05-05-2017, 05.11.52 | #1 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il mistero delle Cinque Vie
Tutti i luoghi, le strade e le dimore descritte in questo Gdr sono realmente esistenti e situate nell'antica contrada Afragolignonese delle Cinque Vie, così come esistente è la nobile stirpe degli Altavilla.
Anche i suoi segreti ed i suoi misteri sono realtà. PROLOGO La brughiera appariva muta e spettrale come un sepolcro, sovrastata da un manto di infinite nuvole di un bianco cupo, simile ad un immenso sudario pronto dal Cielo a coprire tutta la Terra. In tutto il feudo pullulavano sensazioni contrastanti e diversissime, quali l'impazienza, la paura, la curiosità, l'eccitazione, l'angoscia e la peggiore di tutte, ossia l'indifferenza. I pedoni, uguali a pecore belanti al giogo di un pastore invisibile, risalivano le stradine della contrada, attraversando piazze e vicoletti, mentre tutt'intorno fervevano i preparativi, mettendo a posto le sedie, predisponendo dei palchi sorti per l'occasione e parando finestre ancora vuote. Al rintocco della campana tutto lo spettacolo sarebbe cominciato. Man mano che ci si avvicinava alla Rotonda dei Migliori la folla si faceva più fitta ed ogni schiamazzo, voce e suono andava perdendosi in quella sterminata Babele che animava l'intera contrada delle Cinque Vie. Sulle numerose teste dei presenti solo due cose si ergevano: la colonna sormontata dalla Croce e gli alti ceppi del rogo. Sulla legna ammassata alcuni uomini gettavano erbe profumate ed aromi, tra cui il finocchio, emblema così dei molti rei di sodomia condannati per tale colpa, affinchè l'olezzo delle carni carbonizzate in seguito all'arsura non giungesse ad appastare il centro abitato. Due individui stavano ai piedi del rogo mangiando pane, salsiccia, formaggio e bevendo vino rosso simile a sangue caldo. A quella vista il condannato, che era rimasto impassibile fino a quel momento, nonostante gli insulti della folla ed al lancio di pomodori e frutta marcia, sentì un sudore freddo sgorgargli da ogni poro della pelle. Il reo era stato trasportato lì dal carcere vecchio, dove aveva trascorso la notte assistito da un Domenicano che inutilmente aveva cercato di strappargli una richiesta di perdono per i suoi peccati. L'intera contrada appariva come un vasto ed affollato anfiteatro, con il suo brulicare di teste, molte delle quali di donne con i loro bambini, tutti ansiosi di poter assistere allo spettacolo. Rollone d'Altavilla, signore delle Cinque Vie, aveva giurato sin dalla sua nomina a vassallo dei Taddei di schiacciare ogni forma di eresia ed ateismo con tale violenza da spingere i condannati a preferire le pene eterne dell'Inferno, anziché vivere nelle sue terre. Ma negli occhi dell'eretico, freddi ed inanimati, nessuno aveva visto scorrere qualcosa che anche lontanamente poteva definirsi paura. Alto e magro, quasi scarno, dal viso emaciato e l'espressione torva, gli occhi piccoli ed i capelli lunghi e grigi, appariva indifferente a tutto. Lo conoscevano semplicemente con l'epiteto del Rosso e da sempre aveva suscitato nei suoi simili, ammesso che un uomo come lui potesse assomigliare agli altri, inquietudine e biasimo. Si definiva un alchimista, ma per tutti era un potente stregone che rinnegava il Cielo e la sua Chiesa. Il calesse su cui, incatenato, l'eretico veniva condotto al rogo si arrestò a pochi passi da quell'austero patibolo. Un chierico incappucciato gli si avvicinò, quando fu fatto scendere dal carretto, porgendogli un Crocifisso che lui con sdegno rifiutò di baciare. Allora un nuovo rintocco della campana sancì un cupo silenzio che scendeva sulla piazza. Così il chierico cominciò a recitare alcune orazioni, invocando infine il Perdono dell'Onnipotente sull'anima del condannato. Dopo ciò i due uomini che fino a poco prima erano stati impegnati a mangiare ed a bere si impadronirono del reo, portandolo sul rogo e legandolo con forza. Uno dei due prese una lunga e robusta mazza di ferro con la quale colpì le braccia del condannato, strappandogli un lungo grido di dolore. I due uomini accesero infine i piedi di quel rogo, che in un attimo fu avvolto da un fumo nero e fiamme sempre più alte e minacciose. “La vostra è la giustizia degli uomini...” disse urlando il Rosso alla folla, con lo sguardo rivolto verso il Palazzo degli Altavilla “... della follia... dell'ignoranza... della superstizione...” mentre il fuoco ed il fumo avvolgevano il rogo “... ma una giustizia superiore mi darà soddisfazione... quella della natura... io ti dico... popolo di questa contrada maledetta... ti dico che tornerò... è il nome del mio sangue che grida... tornerò e vi vedrò marcire nel vostro di sangue... che maledetto sazierà la terra come gli escrementi degli animali impuri...” Il fuoco allora lo prese, consumandogli lentamente le carni e seccandogli il sangue, nella più orribile delle morti. IL MISTERO DELLE CINQUE VIE Episodio I: Le ombre della brughiera “Lo stolto pensa: «Non c'è Dio».” (Salmo 13) Prendete qualsiasi sentiero vi piaccia e nove volte su dieci vi condurrà nel verde. Il verde ha qualcosa di magico, di ancestrale che strappa gli uomini al grigiore delle città e li conduce verso prati fioriti, campi incolti, foreste misteriose e vallate sconfinate. Il verde è ovunque, ci circonda, ci racchiude, ci racconta. Il verde è il colore dei nostri sogni, poichè di esso è tinta la speranza e dunque il desiderio stesso. Il verde è come uno specchio dove ogni uomo può vedere riflesso se stesso ed il proprio Destino. Il verde tinge la Terra, la sola cosa che si estende tra il cielo ed il mare, delimitandoli ed unendoli allo stesso tempo. E nulla al mondo è più verde, affascinante, selvaggio e misterioso della brughiera Afragolignonese. Nel ridente distretto delle Cinque Vie, delimitato proprio dal ducato della felice Capomazda e la capitale, tutto sembrava scorrere staticamente come sempre, come da secoli avviene in questo vecchio angolo dell'Antico Regime. Il frumento riempiva fecondo i granai, gli ultimi carciofi erano stati raccolti ed i rossi lamponi gremivano le casse delle botteghe. Le normali attività animavano contadini ed artigiani, con la contrada immersa nel silenzio primordiale della brughiera. Era un mattino velato di foschia che man mano andava dissipandosi in un leggero alone di vapore appena screziato dai raggi del Sole, che filtravano tra le foglie intrise di rugiada e lo sfolgorio delicato dei fiori di campo. Tutto dunque procedeva come sempre, nonostante invece quella vaga inquietudine, quell'angoscia soffusa che ormai inevitabilmente era scesa su tutti gli abitanti del posto. I due cadaveri ritrovati, appartenuti ad una contadinella e ad un bambino, avevano finalmente scosso dal torpore la gente della contrada. Ma mentre nella bassa borgata la vita scorreva come sempre, nel palazzo degli Altavilla, i signori delle Cinque Vie, alcuni nobili ed alti borghesi si erano radunati per una cena che aveva preso una piega inaspettata. “Signori...” disse il dotto Ennius ai presenti “... come ben sapete, il maggior ostacolo per svelare l'effettiva veridicità di ciò che comunemente affermiamo essere un mistero sta nel produrre fatti in grado di chiarire la sua natura... tuttavia, quando i fatti sono presenti e dimostrabili anche il più inguaribile degli scettici, per quanto possa accanirsi, dovrà infine accettare ed ammettere la validità di quanto accertato...” spostando gli occhi verso uno di coloro che lo ascoltavano “... siete d'accordo su questo, monsignor Kismy?” “Per quanto mi riguarda...” rispose il chierico col suo accento straniero “... i fatti possono anche essere convincenti, però è la conclusione che se ne trae che può essere sbagliata.” “Avanti, monsignore...” divertito Fabbrio, il capocomico del teatro privato del palazzo “... non è uso dire... beati quelli che credono e non vedono?” Sarcastico. “Pensavo che per voi chierici fossero un dettaglio inutile le prove.” Ridendo. “Io però ho prove...” Ennius “... prove che mi hanno spinto a venire fin qui... per dimostrare come un antico mistero possa essere svelato... svelato con l'aiuto della ragione e della scienza. Infatti voi tutti siete qui, attratti dagli ultimi inquietanti accadimenti, per una sorta di caccia al mostro... io invece, amici miei, sono qui per una caccia al tesoro...” per poi sorseggiare del vino rosso. +++
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05-05-2017, 05.22.14 | #2 |
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L'inizio di un'altra nuova e pallida giornata era alle porte.
Ormai tutti i giorni scorrevano uguali, solitari, in questo luogo freddo e senza vita. Una vita, la mia, che era stata rubata, come ''congelata'' in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Incessantemente e ogni giorno avevo guardato fuori dalle grandi finestre per scorgere speranzosa la chiave della mia liberazione varcare la soglia di quel cancello, tenuto su ormai solo dai rovi che vi si erano avviluppati attorno. Ma nessuno era mai giunto. Ed io rimasta ancora lì, a vagare come leggera brezza autunnale in quella magione, che mai prima d'ora mi era sembrata così grande, ora che era vuota, ora che non c'era più il calore della vita a scaldarla, nè il palpito dei cuori a romperne il silenzio assordante. Una vita per un rifiuto. Una vita tramutata in effimera e impalpabile sopravvivenza. Impalpabile come i petali dei fiori che arricchivano il giardino attorno la magione, ultimo dono di quella donna che aveva rubato la mia esistenza. Calendula sui toni del tramonto e candido biancospino, ''per la speranza di alleviare il tuo dolore, Cassandra''. Solo così, infatti, venivano alimentati quei fiori, unica fonte di vita in quel terreno mortifero, concimati dalla speranza e innaffiati da lacrime di dolore. Capitava in alcuni giorni, come oggi, che scendessi nell'atrio al piano di sotto, dove la magione era più colpita dal Sole e proprio davanti ai suoi raggi che inondavano le finestre andavo a posizionarmi, lasciando che quelle lame di luce gialla e metallica mi attraversassero, mentre il pulviscolo scendeva su di me come sangue dorato che sgorgava da quelle ferite senza dolore. Era come pensare di non esistere, per quei pochi minuti al giorno; un pensiero migliore di quello di dover esistere solo a metà, di rassegnarsi ad essere materia evanescente ed incorporea. Alle prime luci dell'alba, dunque, scivolai come il vento sulle foglie lungo la consunta scalinata centrale, giungendo di fronte all'alta vetrata nel momento esatto in cui il Sole arrivava ad illuminarla. Così, mi lasciai invadere ed attraversare, come se il mio corpo, o ciò che ne restava, fosse per quella luce fredda e paglierina solo un'altra finestra da attraversare, un vetro inconsistente privo di sfaccettature e di respiro. Inviato dal mio E506 utilizzando Tapatalk
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"La passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca" BALTASAR GRACIÁN "Sappi che la Luna è il messaggero degli astri. Essa infatti trasmette le loro virtù da un corpo celeste all'altro" ABU MASAR, "Libri mysteriorum" Ultima modifica di Lady Gwen : 07-05-2017 alle ore 01.34.36. |
05-05-2017, 05.43.59 | #3 |
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Il mistero delle Cinque Vie
L’aria era leggera, e lievemente uggiosa, quella mattina, non sembrava nemmeno maggio, un pallido sole fece capolino dalla finestra.
Non volevo nessuno al mattino, prima che potessi pronunciare una parola gentile doveva passare come minimo un’ora, forse... o magari due, meglio tre. Trovai come ogni mattina il bagno già pronto e la colazione imbandita, con alcuni documenti messi lì perché ci dia un'occhiata. Insomma cominciano tutti a stressarmi di prima mattina, pensai, alzando gli occhi al cielo. Dopo essermi goduta quella prima ora di libertà, chiamai le ancelle con un campanello, perché mi aiutassero a vestirmi. Il silenzio continuò ad avvolgermi, fino al consueto arrivo di Velièn, con il programma della giornata, e il resoconto quotidiano. La ascoltai distrattamente, con qualche cenno del capo, qualche espressione di approvazione, o di disapprovazione, ma nulla di più. Per carità, non sapevo come avrei fatto senza di lei, ma quelle faccende mi annoiavano terribilmente, soprattuto di prima mattina, sopratutto se mi ricordava che non avrei avuto un attimo per me fino a pranzo. Perciò, se avevo intenzione di allenarmi un po', potevo anche scordarmelo. Il mio umore non faceva che peggiorare, ed era il momento delle udienze pubbliche, tanto per rendere la mia giornata ancora più divertente. Dovevo assolutamente organizzare una festa, sì, una bella festa con combattimenti, balli, ospiti da tutto il regno. Ecco, primo pensiero incoraggiante della giornata. Arrivata nella grande sala, scese il silenzio più assoluto al mio passaggio, rotto solo da qualche bisbiglio sussurrato, soffocato subito dopo. La voce dell'araldo, poi, scandiva chiaro e nitido l'annuncio che Elyse Philoumene I, regina di Beltàs, era giunta. Come se non mi avessero già visto. Camminai lentamente verso l'alto scranno, per poi voltarmi verso la sala, e sedermi, un movimento solenne e austero. Restai in silenzio per un altro lungo istante, poi con un cenno della mano comunicai che le udienze erano ufficialmente aperte. Ultima modifica di Clio : 05-05-2017 alle ore 13.56.32. |
05-05-2017, 09.53.29 | #4 |
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Le sbarre di una gabbia mi accolgono la mattina appena sveglia. Sono le stesse da quando ho memoria. Mi metto a sedere osservando l'esterno con occhi stanchi e ancora ristretti in una fessura. Chissà dove siamo adesso? Che ore sono e quando inizierà il prossimo spettacolo? Mi alzo e mi sistemo i lunghi capelli bianchi, la ragione per cui sono qui, rinchiusa in uno zoo che gira il mondo. La vecchia strega fallita che mi ha cresciuto, mi ha ritenuto l'apice bellezza fra tutte le sue creature che, grazie ad un tocco di magia illusoria, appaiono ancora più spettacolari. Come Ghira, una ragazza a due teste che grazie alla magia è diventata con tre teste. O Zuko, un ragazzo reso estremamente peloso sempre con la medesima magia. Tutti qui, compresa me, siamo stati avvolti da un piccolo incantesimo, che svanirebbe se uscissimo dalla gabbia. Io, data la rarità dei miei capelli e il pallore della mia pelle, sono stata trasformata in un unicorno umano, ma oltre al corno e alle orecchie lunghe, non ho nulla di magico.
Dopo aver indossato il mio abito per gli spettacoli, mi affaccio alle sbarre, guardando i miei compagni. La vecchia strega, che tutti chiamavano "Babaluci", stava facendo il suo consueto giro di controllo, per rinnovare gli incantesimi o rimproverare qualche tentativo di fuga che spesso avveniva. Io ero fra i veterani della compagnia, arrivata in essa alla tenera età di 5 anni. "Non ti vuole nessuno per quella che sei" furono le prime parole che mi disse Babaluci. "Sei più apprezzata qui con me che fra la tua gente. Ti ho fatto un favore a portati via da lì." Mi ero rassegnata all'idea di essere solo un fenomeno da baraccone e nulla più. Della mia gente non avevo alcun ricordo, tranne un bellissimo medaglione blu che portavo sempre con me Con esso mi aiutavo a sorridere e ad esibirmi. Il mio spettacolo consisteva nell'apparire al pubblico come una innocente ma pericolosa creatura, che come potevo dare gioia, potevo anche dare dolore e frustrazione. "Ammirate l'ultimo unicorno" era la parola d'ordine a dare il via allo spettacolo, e ormai sapevo a perfezione ogni mossa. Ma al di là dello spettacolo, io ero Astral, ragazza curiosa e un po' troppo vivace per assomigliare ad una solenne creatura delle foreste. Tuttavia, non potevo smettere di fare "l'unicorno", ero cresciuto in quel modo, fossi uscita dalla gabbia, sarebbe cambiato solo il mio aspetto. Eppure, non manca il desiderio di uscire da lì, esplorare il mondo in modo diverso da come ho sempre fatto, conoscere nuove cose, ma soprattutto... Ritrovare i miei genitori, la mia gente. "Chissà se anche loro hanno i capelli bianchi come i miei?" pensavo ogni volta che accarezzavo quel medaglione. "Forse un giorno li rivedrò..." mi dicevo sorridendo. Babaluci era ormai giunta alla mia gabbia. Come sempre la salutai con dolcezza e rispetto. Non odiavo quella donna per come mi trattava (piuttosto bene, oserei dire) più che altro non le perdonavo di avermi strappato via alla mia famiglia. Ogni giorno la meta era diversa ed io non ne conoscevo mai il nome. Chissà, quindi, a quali spettatori dovrò esibirmi oggi? Sorrisi un po' con fatica e mi lasciai scrutare dalla vecchia Babaluci che, sorridente, mi riempiva dei soliti complimenti. Ero bella? Forse per la fantasia della gente, lo ero davvero. Ma come persona reale? Questo non sapevo dirlo, poiché nessuno, oltre me stessa, aveva avuto modo di vedere la vera me. Si alza il sipario, la gente arriva da tutte le parti, inizia lo spettacolo. Inviato dal mio LG-K120 utilizzando Tapatalk
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What I've done, I'll face myself, to cross out what I've become, erase myself, and let go of what I've done. Ultima modifica di Nyoko : 05-05-2017 alle ore 14.11.11. |
05-05-2017, 16.19.21 | #5 |
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Serenica è un Regno epico, sospeso fuori dal Tempo e da ogni mondo.
Sorge dopo la cosiddetta "Valle degli Eroi" ed è circondata da un' incontaminata foresta che primeggia per minima parte anche a Serenica. Un fiume scende dalla vallata con una cascata cristallina per unirsi poi ad un altro fiume che bagna il regno e portando acqua alle terme. Attorno vi sono cinte murarie millenarie e nessuno ha mai osato entrare nel Regno e Città delle Sacre Sacerdotesse di Serenica. Sono nata da un Raggio di Sole cocente e per questo la Gransacerdotessa Parvia decise sarei diventata la Sacerdotessa di Luce e Fuoco. Il mattino era rischiarato da un sole vivo e cocente, la brezza e il vento si erano fermati per qualche arcano motivo. D' un tratto sotto una secolare quercia si udì un vagito e le sacerdotesse, con le novizie apprendiste e le ancelle, accorsero con fervore; chi pensava ad uno straniero che aveva invaso la città magica e sacra fortificata delle sacerdotesse, altre capirono fu un segno divino. Tra le fronde un' ancella, di nome Jaime, mi trovò e chiamò la Gran Sacerdotessa con timore. Parvia rimase immobile e poi esultò alzando la sua spada e scudo guerriero proclamando solennemente:"Oggi il Sole ci ha donato una delle sue Figlie facendola ondeggiare fino qui su un raggio ardente, porta al collo la Collana Sacerdotale Solare" e mi prese sia con forza che grazia sollevandomi tra la gioia di tutte. "Ecco la futura Sacerdotessa del Fuoco e della Luce, ella preserverà il Sacro Fuoco del Tempio di Petria e il suo nome sarà Eeila". Furono giorni di festeggiamenti ed ella mi donò vari poteri come quello di donare forza, la forza di Luce e Fuoco usando le mani e quindi usare questi elementi a scopi benefici, l' invisibilità, la telepatia e poi come arma un arco in oro con frecce e feretra pure dorate che diventavano invisibili in caso di attacco, cosa per noi remota. Furono anni di studi e sacrifici, usando le formule del Sacro Libro di Serenica e dei miei poteri, furono pure anni di sogni. Guardavo l' orizzonte pensando a cosa vi fosse altrove, avevo letto in un libro esistevano altre Terre da qualche parte e pure Pianeti come la Terra che era pure abitata. Mi chiedevo se Serenica fosse parte di questo Pianeta o dovessi credere alle Sacerdotesse che asserivano sicure che il nostro era solo un Mondo Sospeso. Come potevano essere gli abitanti della Terra? E gli altri Mondi? Una cosa sola mi avevano insegnato: nella Terra vi era la dualità tra Bene e Male e noi Sacerdotesse custodivamo uno scrigno che conteneva qualcosa a noi segreta, tranne a Parvia, e bilanciava questo equilibrio e preservava il Bene dal Male...parole per me estranee..come potevo identificare questi due sentimenti se non li avevo visti tangibilmente. D' un tratto fui distolta dalle urla delle mie apprendista e della mia ancella Jaime e mi dissero allarmate di indossare subito la veste sacerdotale e recarmi subito al Tempio. Attraversai la città ed entrai nel Palazzo Imperiale e nella mia stanza indossai la veste cerimoniale e al capo posi la corona d' oro con disegnato foglie di alloro e piena di pietre preziose evocanti i miei elementi naturali. Trovai le apprendiste al Tempio di Petria, osservai il braciere ed invocai le divinità del Fuoco mentre poggiavo le mani sopra il braciere e osservai la fiamma del Fuoco di Petria, non solo non era ardente ma era flebile. "Sono giorni che lo osservo, qualcosa sta accadendo se non è già accaduto..presto andate a chiamare Parvia". Invocai, nuovamente, le Forze del Fuoco con forze mentali ma nulla cambiava.
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe "Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit. "I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam) "La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea Ultima modifica di Altea : 05-05-2017 alle ore 16.31.48. |
07-05-2017, 01.38.32 | #6 |
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L'etera voce del silenzio, l'impalpabile suono della solitudine.
La magione era vuota, fredda, dimenticata, con quell'alone di pallida esistenza che ne attraversava le stanze. Era Cassandra, richiamata quel mattino da strani rumori giungere dal cortile. Possibile? Vi era giunto qualcuno?
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07-05-2017, 01.43.53 | #7 |
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La regina entrò nella sala, seguita dalle sue bellissime ancelle e sotto gli sguardi brutali dei soldati che sorvegliavano il trono.
Elyse preso posto sul suo regale seggio, con il suo sguardo freddo, indifferente, a tratti persino crudele, a discapito del suo aspetto intriso di pagana bellezza. Le udienza cominciarono e subito due soldatesse portarono in catene un uomo. “Altezza...” una delle due alla regina “... costui si è macchiato di infamia... ha infatti cercato di spiare alcune ancelle che si facevano il bagno. L'uomo emise un basso brontolio, simile ad un sordo grugnito. Era uno dei soldati e come spesso accade era stato sorpreso a spiare le donne. Questo era il triste destino di quella città: donne troppo belle e uomini indegni di loro.
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07-05-2017, 01.49.42 | #8 |
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Ero lì, ancora attraversata da quelle fredde lame di luce, davanti alla finestra, quando improvvisamente udii dei rumori giungere dal cortile e mi ridestai immediatamente.
Possibile fosse giunto qualcuno, in questo luogo freddo, solitario e dimenticato? Subito mi affacciai alla finestra e maledissi di non poter sentire battere il cuore in petto, perché se avesse potuto, di certo, avrebbe palpitato. Forte, fino all'impazzata. "Atanasia! Vieni a vedere! Chissà chi c'è lì fuori!" esclamai speranzosa, mentre la mia voce impalpabile risuonava argentina nell'ambiente, simile a tocchi di coltello su un bicchiere di cristallo. Atanasia era una piccola fata, che sembrava tanto evanescente e delicata tanto da sembrare composta da infinidesimali perle di brina. L'unica mia compagnia in questa eterna solitudine. Inviato dal mio E506 utilizzando Tapatalk
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07-05-2017, 01.53.58 | #9 |
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Il sipario si alzò e tutti gli spettatori poterono ammirare le grottesche figure presenti in quelle gabbie.
Alcuni ridevano, altri restavano stupiti, qualcuno persino disgustato. Astral forse era l'unica, fra quelle sfortunate creature, ad apparire bella ai presenti, col suo aspetto quasi fiabesco. Quella sorta di corte dei miracoli era giunta nella contrada delle Cinque Vie per mostrare il suo ambiguo spettacolo. Ad un tratto Babaluci vide entrare cinque uomini, quattro dei quali in uniforme. “Salute...” disse l'uomo in borghese alla donna “... siete voi la responsabile di questo... circo?” Masticando del tabacco. La donna lo guardò enigmatica. “Siamo nel XIX secolo, signora...” continuò l'uomo, mostrando il suo distintivo di magistrato ducale “... capirete dunque che questo genere di spettacoli possono avere un'influenza negativa sulla gente... insomma, per esibirvi qui occorre un permesso speciale...”
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07-05-2017, 01.58.29 | #10 |
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Il fuoco.
Danzava tra bagliori ardenti, lingue incandescenti e nuvole di fumo bianco. Eppure la bella sacerdotessa Eeila vi leggeva qualcosa di oscuro. Ad un tratto arrivò Parvia, avanzando nella sala del Tempio con indosso un abito leggero, quasi trasparente. “Eccomi...” disse ad Eelia “... mi hai fatta chiamare?”
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