21-07-2010, 23.58.44 | #1 |
Cittadino di Camelot
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Le luci della Villa
Warning: slash e uhm dub-con (quindi rapporti sessuali in cui il consenso non è così scontato, ma nulla di esplicito) e passato non-con (in cui il consenso non c'è proprio, ed anche qui assolutamente non esplicito, solo accennato).
Ispirato a Dragon's Child (M. K. Hume), nel senso che ho preso in prestito qualche personaggio (Gallia e basta) e l'ambientazione generale, ma Kai è del tutto diverso (Il Kai di quel libri è terribile. Picchia la moglie, uccide la madre per sbaglio, è succube dell'amico Severinus e complice nei rapimenti dell'amico pedofilo perché anche lui fu abusato da piccolo. Ed è un supercodardo, andante verso il gay ma comunque violento e maligno verso le donne ;_; Odierò la scrittrice di quel libro per sempre! Ma terrò alcuni elementi, indovinate quali.). Il libro non tratta di temi facili e nemmeno questa storia. Yay. 01. Le luci della Villa "Vorrei parlarvi di Kai. Vorrei sapere che cosa dicono di lui," domandò Artù, sedendosi accanto al proprio maestro Merydd Merlino. Merlin gli insegnava la scrittura e la lettura, la cultura, la vita e persino l'uso della spada e del cavallo perché dietro a quella corta e brizzolata barba da studioso si celava ancora il guerriero che un tempo era stato. "E cosa vuoi sapere di lui?" "Quello che fa in città." Artù non era mai stato in città. Era un orfano, era stato portato da Ector all'età di due anni e lì era stato allevato in un limbo, né nobile (come la famosa famiglia di Ector ed il suo arrogante primogenito Kai) né servo. Aveva vissuto i primi anni della sua vita in mezzo al cortile, con la balia ed i figli dei servitori. Aveva giocato con loro ed aveva imparato qualcosa quando Ector improvvisamente si ricordava di lui. La sua istruzione a singhiozzo però era stata compensata dall'estrema curiosità del ragazzo che, segretamente, si intrufolava nella biblioteca della Villa per leggere ciò che con tanto disprezzo Kai ignorava. Il tutto finché un giorno non era giunto il vescovo di Glanstonbury, in tutta la sua magnificenza, e con grande mistero aveva proclamato che Artù dovesse essere addestrato alla guerra ed alla cultura. Artù, che aveva appena dodici anni, aveva fatto spallucce, convinto che nel momento in cui ul vescovo avrebbe lasciato la Villa, Ector l'avrebbe nuovamente ignorato e Kai si sarebbe nuovamente comportato come l'insopportabile bulletto che tutti conoscevano. Non era accaduto perché il vescovo aveva lasciato al servizio di Ector l'amico Merlino, un ben poco noto druido dell'antica religione. E se Ector era tornato ad ignorarlo, Merlin non lo aveva mai lasciato solo un minuto. Gli aveva dato un cavallo, gli aveva insegnato ad addestrare un cavallo, a far di conto, a sviluppare quella meravigliosa curiosità che tanto era stata inibita. E l'aveva amato con la severità di un padre con il quale Ector non l'aveva nemmeno mai guardato. "Voglio sapere quello che fa in città," ripeté Artù. "La città non è ancora posto per te." La città non era posto per lui perché, a diciassette anni, Artù, benché uomo, non conosceva ancora il proprio posto nel mondo e si limitava a fare da servitore alla famiglia di Ector ed a seguire la scia di Merlino. "Dite sempre ancora. Che cosa intendete?" "Queste vecchie città romane, ragazzo, non sono adatte, ma un giorno le conoscerai tutte." "Voglio solo sapere che cosa fa Kai?" "Perché?" Kai passava molto tempo in città, anche troppo. Ignorava i propri doveri di primogenito della Villa, credendo che l'essere nobile significasse poter fare tutto ciò che voleva. Ignorava persino la donna che aveva sposato qualche mese prima, una fanciullina delicata dal nome di Julanna. Fortunatamente Gallia, dama di compagnia di Julanna, era sempre con lei e Kai non doveva preoccuparsi più di tanto della propria consorte. "Perché Gallia dice-" "Dice cosa?" "Nulla, maestro." Ed invece Gallia parlava e parlava. Diceva che Kai era burbero, che urlava spesso, che ignorava Julanna e che non la toccava mai nemmeno con un dito. Diceva che Kai amava i ragazzi ed il suo amico Severinus più della propria famiglia. Artù non sapeva nulla di tutto quello. Era stato con delle donne, con delle bellissime donne che lo avevano baciato e coccolato teneramente, ma non aveva provato alcuna sorpresa alle parole di Gallia. "D'accordo, per oggi basta così," annuì Merlino, sentendo che la mente del proprio discepolo era persa in altri lidi. "Non fare nulla che io non farei," lo ammonì, prima di lasciarlo solo nelle stalle. Poiché Artù non conosceva abbastanza la mente di Merlino da capire cosa il maestro potesse o non potesse fare, il ragazzo si sentì giustificato quando verso il tramonto prese il proprio cavallo e partì in direzione della città. Benché non ci fosse mai andato, Artù sapeva perfettamente come arrivare in città. Spesso ne aveva raggiunto i confini da ragazzino, più interessato alle mucche al pascolo sul margine del bosco che alle gioie ed i misteri cittadini che Kai cercava. Artù non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo non si aspettava una cosa così semplice. La città era aperta a tutti, con poche case e poche persone. Solo una locanda di mattoni al centro sembrava avere un poco della vitalità di cui tutti parlavano, e così le strade attorno ad essa. Dei soldati stavano cantando seduti nel terriccio fangoso, attorno ad una fanciulla che ballava tra di loro, semi nuda. "Stai cercando qualcuno?" sussurrò una donna, toccandogli il braccio, quando Artù scese da cavallo e lo legò poco distante dalla locanda illuminata. "Sì, veramente sì-" "Bene," sorrise la sconosciuta e con un abile balzo si ritrovò davanti ad Artù, con le braccia attorno al suo collo. Era giovane, con la pelle abbronzata di chi lavora sotto il sole, e le mani screpolate, ma piacevolmente ruvide. "No- no, scusami, devo avere frainteso," mormorò Artù, sentendosi venir meno la sua famigerata e rispettabile aura. Non credeva veramente di averla, ma qualche volta Merlino lo portava davanti ad uno specchio d'acqua e gli diceva di guardare. Gli mostrava quanto fosse alto, ormai più alto di Ector, e quanto larghe fossero le sue spalle e scuri i suoi capelli. Gli mostrava l'aspetto di un guerriero ed Artù rideva perché sapeva che non avrebbe mai combattuto, nonostante l'addestramento, e sarebbe rimasto sempre un servitore nella casa di Ector. "Oh, tesoro, non devi essere imbarazzato." "Non sono imbarazzato," tentò di ricomporsi il ragazzo, "sto cercando Kai e Severinus." La donna si staccò immediatamente. "Ho capito, dritto di là, oltre la taverna. Entri nella prima porta. Dolcezza, se cambi idea e scopri che preferisci una donna, sai dove trovarmi," sorrise, prima di andarsene. Se Artù aveva dei dubbi circa i sospetti di Gallia questi ora scomparvero. Non sapeva esattamente cosa fare ora che aveva effettivamente confermato ciò che voleva scoprire. Non sapeva nemmeno perché fosse lì. Non sapeva molte cose, ma sapeva fin troppo bene che non era rimasto sorpreso quando Gallia gli aveva parlato. Né sorpreso né disgustato, perché tre anni prima, fra gli insulti e l'irritazione con cui Kai lo aveva trattato, Kai stesso lo aveva baciato. Per Artù era stato il suo primo bacio e lo aveva lasciato confuso ed arrabbiato perché Kai aveva semplicemente smesso di parlargli (che in realtà equivaleva allo smettere di insultarlo e prendersi gioco di lui). Artù raggiunse la porta indicata dalla prostituta. Un ragazzo, che non doveva avere molto più dei ventidue anni di Kai, se ne stava seduto accanto ad essa, addormentato. L'odore di alcool non ci mise molto a raggiungere l'olfatto di Artù, ma non lo fermò quando questi aprì la porta per entrare nella casa che nulla aveva della regalità della Villa. Era semplicemente una capanna di legno e con apprensione Artù notò alcune torce sostenute da dei pali. Il sole era ormai tramontato. "Tu chi saresti?" domandò un uomo, camminando verso di lui. Non aveva un'aria molto minacciosa, sembrava più una domanda di cortesia che una velata minaccia. "Artù." "Artù?" rise l'uomo, "il servo di- non ci posso credere! Chi l'avrebbe mai detto. E cosa ci fai qui?" "Sto cercando Kai." "Oh, Kai ne sarà felice. Non fa altro che parlare di te," annuì lo sconosciuto, battendogli una mano sulla spalla ed iniziando a trascinarlo verso un pesante drappo rosso sbiadito che occupava lo spazio di una porta mancante. Artù non sapeva cosa si sarebbe trovato dall'altra parte. Si immaginava Kai e Severinus che parlavano e bevevano. Addirittura Kai e Severinus in atteggiamenti un po' più intimi (ma in quel caso lo sconosciuto non lo avrebbe trascinato così in mezzo a loro, vero?) perché dentro di sé aveva sempre pensato che Severinus fosse qualcosa di più per Kai di un amico di bevute. Kai era appoggiato ad un uomo che Artù non aveva mai visto. Lo sconosciuto stava aprendo la tunica bianca di Kai con una mano mentre con l'altra stava dando del vino per Kai che, tra una sorsata e l'altra, lasciava che l'uomo versasse il tutto sul suo volto. Le cose accaddero così velocemente. Artù vide la tunica aperta, gli occhi chiusi, lo sconosciuto con il vino ed infine Severinus su di lui. Severinus stava leccando il vino che Kai non riusciva a bere, seduto sulle gambe dell'amico e con i polsi dell'altro nelle sue mani, tra di loro. "Kai!" L'urlo di Artù sembrò congelare la scena. Severinus si voltò sorpreso verso di lui, mentre lo sconosciuto mise da parte la brocca di vino. Il modo in cui Kai sembrò arcuarsi su se stesso e tossire per dell'aria sembrò portare un velo di rabbia rossa sugli occhi di Artù. "Togliti," ringhiò a Severinus, "lascialo andare." "E tu chi saresti?" domandò il nobile. Severinus era il figlio di una delle nobili famiglie che ancora si attaccavano con foga alle loro origini romane. Ma non era nulla in confronto ad Artù e questi se ne rese conto. Si rese conto di essere alto, come Merlino gli aveva detto, di avere delle spalle larghe, come il maestro gli aveva mostrato, e di saper usare una spada, un'asta o qualsiasi altra cosa potesse essere un'arma. Persino le proprie mani. Merlino e Targo, uno dei servi della scuderia, avevano speso ore ed ore della loro vita a fare di Artù un guerriero. Quando Artù era un bambino aveva avuto paura di Severinus, dei suoi occhi pallidissmi e del suo sorriso sempre esageratamente gentile. Ora si meravigliò lui stesso nel non provare nulla di simile. Severinus dovette percepire che qualcosa era cambiato perché fece come chiesto e si alzò, anche lo sconosciuto si staccò leggermente da Kai il quale si mise a sedere da solo, continuando a tossire. "Chi sei?" "Artù." "Artù? Il servo di Kai?" rise lo sconosciuto, alzandosi. "Perché sei venuto qui?" chiese ancora Severinus, ma senza osare avanzare di un passo. "Per Kai," rispose Artù, sentendo la proprio furia cieca diramarsi prepotentemente. "Perché Kai dovrebbe venire? Sei tu il suo servo, non certo il contrario." Artù non disse nulla (perché Severinus aveva ragione, dopotutto), ma quando avanzò verso Kai nessuno degli altri due fece niente per fermarlo. "Kai? State bene?" domandò, inginocchiandosi accanto a lui. Kai sapeva di vino, come se ci avesse nuotato dentro. "Artù? Sei venuto anche tu?" rispose Kai, trascinando le parole in maniera esagerata e passando un braccio attorno al collo di Artù, per avvicinarlo a sé. "Sì, ma per portarvi via." "Non vuole andare via, ci stavamo divertendo prima che arrivassi tu," sibilò Severinus, ma la sua opinione venne ignorata. "Ce la fate a stare in piedi?" Kai fece spallucce, ma non si oppose quando Artù lo fece alzare. Si limitò ad ondeggiare un pochino ed appoggiare la testa sulla spalla del suo strano servitore. "Se vi vedo un'altra volta qui con lui giuro che dirò tutto a sir Ector," esclamò Artù, dirigendosi barcollante con il proprio fardello verso la porta. "Artù, giusto?" intervenne lo sconosciuto, "ascolta, non mi sembra il caso di farne una tragedia. Ci stavamo divertendo. Dei del cielo, non è come se l'avessimo costretto a fare nulla." "Se vuoi rimanere con noi, invece che comportarti come un idiota puoi farlo. Potremmo chiudere un occhio." Ancora una volta Artù ignorò Severinus e fece finta di non aver sentito l'invito, preferendo concentrarsi sulla fatica di portare un ben poco coerente Kai fuori da quel posto. Riportare a casa Kai fu faticoso. Artù non aveva la più pallida idea di dove fosse il cavallo dell'altro e per il momento l'unica cosa che voleva era tornare alla Villa e dimenticare il tutto. Sapeva bene che Kai era lì perché quella era la sua volontà. Kai era sempre assieme a Severinus ed i suoi amici. E sapeva anche di non aver alcun diritto di decidere cosa Kai potesse o volesse fare (casomai era il contrario), ma non aveva potuto farne a meno. L'immagine di Kai che tossiva e del vino sulla sua faccia erano state troppo. Artù non riusciva a credere che una cosa simile potesse essere piacevole, né che Kai fosse stato abbastanza lucido da decidere cosa fosse piacevole e cosa no. E poi- Artù era stato geloso. Kai era sempre stato quello più grande, il nobile, il figlio di Ector e quando Artù era ancora troppo piccolo per capire che in realtà Kai era solo uno sciocco bulletto non aveva voluto altro che diventare come lui, abbastanza forte perché Kai potesse voler giocare con lui. E poi sì, era cresciuto, ed era arrivato Merlino, pronto a farlo diventare qualcosa che Kai non sarebbe stato nemmeno lontanamente. E Kai l'aveva baciato e per un attimo Artù si era sentito nuovamente come quel bambino che non voleva altro che piacere a Kai. Artù era confuso, ma non era uno sciocco né un ingenuo. Era stato con delle donne, aveva provato piacere con delle donne, ma mai quella scarica di emozione possessiva e timida e allo stesso tempo irruente che sentiva ogni volta che Kai lo guardava e gli parlava. Sì, riportare Kai a casa fu fatico. Non solo per la pragmatica fatica del sostenere un peso davanti a sé sul proprio cavallo, ma anche perché l'altro sembrava completamente immerso nella nebbia in cui Artù lo aveva trovato ed insisteva a girarsi verso di lui, allungare il collo per toccare Artù, baciarlo, parlargli (anche se non riusciva a mettere insieme grandi frasi). Ci misero il doppio del tempo per tornare alla Villa ed era ancora buio. Ed Artù non si aspettava certo di trovare Merlino davanti alla spalla, con le braccia incrociate sul petto ad attenderlo. La prima cosa che Merlin gli disse appena Artù riuscì a scendere assieme a Kai da cavallo fu: "Ti stavo cercando." La seconda invece fu un deluso: "Ti avevo detto di non andare in città." Artù non rispose nulla, non chiedendosi perché Merlino lo volesse né specificando che il maestro non gli aveva proibito espressamente di andare in città. "Non so cosa fare, maestro, che cosa devo fare?" domandò invece il giovane, indicando Kai, ormai senza sensi. "Portalo nella mia stanza." Con l'aiuto di Merlino fu molto più facile manovrare il peso morto del figlio di Ector e lasciarlo cadere sul pagliericcio che il maestro usava come letto. "Guarda che non si soffochi nel suo stesso vomito e dagli dell'acqua. Io vado a prendere dell'uovo." "Uovo?" domandò Artù, ma Merlino era già uscito. Ubbidendo agli ordini del proprio maestro, Artù riempì un bicchiere d'acqua ed aiutò Kai a berlo senza soffocarsi. Prese poi il catino di acqua fresca che Merlino si era preparato per la mattina seguente e decise di usarlo per tentare di togliere dall'altro l'odore di vino e l'aspetto appiccicoso dei suoi capelli rossi. Quando Merlino tornò, appoggiò un bicchiere con un tuorlo d'uovo per terra e se notò l'uso della sua acqua, non disse nulla al riguardo. "Ti stavo cercando, Artù," ripeté invece. "Perché?" domandò il ragazzo, distrattamente, passando un pezzo di stoffa bagnata sulle labbra di Kai e chiedendosi se Kai avesse baciato Severinus come un tempo aveva baciato Artù. "Perché domani giungerà il vescovo ed avrà delle notizie per te." "Che notizie?" "Vedo che non mi sta ascoltando, ragazzino, ma questa è una faccenda troppo grande per non venir detta, quindi apri le orecchie: Uther non è più in forma come una volta." Artù aveva, ovviamente, sentito parlare di Uther. Sapeva che era il condottiero con la bandiera del Drago, Uther Pendragon, e che aveva sconfitto i sassoni innumerevoli volte, unendo sotto il suo comando anche regnanti britanni di origine diversa. "Ha bisogno di nominare un erede." "Kai?" domandò Artù, osservando il maestro incuriosito. Kai era di famiglia nobile, la madre era stata una signora della casa Poppinia di Roma, ed Ector si era saputo far valere in tutte le battaglie a cui aveva partecipato. "Non essere sciocco," sbuffò Merlino," sto parlando di te." "Di me?" "Artù, per ora non è il caso di dirti di più-" "No! Aspetta, perché io?" chiese il ragazzo, finalmente interessato alla cosa. "Artù, ascoltami con attenzione. Hai mai sentito parlare della storia di Uther ed Igraine?" Artù annuì. Ne aveva sentito parlare. Uther si era innamorato della bellissima moglie del Duca Gorlois, Igraine, e spinto dalla passione ne aveva ucciso il marito in battaglia e l'aveva sposata. Igraine era vissuta solo il tempo per partorire un figlio, morto anch'esso. "Il figlio di Igraine non è morto. Sei tu." Se Merlino gli avesse detto che un giorno l'uomo sarebbe stato in grado di volare probabilmente Artù avrebbe riso, ma poi avrebbe annuito, fiducioso del suo maestro. Ma ciò che l'uomo aveva appena pronunciato non aveva alcun senso. Lui era il servo che non era servo, allevato come un abbandonato nella casa di Ector. "Non ti sei mai chiesto perché il vescovo ha voluto che tu fossi cresciuto come un guerriero ed un uomo colto?" Artù se lo era chiesto, ma non aveva mai trovato la risposta. "No, non può essere vero. Io non posso essere il figlio di Uther. Se- se io fossi suo figlio sarei con lui ora, non qui, non qui." "Non poteva tenerti con sé. Aveva una battaglia da condurre e tu eri in pericolo. C'era chi avrebbe voluto vederti morto." "Chi?" Merlino scosse la testa e cambiò argomento. "L'unica cosa da fare era proteggerti. Ti ha mandato qui perché la Villa di Ector è lontana e poco conosciuta. Nessuno avrebbe mai sospettato nulla, nemmeno Ector." "Lui non lo sapeva?" "No, pensava che tu fossi il figlio di qualche amico del vescovo. Ed in un certo senso è così." "Ma perché-" "Il vescovo non hai mai pensato di doverti dare un'istruzione adeguata fino ai tuoi dieci anni. Certo, è un amico di Uther, ma non avrebbe mai immaginato che Uther sarebbe diventato così potente da dover aver bisogno di un erede." Il fatto che Uther, alla sua nascita, non avesse bisogno di lui come un erede e lo avesse comunque nascosto per proteggerlo sembrò portare un'ondata di calore incerto nel petto di Artù. Aveva così tante domande. Perché ora? Perché mio padre non è venuto a prendermi? Perché devo diventare l'erede? Com'è mio padre? Com'era mia madre? E così tante proteste. Non voleva diventare re, non si sentiva assolutamente pronto. E non voleva incontrare Uther (ma allo stesso tempo non desiderava altro). "Domani giungerà qui il vescovo." "Ed Uther?" "Se sarà abbastanza in forze giungerà anche lui, con i suoi cavalieri." Artù aprì e chiuse la bocca, nello sforzo di poter aggiungere qualcosa, ma la sua gola era arida ed il freddo della notte iniziava a farsi sentire tramite piccoli tremori imbarazzanti. "Dormi un po'," sussurrò Merlino, toccandogli la fronte. L'ultima cosa che Artù si ricordò prima di addormentarsi fu di aver pensato che il suo maestro fosse un mago. La prima cosa che Artù sentì al suo risveglio fu odore di vino ed il calore di un corpo steso accanto al proprio. Aprì gli occhi e non fu del tutto sorpreso nel vedere Kai. Anche Kai era sveglio, con gli occhi chiusi in una smorfia di dolore, il dorso della mano destra sulla bocca ed il sole del mattino che gli illuminava il pallore del volto ed i riflessi dorati dei suoi capelli rossi. "Kai?" Kai sobbalzò ed Artù si premurò di abbassare ancora il tono della propria voce. "State bene?" "Sì," rispose l'altro, con voce leggermente roca. Una fanciulla, una serva che Artù riconobbe come la figlia della cuoca, entrò timidamente nella stanza portando con sé degli abiti ed una nuova bacinella d'acqua. "Merlino ha chiesto che vi vestiate e lo raggiungiate all'entrata della Villa entro un'ora." "Sta parlando con te?" domandò Kai, voltandosi verso Artù ed aprendo gli occhi per la prima volta. Erano mesi, o forse anche anni, che Kai non parlava con Artù o non lo guardava negli occhi. Solitamente si limitava a rivolgergli qualche aspra parola o a lanciargli una veloce occhiata durante le cene o gli incontri casuali ed Artù aveva del tutto dimenticato quanto verdi fossero gli occhi di Kai. "Sì, sta parlando con me. Ma penso che Merlino voglia anche voi." "Ho sete." Velocemente, Artù si alzò per riempire un bicchiere d'acqua a Kai e glielo porse. "Per ieri sera-" iniziò Artù. "Sì, mi aspetto le tue scuse." "Le mie scuse?" "Per avermi praticamente rapito." "Volevo aiutarvi. Vi stavano affogando con del vino." Kai si alzò a sedere a fatica ed il poco colorito che aveva recuperato sparì completamente. "Sei melodrammatico come una donna." "Mi dispiace se non era ciò che volevate, ma non me lo sarei mai perdonato se vi avessi lasciato là. Non eravate nemmeno in voi." "Prima di tutto non hai il permesso di rubare un cavallo e lasciare la Villa," ribatté Kai. La rabbia della sera prima, per il modo in cui Kai si era lasciato trattare, per ciò che Merlino gli aveva detto, per tutti i segreti della sua vita, ritornò prepotentemente ed Artù avrebbe voluto poter urlare. Poter dire che lui non doveva rendere conto a nessuno, che ora era il futuro re e che Kai avrebbe dovuto ubbidire a lui per una volta. Ma non se lo sarebbe mai perdonato. "Faccio molte cose che non dovrei fare," rispose invece e quando l'altro inarcò un sopracciglio dubbioso Artù si limitò a baciarlo con la stessa delicatezza da primo bacio che Kai aveva usato per lui quando aveva quattordici anni. Non fu sorpreso quando Kai non provò nemmeno a sbarazzarsi di lui.
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22-07-2010, 00.05.38 | #2 |
Bannato
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Pur non essendo esperto di questo genere...noto del potenziale interessante...molto interessante...e poi,é la prima storia con riferimenti al sesso...che vedo..audacia che verrà premiata...
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22-07-2010, 00.32.24 | #3 |
Cittadino di Camelot
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Le mie storie parlano sempre di storie d'amore ed alcune trattano anche di relazioni fisiche tra Galahad/Mordred, ma in effetti credo che questa sia la cosa più spinta che io abbia mai scritto (ok XD significa che sono una pudica, praticamente).
Il prossimo capitolo sarà molto più noioso X°D Grazie per il commento : D
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22-07-2010, 01.09.29 | #4 |
Cittadino di Camelot
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La storia continua (forse fino a Camlann? Ne dubito, di sicuro tenterò di farla arrivare al matrimonio con Ginevra)!
Perché andando avanti con il libro di K. Hume ho deciso che questa potrebbe essere una stramba AU del libro in cui Uther non è un idiota, Merlino (e non Targo) allena Artù e Kai non è il mostro che la Hume ha deciso di dipingere, ma comunque risente dell'influenza del cattivissimo (ha XD) Severinus (che ho addirittura reso meno crudele rispetto al libro). Ed ovviamente altri cavalieri! E forse altro slash in futuro? (sicuramente un giorno Dinadan si vestirà da donna come il canon vuole). (Non l'ho ancora riletto il capitolo ;_; spero non ci siano troppi errori) Warning: menzioni di non-con, ovviamente, come nel libro. Ed ancora, non è necessario leggere il libro (decisamente no, evitatelo). E, ops, sta diventando qualcosa di lungo. E preparatevi per l'angst. Le luci del futuro Artù non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo. Stava baciando Kai, e su questo ne era certo, ma l'altro non lo ricambiava anche se non si scostava da lui, e dopo qualche minuto di labbra su labbra, Artù si staccò dal figlio di Ector. "Mi dispiace," esclamò appena vide il volto di Kai, il quale sembrava pronto a colpirlo. Artù non metteva in dubbio che ne fosse capace. Kai non era propriamente la persona più paziente e gentile della Villa. "Artù," dirompò improvvisamente la voce di Merlino, salvando Artù da un probabile linciaggio. "Ti stiamo aspettando." Il ragazzo, ormai uomo in realtà, si alzò velocemente raggiungendo il catino dell'acqua e rinfrescandosi prima di prendere i vestiti portati dalla serva e tornare nella propria stanza. Non aveva alcuna intenzione di cambiarsi davanti a Kai, soprattutto perché il bacio aveva risvegliato parti del suo corpo che la sera prima erano rimaste miracoloamente dormienti. Dopo essersi cambiato ed aver mangiato della frutta che la serva Frith gli aveva lasciato nella propria camera, Artù scese velocemente verso l'entrata della Villa. Gradino dopo gradino, mentre il sole sbucava nel cortile, la consapevolezza che fra qualche minuto tutto sarebbe cambiato lo colpì in pieno. Non era chi aveva sempre pensato di essere. Non era un servo. Non era- Non sarebbe mai stato nemmeno colui che avrebbe voluto essere, realizzò d'impulso, con una fitta di dolore. Non sarebbe mai stato il siniscalco della villa assieme a Kai. Sarebbe stato quello che il re voleva da lui. No, non il re, suo padre. Uther era un uomo alto, enorme. Appena Artù lo vide capì subito che si trovava di fronte al re e, senza dubbio, a suo padre. Fu come guardarsi in uno specchio. Le spalle larghe, l'incredibile altezza, il naso un po' schiacciato e la barba più chiara dei folti capelli neri, che ormai si stavano ingrigendo. Merlino lo abbracciò ed Artù si sentì rabbrividire davanti a tanta confidenza. Ector si alzò, dopo essersi timorosamente inchinato a terra, mentre altri cavalieri, più o meno giovani, ma tutti dall'aria impassibile, raggiungevano il loro sovrano. "Posso sapere che cosa ti è preso, razza di imbecille?" sibilò la voce di Kai vicino al suo orecchio mentre la sua mano afferrava la spalla dell'altro. Evidentemente si era abbastanza ripreso da raggiungere la folla alla porta della Villa. "Kai, non ora, vi prego-" iniziò Artù, sentendosi imbarazzato per essersi momentaneamente dimenticato di lui. Ma quello era suo padre, era giustificato. Era davanti all'uomo che lo aveva messo al mondo e non era un uomo qualsiasi (ma in realtà era proprio come tutti gli altri), era un re. "Artù se-" "Artù!" tuonò la voce di Uther ed il suo volto si girò verso il giovane. Artù poté vedere una maschera di rughe e pallore sotto la sua barba mentre, con la bocca aperta cercava le parole giuste con cui rispondere. Il re gli fece cenno di avvicinarsi e Kai lasciò la presa lasciando ad Artù la possibilità di obbedire. "Mio re," sussurrò Artù, insicuro. Doveva chiamarlo padre? Quando il ragazzo giunse a soli pochi passi dall'altro uomo, questi lo raggiunse con un'unica ampia falcata. Gli occhi di Uther erano grigi e luminosi ed Artù sentì un'ondata di piacere nel notare che lui ed il padre erano della stessa altezza. "Sire, se avessimo saputo del vostro arrivo avremmo preparato un'accoglienza degna di voi." "Sir Ector, avete fatto per me più di ciò che era necessario anche se non ne avevate idea." Merlino doveva aver messo al corrente Ector del segreto di Artù perché questi arrossì fino alla punta dei capelli e si inchinò nuovamente. "Artù. Mi hanno detto che sei diventato un meritevole guerriero." "Sono ciò che Merlino mi ha fatto diventare." "Mi fido di Merlino," annuì Uther e dovette aver udito la nota roca e rotta nella voce del figlio perché con un gesto veloce lo attirò nelle proprie braccia. L'unica cosa che Artù riuscì a pensare fu che la barba del padre pungeva. Pungeva così tanto da farlo piangere. "Ho bisogno di te, Artù," gli sussurrò Uther nell'orecchio, senza lasciarlo andare. "Sono qui per servirvi- padre," rispose l'altro, dopo un attimo di esitazione. L'abbraccio dovette durare più di ciò che era ritenuto onorevole perché Merlino li separò gentilmente e chiese ad Ector di accompagnarli nella villa per mangiare qualcosa. L'uomo annuì frettolosamente ed iniziò a dare ordini ai propri servi di portare nella stalla i cavalli e permettere ai cavalieri di riposarsi e rinfrescarsi. Dopodiché pregò il re di seguirlo all'interno della sua umile casa. La villa era tutto fuorché umile. Nonostante la mancanza di una matrona, poiché la madre di Kai era morta molti anni prima, Julanna, la giovanissima moglie di lui, faceva il possibile per tenerla in ordine ed evitare che i rudi gusti degli uomini la facessero diventare più simile ad una caserma che ad una villa romana. Alle pareti erano appesi gli arazzi più raffinati, forse stonando un po' con l'ambiente romano che la moglie di Ector aveva voluto ricreare con tanta precisione. Decorazioni celte addobbavano i corridoi assieme ad anfore decorate in stile greco. La sala che Ector usava per i banchetti era oltre la piscina scoperta ed era abbastanza ampia da poter ospitare senza problemi anche una quindicina di persone. I servitori avevano già iniziato a portare il cibo, ma nessuno mangiò. Ector osservava il proprio re nervosamente, sicuramente ripensando a come aveva trattato Artù negli anni precedenti e rivivendo nella sua mente ogni momento in cui l'aveva, più o meno giustamente, rimproverato. Merlino stava guardando Artù con aria soddisfatta, come di chi è appena riuscito a fare il miglior dono possibile. Mentre Kai passava dal sobbalzare per i propri postumi dell'ubriacatezza combinati con il rumore al lanciare occhiate furiose a quello che fino a pochi minuti fa era stato il proprio servitore. "Come saprete ormai," iniziò Uther, passando un braccio attorno alle spalle di Artù, " quest'uomo- questo valoroso e perfetto uomo che vedete davanti a voi è mio figlio. E mi rammarico di non averlo potuto crescere io stesso." Nessuno nella stanza fiatò. "E come figlio del mio sangue e di quello della nobile Igraine, Artù ha il pieno diritto di assumere il titolo Pendragon e di diventare il mio successore." Artù sobbalzò. Merlino annuì soddisfatto. "Sire, con tutto il rispetto," iniziò Ector, con voce sottile, "conosco i lord della Britannia e non sono certo che accoglieranno uno sconosciuto con così grande facilità. Voi vi siete guadagnato il vostro valore in battaglia." "Diversamente da ciò che molti sembrano pensare, non sono uno sciocco, sir Ector," rispose Uther, con tono glaciale. "Artù partirà con me il mese prossimo. Un'altra nave di sassoni sono da poco sbarcati sulle coste est e c'è chi dice che il loro capo Cerdic sia con loro. Entro un mese dovrebbero raggiungere i nostri avamposti di Londinium e lì li attacceremo. E sconfiggeremo," terminò con un sorriso. Il figlio del re, il principe (e com'era nuovo tutto quello!) si morse il labbro per non replicare. Sei giunto dal nulla e mi vuoi portare via da tutto ciò che ho, avrebbe voluto dire. Da Gallia e dal suo umorismo spigliato, dalla timida Julanna, dal rude Ector e da Kai. "Non parliamo ora di questo," intervenne Merlino, vedendo la linea sottile che le labbra di Artù erano diventate, "siamo qui per festeggiare la riunione di una famiglia." "Senza le tre streghe!" rise Uther. Nessuno rise con lui e Merlino impallidì incrociando lo sguardo perplesso ed interrogativo del proprio discepolo. Fortunatamente per Ector la salute di Uther non era buona come lo era stata un tempo ed il re, dopo solo un'ora, decise di ritirarsi per riposarsi permettendo al padrone di casa di rilassare i propri nervi tesi. Dopo l'uscita di Uther, Merlino si alzò per stringere una spalla ad Artù e lo informò che quel giorno avrebbe potuto rilassarsi e, se avesse voluto parlargli, lo avrebbe trovato nelle stalle. Una delle tante cose che Artù ed il proprio maestro avevano in comune era il loro amore per i cavalli. Lasciati soli con Artù, Ector e Kai avevano iniziato a lanciargli occhiate perplesse finché il padrone della villa non si fece coraggio. "Principe Artù, desiderate ritirarvi anche voi?" "Ector," replicò questi con una nota quasi di dolore nella voce, "chiamatemi come avete sempre fatto. Siete l'uomo che mi ha cresciuto per tutti questi anni." Ector annuì, ma non sembrò essere veramente convinto e l'imbarazzo lo costrinse ad ammettere di dover controllare che i cavalieri fossero soddisfatti ed ad uscire sulla scia di Merlino. "Kai, per quello che è successo questa mattina, volevo dirvi che mi dispiace." "Se credi che mi inchinerò a leccarti i piedi come mio padre ti sbagli, Artù. Sei stato il mio servo per tutta la tua vita e le cose non cambieranno ora." Artù spalancò la bocca. Sì, si era dimenticato come era parlare con Kai e che tutto il fatto del parlare equivaleva al lasciarsi insultare. "Dove andate?" domandò il principe quando l'altro si fu alzato. A parte due profonde e scure occhiaie non c'era alcuna traccia dell'ubriacatezza o dei postumi. "Da Severinus." "Dopo quello che è successo?" "Appunto. Vorrà delle spiegazioni." "Delle spiegazioni! Non ho fatto nulla di male e nemmeno tu." "Vorrà vedermi," rispose testardamente Kai. "Sei troppo giovane ed ingenuo per capire." "Lui vorrà vedere te? E chi è per decidere una cosa simile?" "Perché tu puoi vero? Sei il re. Potresti ordinarmi di rimanere qui," replicò Kai ed Artù pensò quasi di aver sentito una nota di supplica nella sua voce. Ma quella era una cosa che non era pronto per fare. Era stato un servo, un ragazzino di nessuno per tutta la vita, e non era pronto per ordinare nulla all'uomo che aveva servito fino ad ora. Quando Artù non disse nulla, Kai uscì dalla stanza senza aggiungere altro. Artù non aveva mai sognato di diventare re. Quando era piccolo aveva immaginato di poter trasformarsi in uno spirito dei boschi e vivere in un albero. Crescendo aveva deciso che avrebbe preferito diventare il signore di una Villa e poter ordinare a tutti ciò che voleva. Raggiunta la pubertà aveva deciso che dare ordini non era così divertente come l'idea di poter divenire un cavaliere. L'allenamento di Merlino gli avevano lasciato nella mente immagini di nobili guerrieri che salvavano damigelle da torri incantate. E dopo il bacio di Kai aveva sognato di salvare Kai da una torre incantata. Ci aveva provato, aveva pensato di aver salvato l'uomo che serviva da un mostro, ma Kai non aveva apprezzato il salvataggio e nemmeno lo considerava tale. Ed ora lui si ritrovava con il sogno del cavaliere poco davanti a lui ed una vita a dare ordini. L'ultima parte non gli sorrideva molto, ma sapeva che c'era di più nell'essere re dell'ordinare. Responsabilità. Doveri. Il solo pensiero della grandezza del suo futuro gli facevano crescere la nausea nel petto e l'idea del fallimento (perché sapeva che se non fosse stato abbastanza suo padre sarebbe stato deluso dal suo unico erede) gli dava le vertigini. Sdraiato nell'erba poco fuori dalla villa, ad occhi chiusi, Artù non si accorse subito del giovane uomo che lo stava osservando a pochi passi di distanza. Fu il rumore di un rametto che si spezzava a risvegliarlo dal suo torpore. "Non dovreste starvene da solo, senza spada o protezione," lo informò l'uomo, gentilmente. Lo sconosciuto doveva avere qualche anno in più di Kai ed era uno dei cavalieri che Artù aveva scorto alle spalle del padre. I capelli castani, chiarissimi, erano un po' troppo lunghi per la moda romana così come la corta barba. "Spero che nessuno voglia uccidermi nella mia stessa casa." "Lo spero anch'io, principe, ma le persone sono strane," sorrise l'uomo, inginocchiandosi accanto a lui. "Ma la mia spada è vostra." Il principe si sentì arrossire davanti agli occhi onesti del cavaliere. Quell'uomo era più esperto di lui, più abile di lui di sicuro eppure gli mostrava un simile rispetto. "Vi ringrazio ed accetto la vostra offerta si-" "Sir Bedivere." "Accetto la vostra spada, allora, sir Bedivere. Volete sedervi con me?" Dovette essere una richiesta strana da parte di un principe perché Bedivere inarcò le sopracciglia, senza perdere il suo sorrise, ma dopo qualche secondo di esitazione si sedette comunque. "E' un bel posto questo. E' una bella villa." "Sì. E' un posto tranquillo. Immagino sia diverso da Camelot." Tutti conoscevano Camelot. Gli antenati di Uther vivevano nell'antica Villa di Camelot da qualche generazione ed appena il re riuscì a consolidare il proprio potere decise di rendere la Villa una vera e propria fortezza. Un vero e proprio castello. Camelot era il centro del potere di Uther e si diceva che fosse circondata da case e capanne e stalle ed armerie impossibili da contare. "Sì, molto diverso. Ma Camelot è magica, vedrai." Il sorriso di Bedivere era semplice ed i suoi occhi sinceri. "Voi vivete a Camelot?" "Ci sono cresciuto, assieme a mio fratello Lucan." "Io ho dei fratelli?" domandò Artù, improvvisamente, vergognandosi subito della propria debolezza. "No, principe. Avete tre sorellastre, figlie di vostra madre." Si era sempre fatto domande sulla propria famiglia. Immaginava dei pescatori o dei nobili morti in qualche incidente di guerra. Ma, per qualche motivo, non aveva mai immaginato di poter avere dei fratelli o delle sorelle. Era già troppo difficile il pensiero di aver perso una cosa per aggiungervi altro. "Vivono a Camelot?" "No, principe. Vostra sorella Elaine è sposata al re del Garlot. Ed ha da poco avuto un figlio, il piccolo Hoel." Una famiglia, gridava il cuore di Artù. "Vostra sorella Morgause vive nelle Orcadi ed è la sposa di re Lot. E vostra sorella Morgana andrà presto in sposa a re Urien di Gore." "Vorrei conoscerle." Un'ombra sembrò passare negli occhi di Bedivere. "Le conoscerete, ma se mi permettete di darvi un consiglio, principe, vorrei pregarvi di non affrettare le cose." "Sono quelle che mio padre ha chiamato streghe, immagino." Bedivere non rispose, chiaramente incerto su cosa poter e non poter dire al fratellastro delle tre donne. "Sono così terribili?" insistette Artù, cercando di emanare la calma più assoluta. Sapeva che ora che tutti lo vedevano come un principe sarebbe stato difficile ottenere sincerità quando questa era un piatto amaro da servire. "Potete parlare liberamente. Vi prego." "Non ho mai conosciuto lady Elaine, ma dicono sia la copia di vostra madre in tutto. Morgana è una donna molto importante. Sembra che abbia molti amici e re Urien è un uomo molto amato dai suoi alleati e rispettato dai suoi nemici. Non porta simpatie per re Uther, ma il suo rancore viene mostrato al mondo. Morgause è lontana, con Lot. Le Orcadi sono un luogo inaccessibile sia dal mare che da terra, ma sono anche poco ospitali e poco produttive. E Morgause è una donna piena di ambizioni." Non era ciò che Artù si aspettava. Avrebbe voluto che il cavaliere parlasse di qualcosa di personale, della bellezza delle sue sorelle, della loro felicità. Ma si rese conto che era necessario per lui sapere con chi avere a che fare. "E mio padre?" "Vostro padre è un re giusto. Ma sta invecchiando." "Grazie, sir Bedivere. Mi ricorderò della vostra gentilezza," annuì Artù e così avrebbe fatto. "Non potete andare nuovamente in città," borbottò Merlino, accarezzando uno dei cani da caccia di Ector. Uther stava ancora riposando e si era fatto portare la cena nella propria stanza. Bedivere era tornato ai suoi doveri di capitano ed Ector ignorava il figliastro come se questi avesse potuto fulminarlo con lo sguardo. Kai ancora non era tornato. "E' tutto il giorno che è là." "E' un adulto, sa fare le sue scelte." "Non mi piace Severinus." "A Kai piace, quindi credo che tu debba rispettare i suoi desideri." Artù era convinto che a Merlino fosse sfuggito qualcosa. C'era veramente qualcosa di sbagliato in Severinus, nel modo in cui la sera prima teneva Kai, nella voce con la quale aveva descritto ciò che stava accadendo. Gli occhi di Severinus avevano sempre terrorizzato Artù quando questi era un bimbo. "Sono il principe. Potrei ordinare a Kai di tornare qui." "Non lo faresti. E lui non ubbidirebbe." "Sono il principe." "E sono sempre sicuro che non lo faresti." Artù si sedette sul pagliericcio che Merlino usava come letto e portò le braccia attorno alle ginocchia. Avrebbe dovuto ordinare a Kai di rimanere. Si ricordava abbastanza bene il giorno in cui Kai aveva portato per la prima volta Severinus a casa. Kai aveva avuto tredici anni ed era convinto che il suo sangue romano lo avrebbe portato ad un destino glorioso. Severinus era di cinque o sei anni più grande e sapeva bene che Roma era morta, ma insisteva a proclamarne la grandezza, insultando Celti, Pitti, Sassoni e chiunque non avesse un qualche legame di sangue con Roma. Artù era sicuro che Kai vedeva in Severinus tutto ciò che lui voleva diventare. Severinus era senza padre e poteva fare qualsiasi cosa, con i suoi amici, con la sua Villa. Kai aveva iniziato a seguirlo ovunque. Artù era stato geloso, per un motivo semplice ed infantile, ma una parte di lui era stata grata ed aveva sperato che un Kai distratto significasse un Kai meno arrogante. Le cose erano andate in direzione contraria. Kai era diventato sempre più arrabbiato ed il suo già focoso temperamento sembrava essere peggiorato. No, ad Artù non piaceva Severinus. Non era mai piaciuto. "Potrebbe aver bisogno di me. Ho bisogno di andare, Merlino, dico davvero. Ho bisogno di far finta che per adesso nulla sia cambiato." "Ma è cambiato, non puoi scappare." "Lo so. Ma sono sempre io. Sono sempre Artù e ieri Artù è andato in città da Kai e ci andrà anche questa sera." D'accordo, Artù stava un po' mentendo. Voleva solo andare da Kai. "Sono un amico di Uther, ma il re si prenderebbe la mia testa se sapesse che vi permetto di andare in giro da solo e di notte." "Sono un uomo. E so combattere. Mi avete insegnato tutto ciò di cui ho bisogno." "Vi ho insegnato anche troppo. Ma la prudenza non è mai troppa. Prendetevi un'arma ed un cavaliere." Alla fine Artù dovette acconsentire e chiese di Bedivere poiché era l'unico che conosceva. Fu però costretto ad accantonare il proprio dovere perché dopo una giornata di fatica Bedivere si stava risposando ed Artù si accorse di non avere abbastanza autorità sui cavalieri del capitano per costringerli a chiamarlo (in realtà nemmeno ci provò perché non voleva disturbare il suo sonno). Sir Dinadan si offrì di accompagnarlo. Non doveva essere molto più anziano di Artù, ma cavalcava un cavallo come se fosse nato da un centauro. Aveva dei capelli rossicci, ma nemmeno una traccia di lentiggine. Si muoveva con la velocità di un serpente e le sue mani con lui. Il fatto che Artù fosse il suo principe non sembrò turbarlo particolarmente. "Sono curioso di incontrare il vostro fratellastro." "Non è proprio il mio fratellastro." "Allora dovreste incontrare i miei fratelli. Uno più burbero dell'altro." "Molto diversi da voi, allora," scherzò Artù, sul proprio cavallo, felice di quel diversivo mentre si avvicinava alla città. "Non dite sul serio. Sono il più cupo della famiglia." "Ne dubito, sir Dinadan." "Avete ragione. Mia sorella probabilmente è peggio. Metterebbe paura persino all'anima di mio padre. Sir Brunor." Ancora Artù non aveva sentito del leggendario Brunor detto 'Il buon cavaliere senza timore' e la triste battuta cadde senza seguito. La cosa non sembrò preoccupare Dinadan. "E' bello vedere qualcuno che si prende cura del proprio fratellastro." "Non è il mio fratellastro. Siamo solo cresciuti assieme. Ma ho delle sorellastre." "Conosco le vostre sorellastre. Loro farebbero paura a mia sorella." Artù non poté chiedere altro, e non volle, perché finalmente giunse alla taverna che aveva scorto la sera prima. In un terribile deja vù rivide la prostituta che l'aveva salutato e decise che non voleva che un rispettabile cavaliere vedesse Kai con Severinus. "Salve," sorrise la prostituta, avvicinandosi a Dinadan. "Mi dispiace, mia signora, niente per me e niente per voi questa sera. Ma vi assicuro che ho un vestito come il vostro a casa." La donna arricciò il naso per la confusione ed Artù approfittò del momento per domandare a Dinadan di aspettarlo lì. "Sono qui per proteggervi." "Se avrò dei problemi vi chiamerò." La cosa non sembrò rassicurare molto Dinadan il quale riuscì a patteggiare con il principe finché questi non si lasciò accompagnare davanti alla casa in cui aveva trovato Severinus. "Per qualsiasi cosa, sono al vostro servizio," sussurrò Dinadan prima che Artù entrasse. Non vi era nessuno ad indirizzarlo sulla retta via questa volta, ma Artù si lasciò guidare dalle voci. Sentiva la voce di Severinus, ad un volume esageratamente alto e gelido, e le brevi spezzate risposte di Kai, tipiche di quando questi era particolarmente furioso. "Se pensi che tu possa anche solo prendere in considerazione una simile idea, ti sbagli, Kai." "Dei, sono ubriaco," rispose la voce di Kai. "Sì, sei ubriaco. E per questo ti perdono. Vieni." Artù sentì i propri pugni stringersi al tono accondiscendente di Severinus ed ai passi di Kai che, evidentemente, stava ubbidendo all'ordine. Una parte di Artù si sentì rosa da una malsana gelosia all'idea che Kai potesse ubbidire Severinus, ma non lui. "Non mi ricordo più perché urlavo. Non volevo urlare," replicò Kai ed Artù sentì una chiara nota di paura nella sua voce. "Lo so. Bevi ancora." "Sono già ubriaco, non sono-" "Bevi." Artù si ritrovò nella stanza, dimentico del moto di rabbia che gli aveva fatto scostare la tenda ed avanzare sui due. Severinus e Kai erano seduti su due sedie vicine ed il primo teneva il volto dell'altro tra le mani, voltato verso di sé. "Mi sembra abbia detto no," disse Artù, riconoscendo nel proprio tono il gelo di quello di Uther. "Il tuo servo è tornato," sorrise Severinus, continuando a rivolgersi a Kai e trascinandolo verso la propria spalla. Kai lasciò fare, appoggiando la fronte sull'altro, ignorando la mano di Severinus che circondava ora il suo collo. "Non è un servo," mormorò Kai, le parole attaccate tra di loro. "Lascialo." "Noioso. Abbiamo già vissuto questa situazione," replicò Severinus. "Sì, e sappiamo come è andata a finire." Solo in quel momento Artù notò i due uomini visti la sera prima ed ora appoggiati al muro mentre lo stavano fissando. "Sei in casa mia, ragazzo," rispose quello che aveva versato il vino su Kai, "e gradirei che tu te ne andassi." "Non senza Kai." "Non senza Kai?" ripeté Severinus. "Kai, vuoi rimanere qui con noi o andare con il tuo servo?" "Rimanere." "Bene, ed ora fuori di qui, ragazzino," intervenne nuovamente il padrone della casa, avvicinandosi. Merlino aveva insegnato molte cose ad Artù. E tra queste ovviamente il suo maestro aveva voluto necessariamente comprendere alcuni trucchi, più o meno gentili, per difendersi in caso la spada o il pugnale fossero distanti o non necessari. Nel momento in cui la mano dell'uomo si fermò sull'avambraccio di Artù, il giovane principe si ritrovò ad agire in automatico. Sentì il proprio corpo che portava in avanti il braccio, sorprendendo e sbilanciando l'avversario mentre il ginocchio si alzava a colpirlo in una zona ben poco piacevole. L'uomo crollò a terra con uno sbuffo di dolore, rannicchiandosi su se stesso. "Severinus, ti lascerò meno di un minuto per decidere cosa fare." Severinus sembrò decidere ancora più in fretta. Né lui né i suoi amici erano guerrieri, erano cresciuti con lo scopo di diventare signori delle proprie ville, non di difenderle da orde di sassoni. "Sono un uomo potente," sibilò Severinus, lasciando Kai ed alzandosi. Si allontanò di un passo quando Artù avanzò rispondendo: "Io lo sono ancora di più, credimi."
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23-07-2010, 16.17.49 | #5 |
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In cui appare sir Griflet (random!), Severinus ha un piccolo pov e viene indirettamente introdotto voi-sapete-chi.
Se tutto va bene questa storia avrà altri due o tre capitoli. E se le cose continuano ad andare bene il testimone verrà passato ad un'altro personaggio e poi ad un altro ancora. Mi piacerebbe raccontare tutta la storia arturiana con una serie di tre storie a capitoli. Prima Artù (yay slash Artù/Kai), poi Mordred (yay slash- err, non lo so ancora) e poi si vedrà, sono aperta a suggerimenti! Le luci di Londinium "Più potente di me?" domandò Severinus, all'affermazione di quello che aveva sempre creduto un servo. Non fece in tempo ad aggiungere altro che un altro uomo entrò nella stanza. Non era molto alto, ma abbastanza robusto da dare l'idea di un guerriero. Indossava una ruvida cotta di cuoio e la mano sinistra era appoggiata all'elsa di una daga, appesa al fianco. "Principe," sorrise lo sconosciuto, voltandosi verso Artù. Severinus fu costretto a lasciarsi sfuggire un gemito sorpreso. Kai non gli aveva mai detto che Artù era un principe. L'aveva sempre chiamato servo, o ragazzino, ma nei suoi occhi c'era stato un luccichio sognante e nostalgico. Parlava spesso di Artù, per insultarlo, per denigrarlo, ma immancabilmente finiva per parlare di lui. "Che cosa ci fate qui, sir Dinadan?" chiese Artù (il principe?!) al soldato. Sembrava preoccupato, ma Dinadan, se così si chiamava, decise di ignorare la domanda. Fu quello il momento in cui Kai si alzò. Kai non aveva mai retto particolarmente bene l'alcol ed ondeggiò pericolosamente. "Stai seduto," si lasciò sfuggire Severinus, ma non aggiunse altro quando Dinadan estrasse la prima parte della lama. "D'accordo, andiamocene," decise Artù, avanzando su Kai e prendendolo per un braccio, prima di trascinarlo fuori. Severinus arrossì. Era sempre stato geloso dei suoi amanti. Quando Kai era arrivato da lui era un acerbo ragazzino arrogante, un cucciolo che scodinzolava a qualsiasi tocco. Severinus l'aveva fatto diventare ciò che era, era tutto merito suo. Se ora Artù si godeva la bocca di Kai era solo perché Severinus aveva faticato per farlo diventare così. "Il mio consiglio è di tenere la testa bassa ed iniziare ad uggiolare," sorrise sir Dinadan, distogliendo Severinus dai propri pensieri, prima di uscire seguendo Artù e Kai. "Perché siete entrato?" esclamò Artù, una volta fuori dalla casa. Dinadan gli lanciò uno sguardo annoiato. "Ho l'ordine di proteggervi. Ci stavate mettendo troppo." Stringendo Kai a sé, il principe si fermò, poco distante dai due cavalli e si volse verso il cavaliere. "Dovete credervi quando vi assicuro che posso difendermi da solo. Non sono ingenuo come pensate e se diverrò re non ho intenzione di farmi scortare ovunque, sperando che i miei uomini facciano il mio lavoro." L'altro uomo aprì la bocca per rispondere qualcosa, ma infine si limitò ad annuire. "Non volevo-" iniziò Artù, ma Dinadan si raschiò la gola per interromperlo. "Non dovete giustificarmi con me," sorrise il cavaliere, senza alcuna traccia di rancore ed il principe gliene fu grato. "Salite a cavallo, posso portare io il vostro amico." "No," esclamò Artù, un po' troppo velocemente. "Aiutateci solo a salire." E così fece Dinadan, scherzando sul peso di Kai e sperando di coinvolgerlo in una conversazione. Non ottenne altra risposta che un'occhiata irritata ed un insulto a mezza bocca ed Artù si scusò per lui, di tutto cuore. "Non dovete temere, principe, ci vuole più di questo per offendermi." Uscendo dalla città, la prostituta che aveva tentato di abbordarli salutò Dinadan con un occhiolino felice e questi si affrettò ad aggiungere un "Non è come pensate. Abbiamo chiacchierato di abiti." Il tragitto verso la villa fu più silenzioso dell'andata e molto più teso. Artù si aspettava che Dinadan iniziasse a fargli domande da un momento all'altro. Temeva che avesse parlato con quella donna di Kai e che quindi avesse scoperto di Kai e Severinus. E- se la prostituta aveva parlato di Kai e Severinus come amanti di sicuro Dinadan avrebbe letto nel comportamento di Artù più di ciò che c'era (o addirittura le sue vere ragioni). Artù non aveva la più pallida idea di come venissero visti simili rapporti. Alla villa Ector non ne parlava, considerandoli null'altro che una vergogna greca che aveva infettato le fondamenta di Roma ed il principe aveva sempre e solo ascoltato le sue opinioni in merito. Merlino gli aveva spiegato che nella religione celta non era così infrequente una relazione fra due donne o fra due uomini, ma il ragazzo l'aveva ignorato, sperando di non dover così pensare al suo primo bacio. Giunti alla Villa, Dinadan lo aiutò a scendere e si premurò di portare i cavalli nella stalla, prima di salutare il proprio principe con un veloce inchino. "Spero presto di combattere al vostro fianco, fratello," sorrise il cavaliere, prima di andarsene ed Artù sentì una tiepida rassicurazione salirgli fino al petto. Non si era comportato da idiota. Non abbastanza da sfigurare davanti ad un uomo più esperto di lui, ma costretto ad eseguire i suoi ordini. Meditando su Dinadan e Bedivere, Artù si accorse a mala pena che Kai aveva iniziato a camminare con più sicurezza e si era allontanato da lui di un passo, limitandosi a seguirlo più che a farsi trascinare. Giunti nella stanza di Kai, Artù si voltò verso l'uomo che gli aveva donato il primo bacio, verso il suo idolo da ragazzino ed il giovane che tante volte aveva odiato per il modo in cui si comportava. "Dovresti riposarti," gli lasciò sfuggire, imbarazzato ed incerto. "Non puoi darmi ordini. Non mi interessa che tu sia il principe. Ti conosco da una vita e so che patetico ragazzino tu sia." La voce di Kai sembrava inaspettatamente sobria. "Però lasci che un uomo come Severinus, un relitto nostalgico come lui, ti dica cosa fare e come comportarti." Kai rise. "Vuoi essere come Severinus? Vuoi potermi dire cosa fare?" "No, voglio solo capire perché continui a tornare là." "Improvvisamente sei interessato ai miei amici. Esserti riscoperto re non è abbastanza emozionante?" "E' per qualcosa che ha detto Gallia," si sentì in dovere di spiegare Artù. Gallia aveva sicuramente parlato anche con Kai, non era una donna che teneva le cose per sé. Era una cara amica di Julanna, ma a differenza di lei non temeva le urla e non aveva paura di urlare. Diceva ciò che pensava, indipendentemente da cosa fosse. "Capisco." Kai lo fissò sospettoso, per qualche secondo e poi rise, con quella risata ubriaca che Artù conosceva fin troppo bene. "Hai paura che le tue truppe scoprano che vivi con un catamita?" Artù sobbalzò. Aveva studiato la storia romana ed aveva ascoltato le interminabili diatribe di Ector sui romani. Sapeva che un catamita altro non era che un amante, no, più spregiativo, un giovane oggetto. "Tu non sei il catamita di nessuno." "Sono un romano ed un romano che-" "Basta," sibilò Artù, arrossendo, "sei romano solo per metà. Tuo padre è celta nonostante il suo disperato volere di sembrare di Roma. Ed il mio titolo o il mio esercito non c'entrano nulla. Si tratta di te." Kai si lasciò cadere sul proprio letto, appoggiandosi al muro a cui questo era accostato. "Perché-tu mi hai baciato," aggiunse il principe. "Sì, mi ricordo." Artù si lasciò quasi sfuggire un sospiro di sollievo. "Perché l'hai fatto?" "Perché volevo baciare qualcuno e tu eri lì." Fingere che non bruciasse era inutile ed il principe si portò le braccia davanti al petto, in un gesto inconsciamente protettivo. "C'era anche Severinus a quel tempo, se non ricordo male." Artù effettivamente non ricordava male. Kai aveva iniziato ad incontrarsi con Severinus ed i suoi amici quasi due anni prima del bacio. "Le cose non cambiano. Come ho detto, sei geloso e tu vuoi essere come Severinus." "No! Non come lui. Lui- non mi piace, non ti tratta bene." "Non mi tratta bene?" rise Kai, alzandosi a sedere ed appoggiando i gomiti sulle proprie ginocchia. "E tu cosa ne sai?" "Io ti tratterei meglio," riuscì solamente a sussurrare il principe, sentendosi la voce tremolare ed il volto in fiamme. La discussione non stava andando proprio come si era immaginato. Aveva sognato di salvare Kai dal terribile Severinus e di poterlo riverire come un piccolo gioiello, scoprendolo in realtà una persona dolce sotto quella scorza di arroganza. Kai non era dolce e non lo era mai stato. Dandosi dello stupido per la propria ingenuità, Artù si accorse che non gli importava. Non gli importava se Kai lo detestava o lo ignorava, non voleva che stesse attorno a Severinus. "Lascia stare questa parte," mormorò Artù, "io probabilmente non starò molto alla Villa," continuò senza guardare l'altro (non voleva vedere la gioia o l'indifferenza sul volto di Kai). "Ho sentito. Partirai per Londinium." "Sì. Come figlio di Uther. E potrei tornare fra mesi o mai. Potrei morire come un principe o vivere con un re e per quanto io sia inadatto per quei due ruoli non sono comunque uomo da supplicare e pregare." "Dove vuoi arrivare?" "Voglio chiederti, voglio pregarti, voglio supplicarti di lasciar stare Severinus." "Ancora non mi hai dato una spiegazione." "Ti rende rabbioso, ti rende crudele! Ti tratta come-" Artù si bloccò. Benché la parola fosse nuova per lui non aveva alcuna intenzione di usarla. "Partirai con Uther. Potrei dirti che accolgo la tua preghiera e poi fare comunque ciò che desidero." "Sì, lo so." Kai annuì e fece un brusco cenno ad Artù di avvicinarsi. Il principe fu quasi felice di vedere che l'arroganza di Kai non si piegava nemmeno davanti al suo sangue reale. "Vieni," lo chiamò Kai e quando l'altro ubbidì, il rosso allacciò le sue mani dietro il collo del futuro re e lo tirò verso di sé per baciarlo. Il terzo bacio con Kai di tutta la sua vita, pensò Artù e mentre pensava non riusciva a chiudere gli occhi perché il volto di Kai era così vicino e poteva vedere tutte le lentiggini sulla sua pelle. Le ciglia corte, la fronte alta. E tutto pieno di lentiggini così chiare che era impossibile scorgerle se non da quella distanza. Artù si chiese se Kai lo trovasse bello. Sapeva che le donne con cui era stato avevano amato le sue spalle e la sua schiena, avevano amato tutto di lui, ma forse per un uomo era diverso. Quando Kai aprì la bocca per lui, Artù si lasciò sfuggire un breve mugolio e gli si sedette accanto, sul letto, spingendo l'altro a trascinarlo su di sé. "Artù." La voce di Merlino fu come una secchiata d'acqua fredda ed il principe si alzò velocemente, scostandosi frettolosamente di qualche passo e respirando affannosamente. Le gambe lo ressero a malapena. Merlino lo osservò con una nota di disapprovazione divertita. "Uther vuole vederti, ragazzo." Artù non aveva mai pensato molto ai Sassoni da bambino. La villa era nella parte più ovest della Britannia, vicina al confine nord della Cornovaglia ed Artù aveva sempre saputo che i Sassoni sbarcavano da est. Li immaginava come dei terribili lupi, sporchi, biondi ed enormi. Crescendo aveva conosciuto Sallo, lo schiavo sassone di Marius, uno degli amici di Ector, e si era stupito nel notare che l'uomo aveva dei corti capelli biondo scuro molto ordinati, delle gambe un po' arcuate ed era addirittura più basso di Artù. Era anche una brava persona. Sallo aveva un accento bizzarro, ma sapeva farsi capire e Marius gli voleva bene come ad un fratello. Più tardi, Merlino gli spiegò che tutte le persone sono, bhè, sono persone. E che tutto era politica. "I sassoni sono diversi da noi, ma non perché siano Lupi Selvaggi, come in molti li chiamano. Vengono da ovest e sono sempre in cerca di terre, ma sono diversi perché sono sempre vissuti in un luogo inospitale e per loro è difficile apprezzare la terra per ciò che è. Sono stati traditi dalla loro terra e sono sempre vissuti razziando e rubando. Vortingern ha permesso loro di stanziarsi sulle coste est, incurante del fatto che sempre più Sassoni sarebbero giunti, orde, per ottenere sempre più terra," aveva spiegato Merlino, un giorno. Artù aveva chiesto. Aveva domandato. I sassoni sono cattivi? No, certo che no. Ma noi riusciamo sempre a sconfiggerli, sono stupidi? Sei uno sciocco se lo credi. I sassoni sono divisi in tribù, per questo sono più deboli di noi, per ora. Uther ha permesso ai re di Britannia di unirsi sotto un'unica bandiera e rimanere uniti è tutto ciò che possiamo fare contro le tribù sassoni. Per questo Artù non riuscì a sopprimere un brivido di antico ed infantile terrore quando Uther gli disse che i sassoni avevano trovato un capo. Il capo si chiamava Cerdic e c'era chi diceva che fosse il giovanissimo figlio bastardo di Vortingern e della sua moglie sassone. Cerdic era cresciuto tra i Britanni per qualche anno, prima di fuggire, e questo lo rendeva più pericoloso di qualsiasi altro sassone. "Conosce noi e conosce loro," spiegò Uther. "Artù- so che è improvviso tutto questo, ma io non sono più l'uomo di una volta. Non vivrò ancora a lungo." "Padre, vi prego-" "Ascoltami. Non mi conosci abbastanza da poter essere sinceramente addolorato per me, ma sono sempre tuo padre e ti chiedo di ubbidirmi." "Sempre," annuì Artù, che era davvero addolorato per lui e che aveva imparato l'ubbidienza tutta la sua vita. Quello che Uther voleva non era facile. Uther voleva un futuro per la Britannia. "Ho lottato per avere il mio posto come re. Non bastava la mia discendenza. E non basterà nemmeno la tua, si tratta di fortuna e si tratta di valore. Quando morirò sarà il caos, ma non ci possiamo permettere nulla di simile ora che Cerdic comanda. Ti chiedo di tenere l'esercito, conquistare l'esercito. Per questo domani partirai con me." Artù avrebbe voluto protestare... Kai, Ector, la sua vita- e lui non aveva mai comandato nulla né veramente combattuto. Ma nulla uscì dalla sua bocca, l'unica cosa che Artù poteva vedere era la ragnatela di rughe sul volto del padre ed i suoi occhi supplicanti così simili ai propri. Se Artù fosse stato una persona migliore, più forte, probabilmente si sarebbe opposto, avrebbe combattuto per la vita che voleva invece di lasciarsi trascinare. Se fosse stato più coraggioso avrebbe salutato ogni singola persona con un abbraccio ed un bacio, invece di assistere impassibile all'annuncio collettivo di Uther sulla loro imminente partenza. Artù tentò di incontrare lo sguardo di Kai, prima di partire, ma questi stava ridendo e chiacchierando con Gallia, ignorandolo completamente. Tentò di parlare con lui, ma quando giunse alle sue stanze, con indosso una cotta di maglia nuova e strana che non aveva mai indossato prima, non vi era traccia di Kai, ma Julanna lo stava aspettando. Julanna si era sposata con Kai non molti mesi prima, su richiesta delle due famiglie, entrambe attaccate disperatamente alle loro radici romane. Julanna aveva appena quindici anni ed era una donna piccola, magra e timida, abituata a scomparire più che a farsi notare. "Principe Artù," sussurrò quando lo vide. "Lady Julanna." "Volevo dirvi che è un onore avervi ospitato nella Villa ed avervi conosciuto per questi mesi." Un'altra cosa su Julanna era che quando parlava sembrava completamente affascinata dai propri lunghi capelli biondi. E che a differenza dell'amica Gallia non era mai stata in grado di dire direttamente ciò che voleva. "Anche per me, milady." "Volevo augurarvi buona fortuna per i prossimi mesi, che possiate cavalcare indenne e tornare prima di- prima di divenire re- tornare qui alla Villa." "Lady Julanna, ho una cosa da chiedervi. So che non provate simpatia per Kai-" "E' mio marito!" lo interruppe la donna, scandalizzata dall'idea di provare un sentimento inferiore alla devozione per il marito scelto dalla sua famiglia. "Lo so, perdonatemi, non volevo offendervi. Volevo solo chiedervi di tentare di tenerlo qui alla Villa, sapete, lontano dalla città e di dargli questo," concluse Artù prendendo il proprio pugnale dalla cintura. Era sempre stato affezionato a quell'arma. Era stata un dono di Ector molti anni prima ed era vecchia e l'elsa a forma di drago aveva perso alcune scaglie, ma Artù era cresciuta con essa. "Lo farò" promise Julanna e per un attimo il principe fu sicuro che lei avesse capito più del dovuto. Uther promise che la campagna sarebbe durata un mese, al massimo due. Non durò né un mese né due. Passarono cinque mesi e qualche settimana prima che Artù riuscisse a tornare alla villa ed in quei cinque mesi accaddero così tante cose che il principe quasi si chiese se la sua infanzia con Kai fosse stata reale o solo un sogno. Merlino fu sempre con loro e così sir Bedivere e si Dinadan. Nelle lunghe notti estive verso Londinium, Artù imparò anche a conoscere tutti gli altri soldati. Ignaro di quanto Uther pensava fosse sconveniente, il principe passava il suo tempo in modo eguale con il più alto dei capitani cavalieri e l'ultimo arrivato dei soldati appiedati. Imparò a conoscerli per nome ed a imparare tutto ciò che c'era da sapere sulle loro moglie e le loro figlie e le loro speranze. Combatté con loro, giorno dopo giorno in allenamento, e fu con gioia che notò sul viso di Uther la soddisfazione quando Merlino giunse a dirgli che solo Bedivere e re Ban in tutto il campo erano riusciti a sconfiggere Artù. Artù combatteva bene sia a piedi che a cavallo e Bedivere gli spiegò che la cavalleria era ciò che probabilmente avrebbe spaventato di più i sassoni, abituati solamente a stare con i piedi per terra. Quando giunsero a Londinium i sassoni erano già lì. Non ci sono parole per spiegare il terrore di Artù. Aveva paura. Aveva sempre avuto paura dei sassoni. Ed ora iniziò ad avere paura di se stesso. Combatté nello squadrone di Uther, al suo fianco poiché il re voleva che tutto scorgessero suo figlio su campo. Combatté con la sua bandiera a drago ed i suoi colori. Uccise il suo primo uomo e poi il secondo e poi semplicemente perse il conto. Non fu come se lo era immaginato. Fu veloce e semplice perché i movimenti erano così fluidi nelle sue braccia da risultare meccanici. L'eccitazione gli scorreva fra le vene e lo rendeva più abile, più attento. Chi lo vide combattere quel giorno lo credette un drago lui stesso. Se Uther era stato un orso di potenza e forza, Artù era un drago perché nulla sopravviveva alla sua spada. Quando la prima battaglia finì ed Artù si ritrovò confuso, a piedi e coperto di sangue, il principe si chinò e vomitò tutto ciò che aveva mangiato. Vomitò anche quando il suo stomaco ormai non conteneva più nulla e continuò a tossire fino a che Merlino non giunse ad aiutarlo. Ma nemmeno una goccia del sangue che aveva addosso era suo ed alcuni soldati iniziarono a guardarlo come se fosse un miracolato o un dio. Le battaglie successive furono più semplici, ma allo stesso tempo più difficile perché cancellarono per sempre i sogni della Villa sostituendoli con incubi di sassoni sgozzati e celti decapitati. Passò un altro mese e fu quasi monotono nel suo procedere di pause e scaramucce. "Stanno aspettando che giungano le truppe di Cerdic, stanno solo giocando con noi." Uther aveva fatto chiamare altri soldati da Camelot, ma dopo i primi drappelli i re di Britannia avevano smesso di dare aiuto. "Credono che io stia ormai morto e vogliono difendere le loro stupide torri. Credono che sia tutto finito!" aveva urlato Uther quando giunse la notizia del tradimento. Ma ciò che gli altri re di Britanni ed i duchi non sapevano era che le cose erano appena iniziate. "Cerdic è a soli otto giorni da qui," annunciò Merlino un pomeriggio, con accanto un giovane messaggero dall'aria affamata, sicuramente un sassone. "Manda a chiedere la nostra resa. Avremo salva la vita se consegneremo voi, sire." Artù ed Uther si trovavano nella tenda del re e Bedivere, accanto a loro, stava elencando i cavalli rimasti e le provviste ancora disponibili. Uther scoppiò a ridere ed anche il capitano si lasciò sfuggire un sorriso. "Certo, rimanda la stessa proposta, Merlino, e finalmente fra una settimana tutto sarà finito." Uther era diventato sempre più debole in quei mesi, ma nulla era cambiato nel modo duro e brusco con cui trattava se stesso ed i suoi uomini. Artù dovette ammettere che non era il padre che si era aspettato. Non parlava mai di sua madre. Mai delle sue sorellastre e mai di loro. Discuteva di guerra e doveri e futuro ed a volte Artù avrebbe voluto urlargli di smetterla, perché Uther stava morendo ed il principe avrebbe solo voluto avere un padre, non un comandante. Ma Uther non glielo avrebbe mai perdonato. "Siamo pronti per il gran finale?" domandò Uther, sorridendo a Bedivere. No, non erano pronti, ma il capitano annuì comunque. La settimana successiva fu un via vai di soldati, merci e donne. Se c'era una cosa che Artù non aveva mai immaginato della vita di un soldato erano le donne. Quando l'esercito passava per una cittadina o un villaggio, capitava che alcune prostitute seguissero i soldati e si accampassero con loro. Dormivano con i soldati, cucinavano a volte, e si prendevano cura di loro. In cambiano chiedevano e ricevevano soldi e rispetto. Artù scoprì anche che tra soldati celti non vi era nulla del disprezzo che Ector aveva portato per i modi romani dell'amore fra due uomini. Glielo spiegò sir Griflet, cugino di Bedivere, quando Artù lo trovò con un soldato di nome Dagonet. I due erano semplicemente amanti occasionali e qualche notte dopo, sir Griflet era stato ben felice di mostrare ad Artù come due uomini potessero avvicinarsi in intimità fra di loro. Griflet rideva sempre quando era con Artù, ma non vi era traccia dell'imbarazzo e dell'emozione che il principe aveva provato attorno a Kai. "Ho una moglie, a casa," aveva spiegato Griflet, una notte, baciando la spalla del principe,"ed è la donna più bella che gli dei abbiano mai fatto. Dovreste vederla, principe." "La amate?" "Darei la vita per lei." Griflet non chiese se anche Artù fosse innamorato e questi gliene fu grato perché non avrebbe saputo cosa rispondere. Pensava spesso a Kai. Anche quando era con Griflet (anche se era difficile immaginare che questi fosse Kai perché il cugino di Bedivere era biondissimo e decisamente basso), ed ogni volta che Merlino giungeva dalle città limitrofe assieme a vari messaggeri, attendeva con ansia una risposta alle sue lettere. Non aveva scritto delle lettere a Kai personalmente. Aveva scritto all'intera famiglia, chiedendo della loro salute, ma le uniche lettere che riceveva erano le laconiche risposte meccaniche di Ector. La settimana prima della battaglia con Cerdic, Artù scrisse una lettera a Kai. Espressamente a lui. Non gli disse nulla di particolare e fu una missiva piuttosto generica, ma il pensiero di poter morire sapendo di aver dato a lui le sue ultime parole gli lasciò un debole fiore di tiepida soddisfazione nel petto. Sapeva che la battaglia con Cerdic sarebbe stata diversa dalle altre. Cerdic sapeva comandare. Cerdic non mandava i propri uomini ubriachi in un combattimento. Era a questo che stava pensando Artù, seduto nella propria tenda, con la lettera per Kai fra le mani, la notte prima del combattimento. Avrebbe dovuto dormire, ma era troppo nervoso. Sobbalzò quando una mano sottile alzò il velo della tenda ed una sconosciuta fece timidamente capolino. La donna non sembrava una prostituta, notò Artù. Aveva le mani delicate, la pelle molto pulita ed i capelli rossi acconciati. Il colore dei capelli, di un rosso bruno ricco e fiero, gli ricordarono subito Kai. "Principe," sorrise la sconosciuta, e due piccole fossette si formarono ai lati della bocca. "Milady, cosa posso fare per voi?" La donna indossava dei gioielli. Un bracciale dorato a forma di drago e delle gemme fra i capelli. Gli occhi erano chiarissimi, quasi grigi. Sicuramente non era una prostituta. Capitava che viaggiatori e mercanti passassero da Londinium con le loro mogli, desiderosi però di fuggire subito dopo aver venduto brevemente ciò che dovevano. "Immaginavo che voleste un po' di compagnia questa notte." L'idea di poter distrarsi, di non dover pensare solo al giorno dopo consolò un poco il cuore di Artù. "Chi siete?" "Sono di passaggio," rispose la donna, avvicinandosi, "chiamatemi Anna." Artù le fece cenno di avvicinarsi ed arrossì quando Anna, raggiungendolo, si chinò a baciargli il collo. "Mi dicono che dentro di voi scorre il sangue di un orso e di un drago," sussurrò Anna, passandogli le braccia attorno al collo come Kai aveva fatto molti mesi prima. "Sono solo un uomo." "Certo," replicò la donna ed Artù aggrottò la fronte perché quella piccola parola sembrò quasi essere avvelenata dall'odio. L'attimo passò quando Anna si premurò di slacciarsi l'abito e lo lasciò cadere ai propri piedi. Il giorno dopo Artù si svegliò riposato con il profumo di Anna fra le labbra. Si rivestì in fretta e raggiunse Bedivere che stava ordinando ad alcuni soldati di preparare i cavalli. Non vi era traccia di Anna da nessuna parte. "Siete pronto?" domandò Bedivere, con il sorriso calmo e tranquillo così adatto a stendersi sul suo volto. "Uhn, no?" "Allora è normale," lo rassicurò il capitano, stringendogli la spalla. "Di chi è quello stendardo?" domandò Artù, improvvisamente, notando un drappello di soldati che non conosceva ed una bandiera a sfondo viola con un falco nero stampato sopra. "Soldati delle Orcadi. Re Lot è giunto a darci una mano." "Non ne sembrate felice." "E non dovreste esserlo nemmeno voi," replicò Bedivere, con sguardo serio.
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Le luci della Britannia
Artù non conobbe re Lot prima della battaglia, nonostante lo desiderasse. Era curioso di come fosse il marito della sorella Morgause nonché un altro re oltre ad Uther. "E' una serpe," gli aveva spiegato Bedivere, "l'unico motivo per cui è qui è perché spera di poter prendere le redini della guerra e di vedere re Uther morire." Artù aveva sobbalzato, ma non aveva detto nulla e dimenticò l'ammonimento del capitano fino a quando, sul campo di battaglia, si accorse di averlo perso di vista. E Lot li abbandonò. Artù si trovava nel battaglione di Uther, al suo fianco e sotto il suo comando con la cavalleria dell'esercito mentre Bedivere aveva con sé la maggior parte delle truppe tra cavalieri e soldati appiedati. Lot avrebbe dovuto unirsi a Bedivere, ed attaccare Cerdic su un fianco per permettere alla cavalleria di Uther si cogliere i sassoni di sorpresa. Ed il re, il marito della sua sorellastra, li tradì. Invece di attaccare Cerdic, ritirò le truppe portandole direttamente verso i cavalieri di Uther ed Artù mostrando così la via verso di loro e conducendo i sassoni a sorpresa contro la cavalleria. Artù vide Cerdic (Cerdic era l'uomo più alto che Artù avesse mai visto, ma i suoi capelli erano scuri, nerissimi, come quelli di un Britannico), vide i sassoni ed una macchia del viola dello stemma di Lot e poi fu tutto confusione. Bedivere fece il possibile, ma non fu abbastanza. Uther venne colpito ed Artù non poté rimanere accanto a lui perché il sogno di Uther, i suoi ordini, dovevano essere portati avanti. Prese il comando dell'esercito, sapendo che questo era ciò che tutti si aspettavano da lui e sapendo di poterlo fare. Di poterci riuscire. La battaglia, la guerra, venne vinta. Contro tutte le aspettative dei re britannici, Uther ed Artù vinsero. Cerdic venne sconfitto e fu costretto a ritirarsi, lasciando ai britanni la promessa di rimanere nei confini dati loro da Vortingern, ma nulla di firmato, nulla di certo ed Artù fu sicuro che un giorno si sarebbero incontrati nuovamente. Il campo era pieno di soldati morti, sangue, gemiti. Sia sassoni che celti e romani. Nessuna differenza in quella mescolanza. Per una volta, Artù non badò a loro. Le urla del proprio esercito che lo acclamava erano più forti dei singhiozzi di dolore dei moribondi. Il sangue sul fianco di Uther sembrò più brillante del colore sparso sulla terra. "Mio padre!" gridò Artù, la spada ancora in mano, barcollando verso Bedivere. "Artù, calmatevi, è ferito, ma ancora vivo. Dovete calmarvi," lo tranquillizzò il capitano, prendendolo per le spalle. Bedivere non lo lasciò subito andare da Uther. Lo fece sedere, lo obbligò a bere un bicchiere di vino e con voce soave e tranquilla gli spiegò cosa esattamente fosse accaduto. Abbiamo vinto. Lot è fuggito, ci ha pugnalato alle spalle, ma ora è fuggito. Voce del suo tradimento già vaga per la Britannia, di sicuro. E quello che è più importante è che la vostra vittoria viene acclamata ovunque. Quando Artù si accorse di aver smesso di piangere (e nemmeno si ricordava di aver iniziato) Bedivere lo fece alzare e lo portò alla tenda di Uther. Suo padre era steso su un giaciglio insanguinato, occhi chiusi, viso pallido e Merlino era chino su di lui con una brocca tra le mani e le sopracciglia aggrottate. "Artù, vieni a sederti qui," lo chiamò e quando il principe ubbidì, Bedivere li lasciò soli. "Si riprenderà?" "Sai già la risposta a questa domanda. Uther stava già morendo." "No, no, era forte, ha combattuto- io non lo conosco. Non lo conosco abbastanza." Aveva avuto troppo poco tempo per conoscerlo, troppi pochi attimi fra armi e battaglie. "Era forte, ma stava morendo da tempo." Artù rimase accanto al padre tutta la notte e tutto il giorno successivo, senza mangiare e bevendo solo ciò che Merlino gli costringeva a prendere. La sera successiva Uther morì senza mai essersi svegliato dal suo sonno ed aver permesso al figlio di dirgli addio. Ed Artù divenne il Grande Re dopo di lui. Lot fuggì e tornò alle Orcadi con il proprio esercito. Dopo aver bruciato il corpo di Uther, Artù decise di riportare l'esercito alla villa di Ector, l'unico luogo sicuro a cui poteva pensare. Bedivere gli sconsigliò di fare marcia su Camelot. "Ora che avete vinto e Lot ha dimostrato di non volervi appoggiare dubito che Camelot sia un luogo sicuro. Lot ha molti amici e noi siamo ancora soli. Siete di diritto il re successore di Uther ed avete il suo esercito dalla vostra parte, ma Cerdic ci ha causato delle gravi perdite," spiegò Bedivere, due settimane dopo, sulla strada verso la villa. "Non conosco i re, non voglio essere un re," sussurrò Artù. "Mi basta essere un comandante." "Artù, non essere sciocco," intervenne Merlino, "sei un ingenuo se pensi che lasciando il tuo ruolo Lot possa divenire re e poi tutto sisistemi per il meglio. Se tu non sarai il grande re, tutti i duchi ed i re della Britannia vorranno avere quel titolo ed il lavoro fatto da Uther in questi anni sarà stato inutile." "Vi aiuteremo noi, sire," sussurrò Bedivere, usando per la prima volta quella delicata parola. Da quel giorno Artù non parlò più di ciò che voleva davvero. Non poteva tradire il sogno del suo defunto padre. Artù dovette ammettere che una parte di lui fu felice di tornare alla villa. Sei mesi, quasi sei mesi. Molte cose accadevano in sei mesi. Molte cose erano accadute a lui in sei mesi. Aveva combattuto, aveva perso un padre ed era diventato re. Ma la villa era sempre la sua casa. Il luogo in cui aveva dormito con la sua prima donna, aveva catturato la sua prima rana ed aveva preso per la prima volta una spada in mano. La villa era come la ricordava. Luminosa, tranquilla. Nulla di simile agli affollati accampamenti in cui aveva vagato per quegli ultimi mesi. Artù si era quasi dimenticato dell'odore che la villa aveva sempre avuto i primi giorni d'inverno. L'esercito si accampò poco fuori, accanto alla foresta e solo Bedivere, Dinadan e Merlino accompagnarono Artù a casa. Con il cuore in gola e le mani che sudavano e tremavano, Artù entrò nella villa accolto da un inaspettato abbraccio di Ector. Quando Targo si inchinò davanti a lui, Artù scoppiò in lacrime, confuso, spaventato per il proprio futuro e più stanco di quanto fosse mai stato. "Artù, sire!" esclamò Ector, lasciandolo andare. "Sire!" ripeté uno dei servitori. "Mi siete mancati molto," rispose il re, guardandosi attorno, passandosi un braccio sugli occhi per cancellare i residui di quella debolezza. Non c'era traccia di Gallia e Julanna. Frith, la vecchia cuoca, era seduta sul pavimento con un neonato fra le braccia ed accanto a lei una sconosciuta. Kai era a pochi passi da loro. "Sire," sorrise Kai quando lo sguardo del re cadde su di lui. Kai sembrava diverso, ma fu solo dopo che Artù scoprì cosa era accaduto alla villa di Ector. Della piccola Rhelemon, della morte di Julanna e dell'esilio di Severinus. "Julanna è morta," annunciò Ector quella sera dopo i racconti di Merlino ed Artù su ciò che era accaduto a Londinium e ciò che sarebbe potuto accadere. "Come è successo?" chiese Artù incrociando lo sguardo di Kai. Non avevano ancora avuto il tempo di parlare da soli. "E' morta di parto. Era già incinta quando siete partiti ed ancora nessuno lo sapeva, la povera Julanna non è sopravvissuta. Ma fortunatamente la piccola Rhelemon è viva e forte," aggiunse Ector, lanciando un'occhiata alla bambina in braccio a quella che pareva essere una balia. Rhelemon era una bambina silenziosissima con due enormi occhi verdi sempre pronti a bere tutto ciò che era attorno a loro. "Ed il nostro Kai ora è un padre," intervenne Merlino, chinandosi sulla bambina. Kai gli lanciò uno sguardo irritato, ma Artù non capì se fosse per l'affermazione o per la vicinanza a sua figlia. "Mi dispiace per il vostro lutto," disse Artù, sinceramente. Ector annuì e passò la successiva ora a raccontare gli ultimi avvenimenti della città e della villa. Nascite di cavalli, furti, servitori assunti da poco- "-e dopo la fuga di Severinus-" "La fuga di Severinus?" ripeté Artù, non più distratto dalla conversazione. Kai evitò il suo sguardo, immergendosi in un bicchiere. "E' stata una faccenda che ci ha colpiti molto." Artù scambiò uno sguardo confuso con Merlin ed intercettò un cenno di Bedivere. Gli stava indicando Kai. Per un attimo il re si chiese del perché non fosse pazzamente innamorato di sir Bedivere. Era un uomo che chiunque avrebbe voluto avere al proprio fianco. "Sono stanco," annunciò Artù, alzandosi ed il suo capitano sorrise. "Kai, mostra al nostro re dove potrà riposarsi," ordinò Ector ed Artù ringraziò la propria buona sorte. Si sarebbe sentito mortalmente in imbarazzo all'idea di far chiamare Kai nelle proprie stanze. L'altro lo seguì in silenzio fuori dalla sala e lo accompagnò fino alla stanza da letto che era appartenuta un tempo ad Ector stesso. "Mi dispiace per Julanna," mormorò Artù, con voce lieve, nel tentativo di introdurre delicatamente l'argomento che lo stava tormentando. "Dispiace più a Rhelemon. Ma non penso che tu voglia parlare di questo." C'era qualcosa di diverso in Kai. Sembrava avere meno ombre, ma più sfumature. "Cosa è successo con Severinus?" "Nulla. Se ne è andato." "E' stato esiliato?" "Mio padre sarà felice di farti sapere i dettagli." Artù sospirò. Avrebbe voluto sentirsi irritato o arrabbiato, ma in realtà ciò che provava era sollievo. Era con Kai. Severinus non c'era più. (E con una punta di senso di colpa pensò che anche Julanna era morta). "Non li voglio sapere da Ector." "Bene." Quando il re non rispose nulla, Kai si arrotolò le maniche della tunica e porse le proprie mani al suo sovrano. "Cosa-" la confusione scomparve subito quando guardò ciò che Kai gli stava davvero mostrando. Artù prese il polsi di Kai fra le proprie mani e li girò. C'erano dei cerchi bianchi e rosati attorno, sfrangiati e poco nitidi. Cicatrici. E sul polso sinistro c'era un lungo segno lasciato da una lama. Artù deglutì. Una, due volte. "Ti ha legato?" domandò, sentendosi la voce estranea e le orecchie tappate. Credeva di aver provato rabbia al tradimento di Lot. O di essere stato furioso nel vedere Severinus con Kai, ma mai aveva sentito un simile tremore di furia rossa e terribile al vedere quei segni. "E mi sono liberato con il tuo coltello," spiegò Kai, indicando la cicatrice più lunga e nitida. "Spiegami, ti prego." "Artù, re o no rimani sempre una ragazzina," rise il rosso, districandosi dalla sua presa. "Non eri stanco?" Non servì a nulla chiedere cosa fosse accaduto perché Kai tenne la bocca sigillata e cambiò argomento in continuazione. (Ma in compenso Artù ricevette una lunga descrizione sulle ore impossibili alle quali Rhelemon piangeva.) "Sono felice di essere tornato," sorrise infine Artù, rinunciando per il momento alle sue domande. "Non sei tornato per restare. Sei un re. Sei il re." "Dovrò combattere contro Lot. Quando avrò vinto sarò il re, non prima." Kai fece spallucce, ma si irrigidì quando Artù gli passò le braccia dietro al collo come lui aveva fatto sei mesi prima. "No, è sbagliato. Non sono più il catamita di nessuno, ora." "Non sei mai stato un catamita," replicò Artù, lasciandolo. "E diversamente da ciò che dice Ector, non è sbagliato. Nell'esercito, tra i celti, non è sbagliato." Si aspettò quasi che Kai se ne uscisse con una tipica frase alla Ector sulle note di 'Io sono un romano', ma invece si ritrovò uno sguardo cupo ed allarmato. "Sei andato con qualcuno mentre eri con i soldati?" Se Artù l'avesse conosciuto meno probabilmente l'avrebbe creduto geloso. Ma c'era qualcosa di più simile all'ansia nei suoi occhi verdi. "Sì, uno dei cavalieri-" "Chi? Che cosa ti ha fatto?" Sorpreso, Artù si lasciò sfuggire una risata stupita da tanta veemenza. "Pensavo che sapessi ciò che fanno due uomini. Non hai mai tenuto Severinus un segreto." "Ma tu stai bene," continuò Kai, osservandolo attentamente. Il re se ne stette immobile sotto il suo sguardo, lasciando che l'altro si rassicurasse sulla sua salute. Certo che stava bene, ovvio che- Con un senso di gelo nella bocca, Artù inclinò leggermente la testa per poter abbassarsi al livello degli occhi di Kai. Dopotutto era ancora più alto di lui. "Sir Griflet, si chiama così, non mi ha fatto male. Mi è piaciuto, è piaciuto ad entrambi. Quello che facevate tu e Severinus- ti piaceva?" domandò il re, chiedendosi forse se quel codardo non l'avesse davvero deviato e se Kai non fosse in realtà attratto dalle donne. "Sì. No. Non mi ricordo" Il figlio di Ector doveva vivere la stessa atmosfera da sogno, la stessa bolla di nebbia che sentiva Artù. Uno di quei momenti incantati in cui tutte le parole escono dalla bocca, ma al minimo rumore il mondo si ferma di nuovo. Quindi ti piacciono gli uomini? avrebbe voluto chiedere il re, quando uno strano pensiero gli sorse prepotente tra la confusione degli eventi passati. Kai lo aveva baciato, due volte. Ed era stato Kai ad avvicinarsi per primo a Severinus, a seguirlo quando questi veniva alla villa ospite di Ector. Quindi probabilmente la risposta era sì, a Kai piacevano gli uomini. Perché quell'apprensione, allora? Ma tu stai bene. Aveva detto Kai. Questo Kai, che sembrava molto più stanco e provato di quanto Artù lo avesse mai vista. E mentre la sua mente ripeteva litanie e negazioni (no, no, non può essere successo, non a Kai, non a Kai, queste cose capitano alle donne, non a Kai, non a Kai che è sempre irritato e ride troppo, non a Kai) Artù si ritrovò a lanciarsi in avanti ed ad afferrare l'uomo con cui era cresciuto e colui di cui probabilmente era innamorato. "Che cosa stai facendo?" esclamò Kai, ritrovandosi abbracciato da Artù. "Lo uccido, giuro sugli dei di romani e dei celti che lo uccido." Artù non uccise nessuno quella sera e Kai se ne andò dicendogli che non c'era bisogno di mettersi a mietere i loro ora che non poteva più tagliare teste ai sassoni. Quella notte non sognò i sassoni o i cavalli della villa e grazie al cielo riuscì a dormire in una lunga e buia notte esente da incubi. Quando si svegliò si ritrovò più stanco di prima e leggermente nauseato. E Bedivere lo stava aspettando alla soglia. "Bedivere, sembra che non abbiate dormito." Ed era vero, il viso solitamente rilassato del capitano aveva due profonde occhiaie scure. "Ho dovuto scrivere alcuni messaggi ai re che mi avete chiesto di contattare. Sono certo che Pellinore verrà in nostro aiuto. Sono meno sicuro su Leondegrance, ma potrei sbagliarvi." "Potevate risposarvi," replicò Artù, evitando però di lasciarsi sfuggire un 'mi dispiace'. "Mi riposerò quando le cose torneranno a girare per il meglio. Ho anche fatto delle ricerche per voi." "Che genere di ricerche?" "Spero di non offendervi. Ho chiesto in città di Severinus." Le poche tracce del sonno che prima vagavano sul volto del re scomparvero immediatamente e per un attimo volle quasi abbracciare Bedivere e chiedergli di governare al suo posto la Britannia. Sicuramente sarebbe stato migliore di lui. "Merlino mi ha detto che vi avrebbe fatto piacere saperne di più." "Sì, grazie Bedivere." I due uomini rientrarono nella stanza di Artù ed il re si fece portare dell'acqua e della frutta. Non aveva fame, ma il suo capitano meritava un po' di ristoro. "Mi è parso di capire che Kai e Severinus fossero... intimi?" "Uh, forse?" "Sì," sorrise Bedivere, "sembra che Kai abbia smesso di visitare la casa di Severinus nei primi due mesi dalla vostra partenza. In città hanno detto che comunque Severinus non ha smesso di fare feste o di chiedere a Kai di presentarsi finché questi, due mesi dopo, non è tornato a fargli visita come sempre." "Perché? Cosa è successo?" "Un bambino," rispose Bedivere, chiaramente a disagio con la storia da narrare. "pare che il figlio dell'aiutante del fabbro avesse accusato Severinus di aver avuto con lui dei - rapporti sconveniente." Artù poté quasi fisicamente sentire il sangue che svaniva dal proprio volto, lasciandolo pallido come un lenzuolo. Non dovette chiedere all'altro delle spiegazioni perché aveva già intuito cosa fossero quei rapporti sconvenienti. "La madre di Severinus ha pagato il padre del ragazzino un bel po' di soldi per fargli lasciare la città con il bambino." "Capisco," gracchiò il re, schiarendosi la gola. "E poi Kai è tornato a- a fargli visita." "Sì. Finché un mese fa un altro bambino è scomparso e qui ognuno ha racconti contrastanti. Il fabbro mi ha detto che quando il piccolo Simmil è sparito, Kai era da Severinus la sera stessa ed è uscito di notte con il bambino, praticamente indenne. Alcuni invece dicono che Kai era d'accordo con Severinus e che il bambino è riuscito a fuggire dopo averli pugnalati." "Quale credi che sia la verità?" "La madre di Simmil sembrava sul punto di creare un culto in onore di del vostro amico, quindi propendo per la prima." "Grazie, Bedivere." Il capitano annuì, ma non si mosse. "Avete bisogno di altro?" Potete parlare, dicevano i suoi occhi. "No, grazie è- è solo che avrei dovuto saperlo prima. Sapevo combattere, avrei dovuto intuire che c'era qualcosa di sbagliato in Severinus." "Esistono molti mostri tra di noi e non tutti hanno una bandiera sassone da sfoggiare." Merlino gli occupò tutti i pomeriggi successivi. Artù non ebbe occasione di parlare nuovamente con Kai (e davvero, non sapeva cosa dire) e l'unica volta in cui si trovò da solo con lui, Kai aveva in braccio Rhelemon e le stava dicendo qualcosa sulle farfalle. Pareva che la tenerezza che non aveva mai mostrato a Julanna si fosse riversata tutta sulla sua piccola figlia ed Artù non riuscì a decidersi di spezzare quel piccolo momento di tranquillità con altre domande su Severinus. Passarono tre giorni prima che qualcosa cambiasse. Un messaggero di Merlino giunse alla villa troppo affannato per riposarsi e troppo emozionato per mangiare prima di aver visto il suo padrone ed il re. "Che notizie ci porti?" "Re Pellinore del Listenoise, re Pellas e re Leondegrance di Carmelide sono ad un solo giorno di marcia da qui con i loro eserciti. Lasceranno le truppe e si avvicineranno con un'ambasciata di pace per giurare fedeltà a re Artù Pendragon figlio dell'Orso." "Ottime notizie dunque!" sorrise Merlino grattandosi la barba che si era fatto crescere in quei mesi. "Pellinore è un amico," aggiunse Bedivere, appoggiando una mano sulla spalla di Artù, troppo nervoso per parlare. Più il tempo passava più tutto si faceva sempre più reale e vero. Il messaggero sbagliò di poco la data dell'arrivo dei re perché questi giunsero quella sera stessa con venti cavalieri di scorta ciascuno, mossi dalla fretta. I tre uomini non potevano essere più diversi. Pellas era un vecchio dalla barba scura, sicuramente più anziano di Merlino. Sorrideva in continuazione e pareva aver deciso di voler adottare Artù sotto la sua ala protettiva. Pellinore era di poco più giovane di lui e ricordava Bedivere nei suoi modi pacati e gentili. Londegrance invece aveva l'aspetto che Artù aveva sempre pensato dovesse avere un re. Era austero con un naso aquilino ed occhi indagatori. I tre re si inchinarono formalmente davanti ad Artù ed accettarono l'ospitalità nella villa di Ector. Artù riuscì a dar loro il benvenuto senza balbettare, ma arrossì fino alla punta dei capelli quando Pellas lo strinse in un abbraccio sussurrandogli: "Vostro padre era un re giusto." Fortunatamente Merlino e Bedivere gli erano accanto, pronti a guidarlo in quel nuovo terreno. Il maestro chiese ad ogni re notizie della Britannia e dei suoi tumulti. "Re Lot ha convinto re Mark di Cornovaglia dalla sua. Non so esattamente il numero dei duchi," li informò Pellinore, bevendo dell'acqua. Aveva espressamente rifiutato il vino. "Lot promette la divisione equa delle terre, tenendo per sé la città di Camelot come dono al condottiero della ribellione," aggiunse Pellinore. "Uther era un grande generale ed anche se non lo conoscevo bene personalmente mi fido di un soldato e lui era un soldato." "Lot è solo un vecchio gallo," continuò Pellas, "e parlando di soldati, il vostro esercito e tutta la Britannia vi acclamano come lo sterminatore di sassoni!" Artù scosse la testa e venne fortunatamente salvato da Merlino. "E voi, re Ledondegrance?" "Non ho mai amato particolarmente Uther. Ma credo che sia necessario rimanere uniti finché la minaccia sassone grava su di noi." "Cerdic è un ottimo generale," parlò Artù, per la prima volta ed i tre re lo osservarono curiosi. La voce non gli uscì così spezzata come temeva. "Non possiamo- non posso permettere di avere eserciti divisi. Se Lot vincerà, dividerà la Britannia. Se io vincerò la terrò unita ed è la nostra unica speranza." "Non posso uscire da questa guerra a mani vuote," replicò Leondegrance, con una nota di freddezza. Bedivere gli lanciò un'occhiata ostile, ma non si mosse né disse nulla. "Offro denaro, cavalli e uomini. Li dono completamente a voi. Ed avrete anche il mio esercito al vostro servizio durante questa guerra." "Ed in cambio?" chiese Artù, muovendosi a disagio sulla sedia. "Unirmi alla casa reale. Ho una figlia all'accampamento con le sue dame. Ha quindici anni ed è in età da marito." Prima che Artù potesse aprire la bocca per protestare, perché a volte era un uomo impulsivo, Bedivere gli afferrò il polso, stringendoglielo. "Prenderemo in considerazione la vostra offerta," sorrise Merlino. "Ginevra sarà qui in mattinata," rispose Leondegrance, mimando il suo sorriso e sapendo di aver vinto. Non c'era dubbio che avrebbe ottenuto ciò che voleva e sia Merlino che Bedivere lo sapevano. Quando i re si ritirano per risposarsi, tentarono di mostrare ad Artù il loro sensato punto di vista. "No." "Artù, immaginavo che crescere in questa topaia di romani di avesse danneggiato il cervello, ma non credevo che la cosa si sarebbe aggravata così tanto!" esclamò Merlino, seduto per terra, davanti alla porta della stanza del re, per impedire che questi uscisse e sfuggisse alla conversazione. "Non la amo." "Con tutto il rispetto, sire," intervenne Bedivere, "in un matrimonio l'amore nasce e cresce con il tempo." "Io amo un'altra persona. Ne sono certo." "Artù, per quel che mi riguarda potresti anche essere innamorato di una fata dei boschi vendicativa, ma qui non stiamo parlando di quello. Stiamo parlando di matrimonio. Dovrai comunque sposarti un giorno ed avere degli eredi e non credo che tu possa farlo con Kai." "Merlino!" arrossì Artù, occhieggiando Bedivere che lo stava osservando impassibile. "Leondegrance ci serve, ragazzo mio. E sai perché? Perché il nord ama Leondegrance. Con lui nelle nostre file i piccoli duchi saranno sempre più certi della tua vittoria e preferiranno scommettere su di te piuttosto che su Lot." Artù sapeva che avevano ragione, non era così ingenuo, ma il pensiero di doversi sposare lo terrorizzava. Nemmeno un anno prima era il servo di una vecchia villa romana e non sperava altro che diventarne il siniscalco per poter rimanere accanto a Kai. Ed ora era il Grande Re, aveva un esercito e doveva sposare una sconosciuta. E sarebbe comunque potuto morire lasciandola vedova nel giro di qualche mese. "D'accordo, so che mi state consigliando giustamente. Lo so. La sposerò, ma prima voglio parlarle in privato." Artù non riuscì a parlare in privato con Ginevra, ma vi andò molto vicino. La donna giunse alla villa il giorno successivo, accompagnata da quattro anziane dame da compagnia ed all'incontro con re Artù, lady Marianne, la sua vecchia balia, rimase con lei. La balia andò a sedersi alla finestra, lasciando ai due giovani una parvenza di privatezza ed Artù si ritrovò faccia a faccia con la sua futura moglie. Ginevra era bella. E particolare. Non era più bella della serva Gylywn, che aveva incontrato a sedici anni mentre portava i cani a correre nel bosco, e non era nemmeno più bella della morbida Anna, ma aveva un fascino particolare. Il naso era leggermente arcuato e le dava l'aspetto di un piccolo furetto pallido sotto una cascata di capelli biondo ramati. Gli occhi castani non lasciavano trasparire nulla e spesso rifuggivano sul pavimento, evitando lo sguardo del promesso marito. "Lady Ginevra, è un piacere per me incontrarvi e dovete sapere che sarei onorato di essere il vostro sposo, ma prima vorrei che mi diceste se voi volete essere la mia sposa." "Mio padre l'ha ordinato ed io ubbidisco," rispose Ginevra, con gli occhi che si spostavano dal pavimento al volto di Artù in una danza veloce. "Se io diventerò vostro marito, non potrò mai amarvi." Era una cosa orrenda da dire, ma non voleva deludere le sue aspettative. Era meglio mettere tutte le carte in tavola ed accettare subito le conseguenze. "Io potrò amare voi," rispose Ginevra. "E vi servono quegli uomini," aggiunse, in un picco di coraggio. "Non posso negarlo," annuì Artù. "Voi- sire- siete già impegnato con un'altra amante?" Artù annuì. Anche se non era sicuro che Kai potesse definirsi il suo amante. "Molti uomini hanno delle amanti," spiegò Ginevra, guardandolo finalmente negli occhi. "Ma io vi darò dei figli legittimi." "Sì, se accetterete di essere mia moglie. E non vi mento se vi dico che sarete la donna che amerò di più fra tutte." La ragazza aggrottò la fronte, confusa, ma poi annuì. "Vi credo. E mio padre ha fatto una proposta ufficiale, se mi rifiutate mi disonorerete. E Lot guadagnerà i suoi uomini." "Quindi, volete sposarmi?"
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08-09-2010, 00.28.51 | #7 |
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Le luci di Camelot
"Ti hanno mandato a farmi da balia?" "Sire, con tutto il rispetto, dopo aver fatto da balia a mia sorella posso ritenermi qualificato per fare da balia a chiunque." Artù si lasciò sfuggire un sorriso e permise a sir Dinadan di sedersi accanto a lui. Non che avesse bisogno di una balia, ma poteva immaginare quanto fosse preoccupante che un re fuggisse nel bosco e non si facesse vedere per ore. Artù non era davvero fuggito, aveva solo avuto bisogno di un po' di tempo per se, lontano dai cambiamenti, dalle richieste di Leondegrance per il matrimonio e dalle preoccupazioni di Pellinore e Merlino su Lot. A miglia di distanza da quel gomitolo di confusione che era diventata la sua vita. "Siete preoccupato per la battaglia con Lot?" domandò Dinadan, ma stava ancora sorridendo, non ancora adagiato in un umore di serietà. "Non dovrei farmi vedere a voi così, giusto?" "Perché siete un re? Solo un re sciocco non si mostra umano. I sudditi hanno bisogno di sapere che il loro sovrano li capisce." "Non sono un re." "Siete un re. Avete sconfitto Cerdic e non avete permesso che l'esercito si disperdesse. Ed ora sposate una donna per avere una dote in cavalli, tipica azione da re." Artù si passò una mano sotto il mento. Avrebbe dovuto rasarsi perché poteva sentire una corta barba che iniziava a crescergli. Si era sempre rasato, da nostalgico romano Ector aveva sempre strettamente seguito la moda di Roma. "Voi avete una moglie?" "No, anche se le donne si appostano dietro ai cespugli nel tentativo di cogliermi di sorpresa e mettermi una catena al collo. Non sapete che rischio ho corso per venire qui da voi, sire." Cercando di cancellarsi il sorriso con il dorso della mano, poiché non gli sembrava conveniente ridere in simili momenti, Artù si voltò verso sir Dinadan e sperò di potersi fidare. Si sarebbe potuto confidare con Bedivere, ma il suo capitano aveva già così tanti problemi che il solo vedere il suo volto stanco faceva nascere in Artù nuovi sensi di colpa. Merlino invece era completamente escluso, confidarsi di simili argomenti con lui era come aspettarsi di donare una sfera di cristallo ad un cinghiale e volerla riavere intatta. "Sire, lasciate che vi racconti una storia. Mia madre e mio padre si sposarono giovanissimi. Mio padre era innamorato di questa bellissima mugnaia di nome Loral, ma la sua famiglia aveva bisogno di una dote e lo costrinsero a sposare mia madre, Morou." "Come è andata a finire?" "Mio padre e mia madre hanno avuto il matrimonio più felice che si sia mai visto." "E Loral?" domandò Artù, a mezza voce. "Loral e mio padre sono rimasti innamorati per tutta la vita, fino alla morte di lei. Loral non si è mai sposata pur di rimanere assieme a mio padre ed è venuta a lavorare nel nostro castello." "A vostra madre andava bene?" Dinadan scrollò le spalle e poi annuì. Il rumore di un rametto spezzato interruppe Artù prima che questi potesse chiedergli dell'altro circa la sua bizzarra famiglia e Dinadan si alzò in piedi con la velocità di un lupo, sfoderando la daga in un solo movimento. Per qualche motivo la vista di Kai infuriò Artù. Non perché non volesse parlare con lui anzi, per dirla tutta era felice che l'altro lo stesse cercando (sperò vivamente che non fosse stato mandato da Merlino, ma che avesse deciso di raggiungerlo di propria spontanea volontà). La cosa che colpì così duramente Artù fu la vista della daga di Dinadan e dei fianchi di Kai come sempre privi di una qualsiasi arma. Kai era disarmato. Kai era sempre disarmato e non era un guerriero. "Perdonatemi," esclamò Dinadan, quasi subito dopo averlo riconosciuto, abbassando la spada. "Artù, smettila di comportarti come una ragazzina, stai facendo preoccupare tutta la villa." Che nel linguaggio di Kai poteva voler dire qualcosa di simile a 'Mi stai facendo preoccupare' o 'Mi hanno costretto a venirti a cercare'. "Grazie, sir Dinadan, ho apprezzato molto il vostro aiuto." Dinadan annuì e capì immediatamente la richiesta del suo re perché dopo aver rinfoderato l'arma, si inchinò brevemente e tornò alla villa, lasciando i due uomini da soli. "Sei disarmato," sbottò Artù, immediatamente. "Non sono un soldato." "Ma ti ho dato un pugnale, dov'è?" "Deve essermi scivolato con tutto quel sangue," ringhiò Kai, evidentemente irritato dal mal umore del re. La frase sembrò andare a buon segno perché Artù sobbalzò. "C'era così tanto sangue?" domandò timidamente. "Non lo so, non mi ricordo." "Kai-" voglio che tu porti una spada, voglio che mi racconti cosa ti è successo, voglio te e basta, voglio- "credo di essere innamorato di te." "Lo so." Artù ebbe la decenza di arrossire e per un attimo desiderò ardentemente essersi preso quella breve ora per radersi. "Sono così evidente?" "Non sei mai stato capace di nascondere nulla." "E' per questo che mi hai baciato? Perché non sapevo nasconderlo?" "No. Perché sei diverso da Severinus." Artù si alzò in piedi, energia nervosa soppressa in ogni suo muscolo, e raggiunse l'altro, a qualche passo di distanza. Non faceva ancora abbastanza freddo per mantelli e pelli ed il re poté facilmente appoggiare le mani sulla pelle dei suoi polsi segnati, sotto la tunica leggera. "Quando sarò re lo ucciderò. Lo braccherò e lo ucciderò." "Non voglio sentir ancora parlare di lui." "Allora bandirò l'uso del suo nome dal regno!" Artù aveva parlato in tutta sincerità, ma la frase dovette essere uscita come un'esagerazione perché Kai scoppiò a ridere e piccole vibrazioni giunsero fino alle mani di Artù sui suoi polsi. "Dico sul serio, Kai, ascoltami!" "D'accordo, ti credo," rispose Kai e dopo un attimo di esitazione lo baciò, labbra contro labbra velocemente. "Perché?" si lasciò sfuggire Artù, pentendosene subito. Avrebbe dovuto ricevere il bacio ed esserne grato, non protestare. "E' questo che hai fatto con Griflet," replicò invece l'altro, tornando in un attimo allo sguardo serio ed apprensivo che aveva avuto la prima volta che ne aveva sentito parlare. "Sì, ci siamo baciati." "E bacia come me?" "No, in modo molto molto diverso. Ognuno bacia in un modo proprio. Ma mi piacciono i tuoi baci," aggiunse subito Artù, sperando che fosse la cosa giusta da dire. "Dovrei tornare da Rhelemon." "Torno alla villa con te," annuì subito il re, ansiosamente. Non voleva smettere di parlare con Kai ora che questi era venuto a cercarlo. "Perché sei fuggito?" "Non sono fuggito- sono-" "So che ti sposerai con lady Ginevra. L'ho vista, è una bellissima donna." "Non la amo." "Sei davvero una ragazzina, Artù," commentò Kai, ghignando come tante volte aveva fatto da bambino. "Non ci credo, sono il re eppure tutti continuano ad insultarmi," sospirò Artù, tastando il terreno, incerto su cosa poter discutere o no. Poteva scherzare sulla propria corona, vero? Dopotutto il re era lui. "Fatti delle domande, allora," lo seguì Kai, facilmente, naturalmente. I servi di Ector erano soliti discutere per giorni sulle battaglie verbali più o meno accalorate dei due ragazzi, prima di Severinus, prima di Julanna e di tutto il resto. "Volevo farti una proposta. So che non sei un guerriero-" "So combattere." "Lo so," annuì Artù. Lo sapeva. Ector aveva dato a Kai un addestramento base nel combattimento, ma si era basato molto di più sull'uso della daga e le tattiche di un esercito romano che sulle spade larghe che Artù aveva imparato usare a cavallo. "Quello che voglio dire è che Ector vivrà ancora per molti anni alla villa e volevo chiederti di-" "Che cosa?" "Nulla, è un'idea sciocca." Leondrgrance non aveva alcuna intenzione di rimandare il matrimonio. Sapeva che Artù necessitava di truppe e ne aveva bisogno in fretta, ma il re non voleva aspettare dopo la battaglia per dare la figlia in sposa ad Artù. C'era chi gli suggeriva di vedere come sarebbe finita la guerra, ma Leondrgrance sapeva di avere ragione. Se Artù fosse morto, Ginevra sarebbe stata una vedova, ma mai di un traditore perché nonostante tutto ciò che Lot asseriva, nessuno vedeva davvero il giovane Artù come un usurpatore. Tutti sapevano che era il figlio di Uther. La vedova Ginevra avrebbe comunque avuto la possibilità di combinare un nuovo matrimonio perché Lot non avrebbe mai osato umiliare Leondegrance più del dovuto. Scagliarsi contro Leondegrance, dopo una guerra contro Artù, avrebbe significato inimicarsi il nord. Se invece Artù fosse sopravvissuto ed avesse vinto (non c'era pericolo che, se sconfitto, la sua vita venisse risparmiata) allora Ginevra sarebbe stata la grande regina di Britannia. E questo era più che sufficiente. Ma il matrimonio doveva avvenire prima. Leondegrance non si fidava così tanto del proprio Grande Re da dargli la possibilità di ritirarsi dalla promessa nel caso avesse vinto la guerra. "Domani?" annuì Artù, rivolto ai presenti. Pellinore fece spallucce, non sembrava particolarmente felice delle nozze e Leondegrance si ricordò vagamente che l'uomo aveva una giovanissima figlia di nome Dindran. Sicuramente avrebbe potuto darla come promessa sposa ad Artù, se Ginevra non si fosse messa in mezzo. Leondegrance sorrise. "Sì, sire. Tutti i preparativi sono pronti. Non sarà necessario un vescovo poiché Merlino, come sacerdote dell'antica religione, celebrerà il rituale." Pellinore storse il naso. Artù non sembrava particolarmente entusiasta all'idea, ma non disse nulla e si limitò ad annuire e sussurrare qualcosa a Merlino, al suo fianco. Se il padre di Ginevra si aspettò di potersi crogiolare ancora un po' nella sua vittoria, si dovette ricredere perché in quel momento sir Bedivere entrò nella stanza della villa e, dopo un breve inchino ai presenti, annunciò le ultime nuove circa gli spostamenti di Lot. "Sembra che sappia che siamo qui. Non credo che voglia attaccare la villa, penso piuttosto che si voglia congiungere a sud con le truppe di Mark. Saranno pronti per attaccare in tre settimane." "Re Pellas, avete detto che il resto dei vostri soldati sono già in marcia?" domandò il Grande Re. "Sì, saranno qui entro una settimana." "No, mandate loro un messaggio. Dite loro di spostarsi a sud, tagliate la strada a Lot prima che giunga da Mark e con voi l'esercito di Leondegrance, se a lui non dispiace," continuò, fissandosi sul padre della sua futura sposa. "Certo, sire," rispose questi, gelidamente. Il matrimonio tra Artù e Ginevra venne celebrato in tutta fretta ed un misero banchetto vi fece da contorno. Merlino, che chiaramente non provava alcuna simpatia per la futura moglie, non si perse in esagerate celebrazioni o particolari auguri, ma fece il suo dovere con il volto serio che aveva avuto andando in battaglia. Nemmeno Artù si sentiva particolarmente allegro la notte delle sue nozze. "Siete un uomo sposato sire, dovreste sorridere," esclamò sir Griflet, raggiungendolo dall'estremità del campo. Molti dei cavalieri più importanti dei vari eserciti accampati fuori dalla villa e dalla città erano stati invitati, più per fare numero e testimoni che per la gioia della festa. Ginevra, in piedi accanto ad Artù, non disse nulla e nemmeno una volta rimproverò il marito per lo sguardo lugubre che sembrava possederlo. "Mia regina," sorrise Griflet, inchinandosi davanti a lei, "siete incantevole." Ed era vero. Il re dovette ammettere che Ginevra sembrava molto meno un furetto e molto più una donna. Aveva un lunghissimo abito rosso ed i capelli erano raccolti con una retina nera intrecciata di perle quasi perfettamente rotonde. "Vi ringrazio," rispose la donna, chiaramente incerta su come chiamare il cavaliere e come comportarsi davanti a lui. "Lui è sir Griflet, uno dei valorosi che mi hanno guardato le spalle a Londinium," lo presentò Artù. "Molto più delle spalle, ne sono certo," intervenne la voce ghignante di Kai e Ginevra lo osservò perplessa. Griflet inarcò le sopracciglia ed il re fu costretto a presentargli l'amico d'infanzia. "Kai, è un onore conoscervi. Il nostro sovrano ha parlato molto di voi." "Anche di voi, ve lo posso assicurare." Artù arrossì. Fortunatamente Ginevra scelse proprio quel momento per prendergli il braccio tra le due mani minute ed il re sperò che il suo rossore passasse per l'emozione dato dal tocco della moglie e non il suono roco e minaccioso che la voce di Kai sembrava avere assunto. Anche se probabilmente sarebbe bastato il suo aspetto. Ector, per rispetto verso i celti presenti, gli aveva chiesto di vestirsi anch'esso come uno di loro, come un soldato, e di lasciare gli abiti romani almeno per quella sera. "Sire," Griflet decise di spostare tutta la sua attenzione sul suo sovrano, "so che potrebbe non essere il momento adatto, ma le truppe si-" "Non è il momento adatto. Artù questa sera dovrà solamente pensare al proprio matrimonio," decise Kai, prendendo Artù dall'altro braccio e trascinandolo lontano dal cavaliere, portandosi dietro anche Ginevra che, incerta, decise di seguirli. Artù avrebbe voluto chiedergli il perché ed avrebbe voluto poter sperare nell'emozione che gli aveva momentaneamente preso lo stomaco, ma quando aprì la bocca per chiedere a Ginevra se potesse lasciarli qualche minuto da soli, Merlino piombò su di loro, come un falco. "Sire, sembra che re Mark abbia attaccato l'esercito di Pellas via mare, mentre scendeva verso di noi." "Cosa? Via mare? Nessuno aveva parlato di navi," rispose Artù, tristemente dimentico dell'aria di normalità che era scesa poco fa su di lui. "Non sono cattive notizie, ve lo assicuro," rise Merlino, improvvisamente, "anche se sono alquanto bizzarre." "Spiegatevi." Dare ordini era molto meno difficile in quei momenti, quando il suo cuore batteva così forte per l'agitazione da farsi sicuramente sentire anche all'esterno del suo petto. "Pare che un condottiero con i colori delle Orcadi abbia salvato gli uomini di Pellas dall'imboscata. Ed ora i due eserciti si stanno dirigendo qui." "Lot ha deciso di tradire Mark?" "Ne dubito fortemente, Artù." Fu quello il momento in cui sir Bedivere, con la sicurezza che sempre lo caratterizzava, li raggiunse, con il sorriso delle buone notizie e per un attimo Artù volle quasi abbracciarlo e baciarlo (e fargli promettere che se qualcosa gli fosse successo lui si sarebbe preso cura di Kai). "Un esercito con uno stemma a sfondo viola ed un falco nero a due teste si sta dirigendo qui assieme a quello di Pellas. E Re Ban ci sta mandando dei rinforzi dalla Bretagna." "E' lo stemma delle Orcadi?" domandò Artù, preferendosi per il momento concentrarsi su quello. (Anche se l'idea che Ban, il vecchio re che aveva combattuto con lui e Uther a Londinium, avesse deciso di schierarsi dalla loro parte gli riscaldò il cuore). "E' un falco a due teste? E' lo stemma di Gawain." I quattro uomini presenti si voltarono stupiti verso Ginevra. Tutti loro si erano dimenticati della sua presenza e la donna, fino a quel momento, non aveva nemmeno sospirato per farsi notare. "E'- è lo stemma che gli è stato assegnato da Lot," continuò la regina, leggermente imbarazzata per l'attenzione. "Perché Gawain dovrebbe schierarsi con noi?" domandò Artù e questa volta non fece finta che la propria moglie fosse scomparsa, ma rivolse la domanda anche a lei. "Morgause è vostra sorella, sire," rispose. "Se è per il volere di Morgause allora è molto più probabile che stia venendo qui a pugnalarvi," intervenne Merlino, bruscamente. Il resto della serata passò dimentico del matrimonio perché Pellinore volle essere sicuro che l'esercito alieno assieme a quello di Pellas non passasse dai confini dei loro accampamento finché non fossero stati sicuri delle sue intenzioni. Bedivere spiegò loro che in ogni caso avevano anche Ban e che il re della Bretagna aveva mandato il suo secondogenito, un cavaliere a nome Lancillotto, ad attaccare Mark dal mare, in modo da distrarre alcune delle sue navi e delle sue forze. "Potrei chiedere alcuni favori a qualche vecchio amico," brontolò Merlino, prima di scomparire. E piano piano i soldati ubriachi iniziarono a cadere a terra come foglie ed Artù iniziò ad essere stanco. Aveva nuovamente perso di vista Kai, ma poteva quasi essere certo che l'altro avesse bevuto così tanto da rendere impossibile ora una discussione con lui, quindi non protestò quando, dopo aver annunciato la fine della festa, Leondegrance lo trascinò con grazia verso la camera da letto. Assieme a Ginevra, ovviamente. La stanza era la stessa che Artù aveva usato nei giorni precedenti ma, per l'occasione, era stata addobbata con fiori e drappi e sembrava molto più la vecchia camera di Julanna che il giaciglio di un guerriero. Ginevra, accanto a lui, respirava pazientemente, incerta su cosa fare. "Eccoci," sorrise Artù, nervosamente. Avrebbe dovuto bere di più. Prendendola per mano la portò delicatamente verso il loro letto e quando si tolse gli stivali e si inginocchiò su di esso, Ginevra lo imitò guardandolo con occhi immensamente grandi. "Ed ora?" sussurrò la donna, toccando con cautela una guancia del marito. Il morbido toccò sembrò risvegliare Artù da una momentanea distrazione perché questi la abbracciò con foga e seppellì il volto su una sua spalla. "Non posso." "Potete fare finta che io sia la vostra amante," rispose Ginevra, senza nemmeno una traccia di fastidio, ma solo curiosità. "Non posso. La mia amante- non è come voi, capite?" "E' più bella." "No, è- un uomo." D'accordo, forse aveva bevuto abbastanza. "Oh," sussurrò Ginevra, irrigidendosi ed Artù le lasciò le spalle per guardarla negli occhi. "Mi va bene," aggiunse la regina, "lui non potrà mai darvi un figlio. I vostri figli saranno solo i miei." "Ginevra, voi- io non so cosa fare." "Io non so cosa fare," rispose la regina, parlando chiaramente di altro. E per la prima volta da quando Artù l'aveva conosciuta, Ginevra rise. Il mistero di Gawain venne presto risolto. E molti dei nodi rimasti in sospeso tornarono felicemente al pettine. Molti anni dopo, quasi prima di morire, Artù avrebbe ricordato il suo primo incontro con il giovane Gawain e si sarebbe detto: "Sì, è qui che il sangue è cominciato." Ma per ora ancora non poteva sapere nulla di ciò che gli riservava il futuro e quando gli annunciarono che i due eserciti erano accampati fuori e Gawain, autoproclamatosi suo alleato, voleva vederlo Artù accettò con gioia. Gawain era suo nipote, ma non poteva essere più diverso da lui. Non aveva la grazia felina di Artù, ma una forma di solida forza che pareva circondare tutti coloro che erano con lui. Il naso, privo di efelidi, ed i capelli rosso cupo gli ricordavano qualcuno, ma non riuscì del tutto ad elaborare il veloce sentimento perché Gawain sorrise e tutto il mondo sembrò illuminarsi. Gawain sorrideva spesso ed aveva dei canini allungati, un po' come quelli di Artù, ed una voce profonda nonostante fosse più giovane del re di tre anni e quindi ancora un ragazzino agli occhi di tutti. "Zio, sovrano!" esclamò sir Gawain, quando fu al suo cospetto. Sì, avrebbe ripensato a quel momento, in futuro, ed avrebbe visto il carisma di Gawain ed il modo in cui il suo sorriso contagiava tutti i presenti, accogliendoli quasi in un abbraccio collettivo. "Sir Gawain, non posso che essere felice di incontrarvi, nipote, nonostante le circostanze. Ma non posso fare a meno di chiedervi il perché della vostra scelta." Ginevra era seduta accanto a lui ed osservava la scena con occhi spalancati. Artù decise che quella era la sua naturale espressione di curiosità e non, come aveva creduto, il riflesso di un nervosismo o di una timidezza. "Perché è la cosa giusta," rispose Gawain, credendo in quelle parole con tutto se stesso. Non ci volle molto ad Artù per scoprire che Gawain faceva ciò che faceva per la giustizia. Il sostenerlo come Grande Re era giusto perché lui era figlio di Uther e non importava che questo lo mettesse contro il proprio padre. Artù credette che suo nipote sarebbe diventato un grande cavaliere. Ma si sbagliò, suo nipote diventò il grande cavaliere, il cavaliere delle donne e degli indifesi. Ed Artù credette che suo nipote avrebbe sempre fatto la cosa giusta, anche se contro la sua famiglia come decise di fare quel giorno contro Lot. Ma scoprì che anche li si sbagliò, perché se c'era una cosa che non sapeva era che gli uomini delle Orcadi stanno con gli uomini delle Orcadi. E Lot, benché suo padre, altro non era che il re del Lothian. In ogni caso, l'arrivo di Gawain fu miracoloso. La scoperta che il figlio del loro nemico era passato dalla parte di Artù sembrò risollevare il morale di tutti, così come la scomparsa dalla villa di Merlino che lasciò solamente detto che sarebbe presto tornato con altro aiuto. Seguendo l'idea originaria di Artù, Pellas, i suoi uomini e parte dell'esercito di Pellinore partirono per impedire a Lot di raggiungere Mark, lasciando ai rimanenti l'onere di vedersela con Mark. Le cose andarono meglio del previsto. Lot si diede alla fuga, ferito da Pellas stesso, ed il suo esercito si arrese alla volontà di Pellinore lasciando così Mark solo a confrontarsi con Artù. Sfortunatamente c'era una cosa che Artù non sapeva di Mark: aveva sposato una principessa irlandese. Fu con grande sorpresa che le navi irlandesi iniziarono ad attaccare la flotta di Ban e Lancillotto e l'esercito di Mark poté quindi completamente concentrarsi su Artù. Fu quello il momento in cui Merlino decise di tornare e non era solo. Artù non aveva mai visto uomini come quelli che seguirono Merlino in battaglia quella giornata. Avevano la pelle scura, quasi nera, e cavalcavano come se fossero stati cresciuti da dei centauri, manovrando spade ricurve che parevano essere state costruite apposta per sgozzare i soldati di Mark. "Merlino, avevi detto di dover riscuotere dei favori!" "Un favore fatto molto tempo fa ad un re dell'Africa." Merlino non era andato, ovviamente, in Africa, ma pareva che il re avesse mandato i suoi due figli minori, Palomede e Safir ad imparare i modi ed i costumi di cui tanto Merlino aveva parlato. "Credo che volesse che i suoi figli imparassero i modi di combattere dei galli. Sono certo che quell'uomo abbia manie di grandezze e che un giorno, sassoni o non sassoni, saremo tutti sotto il suo potere." Artù non lo ascoltò nemmeno, non gli interessava di quello strambo re dell'Africa, l'unica cosa che vedeva era il piccolo, ma veloce esercito di Safir sbaragliare con l'effetto sorpresa i soldati di Mark. Furono dei mesi lunghi e difficili e molte cose cambiarono, una di queste fu che Artù divenne finalmente il Grande Re. Ci volle tempo prima che le strade per Camelot fossero sicure e che la voce della vittoria di Artù si diffondesse in tutto il regno. La gente ora sapeva, parlava del Grande re Artù Pendragon, figlio dell'Orso, il re Uther, e sposato a Ginevra, la bellissima figlia di Leondegrance. E tutto ciò che Artù riusciva a pensare era che presto avrebbe vissuto a Camelot e che finalmente la parte più dura del suo lavoro era stato fatto. Almeno fino al ritorno di Cerdic. Quando Kai lo raggiunse dopo uno degli innumerevoli festeggiamenti che Leondegrance sembrava donare ai soldati della villa, Artù avrebbe voluto essere un vero re, un uomo meritevole e parlargli come un Grande Re avrebbe fatto, ponderando le parole, annuendo nella parti giuste. Tutto ciò che gli uscì invece fu uno spezzato: "Vuoi diventare il mio siniscalco?" Ed alle orecchie dei due uomini parve quasi una proposta di matrimonio. "Non posso lasciare Rhelemon," rispose, Kai, con cautela, fermando nel bel mezzo di un passo. "Potrà vivere a Camelot. Avrà dame di compagnia e la sua balia. Non le mancherà nulla. Te lo prometto." "Ti credo, Artù," ghignò Kai, chiaramente prendendosi gioco della sua foga, "ma credo anche che sir Bedivere sia un uomo migliore di me." "Sir Bedivere è il capitano delle mie guardie e mio consigliere." "Sir Griflet, allora. Lui ti darà ciò che vuoi." Artù si bloccò, prima di aggiungere dell'altro, ed osservò l'amico con attenzione. Sembrava esserci dell'altro dietro quelle parole. "Io voglio te, non sir Griflet. O Bedievre. O addirittura Ginevra." "Lo so. Ma io non posso darti nulla." E per la prima volta Artù lo vide stanco, tremendamente stanco. "Non devi darmi nulla." "So che cosa vuoi. Vuoi quello che voleva Severinus." "No. Sì, ma è diverso. E' una cosa diversa. Non ti tratterei mai come ti ha trattato lui." "Non sai nulla di Severinus." Artù fece spallucce. Sapeva poco, ma sapeva anche abbastanza. Probabilmente fu il gesto sbagliato da fare, la cosa sbagliata perché gli occhi di Kai divennero di pietra. Non avevano davvero parlato dal giorno del matrimonio, né si erano mai toccati o Kai l'aveva baciato ancora quindi fu inaspettato quando l'altro gli afferrò i capelli e lo costrinse in un nuovo bacio. Artù lasciò che Kai gli mordesse il labbro inferiore e gli leccasse quello superiore, lasciò che le sue mani scendessero sul suo collo più duramente del necessario e si costrinse a reprimere il mugolio di disperazione quando l'altro lo lasciò infine andare. "Che cosa preferisci?" domandò Kai, "Questo?" "Come?" "O questo?" continuò l'altro, come se non l'avesse sentito, lasciandosi cadere in ginocchio davanti a lui. Ed Artù avrebbe dovuto capire cosa stava succedendo perché Griflet si era inginocchiato altre volte nello stesso mondo, ed anche alcune delle donne con cui era stato, ma quello era Kai e le cose semplicemente non combaciavano. Quindi fu con sorpresa che si accorse che sentiva freddo là sotto perché gli aveva slacciato tunica e brache e prima che Artù potesse fermarlo lo stava leccando. Ed Artù avrebbe davvero voluto trovare la forza per fermarlo, ma quella era la bocca di Kai su di lui e Kai che lo aveva completamente ingoiato. Avrebbe dovuto guardalo, ma non poté fare null'altro che appoggiarsi al muro e lasciar fare. Per tutti gli dei, era pur sempre un uomo e quello era Kai! Quando venne le sue ginocchia cedettero e si ritrovò seduto a terra, con le gambe leggermente aperte e Kai davanti a lui che lo stava fissando. Ebbe la decenza di arrossire, ma non distolse lo sguardo. "Mi ha insegnato tutto Severinus. Tutto quello che so. Che cosa fare, come farlo." "Kai-" "Cosa preferisci?" Non era la domanda di un amante, era una sfida, una prova ed Artù si ritrovò a chinarsi in avanti, con le mani che tremavano afferrò il collo di Kai e lo trascinò vicino, davanti a sé. "Preferisco questo," rispose il re, con voce roca ed affannata, appoggiando le dita ai lati della bocca di Kai e costringendola in un sorriso. "E preferisco decisamente sentirti parlare. Che equivale ad insultarmi, ma va bene lo stesso." E Kai iniziò a piangere, singhiozzando come se non avesse più aria attorno a sé, chinandosi su se stesso, finendo disteso sul petto del suo re. Kai alla fine disse sì, con grande sorpresa di Artù, e partì con lui per diventare il siniscalco di Camelot. Artù ebbe occasione di incontrare Safir e Palomede e scoprì che dietro al loro ben poco rassicurante aspetto si celavano due soldati, simili a lui e che sanguinavano come lui e come un qualsiasi Britanno. Fu con gioia che i due uomini accettarono l'invito per l'incoronazione. Mark, rintanato nuovamente nella Cornovaglia, si premurò di mandare riscatti e denaro e smielati sorrisi di sottomissione al nuovo Grande re di Britannia. "Lancillotto, figlio di Ban, sarà a Camelot al nostro arrivo," lo informò Merlino, a qualche giorno da Camelot. Ginevra era di molte miglia dietro di lui, viaggiando con Rhelemon, le donne e l'esercito di Leondegrance. Non c'era fretta per la sua apparizione, ciò che la Britannia voleva vedere era re Artù. "Lo dovrò ringraziare. Ed anche suo padre. Sono stati dei preziosi alleati." "Sire, temo che mio padre sia ancora in fuga, ma mia madre, vostra sorella Morgause, sarà ben lieta di raggiungerci a Camelot per farvi i suoi omaggi, dopo l'incoronazione," lo infermò sir Gawain. Ancora nessuno di loro sapeva che re Lot era morto per le ferite ricevute da Pellas. Artù annuì e gli sorrise: "Sono felice di poter conoscere la mia sorellastra. Merlino, vorrei che chiamaste anche Morgana ed Elaine." "Sarà fatto."
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Le luci delle Orcadi
La cerimonia di incoronazione non fu molto diversa da ciò che Artù si era immaginato. Nessuno voleva aspettare più del previsto e quindi le sue sorellastre ed i re più distanti non era presenti. Il vescovo che lo aveva portato alla villa quando era un neonato fu anche colui che gli posò la corona sul capo, con un orgoglio da padre soddisfatto che Artù trovò decisamente fastidioso. Ci fu solo una cosa che lo colpì nel profondo: Camelot. Camelot non era come la vecchia villa di Uther anche se prendeva chiaramente origine da un'enorme villa romana. Era come vedere un vestito rattoppato e spezzato ed ancora cucito, pezzi di stoffa l'uno sull'altro. Camelot aveva il cortile di una villa e le torri di uno dei più moderni castelli. Gli accampamenti esterni erano romani, ma le case attorno al castello potevano semplicemente essere qualsiasi cosa: dal legno, al fango alla pietra. Ed il castello era enorme. Vi erano così tante stanze che Artù rischiò seriamente di perdersi. Il fatto che la maggior parte della zona ovest venisse usata come dispensa mentre quella nord fosse aperta solo per ospitare nuovi arrivati aiutò molto il re nelle sue capacità di orientarsi nel restante spazio del castello. Gli fu affidata la camera di Uther e, con un vago sentore di nausea, Artù scoprì di aver sperato di poter trovare in essa delle tracce del proprio padre. La stanza invece era già stata liberata dagli oggetti di Uther o forse lui non era mai vissuto molto nel castello. Qualche corridoio più in là, Merlino gli mostrò la stanza che sarebbe stata di Ginevra ed accanto quelle delle sue damigelle. Poi poco fuori dal castello, una piccola casetta in pietra che apparteneva a Merlino stesso. Dopo l'incoronazione, Artù volle annunciare a tutti della sua decisione sul siniscalco del regno. "Perché Kai?" domandò Merlino, prima dell'annuncio, prendendo il re in disparte. I servitori che erano stati di Uther, ed ora erano i suoi, si ritirarono educatamente, ma non riuscirono a smettere di guardare il loro sovrano con occhi spalancati e curiosi, studiandolo in ogni sua mossa. "Perché ne è capace." "Conosco persone più capaci." "Voi?" "Non essere sciocco, come se non avessi altro da fare. Potresti dare il posto ad uno dei figli di Pellas. Lamorak o Aglovale sono abbastanza maturi. O a Lancillotto, lui ci ha aiutato in questa guerra come gli altri." "Come ricompensa? Non voglio dare il posto del mio siniscalco ad uno sconosciuto," ribatté Artù. Ed era vero. Certo, Pellas meritava un ringraziamento, ma il re non sembrava particolarmente propenso ad infilarsi nella vita di Artù come aveva fatto Leondegrance, ed aveva solo chiesto al Grande Re di accogliere i suoi tre figli quando sarebbero giunti a Camelot per divenire cavalieri. Ed Artù non conosceva abbastanza Lancillotto. L'aveva incontrato la prima volta il giorno dell'incoronazione e ne aveva avuto una buona impressione, una rigida, educata impressione, ma più di quello non sapeva di lui. "Lo faremo campione della regina, allora. E' una carica d'onore, se non sbaglio." Merlino si limitò ad ignorarlo ed osservò il resto dei festeggiamenti con un cipiglio severo. "Non credo che il tuo maestro sia molto felice di te," commentò Kai quando Artù lo ebbe dichiarato siniscalco davanti agli invitati di Camelot e quindi a tutto il regno. Il grande re aveva sentito le mani dell'altro tremare quando lo aveva fatto rialzare. "Lascialo stare. E' solo irato perché non faccio sempre tutto ciò che mi dice di fare." Kai si voltò verso di lui e gli sorrise, con un mezzo ghigno che Artù conosceva bene, e l'altro fu per un attimo così felice, così dimentico di tutto che si limitò a fissarlo e si ritrovò sul volto un sorriso perfettamente simile. "Sire," lo interruppe una voce dall'accento bizzarro e marcato ed il re fu costretto a voltarsi. "Safir, Palomede," sorrise Artù, vedendo i due fratelli. A differenza della marcata cortesia di Lancillotto, ed a discapito degli iniziali pregiudizi, Artù si trovava perfettamente a suo agio assieme ai due figli del re d'Africa. Nonostante le difficoltà linguistiche, i due giovani uomini sapevano farsi capire con facilità e parevano non possedere la fredda diffidenza dei Britanni, almeno non verso Artù. "I miei due salvatori," continuò Artù e Safir alzò una mano per impedirgli di ringraziarli ancora una volta. "Capisco, siete stanchi di essere adulati," rise il re, "ma ditemi almeno cosa posso fare per voi." "Siamo venuti qui come favore a Merlino. Lui ha salvato la vita di nostra sorella Nimue, quando era appena una bambina, ed ha aiutato nostro padre in momenti difficili," rispose Safir. "Ma se insistete per una ricompensa vorremmo solo chiedervi dell'ospitalità." "Nostro padre desidera che noi impariamo il modo di regnare di voi Britanni," proseguì Palomede, sorridendo. Era un bell'uomo. Quando Artù era un bambino aveva visto per la prima volta un terribile uomo dalla pelle scura che la sua balia aveva chiamato 'La bestia nera' ed aveva usato il ricordo di quell'uomo come metodo per spaventare il piccolo Artù quando questi aveva bisogno di una strigliata. Artù aveva creduto che tutti gli uomini della terra del deserto fossero come 'La bestia'. Ma Palomede non poteva essere più diverso. A differenza del fratello minore, così alto e magro da sembrare la corda di un arco e senza una traccia di barba, Palomede aveva una cortissima barba nera come i capelli, così ordinata da parere di moda romana. Il naso affilato sembrava in tutto e per tutto simile al becco di un falco e vedendo i suoi occhi scurissimi, circondati di un colore nero, Artù si chiese se la Cleopatra che aveva un tempo studiato fosse simile a Palomede. Non gli era difficile crederlo. "Siete più che benvenuti come ambasciatori e come ospiti. Avrete il libero accesso a tutti i luoghi del mio regno." Safir annuì e si volse poi verso Kai. "I nostri omaggi per la vostra carica, sir Kai." Artù non disse nulla sul fatto che l'altro non fosse un cavaliere e si limitò a guardarli allontanarsi verso il portone principale della stanza del trono, dove sicuramente si trovava Merlino. "Sono dei barbari." "Kai-" "Li hai visti." Il re portò una mano a circondare il polso dell'altro, poco sopra alle cicatrici. "Ci hanno salvati tutti, probabilmente." "Sire," esclamò un'altra voce. Era facile venir interrotti quando la sala era piena di ospiti e soldati desiderosi di ingraziarsi il nuovo sovrano. Voltandosi a guardare il nuovo arrivato, Artù incontrò lo sguardo di Bedivere che sorrideva enigmaticamente e si sentì arrossire. Lasciò il polso di Kai e si trovò di fronte Lancillotto, il figlio di Ban. Tutti coloro che l'avevano visto combattere lo chiamavano il Leone di Bretagna, la furia che aveva distrutto praticamente da solo l'esercito di Mark. Artù sapeva bene quanto le voci venissero ingrandite dopo una battaglia poiché era accaduta la stessa cosa anche a lui, ma dopo aver visto il bretone non metteva in dubbio che quelle fossero, almeno in parte, vere. Lancillotto era un guerriero. Lo aveva scritto ovunque, sulle spalle, sulle gambe leggermente arcuate dall'addestramento come cavaliere, sulle cicatrici sulle mani e sulla guancia. Il tono della voce apparteneva ad un uomo che sapeva dare ordini e farsi ubbidire e, soprattutto, che sapeva farsi amare. "Lancillotto, è un onore avervi qui e spero che lo sappiate." "Lo so, maestà. E' una grande gioia per me esservi potuto essere utile nella vostra guerra." Kai dovette irrigidirsi o sbuffare, indignato da quella richiesta indiretta di lodi, perché Lancillotto si voltò verso di lui. "Ed onore a voi, siniscalco," sorrise, porgendogli il braccio, mimando un antico saluto romano che ancora pochi praticavano. Kai gli afferrò l'avambraccio e lasciò che il bretone gli afferrasse il suo. La stretta dovette durare più del previsto perché il siniscalco lasciò bruscamente la presa e quando Lancillotto permise alla propria mano di scivolare sul suo braccio, Kai fece un passo indietro, austero e rigido come Artù non lo aveva mai visto. Lancillotto, pensavo di donarvi una carica di alto onore ed impegno come ricompensa. Toglierò Mark dal suo trono e ci metterò voi, spero non vi dispiaccia rimanere per sempre in Cornovaglia, lontano lontano da Camelot e- "Lancillotto, figlio di Ban!" esclamò Merlino, raggiungendoli ed abbracciando il perplesso guerriero. "Conosco vostro padre da una vita. Ed il re è davvero grato per il vostro impegno. Così grato che ha pensato di darvi la carica di campione della regina." Kai tossì ed Artù maledisse se stesso ed il proprio maestro. Essere campione della regina non comportava altro impegno che quello di proteggerla e, in un castello armato fino ai denti, era difficile che il campione mettesse davvero a repentaglio la propria vita per la regina. Era in realtà una carica d'onore che permetteva al campione stesso di partecipare più attivamente nella vita del castello senza avere davvero possibilità di cambiarla. "Oh, sire, voi mi lusingate!" sorrise Lancillotto. Aveva un sorriso perfetto. "Accetto con immensa gratitudine questo vostro dono." Le donne, le dame e la piccola Rhelemon giunsero a corte solo pochi giorni dopo la celebrazione di Kai. Ginevra sembrò sinceramente felice di ritrovarsi assieme al marito ed accolse la propria corona di regina con modestia ed eleganza. Non fu sicura di aver capito ruolo che avrebbe dovuto avere Lancillotto nella sua vita, ma quando Artù le assicurò che sarebbe stato come se lui non esistesse, la donna strinse la mano del cavaliere bretone e lo ringrazio, prima di ritornarsene nelle proprie stanze con alcune damigelle. I soldati in cerca di un esercito a cui appartenere, i ladri che chiedevano grazia, mercanti e popolani in cerca di giustizia occupavano quasi interamente i suoi giorni, così come messaggeri dal fronte di Londinium, sempre informati sulle mosse di Cerdic e lettere di rinnovata pace con Mark e le Orcadi. La notizia della morte di Lot non ci mise molto a raggiungere le mura di Camelot ed alla sua comunicazione Gawain si inchinò, si scusò ed uscì senza dire più altro dalla stanza del trono. Il giorno dopo fu come se nulla fosse successo e Gawain sembrò invece rassicurato dall'idea che presto sua madre e le sue zie sarebbero giunte per dare i loro omaggi al re. "Sono preoccupato," ammise Artù, una notte. Aveva appena fatto visita a Ginevra. Non che fosse una cosa a cui pensava con orgoglio poiché la regina lo accoglieva sempre con così tanta gioia da farlo sentire in colpa per la sua mancanza di sentimenti diversi da quelli fraterni. Artù apprezzava davvero la sua regina, era tranquilla, piccola come un topolino, ma inaspettatamente acuta su argomenti assolutamente bizzarri. L'idea di dover giacere con lei era tutta un'altra cosa. Era il suo obbligo, l'obbligo che Merlino continuava a sottolineare ogni volta che lo trovava a vagare per i corridoi in momenti di pace. L'obbligo di avere un figlio ed un erede. "Per le tue sorellastre?" domandò Kai, voltandosi a guardarlo. Erano entrambi stesi sul letto del siniscalco, perché le stanze del re erano sempre un via vai di servitori indiscreti, spalla contro spalla. Non che avessero fatto nulla. Dal giorno in cui il re aveva chiesto all'altro di divenire il suo siniscalco Kai non l'aveva più toccato se non per qualche veloce bacio sulle labbra. Ed ora il siniscalco, ancora vestito dei nuovi abiti da celtico ai quali si stava abituando, lo stava guardando ed i suoi capelli sfioravano la guancia di Artù. Kai sapeva di pelle, di cotta di maglia e di un leggero profumo di donna perché era appena tornato da una visita alla balia della figlia. Tutte le sere andava da Rhelemon e rimaneva qualche minuto a guardarla dormire. La balia della bambina sembrava essersi completamente innamorata di Kai, nel modo più materno del termine, e spesso lo abbracciava e lo interrogava sulla sua salute e le sue abitudini culinarie. "Anche. Sono quello che rimane della mia famiglia e tutti mi dicono che sono delle streghe." "Tutti chi?" "Bedivere." "Allora probabilmente sono delle streghe," ghignò il siniscalco, anche lui fiducioso di tutto ciò che usciva dalla bocca del capitano. "E cos'altro?" Artù non si voltò a guardarlo. Perché in quel caso si sarebbe trovato davanti i suoi occhi e la sua bocca e le sue efelidi. Kai sapeva di caldo. Incurante di ciò che vagava nella mente del suo re, il siniscalco gli afferrò il polso per richiamare la sua attenzione. "Mi preoccupa Gawain. Mi preoccupa questo momento di pace, so che non sarà sempre così. Non ci vorrà molto prima che Cerdic si accorga di quanto ancora il regno sia fragile." "Hai più alleati ora. Hai le Orcadi e Mark. E probabilmente qualche pirata irlandese se Mark lo chiede molto gentilmente." "E poi sono preoccupato per te." "Per me?" chiese Kai, con una nota di freddezza. Artù sapeva che la mente di Kai ragionava in modo strano. Era stata bizzarra anche prima dell'arrivo di Severinus ed immaginava perfettamente cosa l'altro stesse pensando in quel momento. Preoccupato perché Kai non lo toccava, perché Artù aveva cambiato idea e voleva di più, perché Kai non era un siniscalco abbastanza abile- "Prima di arrivare a conclusioni affrettate ascoltami," rispose subito Artù, voltandosi finalmente a guardarlo. E Kai era lì. Ed il re avrebbe voluto buttare tutto all'inferno e lanciarsi su di lui. "Sto aspettando." "Non mi piace Lancillotto." "Nemmeno a me piace Lancillotto." "Lo so. Ma- ora sarà sempre qui a Camelot e-" "Tu non sei preoccupato, sei geloso." "Sono anche preoccupato." Kai roteò gli occhi e li riportò a guardare il soffitto della stanza, lasciando il braccio del re. "So difendermi, se è di questo che hai paura." "Lui è un guerriero-" disse subito Artù. Voleva fargli capire. Aveva paura per Kai. E sapeva di essere paranoico perché dopo il primo incontro Lancillotto non l'aveva mai nemmeno guardato, ma semplicemente tutto stava venendo fuori ora. Ora che c'era pace. Ora che erano stabili. "Ed io sono il siniscalco. E so difendermi." Kai fece una pausa che Artù non osò interrompere. "Quello che è successo con Severinus-" il re smise quasi di respirare e tese ogni muscolo nel tentativo di rimanere immobile. Kai non parlava mai di Severinus. "-è diverso, capisci?" Artù avrebbe voluto dire sì. Sì, capisco, non c'è bisogno che mi dici altro. "No," sussurrò il re. "Quando- quando l'ho incontrato la prima volta ho pensato che fosse tutto ciò che io volevo diventare. Avevo undici anni ed ero cresciuto con l'idea che Roma sarebbe tornata a liberarci dalla barbarie celta e Severinus era un romano, era alto, vestiva come un romano, parlava come un romano. Ho iniziato a seguirlo ovunque, come tu facevi con me, come un cane. Quando lui veniva a trovare Ector alla villa gli ero sempre attorno. Facevo tutto ciò che mi diceva di fare. E crescendo sapevo che avrei fatto anche di più, avrei fatto con lui ciò che un uomo poteva fare con una donna. E poi lui mi ha baciato, è stata una delle poche volte in cui l'ha fatto, ed io sono stato così stupido perché ero felice, ero soddisfatto. Mi aveva baciato ed io ho solo creduto di essere speciale. E la volta dopo mi- mi ha chiesto di più ed io glielo dovevo perché lui mi aveva baciato ed a me era piaciuto, quindi glielo dovevo, capisci?" No. Ma sarebbe stato troppo crudele negare perché Artù era sicuro che nemmeno Kai capisse. Si limitò ad annuire e tacere. "E faceva male, ma mio padre era così felice che io passassi le giornate con lui perché era di una buona famiglia ed era un romano. Ed io glielo dovevo perché- gli ero sempre attorno- dovevo dargli qualcosa in cambio e lui c'era sempre, era gentile a volte e poi tu mi hai detto di non andare ed io non sono andato. Perché Julanna mi aveva supplicato e tu- non lo so." "E cos'è successo?" "Il bambino. Ho sentito c'era successo al bambino," rispose Kai, raschiandosi la gola ed osservando ostinatamente il soffitto. "E sapevo che era colpa mia perché se io fossi stato là Severinus avrebbe avuto me e non avrebbe cercato altro." "Non-" "E sono tornato. Ed in parte ero felice perché- era tutto ciò che conoscevo." "D'accordo, va bene," sussurrò Artù, sentendosi tremare di rabbia e frustrazione, e voltandosi per stendersi più vicino a Kai e nascondere il volto nell'incavo della sua spalla. Il siniscalco si irrigidì finché, dopo qualche secondo, portò una mano tra i capelli del re, toccandoli e giocando con loro, aspettando senza dire nulla. "Sono felice che tu sia fuggito da lui, quella notte," mormorò Artù, pensando a tutte le cose che Kai non gli aveva detto ed alle cicatrici sui suoi polsi. "Anch'io," rispose l'altro e la parola gli morì a metà. Se Artù avesse dovuto mettere in ordine di importanza le cose che lo preoccupavano, sicuramente l'arrivo delle sue sorelle sarebbe stato all'ultimo posto. Era nervoso, ovviamente, ma l'idea di un attacco da parte di Cerdic ed il peso dell'intero regno gli sembravano molto più pressanti. Elaine fu la prima a giungere a Camelot. Arrivò con una modesta scorta di damigelle ed il marito a fianco. Artù assorbì ogni tratto ed ogni movimento della sorellastra. I capelli biondissimi, l'aria austera, il naso leggermente storto ed il piccolo nei sul labbro superiore. "Sire," si inchinò Elaine, rigidamente. Si scusò per non aver portato il figlio, ma il bambino era ancora troppo piccolo per viaggiare così tanto. Artù avrebbe voluto abbracciarla, incantato dalla sua bellezza, e chiederle se lui assomigliasse a loro madre Igraine, ma l'esclamazione di gioia scomparve immediatamente quando lei lo guardò negli occhi. Elaine non pareva particolarmente entusiasta di quella visita e lo osservava come se tutto quello fosse un doloroso dovere da portare a termine più che la gioia di un ritrovato parente. Artù non ebbe tempo per disperarsi particolarmente della fredda accoglienza perché solo qualche ora dopo iniziarono a giungere voci confuse sull'arrivo della sua sorellastra Morgana. "Credo sia qui, sire," gli disse uno dei servitori, con aria incerta. "Credete?" "Non si è presentata ed è senza scorta. Ma pensiamo che sia lei." Il re non poté aggiungere altro che Morgana fece il suo ingresso nella sala del trono. Era completamente diversa da ciò che si era aspettato e molto più simile a lui di quanto lo fosse Elaine. Morgana era alta, molto alta, ed aveva dei fianchi leggermente larghi e piatti che non la rendevano particolarmente affascinante. I capelli, lunghi diritti e nerissimi, erano lasciati sciolti come quelli di una fanciulla nonostante Artù sapesse che lei era sposata. "Mio marito ci sta raggiungendo. Con calma," sorrise Morgana. Aveva una carnagione più scura di quella di Artù e se fosse stata una donna minuta probabilmente sarebbe stata scambiata per una delle fate della foresta. "Sorella, è un onore conoscervi," la raggiunse Artù. Morgana non lo abbracciò, ma non lo osservò nemmeno con la stessa noia che aveva avuto Elaine. Morgana lo studiò, lo guardò in ogni piccolo particolare, bevendo ogni sua espressione e facendolo sentire nettamente a disagio. "Volete riposarvi? So che siete giunta da sola a cavallo e-" "Non sono mai stanca, sire," sorrise Morgana, brevemente. "Lasciate allora che vi presenti il mio fedele consigliere Merlino ed il capitano delle guardie, Bedivere." "Ci conosciamo," replicò Morgana, non degnandoli di uno sguardo. "E la regina Ginevra, la mia amata moglie." Ginevra si alzò dal proprio tono e raggiunse la nuova arrivata, abbracciandola. "Sorella, siete incantevole." "Non è ciò che mi dicono di solito, ma vi trasformerò di certo in un castoro per aver mentito." Ginevra si impietrì, confusa e spalancò gli occhi, ma prima che Artù potesse indignarsi, la regina riuscì a balbettare una risposta: "Vi ringrazio per la vostra gentilezza. E per non aver detto topo. O furetto. Di solito scelgono quelli." Morgana alzò un sopracciglio e la guardò come se fosse impazzita, ma poi Artù le vide dare il sorriso più sincero che avesse avuto dal suo arrivo. E si lasciò abbracciare una seconda volta. "E questo è il nostro siniscalco." Morgana era alta quasi quanto Kai e non tentò di apparire più piccola o minuta come molte donne erano solite fare davanti ad uomini alti come loro. "Ho sentito molto di voi." "Spero nulla che vi faccia venir voglia di trasformarmi in un castoro." "Nulla di simile," rispose Morgana, con tono serio, "ma mia sorella Morgause ha un dono per voi." Artù aggrottò le sopracciglia e scambiò uno sguardo confuso con Bedivere che si limitò a scrollare il capo. "Ed anche per voi, fratello," gli sorrise Morgana, con aria spensierata. Morgause giunse il giorno successivo. Dopo aver incontrato Morgana, Artù era del tutto propenso a credere alle parole di Bedivere e l'idea che la sua ultima sorellastra avesse un dono per lui e per Kai gli incupì la mattinata ed il pomeriggio intero. Elaine passò le ore fino all'arrivo di Morgause chiusa nelle proprie stanze con il marito, mentre Morgana venne vista tutto il giorno a gironzolare per il castello, facendo le domande più disparate e bizzarre a servi e soldati. Le sue richieste andavano al semplice desiderio di avere informazioni sulla planimetria di Camelot, a domande più specifiche su armi, cavalli e strategie militari. Nessuno nel castello si sentì abbastanza sicuro di sé da risponderle con più di qualche accenno e delle veloci scuse, prima di una fuga. Morgause arrivò con una scorta sontuosa e delle vecchie damigelle dalla pelle rovinata dal vento scozzese, vestite ed addobbate come le bambole di una bambina. Il banchetto era previsto per il giorno successivo quindi Morgause ed i suoi figli raggiunsero il re in una sala del trono occupata solo da Bedivere, la regina, Merlino, Kai e qualche cavaliere, tra cui Lancillotto. Morgause era bellissima. Aveva dei folti capelli di un ricco colore rosso come quelli di Gawain, delle mani delicate ed un delizioso bracciale dalla forma di drago. E gli occhi grigi erano quelli di Anna. Artù si era completamente dimenticato della donna con cui aveva giaciuto prima della battaglia con Cercic. Non era stato importante, era semplicemente stata una notte in cui una bella donna si era trovata lì. Una bella donna di nome Anna che gli aveva ricordato Kai, in un qualche modo. Quando Artù vide la sorellastra Morgause sorridere, con quelle piccole fossette attorno alla bocca, si lasciò sfuggire un singhiozzo e si accorse di aver oscillato solo quando sentì le mani di Bedivere e di Kai che lo sostenevano. "Fratello," esclamò Morgause, con voce mielata, "è passato molto tempo." "No- voi non siete Morgause," sussurrò Artù e Bedivere gli lanciò uno sguardo perplesso. "Sire, ferite i miei sentimenti. Sono Anna Morgause, vostra sorellastra e figlia del duca Gorlois e di lady Igraine," rispose la donna, con voce chiara ed alta. Sembrò voler aggiungere qualcosa, ma infine si limitò a sospirare e mordicchiarsi le labbra. "Siediti, Artù," gli ringhiò Kai, in un orecchio, ed il re si lasciò cadere sul trono dietro di lui. "Lasciate che vi presenti i miei figli," continuò Morgause ed Artù quasi non riusciva a sentirla. Si sentiva nauseato, stanco, tremendamente stanco e sapeva di essere impallidito. Oddio, che cosa aveva fatto? "Conoscete già il mio primogenito Gawain." Sono di passaggio, sentiva solo Artù, chiamatemi Anna. "E questi sono Agravaine e Gaheris." Immaginavo che voleste un po' di compagnia questa notte. "Questo piccolino è Gareth, è un vero principino dai capelli dorati come sua nonna." Mi dicono che dentro di voi scorre il sangue di un orso e di un drago. "Dei bambini incantevoli," intervenne Merlino ed Artù chiuse gli occhi, passandosi una mano sul volto. "Purtroppo ho dovuto lasciare il più piccolo alle Orcadi," continuò Anna Morgause, con un'aria così normale, così rilassata che Artù avrebbe voluto fuggire o colpirla. Il re sentì la mano di Kai sulla propria spalla e fu quasi tentato di coprirla con la sua. "Il piccolo Mordred ha solo qualche mese, ma appena diverrà più grande lo dovrete assolutamente incontrare." Ed Artù capì. Non seppe mai il perché. Forse Morgause era veramente una strega, o forse era l'aria soddisfatta con cui la donna aveva brillato dopo quelle parole, ma Artù capì subito che Mordred era suo figlio. Per quanto il re avesse voluto non aveva alcuna intenzione di alzarsi e fuggire. Perché era il re e già odiava Morgause così tanto da non desiderare darle questa soddisfazione. Ed inoltre era molto probabile che se si fosse alzato le sue gambe avrebbero ceduto e così il suo stomaco. "Siete proprio come mi immaginavo," esclamò Morgause, con una risata deliziata che nulla di aveva della freddezza di Elaine e della spigliatezza di Morgana. "Voi no," si lasciò sfuggire il re, con voce strozzata. "Spero di avervi sorpreso in meglio," replicò la sorellastra, come se nulla fosse accaduto. Prima che Artù potesse aggiungere che era stata una pessima sorpresa, Morgause batté le mani ad una delle sue damigelle e questa si avvicinò alla sua signora con uno scrigno di legno poco più piccolo di un metro di lunghezza, ma leggero all'apparenza. "Un dono per il nobile siniscalco di Camelot, l'uomo più vicino al re." Quanto sa? Si domandò Artù, osservandolo allarmata, ma gli occhi grigi di Morgause non rivelarono nulla quando la serva raggiunse Kai e si inchinò davanti a lui. "Aprite, vi prego." Kai guardò il proprio re con aria allarmata. L'aria nella sala sembrava essersi fatta glaciale. Tutti avevano notato la reazione del sovrano alla vista di Morgause, incomprensibile ed improvvisa, ma sapendo della reputazione della donna nessuno aveva dubitato che Artù avesse degli ottimi motivi per essere così scosso. "Di che dono si tratta?" "Una sorpresa che spero possa allietarvi la serata," rispose solamente Morgause e prima che Kai potesse allungare una mano per aprirlo o per cacciare il dono, Morgause scioccò aspramente le dita e la serve sollevò la piccola cassa. All'interno, tra cuscini di velluto rosso, vi era una testa mozzata. Kai aspirò brevemente e quando Artù lo vide oscillare su se stesso e rabbrividire, il re spostò nuovamente la sua attenzione sulla testa. "Quest'uomo è giunto alla mia corte desideroso di tradirvi, sire," li informò Morgause. Ed Artù poté distinguere nel pezzo di cadavere i nobili lineamenti di quello che era stato Severinus. "Vi ringrazio, Morgause," rispose Artù, di rimando, parlando per la prima volta senza tremori nella voce. E prima che Kai potesse retrocedere ancora e fuggire dalla stanza, il re gli afferrò l'avambraccio e lo trascinò fuori scusandosi con i presenti. Non importava che stesse fuggendo dalla sorellastra. Non voleva che lei vedesse Kai in quello stato. Il siniscalco aveva smesso di camminare e se ne stava immobile con una mano sulla bocca. "Devi-" iniziò Artù, convinto che l'altro stesse per vomitare. "Sto bene," dichiarò Kai, con la voce roca ridotta ad un sibilo. "Era Severinus." "Lo so. Non posso dire di essere dispiaciuto per la fine che ha avuto." "Lei lo sa. Artù, lei sa cosa sono, cosa ho fatto-" "Cosa hai fatto? Tu non hai fatto nulla. E cosa sei? Sei il mio siniscalco ed il figlio del nobile Ector, tutto il resto non importa." "No, no, no, no," insistette Kai, premendo i palmi della mani sulle spalle di Artù. "Se lei dirà- se dirà a qualcuno di Severinus tutti penseranno che io sia il siniscalco- che io sia qui per quello." "Nessuno oserà mai pensare ad una cosa simile," replicò Artù, a denti stretti. Probabilmente Morgause sapeva cosa avesse fatto Severinus perché aveva dato la testa a Kai benché avesse informato la corte che la colpa dell'uomo era stato voler tradire Artù. Ma il re non riusciva ad immaginare il vero scopo della donna. "Che cosa ti ha fatto?" domandò improvvisamente Kai, prendendo il viso del re fra le mani. "Ti ho visto, prima." "Nulla, non pensiamoci." Non voleva lasciare sulle spalle di Kai anche quel peso, quella colpa ed inoltre l'idea di dover parlare proprio a lui della sua debolezza e vergogna non gli sorrideva. Purtroppo Merlino scelse quel momento per raggiungerli, giustamente confuso e irritato. "Artù, hai lasciato tua sorella da sola senza un degno congedo e Gawain si chiede se il re non sia impazzito." "Merlino, hai visto anche tu quello che ha fatto." Il maestro dovette vedere il pallore di Kai ed il modo in cui in quel momento era aggrappato alle mani di Artù. "Ho visto. Ho visto anche il modo in cui hai reagito alla vista di Morgause." "Sei venuto qui per salvare l'onore di quella donna o ti stai solo impicciando?" sbottò Artù, sentendosi come al limite di una lunga corda tesa. "Ragazzino, ricordati che io sono dalla tua parte e che lo sono sempre stato fin da quando non eri nemmeno in grado di tenere in mano una spada." Artù distolse lo sguardo dal proprio maestro e si voltò nuovamente verso Kai, stringendogli le mani. "Non è niente," sussurrò appoggiando la fronte a quella dell'altro. Non gli importava se Merlino vedeva. Non gli importava nulla. "Artù," lo chiamò il siniscalco, respirando ancora troppo velocemente, ma chiaramente cosciente di non essere l'unico ad aver subito l'arrivo di Morgause. "Niente, non è successo nulla." "Artù, se c'è qualcosa che dobbiamo sapere-" intervenne Merlino, probabilmente sperando di rabbonire il re portando anche Kai e la corte intera nel suo 'noi'. "Nulla di cui voi dobbiate preoccuparvi. Riguarda me." "Sei il re, ora, riguarda tutti," ribatté il suo maestro, con freddezza. E Merlino non sapeva quanto avesse ragione. Perché aveva ragione. Qualsiasi dissapore Artù avesse con qualcuno riguardava ora tutto il regno. Qualsiasi nemico del re era nemico di Camelot. Ma avere un figlio era molto più che di un litigio fra fratello e sorella. Ed avere un figlio da sua sorella- "Merlino- conoscevo già Morgause." "Dove?" "A Londinium. Deve essere venuta assieme a Lot, prima della battaglia con Cerdic. Non sapevo fosse mia sorella, Merlino, non lo sapevo. Te lo prometto. Kai, diceva di chiamarsi Anna, non lo sapevo." Artù non si accorse nemmeno che la propria voce era diventata un sussurro. Non si rese conto delle lacrime sul suo viso, ma sentì solamente le braccia di Kai attorno a lui e la mano di Merlino sulla sua spalla.
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08-09-2010, 00.30.46 | #9 |
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Le luci del futuro
Artù non provò nemmeno ad evitare Merlino. Il maestro gli disse che Bedivere si era personalmente scusato con Morgause per il comportamento del re e con Urien per non averlo accolto al suo arrivo, dicendo che il re era momentaneamente occupato con un importante consiglio di guerra per il futuro della Britannia. Artù non era occupato con nulla di simile. "Non puoi continuare ad evitare tua sorella per sempre," lo rimproverò Merlino, trovandolo nella biblioteca del castello. Era il luogo più amato da Kai ed Artù iniziava a capire cosa vi trovasse il siniscalco in quell'umido antro silenzioso. "Non posso presentarmi da lei e dirle che so di averle dato un figlio." "Come ti ho già detto, Mordred potrebbe non essere tuo figlio." "Morgause è una donna astuta. Se non fosse sicura della sua paternità non sarebbe venuta qui a dirmelo." Merlino portò gli occhi al cielo. "Lei non è venuta a dirti nulla. L'hai solo presupposto." Artù si portò le mani alle tempie. Non era riuscito a dormire quella notte e la visita di Ginevra non l'aveva aiutato affatto. La regina sapeva che c'era qualcosa che turbava Artù, ma pareva troppo timida per chiedere e si limitava a fissare suo marito con uno sguardo preoccupato che rendeva il re leggermente nauseato. "Ho un figlio." "Non ne sei sicuro. Ma se tu avessi un figlio da Morgause sarebbe un problema. Persino uno stolto sentirebbe l'odore di vendetta attorno a quella donna." "Potrei portare Mordred a Camelot." Merlin scosse il capo e tentò di far capire al re quanto una simile idea fosse sciocca. Gawain era un cavaliere amato, era giovane ed aveva tradito il suo stesso padre per Artù. Rubare a Morgause un bambino sarebbe stata una pazzia (perché la donna non avrebbe mai lasciato andare Mordred volontariamente) e Merlino aveva visto quanto Gawain fosse stato pronto a difendere la madre, ad offendersi per lei alla minima parola. "Lo crescerà per odiarmi. Mio figlio." Lo crescerà per portare il caos a Camelot ed uccidere i futuri figli di Ginevra. "E' piccolo. Molti bambini muoiono giovani." Artù sollevò lentamente il capo dalle mani sudate ed osservò Merlino con occhi grigi e gelidi. Tutti dicevano che erano gli occhi di Uther Pendragon ed Artù sperò che contenessero la stessa forza che il padre aveva avuto. "Che cosa intendi dire?" "Nulla, sire." "Se provi anche solo-" "Artù, era solo un pensiero, un ragionamento sulla realtà. Non farei mai del male ad un bambino." Ciò a cui Artù stava pensando però era il desiderio di Merlino di farlo diventare un re ed un guerriero. Tutti gli anni della sua vita che aveva speso su Artù, per Artù. Per il suo sogno di Britannia. Merlino rise, come divertito da una simile idea, e lasciò il re ai suoi libri. Artù si sarebbe pentito per sempre di quel momento, quell'attimo in cui aveva deciso di non insistere, non chiedere, non ordinare. E quando, quasi un anno dopo, giunse la notizia che qualcuno aveva attentato alla vita del piccolo nuovo nato di Morgause, Artù capì di non essere stato abbastanza. Ma sarebbe stato ormai troppo tardi per rimediare al danno, alle crepe (e Gawain avrebbe iniziato a guardarlo con sospetto, mentre le suppliche della madre crescevano nel cuore del suo figlio cavaliere come le radici di un albero velenoso). Ma ancora nulla di quello era accaduto ed Artù, ancora un altro giorno, si nascose nella biblioteca. "Dovreste uscire, sire," gli disse il giorno dopo, la regina con una brocca di acqua in mano ed i capelli sciolti in un modo quasi confidenziale. "Ginevra, non dovete preoccuparvi per me." "Siete mio marito. Kai mi ha chiesto di portarvi dell'acqua." La richiesta del siniscalco scaldò il cuore del re che accettò con gioia il dono nonostante il senso di colpa per non aver provato gli stessi sentimenti alle preoccupazioni della moglie. Avrebbe voluto poter odiare Ginevra o farsi odiare da lei, ma la regina lo adorava, insisteva nel non voler nulla da lui, ma i suoi occhi lo supplicavano di amarla, di volerle bene anche solo un poco. "Come sta?" "Sembra scosso. Chiede spesso di voi, ma teme di disturbarvi." "Che stupido," sussurrò Artù, sorridendo. La biblioteca era silenziosa, ma piena di parole da narrare ed libri consolavano l'animo del re con racconti di dolori più grandi dei suoi e di lieto fine inaspettati. "Questa sera ci sarà il banchetto in onore delle vostre sorelle." "Sì. Immagino di non poter mancare." Ginevra scosse il capo, arrossendo nell'idea di dovergli dare una spiacevole notizia. "Cosa ne pensate delle mie sorellastre?" La regina balbettò qualche scusa prima di costringersi a rispondere con un: "Sono delle bellissime donne. Delle nobili dame." "E' davvero questo ciò che pensate di loro?" "Sono- particolari." "Immaginavo," sorrise il re, alzandosi e raggiungendo la sua sposa. Le passò un braccio attorno alle spalle. Ginevra era così minuta da parer scomparire fra le braccia del re. "Si chiederanno tutti che cosa mi sia preso." "Allora dovrete dare ai vostri ospiti altro su cui pensare." Ginevra solitamente non era a proprio agio nell'esprimere idee ed opinioni, soprattutto se davanti a uomini anche se vivere con Artù le aveva permesso di trovarsi spesso in simili situazioni. Il re non la lasciava fuggire facilmente e quando i due erano assieme, Artù le chiedeva spesso cosa lei ne pensasse su questo o su quello. Questa volta fu la regina a parlare spontaneamente, senza bisogno di essere spronata. La Tavola Rotonda. Ed Artù pensò che fosse un'ottima idea, cosciente che una parte di lui stava accettando per soffocare il senso di colpa che sembrava avvolgerlo di recente ogni volta che guardava la bella moglie. Ginevra aveva proposto al re che questi concedesse qualcosa ai suoi cavalieri più fedeli, coloro che volevano distinguersi dalle masse di codardi (non erano state le sue esatte parole) che aveva scelto di schierarsi con Lot o rimanere inermi durante la guerra. Un gruppo di cavalieri con alcuni privilegi, onori. Cavalieri che potessero avere l'invidia degli esclusi e per questo il loro desiderio di far parte di quella comunità vicino al re. Un modo per rabbonire Gawain ed una scusa per i giorni in cui Artù si era nascosto nella biblioteca, ovviamente. Ed è a questo che ho pensato, a come unirci tutti sotto il segno del drago, avrebbe detto il re al banchetto quella sera. E dopo aver annunciato la decisione di creare l'ordine della Tavola Rotonda ogni cavaliere avrebbe voluto farne parte. Ogni uomo avrebbe voluto farne parte. E forse all'inizio sarebbe stato solo perché era un'idea del re e come tale doveva essere amata, ma Artù era sicuro che le cose si sarebbero evolute. Un giorno i cavalieri avrebbero voluto far parte della Tavola Rotonda solo perché sarebbe stato l'ordine dei più rispettati uomini del regno. Artù non si rese conto dell'arma a doppio taglio che stava creando, ma mai si sarebbe pentito di questa sua decisione. Il banchetto per il festeggiamento andò meglio del previsto. Artù si ritrovò seduto accanto Ginevra da un lato e Kai dall'altro e la mano del siniscalco finiva spesso appoggiata quasi inaspettatamente sulla sua. Merlino pareva scomparso ed anche di questo Artù era grato. Solo il suo maestro ed il suo siniscalco erano a conoscenza del terribile segreto di Mordred, ma Merlino era l'unico che continuava a riportare a galla l'argomento, chiedendogli di agire, fare, pensare. Elaine era incantevole. Aveva una bellezza gelida ed il marito sembrava perfettamente consapevole degli occhi dei cavalieri su di lei. La portò ad inginocchiarsi davanti al fratellastro come facendola sfilare e mostrandola al mondo, orgoglioso di lei, bevendo dalla sua luce. Anche Morgana giunse ad inginocchiarsi davanti ad Artù prima di prendere il suo posto vicino ad Elaine. Non era molto diversa dalla prima volta in cui Artù l'aveva vista. L'incantevole abito dorato non fece nulla per renderla più bella o meno rude. Sorrise, perfettamente a suo agio nel proprio corpo, torreggiando sul piccolo marito Urien che la osservava come un uomo perdutamente innamorato. "Regina," disse solamente la donna, quasi ignorando il fratellastro, "siete incantevole." Il complimento sembrò sorprendere Ginevra perché questa non riuscì nemmeno a balbettare un gentile "Anche voi", prima che Morgana ed Urien raggiungessero il loro posto nelle due ale di tavole ai fianchi del posto del re. Morgause, invece, entrò nella stanza come se la possedesse. Gawain la seguì al fianco, sostituendo il marito defunto, e dietro di lei i suoi cuccioli ubbidienti. La donna vestiva completamente di nero, ricordando con poca grazia il recente lutto. I capelli raccolti strettamente in una rete di maglia dorata la parevano rendere vecchia, anziana di molti anni e stanca. "Sire, sono lieta di vedere che vi sentite meglio. Ed anche voi, nobile siniscalco." Artù si limitò ad annuire. Non si fidava della propria voce. Sei la madre di mio figlio. "I miei figli vi porgono i loro omaggi." "Vi ringrazio, Morgause, per il vostro dono," intervenne Kai, inaspettatamente. Aveva il volto pallido e la mano su quella di Artù era leggermente sudata, ma la sua voce non tremò. "Sono felice," sorrise la donna e sembrò davvero sincera. Era la sua sorellastra. Sua sorella. Quelle tre donne erano le sorelle alle quali tanto Artù aveva pensato e sperato ed ora che erano entrate nella sua vita, il re voleva solo vederle scomparire. Non voleva scoprire cosa c'era dietro lo sguardo di disprezzo di Elaine. Non voleva cadere nuovamente nel sorriso di Morgause, così dolce e così bruciante. E benché per Morgana provasse sentimenti contrastanti, era sicuro che la sorellastra non lo avrebbe mai rispettato o considerato altro che un usurpatore ed Artù si sarebbe anche per lei ritrovato vittima di un'invidia fatta di pregiudizi. Gli dei ascoltarono le sue preghiere nel modo più crudele e beffardo possibile. Elaine morì di parto pochi anni dopo, lasciando al giovane figlio futuro cavaliere un'eredità di nostalgia e tristezza. Morgana si chiuse nel proprio castello, dopo la morte di Urien, e tentò in tutti i modi di attirare a sé nuovi cavalieri, rubarli al fratello, creare un proprio esercito, un sogno che non si sarebbe mai realizzato. In molti narravano che dentro il corpo della strega Morgana si celasse un condottiero mancato, un condottiero di altri mondo condannato a vivere in lei. Anche Morgause scomparve, rannicchiata nel suo castello delle Orcadi, crescendo piccole erbacce e lasciandole andare quando più pronte a distruggere il mondo attorno a loro. Ed Artù avrebbe dovuto desiderare che la donna non morisse mai perché fu proprio la sua morte, quasi vent'anni dopo, che svelò al re il mistero dei sui figli: Morgause era sempre stata l'unica persona in grado di controllarli. Rhelemon singhiozzò scoppiando a ridere in un turbinio di bolle di saliva. Artù fu costretto ad allontanarla leggermente da sé, tenendola alta e la bambina non fece altro che scalciare ancora più divertita. "Oh, Rhelemon, stai sputando saliva ovunque," sorrise Artù. La bimba sputacchiò ancora un poco, sempre più emozionata, come se il re le avesse appena rivelato il segreto più divertente del regno. "Guarda là, Rhelemon, c'è tuo padre, il nobile siniscalco di Camelot," esclamò il re, voltando la bimba verso l'entrata della stanza. Kai aveva tra le mani una pergamena arrotolata e sul volto delle profonde occhiaie, ma erano quattro giorni che non aveva incubi (e quattro giorni che Artù non visitava Ginevra). "Noi amiamo Kai," rise il re, nascondendosi dietro la schiena della bambina. "E Kai ama voi," rispose il siniscalco, riprendendosi la figlia. Era la cosa più vicina ad un ti amo che Kai gli avesse mai detto ed Artù gliene fu grato. L'aria di Camelot sembrava essere tornata serena. Tesa e serena, perché Cerdic pareva radunare sassoni come un'ape regina, ma non più gelida e piena di disagio come nel periodo in cui le sorellastre del re avevano dimorato al castello. "Devo riportarla dalla balia," lo informò Kai ed Artù sorrise, sapendo cosa l'altro stesse davvero chiedendo. "Ti aspetto qui." Kai uscì con la bambina mentre Rhelemon iniziava già ad intraprendere il nobile tentativo di mangiargli i capelli rossi. Oh, Artù la capiva. Anche lui adorava i capelli di Kai. Ci vollero pochi minuti d'attesa per rivedere il suo siniscalco ricomparire nella propria stanza. Minuti nei quali Artù evitò fermamente di pensare al mondo al di fuori delle mura di quel piccolo santuario. Voleva dormire, voleva la Villa, voleva tornare indietro. "Stavo pensando che anche a me piacciono i tuoi capelli," sorrise Artù, quando Kai lo raggiunse e si sedette sul letto, accanto a lui. Dormivano spesso assieme, si addormentavano l'uno accanto all'altro, anche in orari improponibili dopo nottate passate a firmare carte, ascoltare consigli e preparare il futuro del regno. La stanza del siniscalco aveva assunto ormai una luce quasi accogliente agli occhi di Artù ed il re era sicuro che gli sarebbe stato difficile riuscire a dormire senza l'odore di Kai tra le coperte. E Kai, a volte, lo baciava. Quando Artù meno se lo aspettava, l'altro uomo si voltava verso di lui e gli lasciava un bacio sul collo, sulla guancia o sulle labbra. Altre volte dormiva steso completamente sul fianco del re ed Artù non si lamentava mai dei nervi del suo povero braccio schiacciato perché non avrebbe mai avuto cuore di sposarlo. "Notizie da Mark?" chiese il siniscalco lasciando che il re rigirasse fra le proprie dita alcune ciocche di capelli rossi. "Nulla. Dicono che Tristano abbia lasciato la Cornovaglia e si sia finalmente dimenticato Isotta." "Credi che verrà qui?" "Forse. E' un amico di Lancillotto e potrebbe decidere di rifugiarsi a Camelot. Mark non si metterebbe un'altra volta contro di me." Kai prese le mani di Artù fra le sue, passando le proprie dita in quelle dell'altro. "Lancillotto è molto amato." Il re annuì. Era vero. Lancillotto era probabilmente il cavaliere più amato della Tavola Rotonda. Artù aveva organizzato dei tornei, per tenere sveglia l'attenzione dei suoi cavalieri nell'attesa di Cerdic, ed il figlio di Ban li aveva vinti tutti. Gli uomini lo acclamavano come il cavaliere più forte del regno e le donne inviavano richieste a Lancillotto perché questi potesse scegliere una di loro come moglie e lui le rifiutava tutte. "Dicono che sia innamorato della regina," aggiunse Kai, con cautela. "Dicono che io sia innamorato del mio siniscalco," sorrise Artù, chinandosi su di lui e strofinando il proprio naso contro la sua guancia. "Non è vero, nessuno dice nulla di simile." Nonostante ciò che avevano temuto, Morgause non aveva reso noto niente di ciò che era accaduto in passato con Severinus. "Ed è diverso. Ciò che dicono su Ginevra e Lancillotto è pericoloso." "Sono solo voci. Passeranno e poi si metteranno a parlare di Lancillotto e Gawain o di Palomede e Isotta." Kai aprì la bocca per esclamare ancora una volta, testardamente, la sua preoccupazione, ma il re pareva particolarmente di buon umore e non si offese più di tanto quando Artù gli impedì di parlare leccandogli le labbra. "Non voglio palare di Gawain ora," continuò Artù, stendendosi nel letto del siniscalco ed osservando l'altro uomo che si sdraiava accanto a lui. Avrebbe voluto vivere per sempre in quel letto. E non pensare a Gawain. Alla amicizia piena di rivalità tra Gawain e Lancillotto, ai cavalieri che, desiderosi di far parte di un gruppo, si schieravano con l'uno o con l'altro. Alla voce di Gawain che gli diceva: Mio fratello Mordred vorrebbe diventare un cavaliere. Biografia del silenzio: Prologo Fu Morgause ad impedire a Mordred di smettere di parlare quando il mondo divenne silenzio. Morgause era sempre stata una donna testarda, una donna che sapeva perfettamente ciò che voleva e che mutava il mondo a suo piacimento, plasmandolo come creta. Una donna che si era sempre creduta una sorta di giusta dea vendicativa. Quindi fu per merito suo se Mordred divenne ciò che poi tutti conobbero, nel male o nel bene. Ed anche se non fu lei ad accudire il figlio colto da quella terribile febbre, perché non sopportava di vedere i suoi figli stare male, fu però Morgause a rimanere accanto a Mordred quando questi si rintanò tra le coperte del piccolo letto, nascosto dal mondo privo delle urla dei gabbiani. Era a lei che le preghiere di Mordred andavano. Ed anche le sue maledizioni. "Ho fatto tutto questo per una ragione e non sarai tu a rovinare i miei progetti," gli aveva detto Morgause, dopo aver scoperto che la febbre aveva rubato al figlio la capacità di sentire. Fortunatamente Mordred non aveva sentito, ma l'espressione della madre non lasciava spazio all'immaginazione. Fin da quando era bambino, Morgause gli aveva parlato del crudele Artù, del falso Artù che aveva mandato nel suo palazzo un terribile uomo di nome Severinus per fare del male ai suoi figli. Del sanguinario Artù che mandava cavalieri su cavalieri in battaglie disperate contro i Sassoni, perché incapace di ammettere la propria incapacità. La prima parola che Morgause gli aveva insegnato fu Giustizia ed anche se Gawain un giorno urlò che la giustizia delle Orcadi sapeva di vendetta, Mordred non poteva fare a meno di ritornare ai suoi giochi di fanciullo in cui la Giustizia calava dal cielo a salvare la madre dal freddo destino del nord e cacciare il falso re da Camelot. La seconda parola che imparò fu Merlino, subito seguita da Rapimento. Tutti alle Orcadi conoscevano la storia di come re Artù avesse mandato il suo fidato Merlino a rapire Mordred per poterlo affogare. I racconti di Morgause non risparmiavano sui particolari, descrivendo i dettagli del ritrovamento del bambino, irrigidito dal freddo e con i polmoni piedi d'acqua. Fu uno dei motivi per cui Mordred non imparò mai a nuotare. Temeva che l'acqua capisse di aver fatto uno sbaglio a lasciarlo vivo e lo volesse nuovamente portare via con sé. Giustizia fu anche la prima parola che Mordred disse quando smise di sentire. Fu difficile dirne altre perché non gli ci volle molto per uscire da quella terribile febbre che aveva rischiato di ucciderlo all'età di dieci anni e scoprire che sua madre gli stava parlando, ma lui non riusciva a sentirne la voce. Parlare è difficile quando non si sente ciò che si dice. Come lo sto dicendo? Troppo alto? Troppo basso? Ma Morgause non si lasciò intimidire. Gli parlò tutti i giorni e l'unica opzione fu imparare a leggere le labbra veloci della madre o venire colpiti dalla sua mano. Imparò a risponderle a voce, sempre un po' troppo piano per paura di urlare, e scoprì che il trucco stava nel togliere dalle parole qualsiasi emozione. Le parole emozionate erano sempre stata difficili, con lettere troppo arrotolate o tremolanti. Agravaine non perse mai tempo a fargli notare queste parole e fu sempre con un rabbioso rossore che Mordred imparò a correggersi. Morgause non gli permise mai di smettere di parlare e di questo Mordred le fu grato.
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08-09-2010, 18.45.26 | #10 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Carini i tuoi racconti... però moooolto lunghi
Ciao
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