31-08-2009, 15.48.42 | #1 |
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La falconeria
Essendo affascinata dal mondo della falconeria mi permetto di proporvi un interessante articolo sulla storia di questo antico mestiere.
Breve storia della falconeria Le origini della falconeria si perdono nella notte dei tempi, ma è verosimile che le tecniche per addestrare gli uccelli da caccia siano state " inventate " in modo indipendente in più luoghi diversi, probabilmente nell’estremo Oriente (Cina, Mongolia ) e nel medio Oriente. Diversi storici hanno suggerito l’ipotesi che i falchi venissero addestrati in Cina fin dal 2000 a.C. circa, ma la testimonianza più antica che si possa considerare certa è un basso rilievo che illustra un falconiere con il suo falco trovato nelle rovine di Khorsabad e che risale al regno del Re Assiro Sargon, vissuto intorno al 750 a.C. circa. In Europa la falconeria fu introdotta probabilmente dalle popolazioni che l’invasero nell’alto medioevo dall’est, forse dagli Sciiti o dai S’armati che cavalcarono in Europa dalle steppe della Russia e certamente era praticata dagli Unni di Attilla. In seguito raggiunse il culmine come "istituzione" nella società feudale medioevale sia nell’Europa Cristiana sia nell’Islam. I più antichi trattati di falconeria risalgono al VII-VIII secolo, e furono scritti, in lingua araba, alla corte di Baghdad su volere del califfo al-Mahdì , con il titolo di: "Al Gitrif Ibn Qudama Al-Gassani" (Kitab Dawari at-tayr "Trattato sul volo degli uccelli"), un insieme di culture risalenti da diverse etnie Bizantine, Persiane, Turche, Indiane. Quattro secoli dopo, l'Imperatore Federico II di Svevia avrebbe fatto tradurre dall'arabo in latino, il trattato"Moamin e Ghatrif" (stessi contenuti del trattato sopraccitato, con titoli diversi) senza che si sappia come o dove egli se li fosse procurati. Il Moamin è a tutt'oggi il trattato del quale si conserva il maggior numero di manoscritti nella versione latina; fu tradotto in francese e in italiano, e ne esiste anche una versione spagnola indipendente. I più antichi trattati composti in area siculo-normanna, tramandati con i nomi di Dancus rex e Guillelmus falconarius, utilizzano procedimenti compositi tra loro simili, che originano da una medesima istanza culturale. Entrambi intendono infatti rendere omaggio alle insuperate conoscenze tecniche di un medesimo falconiere, tale Guglielmo, il cui sapere intendono mettere per iscritto. Poco si sa di Danco, testimonianze scritte dal re Gallaciano che volle far visita al re, per verificare personalmente la vita di corte islamica in Sicilia. Introdotto in una stanza profumata, dalle pareti e dal soffitto magnificamente ornati, dove l'ospite lo accoglie da un letto d'avorio ricoperto da tessuti preziosi, Gallaciano resta stupefatto, si rende conto di come re Danco sia ugualmente esperto in altre arti, almeno altrettanto straordinarie e desiderabili di quella della falconeria. Ma non e solo questo a determinare in lui una risposta di completa fiducia; è sopratutto la manifesta coincidenza di parole e azioni a provocare in Gallaciano il desiderio di rinunciare agli attributi della propria regalità per "obbedire a Danco" quasi si trattasse di una conversione interiore. L'arte della falconeria vale dunque un regno? Sì, se essa è simbolo di un sapere più vasto, che è un provvedere e un escogitare insieme: provvedere alla sopravvivenza dei propri sudditi, attraverso l'esercizio di un potere che misura la propria efficacia nel riuscire a escogitare risposte adeguate alle necessità del momento. Vista in questa prospettiva, la falconeria è molto più di uno svago signorile ambizioso perchè difficile da praticare: è l'emblema stesso dell'arte di ben governare su cui si fonda il potere del re. Chi era Guglielmo? Guglielmo era figlio di un falconiere napoletano e discendente di un tale Martino, esperto in falconeria, forse stato allevato alla corte di Ruggero II e, (regnò dal 1130 al 1154) a sua volta divenuto maestro falconiere, avesse a lungo servito il re Guglielmo I ( regnò dal 1154 al 1166). Si suppone che la redazione dei trattati (o almeno del secondo dei casi) sia avvenuta dopo la morte del falconiere Guglielmo, la datazione sarebbe della seconda metà degli anni 50 del XII secolo. Così si apre il primo trattato, ripartiti in trentadue capitoli, contro le malattie dei rapaci. Nei tre capitoli centrali (i più lunghi), vi è compreso l'addestramento dei rapaci, le loro specie e le caratteristiche venatorie,"De ardimento""De naturis falconum""De gentilitate". Guillelmus riprende il medesimo ordinamento della materia, facendo peraltro costante riferimento alla trattazione del Dancus, alla quale non sembra voler allegare che supplementari indicazioni di carattere farmacopeico. Nel XIII secolo, l'Imperatore, Federico II scrisse il trattato di falconeria "De arte venandi cum avibus" si compone di sei libri la prima parte tratta l'ornitologia, le altre parti delle varie specie dei falchi da caccia, di come si addestrano i falconi nella caccia su diverse prede, usando diversi tipi di falconi, tra i temi trattati nei sei libri manca sulla cura da riservare ai falchi durante la muta e sul trattamento di alcune malattie. Ci sono nel testo altri riferimenti ed ulteriori approfondimenti del tema della muta in se', un libro sarebbe dedicato agli sparvieri, e dei falchi neri, argomenti che non appaiono in nessuna delle edizioni giunte fino ai nostri giorni. Naturalmente Federico si valse anche dei consigli di esperti, soprattutto del vicino Oriente, utilizzando cio' "che meglio sapevano". Oltre all'apporto naturalistico alla stupefacente quantita' di dati originali (Momin e Ghatrif), il trattato di Federico contiene anche alcune personali opinioni sull'uomo e sul suo rapporto col mondo della natura. Il falconiere ideale corrisponde "al ritratto dell'uomo completo, quale l'Imperatore lo immaginava": un uomo dedito solo all'arte venatoria, alla quale subordina la fame, la sete, persino il sonno. Tralasciando le indispensabili cognizioni pratiche, si esigeva che possedesse una perfetta padronanza di se', solida intelligenza, acuta memoria, coraggio e tenacia, tutte qualita' capaci di fare un elemento adatto anche a superiori servizi di Stato: e lo dimostra appunto il fatto che molti grandi funzionari imperiali si esercitarono in gioventu' al duro tirocinio della falconeria. Per il falconiere - scrisse Federico - " ogni cosa deve nascere dall'amore che egli portera' alla sua arte ". Un'arte, cosi' spesso egli la definiva, che esige un perfetto esercizio, intendendo con cio' la necessita' e la forza di domare, con la sola superiorita' dello spirito, gli uccelli rapaci, gli animali piu' liberi e mobili del creato. E' appunto questo presupposto che rende l'arte di cacciare con gli uccelli " nobilior et dignior ", piu' nobile e degna di tutti gli altri metodi di caccia. Non con la forza, ma solo con la sensibilita' e l'ingegno, l'uomo puo' ammaestrare il rapace al punto da farlo volare libero in cerca di preda per poi liberamente tornare a posarsi sulla sua mano. " Rapaci che temono la vista e la vicinanza dell'uomo, imparano grazie a quest'arte a fare per utile dell'uomo cio' che fino allora facevano spontaneamente per utile proprio ". Federico si riferisce, in proposito, non solo ad una mutazione delle abitudini ma ad un vero proprio nuovo istinto: " Nel corso del tempo, queste caratteristiche acquisite con la durezza e la costanza diventando negli uccelli una particolarita', una consuetudine, una nuova; ed e' questa la ragione per la quale la caccia col falcone acquista un significato che, secondo Federico, e nostra, trascende il divertimento e la maestria venatoria, per assurgere ad altezza d'arte, egli stesso citò le seguenti frasi: "Quod totum procedet ex amor"poiché tutto ciò proviene dall'amore. Anche Dante Alighieri nella sua "Divina Commedia" cita in diversi canti i falconi, e sul loro uso -nella falconeria-, tra' le piu conosciute: "Inferno, canto XVII 127/136" cita il volo del falcone. E chiaro che i canti citati da Dante, non hanno niente a che vedere con la falconeria, ma senza ombra di dubbio conosceva quest'arte, a tal punto da paragonare le tecniche usate in falconeria, ciò che lui vedeva nei personaggi di quel tempo. Altri nobili menzionarono in libri storici i falconi e la falconeria, dai Gonzaga, gli Estensi, i Galeazzo Visconti, i Ludovico Sforza, i Malaspina, e tanti altri nobili signori, che pur di avere il miglior falcone davano in cambio immensi patrimoni. Cito un esempio: nel XVI secolo, Gregorio Casale, ambasciatore inglese presso la Corte papale, ringrazia Federico II dei Gonzaga, da poco innalzato alla dignita' di duca, per il dono di falconi inviati alla maesta' di re: [...] Da soi falconeri Vostra exellentia havera' inteso quanto li soi falconi habino satisfato a questa Regia Maesta', et quanto gli resti obligata [...] Mario Equicola nella sua Historia racconta come FrancescoII dei Gonzaga onorasse di marmorea sepoltura alcuni tra i suoi falconi favoriti. Con poesie incise sul marmo: Proprio io, celato in un falco di splendido marmo, senza pari ero fonte di fama pel signore Gonzaga. Rapi' me, degno di lunga vita, la morte invidiosa che' non potesse il mondo vantarsi d'un uccello si' degno. Durante questo periodo, i falconi furono tra i beni più preziosi degli Aristocratici, rigide leggi e norme complesse ne regolavano il possesso. Severe punizioni erano inflitte a coloro che disturbavano o comunque danneggiavano i falchi selvatici, prelevavano giovani dai nidi senza la debita autorizzazione o rubavano falchi altrui. Ogni gradino della scala sociale aveva un falcone o un altro falco come simbolo del proprio rango. In un testo pubblicato nel XV secolo si legge che l’Aquila reale (Aquila chrysaëtos) era riservata all’Imperatore, il Girifalco (Falco rusticolus) al Re, il Falco pellegrino (Falco pellegrinus) femmina ai Principi, ai Duca, e Conti. Il Pellegrino maschio (detto terzuolo, perché più piccolo della femmina di 1/3) al Barone; il Falco sacro (Falco cherrug) al cavaliere, il Falco lanario (Falco biarmicus) al Nobile di campagna; lo Smeriglio (Falco columbarius) alla Dama; il Lodolaio(Falco subbuteo) ai paggi; mentre i falchi " ignobili " erano destinati alle classi sociali inferiori; così il temutissimo Astore(Accipiter gentilis) femmina ai piccoli proprietari terrieri; l’Astore maschio ai poveri; la femmina di Sparviere (Accipiter nisus) ai preti, e il maschio (detto moschetto) ai chierici di rango inferiore. L’uso del fucile per la caccia, e la gestione intensiva delle riserve, oltre a sconvolgimenti sociali e le guerre in tutta Europa, portò a partire dal XVII secolo a cambiamenti che nell’arco di un centinaio d’anni condussero al declino della falconeria. All’inizio del XX secolo, l’atteggiamento dell’uomo verso i falconi, appare ormai completamente ribaltato, e per lungo tempo il nobile Pellegrino e tutti i suoi parenti, considerati animali nocivi dai guardiacaccia, cacciatori, contadini, e allevatori di piccioni viaggiatori. I falchi erano abbattuti senza pietà, avvelenati, catturati con trappole, le loro uova e i piccoli erano distrutti nei nidi. Durante questo periodo, la caccia ai falchi divenne una vera e propria branca della caccia, e molti falconi cadevano( nel periodo di passo) sotto il piombo del fucile. Come se questa carneficina non bastasse, all’inizio del XIV secolo si diffuse la "moda " di "collezionare uova d’uccelli", e naturalmente le uova dei falconi erano particolarmente ricercate, a causa della loro gran bellezza, della rarità e dalla difficoltà di procurarsele. Durante questo periodo un pugno di falconieri continuo' a praticare la falconeria, spesso si trattava di membri di piccole ed esclusive associazioni. Dal XVIII secolo in poi, i falconieri furono praticamente i soli a difendere i falconi dalla distruzione a tappeto, e a sostenere la loro bellezza, e l'utilità nella complessa trama della natura. Bisogna dire apertamente che i falconieri sono stati e continuano a essere fra i più attivi protezionisti delle specie selvatiche dei falchi. Contemporaneamente nacquero centri di recupero rapaci, società di appassionati di falchi e organizzazioni per la riproduzione in cattività in tutto il mondo. Alcune persone si oppongono alla falconeria, per motivi etici o religiosi, soltanto perché si tratta una forma di caccia, un’attività in cui si versa del sangue e si uccidono altri animali, altri ancora si oppongono perché sostengono che e inumano e crudele tenere una creatura selvatica in cattività. Facciamo presente che i falconi di proprieta' dei falconieri, volano liberi giornalmente senza impedimenti, avendo la possibilita' di reindrodursi in natura (cosa assai improbabile in quanto il rapace instaura un'ottima collaborazione con l'uomo). (http://www.marvel.it/falcuc/storia.htm)
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Vivian |
31-08-2009, 16.12.51 | #2 |
Dama
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grazie mille per l'interessante argomento!
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01-09-2009, 10.26.03 | #3 |
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Vi ringrazio, lady Vivian, per aver raccontato dei miei simili...io sono un Falco Sacro (Cherrug), devoto al mio amico cavaliere.
Svolazzerò intorno a voi...festante!!!!! Flò by Sir Morris
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01-09-2009, 12.57.00 | #4 | |
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Vivian |
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01-09-2009, 18.03.31 | #5 |
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eccomi
davanti a Voi mi sento un' allocco' che è pur sempre facente parte della famiglia dei falchi...!
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01-09-2009, 20.12.50 | #6 | |
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Molto bella..quest'immagine di lui.....ve ne sono riconoscente milady...siete sublime!! Sir Morris
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02-09-2009, 13.39.50 | #7 |
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<3 Grazie per le informazioni!
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02-09-2009, 23.06.09 | #8 |
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Federico II e la caccia con il falco
Un'antica tradizione per pochi eletti La caccia con il falco ha origini antichissime, è testimoniato da alcuni disegni parietali ritrovati nelle tombe egiziane ed in Cina veniva praticata già 2000 anni prima di Cristo, la esercitavano i romani diffondendola in tutto l’impero, quindi i giapponesi e gli indiani, in Europa fu introdotta diffusamente nel IX secolo e divenne il passatempo prediletto dei nobili.I musulmani praticavano la caccia con il falco da molti secoli e la introdussero in Spagna ed in Sicilia nel corso delle loro invasioni, divenendo caccia ed insieme sport per pochi eletti.Federico II elevò questa caccia a vera e propria arte codificata, introdusse l’usanza musulmana di coprire il capo dei rapaci con un piccolo cappuccio, per tranquillizzarli e renderli mansueti agli ordini impartiti dal falconiere e mise termine all’uso crudele adottato, sino ad allora in Europa, di cucire le palpebre delle povere bestie, scucendole man mano che l’addestramento procedeva, sino al termine.L’imperatore nello scrivere il trattato sulla falconeria: “De Arte Venandi Cum Avibus”, pose in atto tutte le sue conoscenze in merito: descrisse tutte le fasi dell’addestramento, distinse con dovizia di particolari i vari tipi di uccelli che si potevano cacciare, descrivendo anche le loro abitudini di volo e le tattiche di difesa quando venivano attaccati dai predatori.Federico che, molto probabilmente, non aveva inizialmente l’idea di dar vita ad un’opera così ponderosa, finì per comporre un vero e proprio trattato dedicato alla falconeria, uno scritto tanto curato nei particolari e ricco di nozioni, non solo venatorie, ma anche ornitologica come mai era avvenuto fino ad allora, rimanendo un’opera fondamentale, nel suo genere, sino ad oggi.La sua conoscenza sulla falconeria aveva raggiunto un tale livello di competenza da potere contestare alcuni punti d’ornitologia scritti dal grande filosofo, giungendo ad accusarlo di essersi occupato di un argomento che conosceva per averlo sentito descrivere, ma senza essersi curato di accertarlo personalmente.Il codice originale, ricco di numerose e preziose miniature e che l’imperatore non abbandonava mai durante i suoi frequenti, lunghi spostamenti, andò purtroppo smarrito nelle fasi concitate della sconfitta subita ad opera dei parmensi nel 1248.La copia che è giunta fino ai nostri giorni, fu vergata dal Re Manfredi, figlio dello Staufen, arricchendolo di miniature copiate dall’originale.Quando Manfredi fu sconfitto ed ucciso nella battaglia di Benevento, quel prezioso trattato cadde nelle mani angioine.Il suo avventuroso “peregrinare” non era però finito; un nobile francese, Jean II Dampierre, che aveva preso parte alla marcia di conquista dell’impero Svevo, ne entrò in possesso e, qualche tempo dopo ne realizzò una copia in francese, non trascurando le miniature.Il codice fatto riprodurre fedelmente da Manfredi, dopo essere passato per le mani di svariati nobili europei, tornò fortunatamente in Italia e, oggi, può essere ammirato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana http://siciliainformazioni.com/giorn...&idQuote=24606 |
03-09-2009, 11.24.54 | #9 | |
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(foto: http://www.claudiotorresani.com/assiolo_1-.jpg) @Sir Morris: nessuna immagine può rendere giustizia alla maestosità di Flò
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Vivian |
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03-09-2009, 13.49.00 | #10 | |
Cittadino di Camelot
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Gentilissima Vivian, Flò ..vi stride..il suo felice ringraziamento! Io...vi grido...il mio più affettuoso compiacimento! Sir Morris
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