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Vecchio 13-05-2010, 16.31.02   #1
lady rainbow
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Letter Alcune leggende medioevali...

Le leggende fanno parte del bagaglio culturale che ha caratterizzato e ancora caratterizza la società..è un'elemento di continuità tra passato e presente...e ci sono leggende che fanno sognare, altre che incutono timore, altre che ci portano in atmosfere misteriose, alla scoperta di luoghi semi-conosciuti o del tutto inventati..Ne riporto alcune simpatiche che ho trovato girovagando per il web..


La leggenda dell'invisibile città di Kitezh


Sulle sponde del lago di Svetloyar, 600 Km a est di Mosca, un gruppo di scienziati russi sta cercando la mitica città di Kitezh, sommersa dalle acque nel XIII° secolo. Di Kitezh, come dell’Avalon di Artù, si è persa ogni traccia. La leggenda narra che la città sarebbe sprofondata nel lago per sottrarsi all’invasione tartara del 1237 e sarebbe rimasta invisibile sino alla fine dei tempi.
(La Repubblica 27.7.2003)
Sulle rive del lago Svetlojar dove, secondo la tradizione, era situata la città miracolosa, convenivano folle di devoti in preghiera. Essi speravano, con l’aiuto di Dio, di poter scorgere il riflesso di Kitezh nelle limpide acque del lago o di poter sentire il suono delle sue campane. Si diceva che taluni avrebbero addirittura soggiornato nella città invisibile. Circolavano lettere spedite da Kitezh da persone che si sarebbero introdotte in questo regno recondito. Il viaggio verso l’invisibile Kitezh, che Dio stesso aveva nascosto, era soggetto a severi obblighi e condizioni. Il pellegrino doveva giurare di essere pronto a sacrificare la vita, a morire di fame e affrontare altre prove per vedere questa città santa. Doveva anche intraprendere il viaggio nel più grande segreto: non doveva rivelare il suo proposito ad anima viva, neppure al padre, ai fratelli o alle sorelle. Se divulgava il segreto, non solo non avrebbe mai visto Kitezh, ma avrebbe subito il severo castigo di Dio.
Ancora oggi molti credono, che a volte, col bel tempo, sia possibile sentire il suono delle campane e vedere riflesse sulla superficie del lago le cupole dell'oro della chiesa.
La storia di Kitezh sopravvive nell'opera del compositore russo Rimsky-Korsakov (1844-1908) che nel 1907 compose "La leggenda dell'invisibile città di Kitezh e della vergine Fevronija".

La storia si svolge nel tredicesimo secolo, probabilmente il più terribile nell'intera storia russa, quando la Russia fu invasa da orde di Tartari. La resistenza eroica della gente agli invasori è lo sfondo dell'opera del Rimsky-Korsakov. La leggenda ha per protagonista una ragazza di nome Fevronia, emblema di tutto ciò che è giusto, naturale, saggio, leale.
Nata nei boschi, la ragazza è circondata dalla Natura ed è lei stessa parte di questo ambiente naturale sempre presente. Fatta prigioniera dai Tartari, Fevronia rifiuta, persino sotto tortura, di mostrare al nemico la strada che conduce alla città capitale di Kitezh.
Dopo 10 giorni e 10 notti di ricerche infine i Tartari raggiungono il lago sulle cui rive ritengono che si trovi la città. Ma la città non c’è più.
Tutto ciò che i Tartari poterono vedere furono i riflessi delle cupole della chiesa ed i suoni smorzati di campane che sembravano rintoccare in qualche luogo in profondità sotto le onde. La città era scomparsa, ma questo fu l’unico modo che le rese possibile sopravvivere alla distruzione. Fevronia fu l'unica anima vivente che riuscì in qualche modo a restare là e a far sapere alla propria gente che la città di Kitezh era viva, ma si nascondeva agli occhi dei nemici.


Quasi ogni compositore, produttore o pittore ha una composizione, un libro o una tela per la quale si è preparato per una vita intera e che completamente riflette i suoi principi estetici.
La leggenda della città invisibile di Kitezh fu per Rimsky-Korsakov quello che fu il Faust per Goethe, la Cappella Sistina per Raffaello, la Nona Sinfonia per Beethoven, Guerra e Pace per Tolstoy.
L’idea di un’opera dedicata alla leggenda della città di Kitez, sommersa dalle acque del lago Svetloyar e così salvata dal dominio tartaro, che attirava Rimskij-Korsakov da tempo, fu realizzata anche grazie alla preziosa collaborazione del librettista Vladimir Bel’skij, grande conoscitore dell’antica letteratura russa, in cui convivono tracce di mitologia slava precristiana (gli uccelli profetici Sirin e Alkonost), elementi della fede ortodossa di acquisizione (988 d.C.) relativamente recente (il miracoloso affondamento della città e lo spontaneo suono delle campane delle chiese), episodi di storia nazionale con chiara intonazione patriottica (l’eroica resistenza della popolazione contro l’invasione tartara iniziata nel 1223 e di cui questo è uno dei primi episodi). Fevronija, la protagonista, simbolo del coraggio e della fermezza femminile, certamente raccoglie le tre componenti: in lei risuona il tema panteistico della natura come Chiesa universale, dove tutto vive e tutto celebra l’esistenza di Dio, il tema ortodosso dell’accettazione della volontà divina anche nelle avversità e quello patriottico della fedeltà alla propria città e al proprio popolo.

La leggenda di Melusina
Melusina è la protagonista di delicate e suggestive leggende medievali e romantiche: donna-pesce bellissima che consola e inganna, guida alla giusta scelta e innamora di sé, appare e scompare dalle profondità dei laghi nelle foreste incantate, mostro soprannaturale e donna splendida, amorevole e abile, essere crudele, ma anche una sorta di dea dell’abbondanza che costruisce palazzi e colma i campi di frumento.
Esistono diverse versioni della leggenda di Melusina, che si inserisce nella tradizione medioevale dell’incontro tra fate e umani, ma la codifica definitiva si ha intorno al 1400, per volontà di due nobili famiglie, entrambe lontane eredi dei Lusingano (antica casata francese distintasi già intorno al X° secolo), che vogliono dar lustro al proprio nome fornendo alla propria stirpe un’antenata mitica.
Intorno al 1390 il duca di Berry, erede dei castello dei Lusignano, chiede allo scrittore Jean d'Arras di stendere un romanzo che ricordi l'origine per così dire "soprannaturale " della stirpe di cui egli è erede. L'opera vedrà la luce nel 1392 e porterà il titolo di Roman de Mélusine.
Pochi anni dopo a Partenay, non lontano da Lusignano, il signore del luogo ‑ anch'egli discendente dei Lusignano ‑ incarica il suo cappellano Couldrette di redigere un'opera in versi sullo stesso tema.

Il protagonista, Raimondino, mentre è a caccia nella foresta di Colombiers, uccide per errore suo zio. Sconvolto dall'accaduto si rifugia in un bosco e presso una fonte si imbatte in tre fanciulle. Una di queste, rispondente al nome di Melusina, gli rivela di essere al corrente dell'incidente occorsogli e di poterlo aiutare, offrendosi di sposarlo, a patto che lui non cerchi mai di vederla il sabato. Poiché la ragazza è di splendido aspetto, Raimondino è lieto di accettare. Il matrimonio è assai felice e prospero: nascono numerosi figli e la prosperità della coppia sembra riversarsi anche sui possedimenti della famiglia, nei quali si accresce la produzione agricola e sorgono nuovi castelli. Tuttavia, il fratello dello sposo sparge voci malevole sulle misteriose assenze della giovane, tanto da indurre al sospetto persino Raimondino, che infrange il tabù. La ragazza, mutatasi in serpente, scompare per sempre nel regno delle acque, e ricomparirà solo di tanto in tanto come presagio di sciagure, ma i suoi figli daranno gran lustro alla stirpe da lei fondata.
La funzione di Melusina per la stirpe che la rivendica come antenata è quella di un’antica divinità della Madre Terra, che porta la fecondità e la prosperità: il semplice suo passaggio in un bosco crea radure e campi da seminare, portando dunque la civiltà degli uomini lì dov'era il confine con il mondo delle belve e degli esseri non‑umani.
Ma la spiegazione più interessante e degna di nota del mito di Melusina è quella offerta dai medievalisti Jacques Le Goff e Emmanuel Le Roy Ladurie per i quali alla base ci sarebbero racconti mitologici greco‑romani, protagoniste dei quali sono spesso le ninfe, creature semidivine. La cristianizzazione dell'impero conduce a una demonizzazione delle divinità dell'antico Pantheon pagano, che tuttavia rimangono ben vive nell'immaginario e spesso nel culto popolare anche perché si legano a substrati cultural‑religiosi ben più antichi della colonizzazione romana, come i miti celtici. E quando, a partire dal XII secolo, le credenze popolari cominciano ad essere riprese e codificate dalla cultura letteraria, si incontrano numerosi rimaneggiamenti di tali leggende.
Il nome di Melusina è altresì associato all'opera di Paracelso, per il quale essa è analoga di Ninfe e Sirene e vive nell'”Aquaster”, il principio acqueo, il principio psichico quasi materiale legato al lunare, dal quale verrebbe anche Maria. Melusina è da un lato una visione psichica, ma è anche, tenuto conto della capacità di realizzazione immaginativa della psiche (detta "Ares" da Paracelso), una distinta entità obiettiva, come un sogno che diventi realtà per un attimo. Melusina è simbolo dell’anima che appartiene a quei fenomeni di frontiera che si verificano in particolari condizioni psichiche. Nelle circostanze di un crollo di valori, quando sul futuro si fa il buio, Melusina giunge come presenza reale e soccorrevole: l'inconscio appare come visione mentale, e Melusina emerge dal reame delle acque assumendo sembianze umane, per poi scomparire di nuovo. Essa aiuta, ma anche inganna. E' parente dell'ingannevole Morgana (che significa "nata dal mare"), di Afrodite e di Ishtar. Ishtar era rappresentata in epoca ellenistica come sirena a due code ed era legata alle feste nuziali di Maggio. E a Maggio avvengono le nozze mistiche o chimiche degli alchimisti: e l'anima si ricongiunge con lo spirito.



Guarda, assisa, la vaga Melusina,
Tenendo il capo tra le ceree mani,
La Luna in arco da' boschi lontani
Salir vermiglia il ciel di Palestina.
Da l'alto de la torre saracina,
Ella sogna il destin de' Lusignani;
E innanzi al tristo rosseggiar de' piani,
Sente de 'l suo finir l'ora vicina.
Già, già, viscida e lunga, ella le braccia
Vede coprirsi di pallida squama,
Le braccia che fiorian sì dolcemente.
Scintilla inrigidita la sua faccia
E bilingue la sua bocca in van chiama
Poi che a 'l cuor giunge il freddo de 'l serpente.

G. D'Annunzio



IL FANTASMA DI AZZURRINA
Nella seconda metà del XIV secolo, nel castello situato a Montebello, in provincia di Rimini, nell’entroterra romagnolo, abitava la famiglia di Ugolinuccio, Signore nel 1375. La serenità donata a questa famiglia fu definitivamente, rovinosamente distrutta dalla tragica scomparsa di Guendalina Malatesta, soprannominata Azzurrina. La sua scomparsa rimane un mistero ancora oggi.

La piccola nacque albina e per questo fu accusata di stregoneria e destinata ad una morte atroce.

Pur di nasconderla e darle una speranza, i genitori non la facevano uscire dal castello e all’interno di questo la piccola era sempre piantonata da due guardie. Vano fu anche il disperato tentativo della madre di coprire i capelli della bimba con delle soluzioni naturali che, a causa della mancanza di pigmentazione dovuta alla malattia, lasciavano soltanto un velo azzurro nella candida chioma.



Ma Azzurrina non rimarrà un semplice e sbiadito ricordo del passato, ella diventerà una tra le più famose presenze dei nostri giorni.Il 21 Giugno dello stesso anno, la bimba scomparve misteriosamente nei sotterranei del castello. C’era un violento temporale e la palla con cui giocava la bambina rotolò giù nelle segrete, fino a raggiungere una stanza adibita a dispensa/ghiacciaia.Le guardie non ebbero timore visto che il cunicolo non aveva uscite. Ma dalle segrete si sentì gridare.Le guardie corsero subito in soccorso della piccola, ma non trovarono nessuno. La bimba era sparita. Quello fu il suo ultimo giorno.

Nel 21 Giugno dell’anno 1990 la troup televisiva RAI girò un documentario all’interno del castello, e senza saperlo registrò una voce. La voce era flebile, leggera. Era come un pianto confuso tra i rumori di un lontano temporale, non ci furono dubbi: era la voce della bambina scomparsa, la stessa di cui si narra anche in una cronaca del ‘600, custodita all’interno della biblioteca del castello. Era la voce di Azzurrina.

L’università di Bologna iniziò subito degli studi approfonditi e riuscì nell’anno 1995 sempre durante il solstizio a catturare ancora il leggero lamento che si diffondeva tra le mura del castello. Questa volta la voce era più limpida e si sentì chiaramente chiamare “mamma”. Registrarono anche il rumore della palla che rimbalzava e il ritocco delle campane. Nello stesso giorno dell’anno 2000 la stessa università, registrò ancora i lamenti della piccola. Si affermò dunque senza titubanza che quei lamenti appartenevano ad Azzurrina, la bimba scomparsa ben settecento anni prima che nella ricorrenza quinquennale della sua scomparsa si aggira nel castello giocando con la sua palla alla ricerca della sua famiglia.

Facendo un salto indietro si scopre che nel 1989, dunque, l’anno prima della prima intercettazione, il castello fu ristrutturato dagli eredi Giunti, per creare una sorta di museo con visite guidate.Si trovarono delle gallerie sotterranee, che furono murate per proteggere dai saccheggi i tesori e gli averi della famiglia. Tutte le stanze furono riaperte, tranne una.Durante la ristrutturazione, si accorsero che una stanza non era più accessibile. Danneggiare le mura che circondano quest’atrio significherebbe mettere in pericolo tutto il castello.Nessuno sa cosa contenga all’interno, ma si pensa che Azzurrina possa essere scomparsa proprio in questo luogo. Ma i misteri a Montebello non finiscono con Azzurrina. La piccola infatti si rivela solo ogni cinque anni, ma altre presenze meno timide animano giornalmente le mura del castello.

Si dice che durante le visite guidate molte persone stiano male, in preda ad improvvisi stati di ansia e svenimenti. Molti dei turisti sentono passi e voci accompagnare la guida. Altro elemento interessante è una panca color rosso sangue, dove vi è raffigurata una donna incinta all’interno di una tenda. La panca ha più di mille anni, eppure si mantiene in perfetto stato e il suo sfondo rosso sembra essere stato tinto con il sangue. Quest’oggetto fu un dono portato da una delle crociate. Esso originariamente serviva al controllo demografico. Quando il popolo da cui fu presa arrivava ad un numero prestabilito di abitanti, le donne partorienti venivano legate sulla panca con le gambe e le braccia legate, in maniera tale da impedire loro di partorire e condannarle, insieme al feto, a morte certa, non prive di terribili agonie. Nella stessa stanza dove si trova quest’oggetto, il custode, che quella sera era impegnato nelle pulizie, sentì dei rumori e quando si voltò una donna scalza camminava sul soffitto, fissandolo. La donna era a testa in giù e la sua lunga chioma sfiorava il pavimento. A rendere più credibile il racconto dell’uomo vennero in aiuto le impronte della donna rimaste indelebili sul soffitto. Solo ora, a distanza di anni iniziano a sbiadirsi, scomparendo lentamente.

Che queste presenze siano reali o una trovata dei Giunti per incrementare le visite rimane un mistero, l’unica cosa certa è che per quest’anno, 2005, durante il periodo del solstizio, a nessuno sarà concesso avvicinarsi al castello. L’università di Bologna ha bloccato le visite per meglio studiare il fenomeno. Nel frattempo, medium e contattasti di tutt’Italia giurano di essersi messi in contatto con la bambina, chi tramite la scrittura automatica, chi tramite visioni, ma nessuno di essi è ancora riuscito a ridarle la pace.


Queste sono tra le più affascinanti nonchè le meno conosciute,ovviamente chiunque voglia portarne altre a conoscenza è ben accetto..

FONTE: mariapaolavannucchi.xoom.it/miti_e_leggende.htm
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Vecchio 13-05-2010, 18.03.04   #2
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llamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamballamrei è veramente ingamba
Ciao a tutti!!! Ogni tanto ricompaio: latito...ahimè...ma per necessità...vi penso sempre, tutti compresi

In merito a questo post (interessante come tutti gli altri postati) è già stato trattato qui:
http://www.camelot-irc.org/forum/sho...ight=azzurrina

e sotto "Mito" vi sono altri racconti postati dai forumisti in merito ad argomenti simili
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Vecchio 14-05-2010, 17.11.37   #3
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Ciao a tutti!!! Ogni tanto ricompaio: latito...ahimè...ma per necessità...vi penso sempre, tutti compresi

Anche noi ti pensiamo...torna prestoooo!!


Ho letto i miti e le leggende postate dagli altri utenti,l'argomento è cosi vario e di grande interesse che non riesco a trattenermi dal postare altre leggende(credo non siano state ancora trattate): quella della lettera del prete Gianni e della monaca di Dresda..

Nell’ormai lontano 1177 d.C. il papa allora in carica Alessandro III ed il grande Federico Barbarossa, tentarono di rispondere alla lettera del “Prete Gianni”, lettera che si dica abbiano ricevuto tutti i grandi re viventi in quell’epoca. Ma nulla più si seppe della risposta. Scomparsa, come neve al sole, “dispersa nel deserto dell’Iraq”. Così come sembra sparire il segno tangibile del fantastico regno descritto in quel documento. Nella lettera, il Prete Gianni invitava gli altri sovrani a fare visita al suo impero. Un impero ricco di meraviglie ed il più vasto mai conosciuto. Un impero sconfinato e gremito di ricchezze inimmaginabili.
La leggenda collocherebbe tale regno nell’estremo Oriente, confinante con la Cina. Il padre di Gianni, anni prima, fece un sogno. Ma non un semplice sogno, una premonizione. Egli sognò un castello fatto solo di oro purissimo e di pietre preziose. Un castello con porte e pavimenti in cristallo. Un castello dove non esistevano muri interni ma solo alte colonne che si innalzavano come obelischi egizi, sorreggendo enormi carbonchi che illuminavano a giorno ogni angolo di ogni singola sala, e le arcate erano punteggiate di zaffiri che brillavano come le stelle del firmamento. Ma la profezia obbligava il sovrano a non nutrirsi d’altro al di fuori dell’acqua che sfociava
all’interno del palazzo. Doveva berne un bicchiere tre volte al giorno, per tre anni, tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore. Fatto questo il sovrano avrebbe vissuto per trecento anni tre mesi, tre settimane, tre giorni e tre ore sempre nel pieno della sua giovinezza. Scaduto il suo tempo avrebbe dovuto farsi seppellire ancora vivo restituendo con umiltà le sue carni al creatore.

Re Quasidio, seguì alla lettere le istruzioni e, quando nacque Gianni, esso divenne re al suo posto. All’interno di questo regno, non fu solo la fonte della giovinezza a destare stupore, ma vi erano innumerevoli meraviglie, fra cui anche isole dove gli abitanti erano nutriti direttamente da Dio. Essi non coltivavano ne allevavano il bestiame, ma Dio stesso provvedeva a loro, donandogli la manna due volte la settimana. Ognuno aveva ciò che necessitava a vivere. Ogni cittadino era libero e ricco. E, per non creare diversità abissali, Gianni si fece chiamare "Prete" piuttosto che "re". Un nome umile per il più grande sovrano di tutti i tempi. Egli, si dice avesse tra i suoi cittadini anche personaggi per noi fantastici quali sagittari e sirene che, sotto il suo dominio, vivevano serenamente. Tra le varie razze c’erano anche i Gog e i Magog. Mitiche popolazioni carnivore ormai appartenenti solo alla leggenda dell’apocalisse.
Nella lettera Presto Janne, o Prete Gianni, raccontava questo e molto di più. Ad esempio, chiunque giungesse a palazzo morente o affamato ne usciva sazio e pieno di salute. Possedeva anche una pietra miracolosa, capace di guarire da qualsiasi malattia non solo i cristiani, ma chiunque fosse intenzionato a convertirsi a questa religione. Questa pietra era simile ad un catino, grande abbastanza da contenervi un uomo. All’interno vi erano solo poche dita di acqua. Se l’uomo che vi entrava era in cuor suo un vero cristiano, veniva ricoperto di acqua fino al collo, e dopo pochi istanti l’acqua riscendeva di livello allo stesso misterioso modo in cui era salita,
lasciando l’uomo privo di ogni sofferenza. Ma erano talmente tante le stranezze e le meraviglie contenute in questo regno, come le pietre che trasformavano l’acqua in vino o in latte, che fu facile classificarlo come mito o leggenda. Anche se Prete Gianni era cristiano, all’interno del suo regno erano pochi a seguirne le orme. Ma lui lasciò libero il suo popolo di seguire la religione prescelta, senza mai imporsi. In tutto il suo regno c’era la pace. Ogni cittadino amava l’altro, senza mai cadere nell’adulterio. Non vi erano ladri e non esisteva l’invidia, la menzogna era bandita, e se qualcuno mentiva, moriva all’istante. Le guerre cui facevano parte erano esclusivamente atte alla difesa del regno. Ma anche se solo per difesa, l’esercito del Prete Gianni era straordinario, composto da migliaia di guerrieri di ogni razza. Persino le splendide amazzoni combattevano al suo fianco.

Possibile che tutto questo fosse solo frutto della fantasia medievale? E, che dire della sua lettera? Pagine e pagine in latino dove descrive il suo fantastico regno.
Fonti storiche recenti vedrebbero infatti questo personaggio come tutt’altre che mitologico, ad esempio, il suo nome è stato ritrovato su diverse mappe dell’epoca, ne è un esempio il “Globo di Behaim”. La figura del Prete Gianni viene tramandata per la prima volta dai Re Magi, che assegnarono a lui ed al Patriarca Tommaso le redini del potere spirituale, a tutti i sovrani, vescovi e potenti. Così è narrato da Giovanni da Hildesheim, nella sua "Historia Trium Regum" (Storia dei Tre Magi).
Il Dottor Oppert, studiò attentamente questa figura e la individuò nel nome di Yeliutashe, re della dinastia Liao, e il magico regno nel Kara Khitai, da lui fondato nel 906. La famosa “Lettera del Prete Gianni”, non sarebbe dunque nient’altro che una richiesta di aiuto militare inviata da un suo discendente. Questo coinciderebbe con il racconto di Marco Polo, che vede questo re in guerra contro
i Mongoli, suoi tributari, fino alla sconfitta per mano di Gengis Khan verso il 1200. Secondo Marco Polo, “Presto Giovanni” era un titolo, un titolo di origine manichea. Un titolo che si ereditava, di padre in figlio. Così come vassallo del Khan mongolo fu re Giorgio, erede del re Yeliutshe, che portava ancora il titolo di Prete Gianni e fu poi convertito da Frate Giovanni di Montecorvino, nel 1292.


Qui ci sarebbe il testo originale in latino ma non credo vogliate cimentarvi a tradurla...

La monaca di Dresda..

La monaca di Dresda visse in un convento dell'omonima città bagnata dal fiume Elba nel medioevo. Morì giovanissima, all'età di 26 anni. Di lei non si conosceva niente, solamente che era di Dresda e che era stata scelta come "tramite" tra entità divine e il nostro mondo. Infatti, ella era per lo più analfabeta, così si dedusse che le lettere da lei scritte, lettere profetiche dirette ai potenti della Terra, dovevano essere state scritte in uno stato di trance. Secondo i suoi scritti, la fine del mondo dovrà compiersi nell'anno 3033 dopo Cristo, dopo un lungo periodo di degrado dell'umanità e di orrori. Ella colloca turbamenti fisici sulla Terra negli anni 2419, 2483, 2490, 2516 etc. fino al 2953, quando il disastro sarà imminente. In quel periodo, si entrerà nell'era dello Spirito Santo (quelle precedenti sono quella del Padre e del Figlio), che, inevitabilmente sarà l'inizio della fine.

FONTE:www.croponline.org/mitileggende.htm


Beh chissà se la monaca diceva il vero circa la fine del mondo...se cosi fosse non dovremo preoccuparci della teoria dei Maya..(speriamo...)
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Vecchio 14-05-2010, 20.12.38   #4
Talia
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E' vero!! Ma che donna impegnata che sei...
A presto, comunque!
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"Essere profondamente amati ci rende forti.
Amare profondamente ci rende coraggiosi."

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Vecchio 21-06-2010, 10.12.29   #5
Sir Echelbert
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incantato....le leggende mi attiran molto...attendo ulteriori storie avidamente...
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