28-07-2010, 18.22.12 | #1 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il Cavaliere di Semifonte
IL CAVALIERE DI SEMIFONTE
"Va Firenze, fatti in là Semifon divien città" I L’Autunno stava già avanzando, facendosi annunciare da quel velato chiarore, appena accennato dal giallino che cominciava a diffondersi sui verdeggianti colli, ancora vigorosi e nutriti dall’Estate appena conclusa. I Cipressi, alti e ritti verso il cielo, rappresentavano forse alla perfezione l’animo indomito di queste antiche e nobili terre, con le loro cime che solo a stento si chinavano sotto l’energico soffio del vento. Barberino Val d’Elsa, adagiato su quei rigogliosi colli, sembrava come incantato, con la sua mite bellezza che al solo guardarla scaldava e rasserenava il cuore. La piccola e consumata stradina, battuta da mercanti e viaggiatori soprattutto nelle stagioni calde, correva zigzagando tra le conche e le colline che animavano quel rassicurante scenario, interrotta di tanto in tanto da qualche isolato casale o dai resti di abbandonate ville nobiliari. Ed all’ombra proprio di alcuni cipressi, i due giovani trascorrevano spesso i loro pomeriggi. “Non credo potrei mai vivere lontana da queste terre…” disse lei osservando il paesaggio circostante “… ma se tu partissi domani stesso so per certo che ti seguirei.” “Perché mai dovrei partire?” Chiese lui senza aprire gli occhi e continuando a tenere le mani dietro la nuca. “Non so…” rispose lei chinando leggermente il capo “… so solo che ti seguirei in capo al mondo…” “Ma è questo il nostro mondo!” Esclamò lui, aprendo finalmente gli occhi e cominciando ad osservare quel bellissimo paesaggio. Gaia era una tipica bellezza del posto. Eterea ed aggraziata, delicata nella figura e gentile nei modi. I suoi colori erano quelli del cielo di queste terre, chiari e luminosi. Il biondo dei suoi capelli, la pelle di un tenero rosato ed i grandi e profondi occhi verdi conferivano trasparenza e purezza al suo bel viso. Icaro invece non riusciva a trasmettere la stessa trasparenza nella figura. Bruno, con la pelle chiara ed il fisico asciutto, nell’atteggiamento e nei modi tradiva una certa inquietudine che sembrava non abbandonarlo mai. I lineamenti, sebbene gradevoli e puliti, erano spesso contratti in un’espressione pensierosa e fiera, come se un qualcosa di indefinito gli attraversasse costantemente la mente. Ma erano gli occhi i soli passaggi obbligati per giungere all’animo di Icaro. Occhi che sembravano voler tenere imprigionata un’anima indomita, tormentata, dietro l’azzurro scintillante del loro colore. Eppure, talvolta, quegli occhi parevano allentare l’intensità della loro morsa, lasciando libera così quell’anima. Libertà di seguire gli slanci e le passioni di un cuore che sembrava pulsare solo per i sogni che faceva. “Icaro…” disse Gaia “… mi vuoi bene?” “Io ti amo, gioia mia.” Rispose lui. “Ne dubiti, forse?” “No… mai… ho solo paura che un giorno tutto questo possa finire.” “E perché mai?” “Non so…” rispose lei “… forse sono solo sciocche paure le mie…” “Vieni qui, piccola…” Lei allora poggiò il capo sul petto di Icaro, racchiudendosi nel suo rassicurante abbraccio. E restarono così fino a quando il Sole non scomparve nella foschia che avvolgeva le colline lontane. “Ieri con mio padre visitammo un posto speciale…” disse lei. “Che posto?” Chiese lui. “Credo sia magico…” rispose lei “… domani lo visiteremo insieme… sono sicura che ti piacerà…” L’indomani, verso il mezzogiorno, i due ragazzi, attraverso una stradina poco battuta e conosciuta, raggiunsero una piccola collina completamente deserta. Su di essa non sorgevano né case, né chiese. L’unica costruzione che animava quel singolare scenario era una piccola cappella. I due giovani si avvicinarono alla modesta costruzione. “Ma questo è San Michele!” Esclamò Icaro, indicando l’affresco che si trovava in essa. “Si, amore mio.” Rispose lei raggiante. “E’ bellissimo…” sussurrò Icaro “… lui è il primo angelo delle Milizie Celesti… ed è anche il simbolo della vera cavalleria…” “Sapevo che ti sarebbe piaciuto vederlo.” “Io un giorno, ti giuro Gaia, diventerò un cavaliere.” Disse Icaro senza togliere mai lo sguardo da quel ritratto. “Diventerò il cavaliere più grande che sia mai nato. Lo giuro.” E si segnò tre volte. Lei lo fissava senza dire nulla, affascinata com’era dalla passione e dai sogni del suo amato. (Continua...)
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28-07-2010, 18.35.21 | #2 |
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lo letta dal inizio alla fine bellissima storia d'amore e speriamo che Icaro diventi un cavaliere Sir Guisgard adoro le vostre storie sono sempre piu affascinanti e piene d'amore
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fabrizio Ultima modifica di cavaliere25 : 28-07-2010 alle ore 18.52.34. |
28-07-2010, 18.43.12 | #3 |
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Il cavaliere di Semifonte... Barberino... che dirvi, sir? Casa, dolce casa!
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28-07-2010, 19.02.39 | #4 |
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Un bellissimo racconto, i racconti che in essi hanno sogni veri e sentimenti vissuti......sono i piu' toccanti.............Diventare un cavaliere......il sogno di ogni uomo dal cuore umile
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28-07-2010, 21.14.12 | #5 |
Dama
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Che meraviglia!!! Oddio quanto mi emozionano queste storie di sentimento e di passione e in più tra persone dai cuori semplici....
Grazie Guisgard |
28-07-2010, 21.29.20 | #6 |
Cittadino di Camelot
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che bella coppia...
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29-07-2010, 05.23.44 | #7 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Sono lieto che questa storia vi stia piacendo.
Avevo un debito. Un grande debito, verso una terra che mi ha accolto e dato tanto. E questo è l'unico modo che conosco per sdebitarmi. Grazie a tutti per le vostre belle parole
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29-07-2010, 20.41.21 | #8 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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IL CAVALIERE DI SEMIFONTE
II Il vento sibilava leggero sul colle, quasi a non voler turbare l’austera tranquillità di quel luogo. L’aria era fresca e già il crepuscolo accennava i suoi primi colori nel cielo. “Che posto è questo, Gaia?” Chiese Icaro come rapito da un qualcosa di magico che sembrava celarsi in quel luogo. “Qui, proprio dove c è la cappellina di San Michele sorgeva un tempo un’antica città.” Rispose lei. “Una città?” Ripeté lui. “Si, una città fiera e fiorente.” “Quale era il nome di quella città?” Domandò Icaro. “Semifonte…” rispose lei quasi con un sospiro. “E com’è perita?” “A causa di una lunga e violenta guerra contro Firenze.” Rispose lei. “Una guerra che la condusse alla rovina. Vinta infatti dalle armate gigliate dei fiorenti, Semifonte fu rasata al suolo e su queste terre i vincitori imposero il veto assoluto di costruire. E come vedi non c’è nulla qui… nulla tranne che la piccola cappella di San Michele.” Icaro ascoltò in silenzio quella storia. Il silenzio che dominava intorno a loro sembrava solo scosso da quel mite sibilo di vento. Un vento che pareva condurre sul suo alito i lamenti di quel luogo. “Mio padre mi dice sempre” aggiunse Gaia “di ascoltare quando mi trovo qui. Per molti questo è un luogo maledetto, dimora di una città fantasma… ma se sai ascoltarlo esso ti saprà raccontare la vera storia di Semifonte.” “Sei triste, gioia?” Chiese Icaro accorgendosi della malinconia che traspariva dal suo bellissimo sguardo. “No…” rispose lei come destandosi “… sono qui con te… non posso essere triste.” I due allora si unirono in un caldo bacio, dopo essersi sorrisi. Passeggiarono poi nei dintorni, ammirando l’incanto del panorama che si apriva attorno a loro. E quando furono stanchi, si riposarono all’ombra di un robusto albero. “Sai che vi è un’antica leggenda legata a questo luogo?” Cominciò a dire lei. “Una leggenda? Quale?” Chiese lui incuriosito. “Si narra che poco prima della fine, alcuni tra gli abitanti di Semifonte siano riusciti ad uscire dalle mura assediate ed a portare fuori il tesoro della loro città.” “Un tesoro? E dove si trova ora questo tesoro?” Chiese Icaro. “Mio padre racconta di molte voci che giurano sia stato nascosto non lontano da qui.” “Immagina trovarlo!” Esclamò lui. “Il tesoro di una città che fece tremare la grande Firenze, la Novella Atene! A cosa non si potrebbe ambire con un simile tesoro?” “Non ne ho idea.” Rispose lei osservandolo. “Io invece ne avrei di idee! Ed anche tante!” Esclamò lui. “Comprerei un feudo e ci vivrei come un gran signore! Avrei le migliori armi che mi renderebbero un invincibile cavaliere!” Gaia lo ascoltava divertita. Amava ascoltare i suoi sogni, i suoi desideri. “E se la vita di palazzo cominciasse ad annoiarmi” continuò lui “allora partirei per mille e favolose avventure! Tanto grandi come la cavalleria mai ne ha conosciute!” “Ed io?” Chiese lei. “Io non ci sono nei tuoi sogni?” “Ma amore mio adorato…” rispose lui prendendola fra le braccia “… tu sei il mio sogno più grande… il mio vero ed unico tesoro.” Trascorsero così tutto il giorno in quel luogo da molti ignorato e dimenticato. E lì erano come un principe e la sua principessa. Governavano sui colli addormentati ed i loro sogni potevano spaziare senza freni nell’infinito orizzonte che li circondava. Ma una volta tornati a Barberino, l’incanto del pomeriggio svanì in un instante. Il borgo infatti era ormai da tempo tartassato dagli scontri di due opposte e feroci fazioni: i Guelfi ed i Ghibellini. I primi erano legati al papa, mentre i secondi erano fedelissimi della casa imperiale. E proprio la notizia diffusasi da poco, della discesa dell’imperatore in Italia, aveva riacceso gli animi e l’astio fra le due parti. Ovunque le strade erano luoghi pericolosi da evitare e ad ogni angolo scoppiavano risse e duelli. L’odio non dava tregua, trasformando la cittadina in un posto dove era ormai diventato difficile non solo vivere, ma anche appena sopravvivere. Quella notte Icaro non riuscì a prendere sonno. Non erano la violenza e la paura a turbarlo, ma un singolare ed irrazionale pensiero. Continuava infatti a pensare a quel luogo dimenticato, dove Gaia gli aveva parlato di Semifonte. E davanti agli occhi tornava ad apparirgli la piccola cappella di San Michele Arcangelo. (Continua...)
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29-07-2010, 21.12.39 | #9 |
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E' un amore tenero e innocente fatto di sogni^_^ già mi appassiona
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30-07-2010, 16.47.35 | #10 |
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IL CAVALIERE DI SEMIFONTE
III E mentre la notte trascorreva inquieta, Icaro fu destato da alcuni rumori. Scese allora di corsa giù e vi trovò la sua vecchia nonna a fissare il portone. “Cosa è stato?” Chiese lui. “Non so…” rispose lei “… ho udito come dei passi e poi dei colpi. Provenivano dalla strada credo…” “Forse sono scoppiati nuovi scontri…” disse Icaro. “Che siano maledetti!” Esclamò la nonna. “Perché non ci lasciano in pace?” Ad un tratto i loro discorsi furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta. “Chi è?” Chiese Icaro. “Siamo amici…” rispose una voce da fuori. “Non aprire, non conosco questa voce!” Disse la nonna. “Che amici?” Chiese Icaro facendo segno alla nonna di non parlare. “I miei amici hanno tutti un nome! Il vostro qual è?” “Sono Ubaldo de’Bardi…” rispose la voce da fuori “… ero amico di vostro nonno…” “Non aprire!” Disse la nonna. “Cosa volete a quest’ora?” Chiese Icaro. “Sono con dei compagni…” rispose Ubaldo “… uno dei nostri è ferito. In nome del Cielo aiutateci!” “Potrebbe essere una trappola.” Disse Icaro. “Non lo è, vi giuro!” Aprite o per noi è la fine! Sul mio onore, vi invoco da cristiano!” Icaro allora, sotto gli occhi spaventati della nonna, aprì la porta. Un attimo dopo 5 uomini entrarono dentro richiudendo poi la porta dietro di loro. “Dio vi benedica…” disse Ubaldo “… credevamo di essere ormai perduti.” “Perché portate le vostre faide in casa mia?” Chiese Icaro. “Io, come mio nonno, non mi sono mai immischiato in queste assurde lotte. E voi invece stanotte proprio qui venite a bussare.” “Perdonatemi, messere, ma se non avessimo bussato alla vostra porta, stanotte stessa avremmo varcato quella dell’Inferno!” “Cosa volete qui?” Chiese Icaro. “Solo protezione?” “No, messere.” Rispose Ubaldo “Non vi avremmo coinvolti solo per sfuggire ai nostri nemici.” “E allora cosa cercate qui?” “Il mio compagno Massimo…” indicò uno dei suoi Ubaldo “… è ferito. Ha bisogno di cure.” “Portatelo in quella stanza.” Indicò Icaro. “Presto, prendete il necessario per poter curare quell’uomo.” Disse poi alla nonna. Così, a quello sfortunato furono prestate le cristiane cure. “Avete detto di non esservi mai immischiato negli scontri tra Guelfi e Ghibellini…” chiese Ubaldo ad Icaro, mentre questi lavava la ferita al suo compagno. “Si, è vero.” “E perché mai?” Domando Ubaldo. “Non è forse sangue quello che vi scorre nelle vene? Non siete forse voi un uomo come lo sono io o ciascuno dei miei compagni?” “E’ curioso…” “Cosa è curioso?” Chiese Ubaldo. “Il metro che utilizzate per definire chi è uomo da chi invece non lo è.” “Come fate a starvene qui, con le mani in mano, mentre tutti lottano per qualcosa?” “E per cosa lottate voi invece?” Chiese Icaro. “Per l’imperatore? Per la Chiesa?” “Nell’accoglierci, non ci avete fatto domande… non vi interessa sapere a quale fazione apparteniamo?” “Non mi interessa.” Disse Icaro. “Una vita senza ideali” sentenziò Ubaldo “non è degna di essere vissuta!” “Li chiamate quindi ideali?”Chiese Icaro. “Così allora definite le risse e gli omicidi? Le liste di proscrizione e le confische? Per arrivare a cosa? Ai processi ed alle condanne?” “Tutto ha un suo prezzo da pagare nella vita.” “E per cosa poi?” Chiese Icaro. “Per finire così? Come questo sfortunato?” Indicò poi l’uomo che stava curando. “Non vi comprendo…” “Sono quelli come voi che rendono questo mondo la grande tragedia che è!” Disse Icaro. “Allora perché ci avete aiutato?” “Perché sono un cristiano.” Rispose Icaro. “L’impero e la Chiesa per me non sono nemici, ma solo due facce della mia Fede religiosa.” Ubaldo lo fissò senza rispondere nulla, incuriosito ma anche affascinato dal giovane che gli stava davanti. (Continua...)
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