tutto ciò era la bellissima statua dell’Arcangelo Michele, nella vecchia chiesa del borgo, davanti alla quale Ardea passava ore immaginando e sognando cavalieri non troppo diversi dal fiero principe delle Milizie Celesti.
Ma in quel pomeriggio di Aprile la vita nel borgo sembrava essersi destata, grazie ad uno di quegli avvenimenti capaci di scuotere il perenne torpore di quelle terre: la Santa Pasqua.
Sua nonna aveva imbastito tutto per preparare i tradizionali cibi, senza i quali le festività non sembravano tali. Taralli all’arancia, rustici di sugna e salumi, torte all’uovo e di grano.
La casa di Ardea era povera, ma in questi momenti dell’anno assecondare la tradizione era un po’ come pregare e qualche sacrificio poteva essere fatto senza starci a pensare troppo su.
Così il fanciullo andò, secondo la volontà della nonna, al vecchio mulino nel bosco, proprio per comprare una razione di grano. Con lui c’era l’inseparabile Karim, un ragazzotto curioso nell’animo e nell’aspetto ma che come nessun altro capace di ammirare le virtù di Ardea.
“Perché abbiamo imboccato questo sentiero?” Chiese Karim. “Di qua si passa per il vecchio querceto!”
“Quando attraverso il bosco amo passare presso il querceto!” Rispose Ardea, spezzando da un albero un ramo e strappandone poi le foglie.
“Sai che nel querceto giuravano gli antichi guerrieri celti? E’ un luogo carico di significati!” Aggiunse, agitando a mo di spada quel ramo appena spezzato.
“Più che il vecchio querceto” ribatte Karim guardandosi intorno “io penso a quello strano posto che gli sta accanto…”
“Parli del cimitero abbandonato?”
“Abbandonato e sconsacrato!” Precisò Karim.
“Anche quello è appartenuto ai celti!”
“Ed ora ci fanno i loro riti le streghe…”
E proprio in quel momento i due furono nei pressi del querceto. Però in quell’istante qualcosa destò l’attenzione dei due ragazzi.
Un poderoso e deciso rumore di cavalli proveniente dal cuore del bosco. E prima che i due amici potessero dirsi qualcosa, avvistarono una mezza dozzina di soldati a cavallo e armati di tutto punto.
“Che i tuoi celti siano usciti dalle loro tombe?” Sussurrò intimorito Karim.
“Più che la vendetta dei morti, dovremmo temere l’odio dei vivi!” Rispose ironico Ardea, fissando con attenzione quegli uomini giunti a pochi passi da loro.


Continua...
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Vecchio 01-09-2009, 02.13.03   #2
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ARDEA DE' TADDEI

II


"Quell'immagine, ferma nella penombra,
mi fissava con tenere sorriso, come se non
avessi più nulla da temere. Poi, vistomi scattare,
svanì, come etereo sogno alla prima luce del giorno."
(I racc d Pall Lun d Sett, III, 11)


In breve quegli uomini armati raggiunsero i due ragazzi.
Avevano tutti la stessa uniforme, una lunga giubba che copriva la cotta di maglia con un elmo senza visiera, tranne colui che li guidava e che sembrava esserne il capo.
L’uomo aveva ricoperto il corpo da una dura cotta di maglia e sulle spalle, braccia e lungo le ginocchia, da una pesante armatura. Il capo era celato da un possente elmo ornato di un pennacchio rossastro e consumato.
“Avete visto passare da queste parti un uomo in fuga e ferito?” Esordì il cavaliere con tono solenne. “Si tratta di un traditore della corona ed è molto pericoloso!”
Ardea nell’ascoltarlo ne scrutò con attenzione l’aspetto e lo sguardo.
Karim invece era troppo spaventato per dire o anche solamente pensare qualcosa.
“I villani sono stupidi sin dalla fanciullezza!” Disse sprezzante il cavaliere voltandosi verso i suoi.
Poi, spazientito quanto scortese, tuonò ai due ragazzi:
“Per la barba del demonio! Capite la lingua in cui vi parlo o siete solo semplicemente tonti?”
“Messere, comprendiamo benissimo la vostra lingua ed i vostri modi e con essi il vostro rango.” Rispose fingendo soggezione Ardea.
“Allora parlate, maledetti bifolchi!”
“Perdonate, mio signore, ma le vostre parole hanno destato in noi grossi timori.”
“Non temete, miserabili! Se sapete qualcosa ditelo senza indugio così che quel maiale possa cadere presto nelle nostre mani!”
“In verità noi vedemmo un uomo in fuga passare oggi da qui” rispose Ardea “ma non comprendemmo che si trattasse di un simile reo.”
“Dove l’avete visto?” Chiese con rabbia il cavaliere.
“Verso l’inizio di questo sentiero, dove la campagna cede il passo al folto bosco.”
“E’ fuggito quindi verso il bosco, quel cane!” L’interruppe il cavaliere.
“No, messere” rispose lesto Ardea “egli vedendoci ha repentinamente cambiato strada. Solo ora ne comprendo il motivo.”
“E dove era diretto?”
“Verso le colline che aprono poi la via verso i monti.”
“Quel verme si è messo in trappola da solo! Sei sicuro che abbia preso quella direzione? Aveva con se un cavallo?”
“Si, signore, era proprio diretto verso la via per i monti e non aveva alcun cavallo con se.”
“Allora non potrà sfuggirci!”
“Messere, credete sia pericoloso? Qui vicino c’è il nostro borgo.” Chiese Ardea, fingendosi intimorito.
“Al diavolo! A voi villani è la peste o la carestia che vi farà marcire, non i traditori! E comunque, da quel che mi hai raccontato, quel maledetto ha preso tutt’altra via!”
Detto questo, il cavaliere fece cenno ai suoi e l’intera brigata si diresse verso la via indicatagli dal fanciullo.
Quando poi furono scomparsi tra la vegetazione e la polvere che avevano alzato i loro cavalli, Ardea scoppiò in una lunga risata che tradiva profonda soddisfazione.
“Folle e più folle io che ti vengo dietro! Cos’hai da ridere ora?” Esordì come intontito Karim.
“E’ stato un gioco da ragazzi sviarli verso quella solitaria via” rispose divertito Ardea “ora che è prossima la sera, si perderanno per bene, tra il buio e la loro insolenza!”
“Tu sei pazzo! Quelli sono cavalieri e se scoprono che li hai giocati torneranno a farci la pelle!”
“Non torneranno, tranquillo!” Sentenziò sicuro Ardea. “Ora affrettiamoci che è quasi buio e voglio passare prima presso il vecchio cimitero.
A quell’affermazione, Karim si sentì attraversare le membra da un brivido.
Ma il suo amico non se ne curò e raggiunse in breve l’austero luogo.
Ma appena giunti presso quelle antiche tombe, qualcosa scosse profondamente i due ragazzi.
Accanto ad una grossa croce di pietra che emergeva dal terreno, stava distesa, come addormentata o forse morta, una misteriosa figura.
A quella vista Karim scappò via. Il suo amico l’avrebbe senza dubbio seguito se non fosse stato vinto da una forte curiosità.
Così, dopo un attimo di incertezza, Ardea si avvicinò alla strana figura. La osservò da vicino, cercando di scrutarne il volto sotto il nero cappuccio che gli copriva il capo. Ma proprio in quel momento, con un rapido gesto, la figura afferrò per un braccio il ragazzo, che per la paura sentì la voce soffocarsi nel petto.
Mentre tutt'intorno il cielo iniziò ad essere attraversato dai sinistri sibili del vento.


(Continua...)
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Vecchio 03-09-2009, 02.32.49   #3
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Tengo a precisare, come ho detto, che questo racconto lo sto scrivendo sotto dettatura dei miei ricordi, o forse di una dolce musa che ora confondo con l'eco del vento della sera.
Ciò che in esso è narrato si è perso nella notte dei tempi, ma non nell'oblio del passato e facendo appunto leva su ciò che mi fu narrato da piccolo, oggi io lo canto a chi si fermerà ad ascoltarmi.
Questo racconto è frutto della memoria della mia nobile terra quindi e in nessun altro luogo potrete ascoltarlo se non qui, dalla mia penna e accompagnato dal suono della lira del mio fedele menestrello.
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Vecchio 03-09-2009, 10.13.14   #4
Vivian
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Vivian è sulla buona strada
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Tengo a precisare, come ho detto, che questo racconto lo sto scrivendo sotto dettatura dei miei ricordi, o forse di una dolce musa che ora confondo con l'eco del vento della sera.
Ciò che in esso è narrato si è perso nella notte dei tempi, ma non nell'oblio del passato e facendo appunto leva su ciò che mi fu narrato da piccolo, oggi io lo canto a chi si fermerà ad ascoltarmi.
Questo racconto è frutto della memoria della mia nobile terra quindi e in nessun altro luogo potrete ascoltarlo se non qui, dalla mia penna e accompagnato dal suono della lira del mio fedele menestrello.
I vecchi racconti delle nostre terre sono sempre affascinanti. C'è però da dire che possono esser resi ancora più belli se narrati in una maniera tanto appassionata e avvincente. Insieme a voi ho camminato con Ardea e Karim nel querceto. Insieme a voi ho sentito il desiderio irresistibile di ingannare gli insolenti uomini a cavallo . E ora son qui, dietro una lapide, che tremo nel vedere il nostro protagonista alle prese con la misteriosa figura .
Ma non voglio distogliervi dal racconto, torno a sedermi sull'erba e attendo con infinita curiosità il seguito della storia .

Mentre tutt'intorno il cielo iniziò ad essere attraversato dai sinistri sibili del vento....
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Vecchio 03-09-2009, 14.43.16   #5
Hastatus77
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Hastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luceHastatus77 è un glorioso fuoco di luce
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Originalmente inviato da Guisgard Visualizza messaggio
Tengo a precisare, come ho detto, che questo racconto lo sto scrivendo sotto dettatura dei miei ricordi, o forse di una dolce musa che ora confondo con l'eco del vento della sera.
Ciò che in esso è narrato si è perso nella notte dei tempi, ma non nell'oblio del passato e facendo appunto leva su ciò che mi fu narrato da piccolo, oggi io lo canto a chi si fermerà ad ascoltarmi.
Questo racconto è frutto della memoria della mia nobile terra quindi e in nessun altro luogo potrete ascoltarlo se non qui, dalla mia penna e accompagnato dal suono della lira del mio fedele menestrello.
Messer Guisgard, grazie per la precisazione... ma vi prego, continuate, perchè la storia è interessante.
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"La Morte sorride a tutti... Un uomo non può fare altro che sorriderle di rimando..."


Sito Web: http://digilander.libero.it/LoreG27/index.html
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Vecchio 03-09-2009, 21.51.38   #6
llamrei
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llamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamba
La vostra Terra è ricolma di animi nobili i quali hanno saputo, con gli anni, tramandare i racconti. Ben venga un bardo con il vostro diletto a narrare queste storie. Se non vi dispiace, io mi accomodo qui, messere, e non oso disturbare la vostra memoria. Mi lascio coccolare dai vostri ricordi.
llamrei non è connesso   Rispondi citando
Vecchio 04-09-2009, 01.23.50   #7
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Ringrazio tutti voi, amici ed amiche, per le lodi a questo racconto.
Il vostro diletto è per me motivo d'orgoglio, sperando che il seguito sia degno della vostra attenzione.
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Vecchio 04-09-2009, 02.38.34   #8
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ARDEA DE' TADDEI

III

"L'attesro per un pò, con l'ansia per
quella gravosa impresa, fino a che l'uomo
detto il principe, attorniato da devoti compagni,
che ad un suo gesto avrebbero la fatal dama nera
seguito nell'Ade, apparve come un re tra loro."
(Le Geo, libro I)


Il Sole era ormai tramontato quasi del tutto e sul giorno morente stava ovunque scendendo l’infinito crepuscolo.
Le alte nubi nel cielo, per il contrasto tra gli ultimi bagliori di luce ed il primo buio della sera, sembravano le possenti onde di un mare burrascoso che dall’infinito pareva intenzionato a schiantarsi sulla terra per lavarne colpe e peccati.
Un asciutto vento si era levato e con una tenace insistenza soffiava senza sosta, diffondendo lamenti ed echi in quel tormentato paesaggio.
Ma Ardea sembrava insensibile a quello spettacolo della natura. L’unica cosa che sentiva era la forte morsa che gli stringeva il braccio.
Il sibilo del vento si fece più forte e profondo, come se trasportasse i lamenti dei dannati dall’Inferno.
Infine Ardea, vinto dal terrore, chiese pietoso:
“Non fatemi del male, vi prego!”
La figura non rispose e dal buio che copriva quel volto, celato dal cappuccio, si aprirono due fessure luminose che fissavano nel profondo degli occhi il povero ragazzo.
“Abbiate pietà di me, vi supplico!” gridò Ardea “San Michele mio, aiutami!”
“Vieni a destare i morti di questo luogo e ti aspetti la misericordia degli angeli?” Disse con voce austera e profonda quella figura.
“Pietà! Pietà!” Gridò il ragazzo.
“No! Tu oggi poserai qui la tua anima!”
Vinto dalla disperazione e dal terrore, sentendosi ormai perduto, l’indomito ragazzo tirò allora un calcio, con tutte le sue forze, nelle pieghe del mantello che avvolgeva quella nera figura.
Questa, sentendosi colpita, emise un gemito soffocato tra i denti e mollò finalmente quella presa che al ragazzo pareva d’acciaio.
Ardea allora, libero da quella morsa, fu sul punto di scappar via, ma il lamento di quella oscura figura lo fece arrestare.
Si voltò e vide quello che gli era parso un fantasma piegato su se stesso, tenendosi il fianco.
Restò alcuni istanti a fissare quell’immagine.
“Maledetto” sussurrò la misteriosa figura “fuggi o ti strapperò davvero l’anima!”
Ardea invece restò immobile a fissarla.
La figura allora, aggrappandosi a fatica sulla croce della tomba, si tirò su, respirando a fatica.
Ardea si avvicinò e vide, lungo la sua gamba, il sangue scorrere in grande abbondanza.
“Non temi né gli spiriti né la morte, dannato?” Disse affannando l’uomo incappucciato.
“Gli spiriti non perdono sangue…” Rispose Ardea con un tono che tradiva una paura ormai scacciata.
La figura allora aprì di scatto il mantello e con la mano destra, la sinistra la teneva stretta sul fianco ferito, impugnò un affilato pugnale.
“Oggi, io e te ci uniremo ai morti di questo luogo…” Disse fissando il ragazzo.
Questi, in quel momento, si ricordò degli uomini avvistati prima e di quel che dissero riguardo alla preda ferita a cui davano la caccia.
Inoltre, apertosi il mantello, Ardea poteva ora vedere meglio quella figura.
Aveva una cotta di maglia che gli copriva completamente il corpo e placche di ferro sulle braccia e sulle gambe. E al collo portava un antico e prezioso monile, su chi era incisa l’immagine di un gufo con una rosa tra gli artigli.
“Volete uccidermi per poi attendere qui i vostri carnefici?” Disse Ardea, fissando il buio del volto di quello che ormai si era rivelato essere un uomo mortale.
“In questo luogo c’è solo la giustizia dei morti!” Rispose quell’uomo.
“Per quella c’è tempo. Finche siamo in vita, si intende.”
L’uomo restò in silenzio a quelle parole di Ardea.
“Dovete fuggire, finche siete in tempo.” Aggiunse il ragazzo.
L’uomo si strinse alla croce e fissò il cielo ormai buio, dicendo:
“Anche il vento sembra portare lamenti di morte.”
“Può essere quella dei vostri nemici.”
“Sei ancora qui, dannato? Vattene via, se non vuoi morire anche tu!”
“Con quella ferita non andrete lontano. Cosa vi occorre?”
A quella richiesta l’uomo fissò Ardea e rispose:
“Un confessore o un cavallo!”
Ardea sorrise e scappò improvvisamente via. Poi voltatosi verso quel’uomo gridò:
“Attendete il mio ritorno. Vi porterò l’uno o l’altro!”
E sparì come rapito dalla foga del vento.


(Continua...)
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Vecchio 07-09-2009, 02.20.02   #9
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ARDEA DE' TADDEI

IV

"Il nemico, con rapaci sguardi, scrutava che
non lo raggiungessero nè aiuto, nè ristoro.
La morte lenta e senza onore avrebbe mostrato
a tutti l'odio del terribile scolarca. Ma poi, con
armi e corazza, l'amico gli venne in aiuto,
sottraendolo allo scempio e alla furia di
quell'inumano guerriero."
(Le Geo, libro III)


Ardea, quasi sospinto dal vento, tagliò il bosco in due, come solo chi conosceva quei luoghi poteva fare e raggiunse il vecchio mulino.
Scrutò la situazione e si rese conto, colpa del tempo che sembrava diffondere maledizioni attraverso la furia del vento, che il mugnaio e sua moglie si erano ben chiusi in casa.
Raggiunse così la stalla e, coperto dal forte sibilo del vento, portò via l’unico cavallo in essa custodito.
Di lì a poco fu di nuovo al vecchio cimitero e trovò fermo sulla sua croce quel misterioso uomo.
Questi nel vedere il ragazzo, non solo ritornato, ma anche accompagnato da un cavallo, restò come allibito.
Raccolse allora le ultime forze e si sollevò, aggrappandosi alla croce, da terra.
“Ho avuto solo il tempo di prendere le redini per condurlo qui” disse il ragazzo “per la sella dovrete arrangiarvi.”
L’uomo si avvicinò al cavallo e strinse per bene le redini poi, nonostante la ferita e l’assenza di sella e staffe, montò in groppa con una disinvoltura che tradiva il suo status.
“Avrete il vantaggio di una notte sui vostri nemici” riprese a dire Ardea “seguite il sentiero e per domattina sarete fuori dal bosco e lontano dalle grinfie dei vostri inseguitori.”
“Come fai a dirlo?” Chiese l’uomo.
“Essi sono ora in balia del vento e della notte, sulla incerta via che conduce ai monti!”
“Come sai tutto ciò?”
“Perché fui io a sviarli da queste vie.”
“Perché fai tutto questo?”
“Perché dagli abiti mi sembrate un cavaliere!”
“E lo sono. Ma anche coloro che mi inseguono sono cavalieri.”
“Non lo sono. Non loro!”
“Come puoi dirlo?”
“Erano tanti contro un uomo solo e ferito. Questa è una vergogna per la cavalleria!”
L’uomo si accorse che lo sguardo di quel ragazzo, mentre diceva queste cose, fu attraversato da una luce intensissima ed abbagliante.
Allora si tolse il cappuccio, mostrando il suo volto ad Ardea.
Questi rimase rapito da quell’immagine.
I lunghi capelli neri avvolgevano sudati un viso dai bei lineamenti, con occhi grandi di un intenso blu che spiccavano meravigliosamente sul chiarore di quel fiero volto. Mentre la bella barba non nascondeva la nobiltà e la luminosità della sua espressione.
“L’ho sempre saputo…” Sussurrò Ardea.
“Cosa?” Chiese quell’uomo.
“Che i veri cavalieri sono belli come un angelo di Dio.”
“Qual è il tuo nome ragazzo?”
“Ardea, signore.”
“Dove vivi?”
“Nel vecchio borgo di Saggese.”
Udite queste parole, il cavaliere spronò il cavallo e si diresse nella direzione indicatagli dal ragazzo.
Ma fatti pochi passi, si voltò e disse:
“Che Dio ti benedica e ti accompagni sempre, ragazzo mio.”
Poi sparì come inghiottito dal folto bosco, mentre ad Ardea come compagno restò solo il sibilo del vento.


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elisabeth
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elisabeth è un gioiello nella rocciaelisabeth è un gioiello nella rocciaelisabeth è un gioiello nella roccia
State scrivendo qualcosa di veramente bello, e la bellezza dei vostri ricordi rendono la storia cosi' vera che sembrate averla vissuta, continuate ...sono curiosa...
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