19-10-2016, 03.41.31 | #1 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il Falco della strada
“E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.” (Vangelo secondo Marco, 1,39) PROLOGO L'Asse Mediano, la grande strada che unisce Capomazda City a tutte le altre città e province dello stato. Chilometri e chilometri di asfalto attraverso un paesaggio vario, tra monti e mare, fatto di spazi sterminati, verdi campagne e vaste valli. Un ambiente fatto di orizzonti infiniti, panorami smisurati intervallati da sperduti paesini e grandi centri urbani. La stazione di servizio, l'ultima nel raggio di diverse miglia, sorgeva su un lieve rialzo, proprio all'estremo limite di uno scasso abbandonato. Era isolata e dava su un'ampia distesa coltivata di campagna, nel cuore della quale tagliava il tratto di strada in direzione della costa. Sotto il Sole dorato di un chiaro mattino d'Autunno due bici sfrecciavano rapide da un cavalcavia, lasciandosi velocemente dietro la stazione di servizio. “Ehi, Bret...” disse la ragazza a quello che gli stava davanti “... ok, ok... hai vinto tu!” Ridendo. “Ne avevi dubbi, piccola?” Voltandosi lui divertito. “Dai, non manca molto al lago! Poi potremo rinfrescarci!” “Fare il bagno ad Ottobre?” Lei. “Beh, con queste giornate è il minimo!” Facendo l'occhiolino lui. “Che ipocrita sei!” Ridendo lei. “Un modo più becero per vedermi in topless non potevi trovarlo!” “Non era questo il motivo perchè mi avevi proposto di fare un giro in bici?” Lui. “Che pessimo sei...” pedalando lei. “Beh, ci siamo conosciuti solo da una settimana” correndo lui “e perlopiù sul posto di lavoro!” “E che vuol dire?” Sudata lei. “Beh, una ragazza che invita uno che ha si e no conosciuto di sfuggita sul posto di lavoro” pedalando lui “non è forse un chiaro segnale?” “Del tipo?” Fissandolo lei. “Richiamo d'Amore, piccola!” “Che idiota sei, Bret!” Scuotendo la testa lei, per poi sorridere. “Vedremo al lago...” aumentando l'andatura lui. Il tratto di strada era deserto e così i due ragazzi potevano pedalare liberamente. Ad un tratto però un veicolo apparve in lontananza. Era una macchina nera, senza marca, molto veloce, dalle linee classiche ma aerodinamiche. Aumentò l'andatura ed in pochi minuti arrivò dietro i due ragazzi. Lo stereo era a tutto volume e si sentiva una vecchia canzone dei Beatles. Raggiunti i due, stando dietro la ragazza che seguiva il ragazzo, cominciò a suonare forte il clacson. Forte e ripetutamente. “Ma che vuole?” Gridò la ragazza, vedendo che quell'auto nera non la superava e continuava a suonare il clacson. “Ma che vuoi?” Urlò il ragazzo all'auto. “Passa, hai strada!” L'auto allora affiancò la bici della ragazza. Era impossibile vedere all'interno della vettura, poiché i vetri erano oscurati ed impenetrabili. “Bret!” In lacrime la ragazza, spaventata com'era da quell'auto misteriosa e dal suo strano comportamento. Poi quella musica a tutto volume ed il clacson che continuava a suonare, in modo ossessivo. “Bret!” Impaurita lei. “Ma che vuoi?” Lui con rabbia all'auto. “Sei impazzito?” Ed intanto correvano, cercando di scappare. Allora l'auto nera cominciò a stringere la bici della ragazza contro il battistrada. Lei gridò forte ed un attimo dopo l'auto nera la schiacciò contro il battistrada, uccidendola sul colpo. Lui allora aumentò ancor più l'andatura, spaventato a morte e senza smettere di insultare quell'auto ed il suo misterioso guidatore. Ma più il ragazzo correva, più quell'auto lo incalzava, sempre con lo stereo a tutto volume ed il clacson che non smetteva di suonare. Lo raggiunse e giunti su un ponte lo speronò, facendolo cadere nel vuoto sottostante. Poi l'auto aumentò la velocità e suonando ancora il clacson corse via, svanendo nella strada. IL FALCO DELLA STRADA Scena I: La macchina Nera “Ricordo infine l'espressione: soggezioni diaboliche che indica quando volontariamente, con un patto esplicito o implicito, ci si sottomette alla signoria del demonio.” (Gabriele Amorth, Nuovi racconti di un esorcista) Capomazda City, l'antica ed ultramoderna capitale del paese, con la sua celebre Antenna della Radio, simbolo della città e sede del più importante e prestigioso network nazionale, con le sue trasmissioni scandiva ogni momento del giorno e della notte. “Ehi, ragazzacci della notte...” disse la sensuale voce della speaker di una delle tante trasmissioni notturne “... stanchi per il troppo lavoro? Per una noiosa giornata di studio? La vostra squadra del cuore ha vinto? O forse quella detestate non ha perso? Poco male... la notte è giovane, l'ideale quindi per dimenticarsi delle preoccupazioni o del grigiore quotidiano... leggiamo insieme le notizie del giorno? La polizia brancola ancora nel buio riguardo alla misteriosa morte di due giovani ciclisti, ritrovati senza vita lungo il tratto dell'Asse Mediano Flegeese. La dinamica che ha portato al loro decesso sembra indicare la responsabilità da parte di un pirata della strada. Passiamo all'economia... la Società Cibernetica Ateon ha reso noto che il loro gioiellino, la spettacolare Mariwana, una fiammante auto che farebbe girare la testa anche a chi vi sta parlando, tenetene quindi conto, angioletti, sarà messa in commercio solo a fine anno. Naturalmente il prezzo sarà proibitivo per noi poveri mortali... ed infine lo sport... per la Champions League, l'Aristois supera in una complicata partita l'estrosa squadra del Leoness, guadagnandosi il primato nel girone... e questa era l'ultima, tesorucci... ed ora, per continuare a sognare in questa lunga notte cosa c'è di meglio di una bella canzone? Tutta per voi, ragazzacci...” |
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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19-10-2016, 04.53.45 | #2 |
Disattivato
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È notte, e io non dormo.
Certo, dopotutto io non dormo mai. Il sonno è per gli umani, non certo per me. Ogni tanto mi fermo a guardare mio padre dormire, la sua espressione rilassata e serena. Come lo invidio in quel momento, non tanto per il sonno in sé quanto piuttosto per i sogni. Dicono che di notte la mente umana voli verso scenari mozzafiato, torni indietro nel tempo a cercare ricordi sopiti o incontri i suoi cari ce non ci sono più. Che cosa affascinante, la mente umana. Mio padre sostiene che io sia molto più di questo: lo scheletro in titanio lunare, combinato con i tessuti umani, e la più alta tecnologia hanno creato qualcosa che fino a pochi anni fa poteva sembrare impossibile, e forse per molti lo è ancora oggi. Il mio nome è F205, anche se mio padre mi chiama Clio perché sostiene che sono la sua musa e che la mia vita cambierà la storia per sempre. È il mio 42esimo giorno di vita, e ho già imparato molto. Linguaggio, interazione e spostamento sono state le cose più facili. Anche il combattimento è venuto un po' da sé, e ora le mie funzionalità belliche sono pressoché illimitate. Dopotutto è questo che sono: un'arma, senziente e intelligente, ma comunque un'arma. Nulla di più. Mio padre dice di avermi dato l'aspetto di una giovane donna per non essere percepita come una minaccia. La cosa forse più difficile è comportarmi e mischiarmi tra gli umani. Già, perché nessuno deve sapere chi sono. Su questo mio padre non ammette scuse. Dice che solo tenendomi nascosta posso essere al sicuro. E che ho uno scopo, uno scopo anch'esso segreto che mi verrà rivelato a tempo debito. Quando sarò pronta. Cammino piano per la casa, quando mi accorgo di un rumore. La porta del laboratorio è aperta, e dentro c'è qualcuno. Sorrido, mio padre si sarà messo di nuovo a lavorare di notte. Allora entro silenziosamente nella stanza bianca e asettica. "Padre.." lo chiamo "Sei tu?" avvicinandomi sempre di più. |
19-10-2016, 09.37.03 | #3 |
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Tic toc, tic toc, tic toc.
La grande pendola posta nel soggiorno marcava inesorabile lo scorrere del tempo, quel tempo che sentivo sfuggirmi via dalle dita come fine sabbia del deserto rosso. Ora quasi mi mancava, quel deserto, il suo colore e i suoi profumi. Eppure lo avevo lasciato, alla prima occasione, senza voltarmi indietro. E il tempo era passato dimostrando l'errore della mia decisione. Spensi la radio, non avevo neanche prestato attenzione a ciò che passava in onda. Il più delle volte mi serviva solo a non sentirmi sola, in quella grande casa vuota. Non sarebbe dovuta essere vuota. Non nei miei piani da giovane sposa ingenua. Ma da quando la vita va esattamente come la si programma? Diedi una rapida occhiata fuori dalla vetrata, scontrandomi con quella città che ancora faticavo a conoscere. Così grande e caotica, in cui tutti viaggiavano di fretta e nessuno aveva il tempo per conoscere il suo vicino. Nemmeno la propria moglie. Controllai il cellulare, per l'ennesima volta ma non vi era un nuovo messaggio, nulla. Mi limitai a supporre che la notte era la culla del crimine e che un poliziotto non poteva quindi tornare a casa presto. Ormai accettavo la spiegazione senza neanche assicurarmi che fosse vera. Ricordavo come all'inizio fossi orgogliosa di essere la moglie di un promettente poliziotto. Sorrisi, cinica, era passato davvero tanto tempo. O forse no, forse ero io a vivere un minuto come un'ora, un giorno come una settimana. Il caso dei ciclisti, rammentai dalle notizie in radio, probabilmente era questo che teneva mio marito impegnato. Scossi le spalle, in fondo non mi importava granché quale caso fosse, perché una volta a casa non me ne avrebbe parlato, non mi avrebbe resa partecipe della sua vita, dei suoi pensieri. Tornai alla finestra, osservando le luci che sorgevano dai lampioni e dei palazzi, quasi a voler captare un messaggio nascosto. Un messaggio per me, un segnale, una spinta ad agire. http://www.themeraider.com/wp-conten...ckground-6.jpg
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It is saying that if you really desire something from the heart ... then the whole universe will work towards getting you that Dacey "Karishma" Starklan Ultima modifica di Dacey Starklan : 19-10-2016 alle ore 09.45.23. |
19-10-2016, 12.22.16 | #4 |
Cittadino di Camelot
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Il cielo stellato mi ispira.
I miei occhi sembrano guardare le strade scure e il cielo nero, ma in realtà stanno guardando qualcos'altro, un mondo completamente diverso da quello che conosciamo. La mia mano danza sul pannello da lavoro, elaborando nuove scene, nuove azioni. Questa volta, la casa editrice in cui lavoro, mi ha lanciato una sfida incredibile. Esprimere il concetto di crimine, interessante. 'Racconta la tua vita' non dimenticherò mai questo tema con cui ho esordito all'università di animazione cinematografica. Ricordo bene quando 'scappai' dal Giappone. Mio padre avrebbe voluto rendermi un'attrice, conoscendo le mie passioni ed i miei interessi, avrebbe fatto di tutto per farmi lavorare con lui. Mio nonno mi diede un opportunità. Partimmo quando avevo solo undici anni, con mio nonno ed il mio migliore amico Ren. Giunti qui, il mio unico problema era la lingua. Una giovane ragazza giapponese in un nuovo mondo tutto da scoprire. Ero al primo anno del liceo quando scoprii la passione per il disegno e la portai avanti fino all'università. Ancora la frequento ma mio nonno è riuscito a farmi rientrare in una casa editrice. Amo questo lavoro, riesco a esprimere me stessa e dare una ragione alla mia esistenza. Una stella mi riporta alla realtà, facendomi scintillare gli occhi. I ricordi a volte possono prendere il posto dei doveri. Riprendo il mio lavoro con un sorriso sul volto, pensando a quale avventura dare al mio personaggio. L'animazione è una sorta di potere divino. Riesci a dare vita a qualcosa che in origine non ha vita. Puoi dargli forma, dargli una storia, un anima. 'Eppur si muove' disse Galileo per il pianeta terra, ed io l'ho dico per i miei cartoni animati. È un disegno eppur si muove. Vivo con questo concetto di arte dinamica. Dove io posso essere me stessa ed esistere, in un mondo dove potrei essere una piccola piega insignificante. Io punto ad essere molto di più, ispiro a diventare qualcuno non per me in se, ma per le mie creature. A finché possano emozionare generazioni su generazioni. Come i cartoni della mia infanzia hanno fatto con me. Il tempo passa e mi accorgo dell'orario. È tempo di mettersi a lavoro sul serio. Inviato dal mio LG-K120 utilizzando Tapatalk
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19-10-2016, 13.38.12 | #5 |
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Ero in sala da ore.
Al mio arrivo, il Sole che entrava dalle alte vetrate proiettava le ombre dei miei movimenti sul parquet, mentre la silhouette scura della mia ombra danzava con me, quasi in un platonico e particolare passo a due, una inseguiva l'altra, come fossimo in competizione, sfidandoci a chi saltava di più, o chi eseguiva meglio un passo, mentre ora le vetrate si presentavano simili a tende di velluto, lasciando trasparire dal vetro il cielo buio. La musica tribale che mi avvolgeva si faceva via via più concitata, ipnotica, alimentando la mia danza come benzina sul fuoco. Un colpo. Un unico e ultimo colpo di percussioni interruppe la frenesia della musica e della danza, mentre le mie ginocchia e le mie mani raggiungevano il legno. Chiusi gli occhi, rimanendo immobile. Le ciocche dei miei capelli fulvi erano scomposte, la mia pelle calda e fremente imperlata dal sudore; sentivo l'ossigeno riempire sempre più i polmoni, mentre ingerivo sorsi d'aria sempre maggiori, il cuore batteva ancora all'impazzata e le membra erano scosse ed attraversate dall'adrenalina. Restai ancora qualche istante in quella posizione accovacciata, poi mi alzai, feci una doccia, godendomi la sensazione rigenerante dell'acqua, mi vestii e lasciai la sala. Notai che il posto in segreteria di Sally era già vuoto. Doveva essere veramente tardi, così come constatai subito dopo guardando lo schermo del cellulare. Uscii fuori e lei, la mia piccola, mi aspettava. La mia Harley-Davidson 883, rigorosamente tirata a lucido, con le cromature ancor più lucide e sfavillanti sotto la luce del palo a cui era assicurata. Poco dopo partii, sfrecciando nel traffico e immergendomi nel tripudio di luci che illuminavano la serata, mentre i sferzava veloce fra i miei capelli lasciati liberi dal casco ed il rombo del motore sovrastava il caos del centro. Il palazzo moderno che ospitava il mio appartamento fu visibile dopo un bel po', nelle sue linee lussuose, eleganti, ma nel complesso essenziali. Misi la moto in garage e salii a casa. Appena aprii la porta d'ingresso, ancor prima di accendere la luce, avvertii una sensazione di calore e morbidezza all'altezza delle caviglie. "Buonasera anche a te, Louis" dissi, sorridendo e prendendo in braccio il mio bellissimo gatto. Lo avevo trovato fuori un giorno davanti al palazzo: era malnutrito, fradicio per la pioggia ed ammalato. Così lo avevo accudito, curato e da quel momento eravamo diventati inseparabili. Dopo aver provveduto alla cena del mio peloso amico, mi dedicai alla mia, sdraiandomi sul divano in pelle e aprendo i vari contenitori fumanti del cinese presi lungo il tragitto e ora poggiati sul basso tavolino Mentre mangiavo, ascoltavo la radio. La prima notizia fu riguardo due ciclisti morti in un incidente, forse per un pirata della strada. Ricordavo quando mia madre mi diceva di essere contraria al fatto che volessi una moto. Mi era sempre importato poco o nulla di ciò che dicevano i miei, o meglio, loro avevano fatto in modo che non me ne importasse nulla. Il loro unico pallino era sempre stato il lavoro, sopra ogni cosa. "L'imprenditoria è un covo di belve, Gwen. E noi dobbiamo essere il predatore, non la preda. Ricordatelo sempre" Avevano lasciato me e mio fratello Richard abbandonati a noi stessi, per non dire alle governanti, senza uno straccio di attenzioni, un sorriso, un "com'è andata oggi a scuola?" Ciò aveva contribuito anche al mio carattere indipendente e forte, anzi ribelle, come piaceva dire a loro. Una volta finito il liceo avevo fatto l'unica cosa possibile: andarmene. E speravo che anche mio fratello lo facesse il prima possibile. Tenevo troppo a lui per permettere loro di rovinargli la vita. Gli era sempre e solo importato dei soldi ed era anche ciò che era importato a me quando avevo deciso di andare via, ovvero il loro conto in banca. E così ora mi ritrovavo con un bell'appartamento in centro, una bella moto, il corso di Scienze Naturopatiche che desideravo all'università di Capomazda, cosa potevo chiedere di più? Inviato dal mio E506 utilizzando Tapatalk
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"La passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca" BALTASAR GRACIÁN "Sappi che la Luna è il messaggero degli astri. Essa infatti trasmette le loro virtù da un corpo celeste all'altro" ABU MASAR, "Libri mysteriorum" |
19-10-2016, 16.27.01 | #6 |
Cittadino di Camelot
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Ormai era sera quando avevo raggiunto la mia antica dimora, "Villa delle Ginestre", ereditata dalla mia cara zia assieme a tutti i suoi averi, terreni e pure soldi.
Parcheggiai nel garage la Ferrari gialla sportiva e salii in fretta le scale, mi feci una doccia veloce e accesi il camino in camera, mentre mi asciugavo accesi la radio. Accesi il bollitore con l' acqua e mentre indossava la camicia da notte il mio thè caldo si era già preparato. Lo poggiai sopra il tavolino di fronte al caminetto e mi sedetti nella seggiola e misi pure il quotidiano vicino alla tazza da thè fumante. Avevo girato tutto il giorno per trovare un lavoro decente ma nulla da fare, forse ero io complicata...o forse il fatto di essere figlia di una famoso industriale e di aver sempre vissuto nell' agio. Ma ora ero indipendente e volevo continuare ad esserlo nonostante beneficiassi della ricca eredità di mia zia e avevo pure intenzione di pagarmi l' Università da sola, i miei studi letterali ed archeologici. Presi la lettera di mia zia ancora una volta e la lessi per farmi coraggio: "Mia cara Altea, ti lascio in eredità Villa delle Ginestre che tu hai sempre amato, i miei beni e terreni e i miei soldi. Ho provveduto da tempo a scrivere il testamento al mio notaio e so che vivi stretta assieme alla tua famiglia, obbligata ad essere comandata..tu spirito ribelle come me, abbiamo sempre avuto lo stesso carattere a loro dire estroso e diverso. Promettimi in cambio di rimanere quello che sei e di esaudire i tuoi desideri. Tua zia Victoria de Bastian". Mi misi a leggere gli annunci sulle inserzioni di lavoro nel quotidiano, sdraiandomi nella poltroncina e ad un tratto udii le notizie dalla radio, la speaker parlava di un brutale omicidio di due ciclisti..era terribile. Poi la novità del momento..una auto fenomenale..la Mariwana.. il suo nome. Ero appassionata di auto sportive, ma questa doveva essere più potente della mia Ferrari. Mi balenò una idea...e se cercassero qualcuno per farne la pubblicità, intendevo la Società Cibernetica Ateon...magari avevano bisogno di una modella e io avevo sfilato e fatto molte campagne pubblicitarie per diletto. Provai a guardare nel giornale se forse vi era scritto qualcosa, altrimenti sarei andata di persona..ma non sapevo dove si trovasse quella società. La villa dove abitavo era nella campagna capomazdese, quasi al confine con la Città di Capomazda, quindi ben posizionata ma avrei cercato nel mio portatile e guardai il giornale attentamente, mentre ascoltavo la canzone.
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe "Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit. "I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam) "La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea |
20-10-2016, 17.17.21 | #7 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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La porta era socchiusa e la luce filtrava nel corridoio semibuio.
“Entra, Clio...” disse il dottor Anellos “... entra pure...” senza alzare la testa e lo sguardo dai fogli su cui disegnava “... cosa c'è? Non riesci a dormire? Beh, puoi farmi compagnia... ti va di rammentarmi le tre leggi sulla robotica? O vuoi le ripetiamo insieme? Così da testare subito il memor al plasma che ti ho iniettato ieri?”
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20-10-2016, 17.35.36 | #8 |
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Il cielo sterminato, con il suo cielo appena azzurro negli squarci di grosse nuvole grigie e malinconiche, pioveva su quel tratto solitario di strada, bloccato ora dalle auto della polizia e dalla sirena dell'ambulanza.
Allora un uomo di bell'aspetto, virile e seccato, con l'uniforme e la stella, si avvicinò ad altri che annotavano vari particolari. “Ragazzi...” disse il nuovo arrivato. “Ehi, Tardes...” uno di quelli. “Allora?” Chiese Tardes. “Il solito schifo...” un altro di quelli “... la vita è uno schifo, non lo sai? Mille Taddei al mese, una stella latta, panini mollicci e birra calda... questa è la vita? Tu perchè non sei a casa dalla tua bella e giovane moglie?” Tardes non rispose nulla e si accese una sigaretta. L'ennesima della giornata. “Si tratta di due giovani, un maschio ed una femmina tra i venti ed i venticinque anni...” mormorò un altro ancora di loro “... lui è caduto dal ponte, lei invece ha lasciato pezzi un po' ovunque sul battistrada per almeno una quindicina di metri...” “Il solito pirata della strada?” Fissandoli Tardes. “Si...” annuì l'altro “... doveva guidare un fuoristrada o comunque un grosso mezzo... magari di quelli rafforzati usati dai contrabbandieri... e forse lo era...” “Perchè?” Tardes. “Perchè sul battistrada non c'è traccia di vernice, benchè quel bastardo abbia grattugiato la ragazza sulle lamiere...” “Odio questi figli di cane...” masticando una gomma un altro di quelli. “Si, ma toccherà a noi beccarlo...” gettando la sigaretta Tardes “... cominciamo a mettere un po' di posti blocchi, almeno fino a Baias e per un raggio di una sessantina di miglia...” Intanto a casa, Dacey sola con la sua solitudine, sentì il cellulare vibrare per un sms.
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20-10-2016, 17.37.11 | #9 |
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Entrai e restai ad osservare il dottore chino su quei fogli.
"Io non dormo, rammentate?" Sorrisi "Ho visto la luce accesa e ho immaginato che non riusciste a dormire..". Poi quella domanda. La mia mente lavorava in fretta, acquisiva informazioni a una velocità impressionante. "Le tre leggi della robotica..." iniziai. "Prima legge: Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Seconda legge: Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge. Terza legge: Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge. È corretto?". |
20-10-2016, 17.44.06 | #10 |
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Quei pensieri e poi di nuovo con lo sguardo sulle sue tavole, sui suoi fumetti e sui suoi sogni.
Nyoko disegnò fino a quando sentì il campanellino che tintinnava. Era il segnale che la colazione era pronta. Suo nonno la preparava sempre ogni mattina, prima di aprire la sua concessionaria di auto usate su quel veloce tratto di Asse Mediano. “La colazione è pronta...” disse poi suo nonno Nakakata dalle scale “... non fa bene lavorare troppo... la mente mai deve essere più piena dello stomaco.” Annuì. “Fortuna che qui a Capomazda tutti mangiano fin troppo e ciò non sempre avviene.”
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