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11-05-2016, 23.11.17 | #1 |
Cittadino di Camelot
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Il bardo del lago
Mi sono imbattuta in questa bella leggenda e volevo condividerla con voi...penso rappresenti l' immortalità del Vero Amore, quello Puro e Sincero.
IL BARDO DEL LAGO C'era tanto tempo fa, un giovane Bardo di nome Bertrace, ad ogni Estate abbandonava tutti gli amici e si recava, dopo giorni di viaggio a piedi, attraverso, boschi e foreste, arrivava su un'isola in mezzo al Lago, trascorreva gran parte del suo tempo a guardare le acque dorate dal Sole. D'improvviso nell'aria sentì un brivido, un frullare d'ali, era la Fata Marbena, tramutata in una giovane aquila, dalle penne di fuoco. Volteggiava ridendo intorno al giovane celta, venuto dal Nord, le solleticava i capelli scuri con le remiganti. La Fata si tuffò nelle acque cristalline del Lago, tramutandosi in una Sirena, con la mano invitava il giovane a seguirla nel profondo del Lago, ma lui non sapeva nuotare, sarebbe sicuramente annegato, ricordandosi cosa fanno le Sirene ai naviganti. Sul momento Bertrace, rimase stupito nel vedere tanta bellezza, stette a bocca aperta senza proferire una parola, il chè era assurdo per un cantastorie, sempre in cerca d'avventure amorose, la Sirena dette due colpi di coda sparì nella luce del tramonto e lui si preparò a trascorre la notte sull'isola, nella speranza che il mattino seguente ritornasse la Fata Marbena. Un potente tuono, fece tremare tutta l'isola, Thor scese davanti al giovane bardo spaventato. Il dio fece questa ambasciata: - Mille avventure amorose concederò alla tua bella figura, ma guai a te se sfiorerai Marbena! Essa è stata destinata ad Odino, infrangi il suo volere e sarai tramutato in uno scoglio e in eterno non lascerai mai più questa isola! -. Trascorsero, mesi anni, vennero altre estati calde. Bertrace diventava vecchio, perdeva i capelli, nei suoi occhi appariva sempre la visione della giovane Fata e quelle acque limpide che trastullavano il suo corpo perfetto. Il Sole gli cuoceva la pelle, i venti sferzavano le membra, ma lui non cedeva. Non cantò più, non fece galanterie alle dame che passavano davanti all'isola, se una dama gli chiedeva un madrigale, lui girava lo sguardo, nei suoi pensieri vi era solo quel primo incontro, forte come un'esplosione, confidava che Marbena sarebbe ritornata all'isola, mossa forse a compassione di tanta ostinata perseveranza. Passarono 50 anni e il vecchio bardo era sempre deciso sfidare l'incantesimo fatto da Thor. Un mattino lucente, l'aria era trasparente, la cornice delle montagne con le cime ammantate di neve, splendevano in colori dalle sfumature azzurrine l'acqua assumeva il suo inconfondibile tono verdognolo turchino, sull'isola giungevano i rumori dei lavori dell'uomo, nel villaggio sulla riva opposta nel piccolo golfo protetto dalla Roccia del Raduno. Odino era occupato ad incidere con il fuoco alcune Rune, le acque del Lago si animarono di mille stelle, sulla battigia di ciottoli, stava una bellissima ragazza, era Marbena, finalmente sola, splendente, invitante più che mai, gli asciugò le lacrime, lo lavò, dalla polvere di dieci lustri, lo fece sedere, era rimasto in piedi per 50 anni sullo stesso masso fissando il Lago. La coppia si scambiò mille confidenze, Bertrace le sussurrava dolcissimi versi, la ragazza era estasiata dalla fantasia del vecchio poeta, il Sole riscaldava i corpi dei due amanti, la passione ebbe ragione, per un anno intero i due trasgressori si amarono. Bertrace ritrovò la sua giovinezza, celata da quella lunga astinenza, Marbena era felice fra le braccia dell'uomo, che dimostrava l'età di suo nonno. Passò sopra di loro il Corvo vide quello che succedeva sull'isola trasformata in alcova e andò a riferire ad Odino, che un mortale ed una delle favorite erano diventati amanti. Dapprima Odino, occupato com'era sorrise nel sentire la scappatella di Marbena, poi batté un pugno sulla montagna, la quale si mise a franare nel Lago, la Fata veloce si tuffò ancora una volta, mezza donna, mezzo pesce, tenendo per mano Bertrace, ma lo sentì irrigidirsi, appesantirsi, si voltò e lo vide tramutato in uno scoglio che tentava di allungare un braccio verso il fondo del Lago. Thor non aveva scherzato, nel proferire la magia. Vi sono mille laghi con mille scogli intorno a mille isole o isolotti, sono paesaggi idilliaci, giochi della Natura, luoghi invitanti i giovani innamorati. Sono tutti originati da Bertrace, un mortale che osò deliziarsi, godere dei baci di una concubina degli Dei. tratto da Digilander - di Lucien Riva.
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe "Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit. "I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam) "La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea |
13-05-2016, 16.23.04 | #2 |
Cittadino di Camelot
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La Favola che avete donato a questa sonnolente primavera, nella sua beltà e nella sua semplicità, rievoca ed accomuna le leggende della mitologia greca a quella celtica, riportandomi alla mente ed al cuore vecchie anonime ballate che parlavano di spiriti dei boschi e dei torrenti, quando il mondo era giovane, prima che il Dio unico cancellasse ogni traccia degli antichi Dei. Grazie ancora Lady Altea, ma soprattutto grazie per continuare sempre il vostro viaggio nella solita direzione...Questa primavera, se vuole veramente sbocciare, ha bisogno di Voi, Amica Mia...
Taliesin, il Bardo p.s. "Nascita di un Lago" - La pulce d'acqua 1977 Angelo Branduardi "Presso la fontana lui un giorno la trovò; vide da lontano il giallo della veste che portava su di se. Dimmi cosa vuoi che io ti possa regalare, grande è il mio potere, quello che vuoi io posso fare. Non ti prenderai gioco di me, tu non sei certo quello che io sto aspettando. Quando lui verrà, allora mi alzerò e seguendo lui, di qui io me ne andrò. Tu non credi di essere qui per me ma ancora troppo giovane tu sei quando avrai come me vissuto mille anni, allora forse capirai. Tu non credi di essere qui per me ma ancora troppo giovane tu sei quando avrai come me vissuto mille anni, allora forse capirai. Dimmi cosa vuoi e io te la darò, tu pensi ancora che non mi seguirai mai, ma di te farò un albero fiorito, poi ti guarderò fino a quando appasairai. Non ti prenderai gioco di me, tu, e poi sono certa che mi stai mentendo. Hai vissuto già per mille anni, ma sei giovane, lo vedo, forse più di me. Quella volta infine si adirò ed in un vasto lago la mutò e dall'alto di una bianca torre per il resto del tempo lui l'amò. Quella volta infine si adirò ed in un vasto lago la mutò e dall'alto di una bianca torre per il resto del tempo lui l'amò."
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"Io mi dico è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati." (Giugno '73 - Faber) |
13-05-2016, 16.38.31 | #3 |
Cittadino di Camelot
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Il Giovanissimo Menetrello, raccolse questa storie nella bisaccia dei ricordi presso il conservatorio dove trascorreva gli anni verdi della sua vita e del suo apprendimento e questa storia gli rimase impressa per sempre nella sua sfrenata fantasia, fino a divenire Canzone, "Nascita di un Lago" (1977).
Taliesin, il Bardo Il Mago ed il dono dei Ciliegi Da mille anni il mago viveva tutto solo nella sua bianca torre. Non ne usciva quasi mai, e in quelle rare occasioni era solito recarsi in luoghi così remoti e sconosciuti da non incontrare anima vivente. Non si curava della gente che abitava nel vicino villaggio, né del passare delle stagioni che ogni anno regalavano nuovi colori ai campi ed alle colline coperte di boschi; soltanto di notte, a volte, si affacciava all'alta finestra per osservare le stelle. Non conosceva e non amava altro che le sue arti magiche, e trascorreva il tempo studiando antichi volumi, divorato dal desiderio di ampliare sempre più la propria sapienza. Il lento scorrere dei secoli non aveva lasciato traccia su di lui: il suo potere era talmente grande da garantirgli l'immortalità e l'eterna giovinezza. Eppure il mago non era felice. Passava notti insonni a domandarsi quale fosse la soluzione dell'unico mistero che ancora rimaneva impenetrabile alla sua conoscenza: l'inquietudine che sempre alberga nell'animo umano, la continua ricerca di qualcosa di cui si riesce solo vagamente ad intuire l'esistenza, senza potergli dare un nome. Un giorno, mentre era immerso nella lettura di un polveroso tomo, trasalì sentendosi sfiorare una mano. Alzando lo sguardo vide una piccola farfalla gialla che si era posata sulle sue dita, e – per la prima volta da anni senza conto – sorrise. Andò alla finestra aperta, lasciando che la farfalla riprendesse il suo leggero vagabondare nell'aria limpida. Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, inondando di luce il verde della campagna; di colpo lo assalì la nostalgia dei ciliegi in fiore, i loro petali bianchi come una delicata pioggia nella brezza primaverile. Decise di scendere per una passeggiata. Si aggirò a lungo senza una meta precisa, perdendosi ad osservare il colore di un minuscolo fiorellino o ad ascoltare il ronzio degli insetti perennemente indaffarati. Fu così che capitò nei pressi della fontana, dove lei sedeva all'ombra dei ciliegi. Rimase a guardarla in silenzio. I lunghi capelli scuri, ornati di nastri, le scendevano fino alla vita; il colore della sua veste – gialla, proprio come le ali della farfalla – regalava un non so che di esotico al caldo pallore del suo viso. Petali bianchi erano ai suoi piedi, tra le sue mani e sulle sue spalle. E quando la donna posò su di lui quegli occhi verdi e profondi come il mare, il mago comprese di aver finalmente trovato la risposta che da tanto tempo cercava. “Vieni con me”, le disse. “Tutto ciò che vorrai io te lo donerò, se acconsentirai ad essere la mia sposa. Potrai vivere per sempre, senza essere toccata dagli anni e dai dolori”. Lei scrutò a lungo il suo viso, poi scosse il capo: “Nessun regalo al mondo potrebbe comprare il mio amore”. “Tu non conosci i miei poteri”. “E voi non conoscete l'amore”, replicò lei, sorridendo. Il mago impallidì a quelle parole. Il suo orgoglio non gli permetteva di lasciarsi trattare come un ragazzo. “Saprò conquistare il tuo amore, che tu lo voglia o no!”. Agitò la mano nell'aria e un'invisibile barriera si alzò attorno a loro. “Resterai qui fino al giorno in cui accetterai di sposarmi”. I mesi passavano, e ancora lei sedeva là sotto i ciliegi. Per lei il mago aveva creato un magnifico giardino, ed un lago dalle acque limpide che arrivavano quasi a lambirle i piedi. E sempre, estate o inverno, i ciliegi erano in fiore e il cielo senza nubi. Lunghi viaggi il mago aveva affrontato, per portarle i fiori più belli e le perle più rare; ma ogni volta lei scuoteva dolcemente il capo, sorridendogli come chi sa di conoscere un segreto incomprensibile per colui che ha di fronte. Infine anche al di fuori della prigione di cristallo ritornò la primavera. Ancora una volta il mago si presentò a lei per offrirle uno splendido dono: una spilla d'argento e pietre preziose, che raffigurava una farfalla posata su un ramo di glicine. La donna degnò appena di uno sguardo quel gioiello scintillante; si soffermò invece ad osservare il viso di lui. Pareva stanco – giorno e notte aveva lavorato per incastonare con le sue mani rubini, smeraldi e zaffiri – e la sua espressione aveva perduto ogni traccia di superbia. Ora sembrava più che mai un ragazzo, un ragazzo infelice. Crollando tristemente il capo la donna gli restituì il gioiello. Il mago sospirò – un sospiro lento, come il leggero indugiare dei petali di ciliegio prima di posarsi a terra – e lasciò cadere la spilla ai suoi piedi. Si volse di scatto, perché lei non vedesse le lacrime che gli rigavano il volto. Guardando le calme acque del lago, disse sommessamente: “Sei libera di andartene”. Fu solo allora che lei si alzò e gli si avvicinò. Stendendo una mano a sfiorargli una guancia umida di lacrime, sorrise. “Era questo che stavo aspettando, questo ciò che speravo voi capiste. Ora posso essere la vostra sposa”.
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13-05-2016, 17.49.31 | #4 |
Cittadino di Camelot
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Una storia bella ha saputo narrare il grande menestrello in una canzone.
Nulla può comprare l' Amore ... nemmeno l' oggetto e il gioiello più raro.
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16-05-2016, 19.14.57 | #5 |
Cittadino di Camelot
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Capita ......quando non ti aspetti piu' nulla perche' tutto sembra andare di traverso.....che apri uno scrigno magico...magari quello scrigno si chiama Camelot....e ti torvi a leggere due storie .......quella di Lady Altea.....bellissima come tutto cio' che lei posta in questo mondo alle volte Silente.......e poi l' Amato Bardo.....e la sua storia......una storia d' Amore.....forse già ascoltata.......Ma ....non e' questo che conta.....
Avete Creato.......un piccolo angolo profumato di ciliegio...dove chi ha il cuore stanco..puo' sedersi a riposarsi e riprendere il cammino.....e' questo quello che conta..... Belle storie.... |
16-05-2016, 19.17.42 | #6 |
Cittadino di Camelot
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Lady Elisabeth
lieta di vedervi all' ombra dei fiori di ciliego e dissetarvi dalle leggiadre parole della mia storia. Grazie cara amica...a volte dal mio scrigno segreto lascio trapelare qualcosa di particolare, che alcuni notano.
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16-05-2016, 19.25.59 | #7 |
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Voi siete una Donna particolare........molto spesso cammino in silenzio tra le strade lastricate di questo luogo.......e ci sono cose....che sanno di storia.....si quella storia che parla di Dame e Cavalieri......Bardi e Maghi.......parla di Medioevo.....e allora..mi piace, entrare e respirare un po' di quell'aria antica.........
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18-05-2016, 17.10.02 | #8 |
Cittadino di Camelot
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Affinchè anche Madonna Elisabetta possa raccogliere quelle briciole disseminate modestamente e minuziosamente da Dame e Bardi nel tappeto dei ricordi e delle emozioni di Camelot, e possa tornare a scrivere per il gusto di coloro che non sono più...
Taliesin, il Bardo Il Ciliegio Testo di Luisa Zappa Branduardi Musica di Angelo Branduardi Tratta da: album “La Pulce d’Acqua” - 1977 "Già ero vecchio e stanco per prenderla con me, ma il vecchio giardiniere rinunciare come può all'ultimo suo fiore, se l'inverno viene già. Già ero vecchio e stanco, ma la volli per me e il sorriso della gente di nascosto accompagnò il mio andare verso casa e l'inverno viene già... Lei era la più bella che avessi visto mai: sorrideva fra le ciglia e il mio cuore riscaldava, era l'ultimo mio fiore e l'inverno viene già.., Poi anche il mio cillegio a suo tempo maturò; lei venne un mattino a chiedernnene i frutti. "Devo avere quelle ciliegie perche presto un figlio avrò". Io guardavo le sue guance: più bella era che mai. e sentivo dentro me già crescere la rabbia: "Chiedi al padre di tuo figlio di raccoglierle per te". Sorridendo come sempre, le spalle mi voltò e la vidi in mezzo ai prato verso l'albero guardare: era l'ultimo mio fiore e l'inverno viene già. Fu il ramo suo più alto che il ciliegio chinò ed il padre di suo figlio così I'accontentò. Già ero vecchio e stanco per prenderla con me, ma il vecchio giardiniere rinunciare come può all'ultimo suo fiore, se l'inverno viene già..." Come in ogni opera d’arte nessuno può darne davvero un’interpretazione completa, il significato si espande e si arricchisce di ogni sfumatura percepita dall’ascoltatore, che rende unico e speciale il rapporto artista-opera-fruitore. Il ciliegio affonda le radici in un prolifico patrimonio culturale che è passato dai vangeli apocrifi alle ballate inglesi, fino ad essere risvegliato da Branduardi nel 1977, nell’album La pulce d’acqua. La tradizione apocrifa vuole che Giuseppe non abbia accettato di buon grado la gravidanza della giovane Maria e, turbato, temendo l’onta del tradimento, rispondesse sgarbato alla giovane sposa che gli chiedeva dei frutti, intimando di chiederli al padre di suo figlio. Qui secondo i vangeli si pone in essere il miracolo, i rami dell’albero da frutto (ciliegio nella ballate, palma da datteri nei vangeli) si piegano al comando di Gesù, rivelandolo come figlio di Dio e convincendo l’incredulo Giuseppe. Nella versione di Branduardi però Giuseppe e Maria non vengono nominati, la vicenda assume la connotazione metaforica di un uomo prossimo alla morte che, innamorato di una giovane forse troppo bella per stare con lui, rimane folgorato di fronte al miracolo originato dal suo sfogo di gelosia. Un miracolo che è forse dimostrazione della reale paternità del figlio da parte del giardiniere, vivo di riflesso nella pianta che tanto ha curato perché porgesse i suoi frutti. Branduardi propone un momento fiabesco, intimo, che possiamo prendere come lo vediamo, godendone della semplicità e del mistero, o frugare alla ricerca di sfuggenti significati, a volte validi per noi e per noi soli, ma senza che per questo, essi, vedano intaccata la loro importanza.
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