18-07-2012, 16.13.54 | #1 |
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Medioevo Apocrifo...
L'ALCHIMIA: UN'INVENZIONE ECCLESIASTICA
L’alchimia ha una data di nascita: 11 febbraio 1144, data della traduzione del trattato di alchimia arabo Liber de composizione alchimiae, attribuito a un eremita cristiano di Alessandria, che raccolse nelle sue opere le conversazioni sull’alchimia tenute col principe Khalid ibn Yazid. Il termine alchimia deriva dall'arabo al-kimiya o al-khimiya (الكيمياء o الخيمياء), che è probabilmente composto dall'articolo al- e la parola greca khymeia (χυμεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc. (da khumatos, "che è stato colato, un lingotto"). Secondo un'altra etimologia la parola deriva da Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo per fare l'oro". I primi cultori di alchimia furono in maggior parte ecclesiastici; ma certo non tutti quelli che vennero chiamati alchimisti lo furono davvero. È innegabile che molti di quelli che si interessarono di alchimia appartennero a ordini religiosi importanti: erano francescani Frate Elia da Cortona e Ruggero Bacone, domenicani furono, invece, Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Per i domenicani l’alchimia era una teoria scientifica che descriveva la genesi del reale, ma che consentiva continue verifiche della dottrina. Per i francescani invece era un progetto che favoriva la redenzione universale e la trasformazione spirituale: i metalli, infatti, erano simboli della condizione umana di peccatori che doveva essere purificata tramite il fuoco della fede. L’alchimia era considerata una scienza, era insegnata anche nelle università. Alberto Magno, frate domenicano e grande filosofo, Magister alla Sorbona dal 1245, soleva tenere conferenze sull’alchimia all’aperto, in una pubblica piazza che porta ancora oggi il suo nome, la Place Maubert , poiché non c’era aula capace di contenere le folle enormi che prendevano letteralmente d’assalto le sue lezioni. Se l’alchimia fu coltivata in ogni centro culturale, tuttavia, fu spesso un’attività da scrittoio, una trascrizione erudita di testi.Nel suo testo De alchimia, Alberto Magno scrive: «L’alchimista sarà discreto e silenzioso; non rivelerà ad alcuno risultati delle sue operazioni. Abiterà lontano dagli uomini, in una casa isolata nella quale disporrà di una o di due camere, esclusivamente destinate alle sue operazioni. Sceglierà i tempi delle sue operazioni. Sarà paziente, assiduo e perseverante. Eseguirà, secondo le regole dell’arte, la triturazione, la sublimazione, la fascinazione, la calcinazione, la soluzione, la coagulazione e la distillazione. Non utilizzerà vasi di vetro o di ceramica smaltata. Sarà abbastanza ricco da comprare quanto serve alle sue operazioni. Eviterà, infine, di avere alcun rapporto con principi e signori». L’alchimista è al servizio della scienza e della conoscenza, non è il mago di corte, continua infatti Alberto Magno: «Se tu hai la sfortuna di introdurti presso i principi e re, essi non cesseranno di domandarti: “Ebbene, maestro, come va l’opera? Quando vedremo qualcosa di buono?”. E nella loro impazienza di aspettare la fine, ti accuseranno di essere falso, imbroglione e ti procureranno ogni sorta di amarezze». In tutte le opere alchemiche scritte tra il XIII e il XV secolo la purezza spirituale è considerata l’unico modo per ottenere la grazia della trasformazione alchemica. Nei trattati d’alchimia il cristianesimo è il centro della creazione e della storia umana. Tutti i testi proclamano l’adesione all’autentico messaggio evangelico, il ritorno alla semplicità e spiritualità, la rinuncia al potere e alle ricchezze. Molti alchimisti, dunque, condannavano la corruzione della curia e profetizzavano la venuta dell’Anticristo come conseguenza della brama di potere della curia papale. Forse a seguito di questo la Chiesa cominciò a irrigidirsi verso l’alchimia nel 1272 il capitolo di Barbona proibì ai francescani di praticare l’alchimia; nel 1273 i domenicani di Postt ebbero il medesimo divieto, che tocco ai domenicani italiani nel 1313. Nel 1323 i domenicani parigini vietarono l’insegnamento dell’alchimia alla Sorbona, e ordinarono di bruciare pubblicamente testi eretici. La persecuzione divenne totale nel 1376 quando il directorium inquisitorum domenicano considerò l’alchimia abominevole come la magia, la stregoneria e la negromanzia. Taliesin, il bardo tratto da: www.sguardosulmedioevo.it |
18-07-2012, 17.17.35 | #2 |
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EXCLALIBUR: LA LANCIA SACRA CHE UCCISE IL RE DEI RE
La Lancia del Destino o Lancia di Longino (in latino Lancea Longini) è la lancia con cui Gesù sarebbe stato trafitto al costato dopo essere stato crocefisso. Viene talvolta anche indicata con l'espressione Lancia Sacra, che però indica anche una reliquia specifica, appartenente ai tesori del Sacro Romano Impero, la cui tradizione è in parte sovrapposta a quella della Lancia di Longino. Assente nei racconti dei vangeli sinottici, la lancia è menzionata solo nel Vangelo secondo Giovanni (19:31-37), in cui si racconta che, durante crocefissione di Gesù, i soldati romani intendevano praticargli il crurifragium, la tipica rottura delle gambe del condannato che ne accelerava la morte; prima di procedere, si accorsero che Gesù era quasi morto e che quindi il crurifragium era inutile, ma, per accertarsi che fosse deceduto, un soldato lo colpì con una lancia: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Vangelo secondo Giovanni, 19, 33-34) Il più antico riferimento alla conservazione della lancia come reliquia è presente nel racconto del pellegrino Antonino di Piacenza, il quale, intorno al 570, descrisse i luoghi santi di Gerusalemme, raccontando di aver visto nella basilica del monte Sion «la corona di spine con la quale Nostro Signore fu incoronato e la lancia che lo colpì nel fianco». Secondo la Catholic Encyclopedia, la presenza della reliquia a Gerusalemme sarebbe stata attestata mezzo secolo prima da Cassiodoro e sarebbe stata nota a Gregorio di Tours. Nel 615 Gerusalemme fu conquistata dal sovrano sasanide Cosroe II; secondo il Chronicon paschale, la punta in ferro della lancia, che era stata spezzata, fu consegnata quello stesso anno a Niceta, che la portò a Costantinopoli e la depose in Hagia Sophia. Questa punta di lancia fu inserita in una icona e, nel 1244, fu data dall'Imperatore Latino di Costantinopoli, Baldovino II, al re Luigi IX di Francia, che lo collocò, assieme alla sua reliquia della corona di spine, nella Sainte-Chapelle di Parigi. Durante la Rivoluzione Francese le reliquie furono trasportate alla Bibliothèque nationale de France, per poi scomparire. Il nome del soldato che colpì Gesù non è presente nel Vangelo secondo Giovanni; l'opera più antica a farne il nome, chiamandolo col nome di Longino, è il Vangelo di Nicodemo, copiata assieme ai manoscritti del tardo IV secolo degli Atti di Pilato. Il nome "Longinos" compare anche in una miniatura dei Vangeli di Rabbula, un manoscritto conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze e illuminato da un certo Rabulas nel 586; nella miniatura, il nome ΛΟΓΙΝΟC (Longinos) è scritto in caratteri greci sopra il soldato che colpisce Gesù. Nel medioevo, diverse reliquie vennero identificate con la Lancia appartenuta a Longino. Tra queste:
tratto da: www.sguardosulmedioevo.it Ultima modifica di Taliesin : 19-07-2012 alle ore 13.09.48. |
21-07-2012, 19.24.23 | #3 |
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Eccellente, Taliesin, eccellente!
Sono con voi, nel nome di EXCALIBUR e dell'Alchimia che esiste tra noi! Sir Morris
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[I][B][COLOR=red]Sir Morris[/COLOR][/B][/I] |
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