29-08-2011, 04.55.23 | #1 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il Giglio Verde
PROLOGO
“Anno del Signore 1471, il Principato di Animos, nella bassa Normandia, dopo una terribile crisi economica che ha costretto il principe Talquois IV a convocare dopo secoli gli Stati Generali, viene scosso e insanguinato da una violenta rivoluzione che porterà il popolo al potere, mettendo in fuga ciò che resta della nobiltà scampata al furore popolare. Animos allora si proclama indipendente, autonominandosi Repubblica di Magnus, in onore della leggendaria repubblica che rese grande il nome dell’antica Roma ben prima dell’avvento degli imperatori. La rivoluzione è guidata da due fazioni: i Pomerini e i Ginestrini. I primi, così chiamati per aver percorso alla vigilia della rivolta il pomerio delle mura della capitale più volte incitando il popolo a ribellarsi, sono formati dalle corporazioni dei mercanti e degli artigiani del principato e nelle loro idee politiche vi è il sogno di una grande repubblica aristocratica, dove il potere viene gestito dalla nobiltà affiancata dai rappresentanti del popolo. I secondi, che prendono il nome dal luogo in cui si sono riuniti per la prima volta, il Palazzo della Ginestra, sono invece costituiti dagli studenti universitari animati dalle nuove tendenze letterarie e filosofiche sviluppatesi nel principato, dove la Ragione è la dominatrice assoluta dell’intera esistenza umana. Essi proclamano una repubblica liberale, sotto il diretto ed esclusivo potere del popolo e vedono come nemici giurati la nobiltà ed il Clero, rei, ai loro occhi, di aver abusato del proprio potere e del proprio ruolo, portando il paese sull’orlo della rovina. Una nuova alba sorge dunque sulla neonata Repubblica di Magnus, mentre tutti gli altri regni, retti dall’Antico Regime, guardano con sospetto e timore al furore di questi venti rivoluzionari.” IL GIGLIO VERDE La giornata era radiosa ed il cielo di un azzurro vivissimo. Il grande cortile del palazzo era inondato dall’aurea luce solare, che rendeva luminosissime e splendenti le levigate statue di marmo che adornavano quel monumentale complesso. La guardia reale si esibiva in parata e buona parte del popolo gremiva le mura esterne del palazzo per assistere a quel cavalleresco corteo. Gli stendardi del re e i vessilli dell’aristocrazia erano portati in rassegna e le cromate armature dei soldati, animate dagli intensi bagliori causati dal Sole, con variopinti pennacchi piumati che sembravano vibrare in un trionfante saluto, li rendevano agli occhi della folla esultante come tanti Angeli discesi per difendere il reame dai suoi nemici. Squilli di trombe e rulli di tamburi scandivano l’incedere di quei magnifici campioni di cavalleria e nobiltà, acclamati, invocati ed osannati dal popolo accorso alla parata. Nell’interno del palazzo, però, quasi a volersi estraniare dal clamore e dall’esaltazione che regnavano tra la gente, una nobile figura, dal portamento austero e dall’immagine che sembrava ricordare il solido granito di cui era fatta quella sua aristocratica dimora, era intenta a terminare una lettera. “Lord Tudor…” esordì un valletto entrando nella stanza “… la marchesa Ymma De Tour Jazzy è appena giunta.” “Bene, la riceverò subito.” Rispose il nobile signore, mentre ripiegava con cura la missiva appena terminata. “Monsieur, vi ringrazio di questa udienza.” Disse la giovane e bellissima marchesa entrando nella stanza. “L’onore è mio nel ricevervi, milady.” Andandole incontro lord Tudor. “Vi porgo il benvenuto sul suolo di Gran Bretagna. Disponete pure di questo palazzo e di tutta la servitù raccolta in esso.” Baciandole la mano e mostrando un cortese inchino. “Spero che il viaggio non sia stato troppo difficoltoso.” “La gioia di essere qui” rispose la donna “mi ha già fatto dimenticare le difficoltà che abbiamo dovuto sopportare nella traversata da Calais a Dover, monsieur.” “Il peggio è passato, mia signora.” Sorridendo l'arcigno aristocratico. “Qui per voi e per vostro marito comincerà una nuova vita.” “Monsieur, non possiamo ambire ad una vita serena se chi amiamo è avvolto da un incerto destino.” “Comprendo, mia signora, ma…” “Perdonatemi, ma il sapere che mio zio è ancora in Francia, alla mercè di quella gente io…” “Milady, il regno di Camelot è felice di accogliervi e darvi ospitalità e protezione, ma di più non possiamo fare.” Con tono grave il nobiluomo. “Per vostro zio, il cardinale De Toulos, possiamo fare ben poco, se non pregare ed attendere.” “Com’è possibile che in quel paese si possano consumare tante barbarie contro uomini e donne in nome della libertà e della giustizia?” “Milady, uno stato è sovrano nei propri confini e né il re di Camelot, né nessun altro monarca d’Europa potrebbe intervenire senza andare incontro al serio rischio di una guerra con la Repubblica di Magnus.” “Mi chiedete dunque di restare qui, senza far nulla, mentre mio zio attende il giorno della sua esecuzione?” Lord Tudor chinò il capo senza rispondere nulla. “Forse coloro che ci hanno condotto in Inghilterra…” “Milady.” La interruppe lui. “Chiunque sia stato ha agito in modo del tutto indipendente.” “Volete dire che né la nobiltà, né sua maestà hanno a che fare con la nostra fuga da Animos?” Chiese d’istinto la donna. “Perdonate, ma per me il mio paese si chiamerà sempre col nome che ha portato per tutti questi secoli.” “Vi comprendo, milady. “ Annuì lord Tudor. “No, nessuno qui in Inghilterra è al corrente degli eventi che vi hanno condotto qui.” “Qualcuno dice che si tratta di una setta, o forse di una congrega.” Con enfasi la donna. “Forse è una sorta di ordine religioso inviato da Roma per salvare i chierici dal patibolo a cui li hanno condannati i rivoluzionari. Ho sentito dire che celano la loro identità dietro un fiore e…” “Milady, vi prego.” Cercò di rasserenarla l’aristocratico. “In tempi funesti e confusi come questi spesso accade che nascano leggende e miti volti a spiegare in modo fiabesco eventi altrimenti sconosciuti. Probabilmente voi e vostro marito siete stati tratti in salvo e poi condotti qui da un gruppo di profughi o da qualche aristocratico in fuga, come voi, da Magnus. Ora cercate di tranquillizzarvi. Qui godrete di asilo politico e nessuno potrà più nuocervi. Quanto a vostro zio…” sospirò “… non possiamo fare altro che pregare ed attendere…” La donna, in lacrime, accennò un inchino e salutato il nobile uomo che le stava davanti uscì dalla stanza, lasciando lord Tudor immerso in una profonda inquietudine. +++
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29-08-2011, 18.58.04 | #2 |
Cittadino di Camelot
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Ancora non mi sembra vero! Quanto tempo è passato dal giorno che partì dalla residenza di Lord Tudor.
Ricordo ancora le sue parole il giorno che mi affidò al servizio della baronessa di Sant Pierre e ricordo anche la dolcezza di lei quando mi accolse alla sua corte , per crescere nell'arte di una vera dama al servizio del re. Adesso sono qui a poca distanza dalla sua residenza con il mio cuore che batte per l'emozione . Spero che l'emozione non mi tradisca , so quanto lui ci tenga al protocollo reale, infondo la mia permanenza presso la baronessa serviva proprio a quello. Ecco , il mio cavallo è quasi giunto al cancello della sua immensa dimora. Ohhh il giardino eccolo...
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29-08-2011, 20.07.49 | #3 |
Cittadino di Camelot
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"Zio,durante l'esposizione del vostro baccelliere,i discenti Ginestrini hanno fatto irruzione nella biblioteca,stamane.Hanno messo in subbuglio le lezioni,il loro esponente ha enunciato dell'idea di Repubblica Liberale che vede nemico anche il Clero.Non nascondetemi che anche voi siete in pericolo.Hanno violato la vostra cattedra,e i maestri delle arti dicono che anche la superiore cattedra di Teologia,con i suoi massimi esponenti,è sotto minaccia."Così ruppe il suo silenzio la ragazza che,a piedi nudi,in quel tardo pomeriggio di fine estate se ne stava immobile,dinnanzi alla grande vetrata a guardare fuori,con lo sguardo immerso nella campagna,impenetrabile a forzarsi,custode di tutti i sentimenti e i turbamenti che l'attraversavano.
Lo zio non le confermò i suoi timori,forse per tutelarla,forse perchè non credeva che il mutare degli eventi potesse essere motivo di pericolo per loro. Ad ognimodo,non si pronunciò. Chantal,discente all'università di Animos,terminata la facoltà delle Arti,ora figurava tra gli allievi di suo zio,un prete precettore,nella facoltà superiore di Teologia. La sua condizione e i legami di parentela con una figura del Clero l'avevano resa parte integrante di quei cambiamenti che vedevano il conflitto tra i Ginestrini e i Pomerini. I "Ginestrini".Quel nome e la sua origine Aveva del Palazzo delle Ginestre un'immagine idilliaca,molte volte nell'adolescenza si era rifugiata nei suoi lussureggianti giardini e s'era posta sull'orlo della fontana per riversarvi i piedi. Di quel luogo,oggi legato a fazioni e sconcerto di rivolta,le piaceva evocare il profumo ed il brillante colore degli arbusti abbarbicati nelle sue terre,le ginestre,per l'appunto,i cui fiori,piccoli e gracili,e i cui steli,forti e resistenti,le ricordavano di quanto fosse equilibrata anche la più piccola parte del creato,sufficientemente capace di difendersi pur nella sua fragilità. "La ginestra è come la donna",amava ripetere quando la raccoglieva in fasci per portarla nelle sue stanze."E' delicata come le forme che la delineano,e forte come l'animo che l'attraversa." Chissà se fosse vero anche di lei,quella sua teoria. Amava camminare a piedi nudi nella casa coloniale dove era cresciuta.I marmi,così freddi,luccicavano come un'immenso specchio e il loro riflesso le appariva simile ad un mondo sotto i piedi fatto di luce e di riverberi arcobaleni,di figure eteree e colori sfumati,che le sembrava far torto a quel misterioso confine che la separavano dalle misteriose creature nelle forme di figure,di oggetti animati,di grandi statue che evocavano l'immagine gemella di ciò che aveva sempre ammirato intorno a lei,soprattutto gli oggetti che suo zio aveva portato di ritorno delle sue missioni in terre e culture diverse.Così camminava a piedi nudi su quel mondo fatto di parvenza. E poi le piaceva muoversi senza che alcuno si accorgesse di lei. Ma ora se ne stava immobile,tra lei e il mondo esterno vi era solo la traspartente vetrata che filtrava la luce del sole che si incurvava nel cielo come un vecchio stanco che sta per andarsene a riposare.Si allungavano piano tutte le ombre in lontananza,a anche nella casa,e quella a lei più cara,e si prioiettava sui marmi l'ombra della grande arpa dalle corde colorate,che sembrava invitarla ad accostarsi perchè,finalmente vibrasse,dopo il silenzio in cui era versata la sala tutto il giorno. Ma,pur affascinta dalla sua compagna,Chantal rimase di fronte alla finestra,e stavolta,suo zio scorse nei suoi occhi sgranati un improvviso senso di inquietudine. "Domani tornerò in facoltà,anche se le lezioni non si terranno fino a quando i dissensi non saranno placati,io vi sarò,zio,e voi con me.Perchè non potrà accaderci nulla di male finchè resteremo onesti con noi stessi e con la nostra gente.So che avete già pronta la quaestio,sebbene il vostro assistente non abbia potuto argomentare quest'oiggi,sarete voi a farlo domani." Poi,d'improvviso si voltò:"Avete mai sentito parlare di un fiore particolare,zio?Ho conosciuto un uomo.." E si interruppe. Ultima modifica di Chantal : 29-08-2011 alle ore 22.01.53. |
29-08-2011, 20.17.12 | #4 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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De Jeon, Oxio, Missan e il regime dei Cinquanta Illuminati
Quella mattina ad Ostyen, la capitale della neonata Repubblica di Magnus, c’era un gran tumulto di uomini, donne, vecchi e bambini. Presso l’ex Palais Royal, oggi Place de la Republique, il volgo si era raccolto numeroso per un avvenimento ormai atteso da mesi. Qual e là uomini, giovani e vecchi, si spintonavano e si battevano per accaparrarsi i posti migliori, quelli che davano sul grande cortile colonnato dell’edificio ed i pochi soldati presenti a fatica riuscivano a mantenere l’ordine, se non con dure minacce. Ad un tratto quell’oceano di voci, rumori e schiamazzi si ammutolì all’improvviso, come folgorato da una visione. Tre uomini apparvero nel cortile, seguiti, qualche passo più indietro, da un nutrito gruppo di giovani. “Avete veduto il maestro?” Chiese qualcuno della folla ai tre che avanzavano. “Dove si trova? Come sta?” “Si, l’ho veduto.” Rispose quello che fra i tre sembrava avere lo sguardo più determinato. “Perché non è qui con voi?” “Le sue parole, le sue idee ed il suo spirito sono qui con noi oggi.” Rispose l’uomo. Questi allora raggiunse il balconcino in cima alla scalinata e si rivolse al popolo radunato: “Repubblicani, cittadini, compagni… mesi fa salvaste la madrepatria… oggi finalmente la governerete.” L’effetto fu un trionfo. Tutti quei volti erano su di lui, rapiti da quelle parole. L’uomo fece una lunga pausa, assumendo un’espressione teatrale, per dare enfasi alla sua eloquenza. “Non occorre molto per comprendere…” continuò “… cos’era ieri questa nostra patria? Quattro milioni di abitanti, uno solo dei quali protetto da privilegi vecchi quanto il mondo… e questi, fino a qualche tempo fa, costituivano la nostra terra. Tutti gli altri, tutti noi, non contavamo niente… perché non esistevamo se non per servire quel milione di privilegiati, diviso tra una nobiltà ammuffita e decadente ed un Clero corrotto e bestiale…” fissò tutti loro che ormai erano totalmente in suo potere “… ma da oggi Magnus è di nuovo nostra!” Ci fu un boato e tutti cercarono di raggiungere quel giovane Demostene tanto bravo a dar vigore all’animo popolare. “De Jeon! De Jeon!” Urlava la gente in lacrime. “De Jeon! De Jeon!” Era questi un giovane uomo dai capelli nerissimi ed il volto segnato da due occhi scuri e profondi. De Jeon era consapevole del suo fascino e dell’efficacia della sua eloquenza. Gli altri due che gli stavano accanto, sebbene condividevano con lui carisma e determinazione, non potevano ambire ad avere la stessa influenza sul volgo. Oxio, alla sua destra, era un uomo più avanti negli anni rispetto a De Jeon, dal volto marcato e coperto da una lieve barba, i capelli completamenti rasati e due occhi che non smettevano neanche per un istante di studiare il mondo e che vi abitava. Missan invece aveva la voce ammansita ed aggraziata dalla poesia e della filosofia, le sue grandi passioni, che conferiva alla sua persona un immagine ingentilita e positiva, che però quasi stonava con i rudi lineamenti di quel volto da figlio di miseri pescatori del Valmiron. Erano questi tre i capi della fazione dei Ginestrini, gli studenti destati dalla nuova filosofia nascente in quelle terre. Ad un tratto si aprì una porta ed i tre entrarono nella grande Sala del Consiglio, dove le due fazioni al potere, i Ginestrini e i Pomerini, avrebbero nominato i propri rappresentanti nel Parlamento della Repubblica. “Ordine del giorno!” Si udì. “Bisogna discutere dei processi e delle esecuzioni.” Disse uno dei presenti prendendo la parola. “Abbiamo rovesciato i tiranni e preso il potere. Ma ora non c’è più bisogno di continuare a condannare i nobili ed il Clero. Abbiamo fatto la rivoluzione per una nuova epoca, non per continuare le ingiustizie e le violenze.” “Jean De Giuly…” mormorò De Jeon “… è curioso che proprio voi, capo della delegazione dei Pomerini, facciate tale proposte…” De Giuly lo fissava turbato, quando proprio in quel momento si accorse che diversi giovani avevano preso posto lungo i muri della sala mostrando dei coltelli sotto il braccio sinistro. “Cosa significa?” Chiese De Giuly. “Non sono ammesse armi qui dentro!” “Vi sbagliate…” rispose De Jeon “… sono ammesse in presenza di uno arresto… Jean De Giuly siete accusato di tradimento ai valori della repubblica! Sono mesi che vi teniamo d’occhio… siete in rapporti con gli ex aristocratici e gli ex chierici di questo stato.” “E’ falso!” Gridò De Giuly. “Vi difenderete in tribunale davanti al popolo!” Lo zittì De Jeon. “Noi diamo a tutti la possibilità di difendersi. Portatelo via!” Ordinò ai suoi. E restò a fissare De Giuly, col quale fino a poco tempo prima aveva combattuto fianco a fianco contro i nemici della repubblica, mentre veniva arrestato.
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29-08-2011, 20.36.52 | #5 |
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Il cancello cromato, reso purpureo dai raggi del Sole che stancamente cominciava a scendere sulla verdeggiante campagna, scintillava con magici riflessi, rendendo quasi fiabeschi i tratti della dimora di Lord Tudor.
Il palazzo, immerso nello splendore della campagna inglese, sorgeva su una fresca e dolce collina, dalla quale era possibile spingere lo sguardo fino al monumentale palazzo reale di Camelot, posto a poca distanza dalla nobile tenuta dei Tudor. Appena Gonzaga raggiunse il cancello, subito alcuni servitori le si avvicinarono. Ma prima che questi potessero parlare, una voce si udì. “Lady Gonzaga!” Disse Jalem, il servitore moro di Lord Tudor. “Non posso crederci, proprio voi!” Rise per la gioia e diede ordine di aprire il cancello. “Eravate una bambina l’ultima volta che vi vidi!” Continuò il moro. “Ora invece siete una splendida dama! Ricordo ancora quando vi aiutavo a salire in groppa al vostro poni… come si chiamava? Ah, non ricordo… ma che gioia avervi di nuovo qui al Belvedere!” Ma proprio in quel momento Gonzaga si accorse di una ragazza dal nobile portamento che usciva dal palazzo. Era la marchesa Ymma De Tour Jazzy. Questa la fissava e dai suoi occhi scendevano calde lacrime.
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29-08-2011, 20.59.15 | #6 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Padre Adam era seduto dando le spalle alle lunghe finestre della stanza, per permettere alle ultime luci del giorno di illuminare il tavolo al quale solitamente lavorava quando era a casa.
Era questi un uomo di età avanzata, ma che ancora conservava i bei lineamenti che avevano accompagnato la sua lontana giovinezza. Di corporatura robusta ma aggraziata, molto più alto della media e dal portamento fiero e solenne. La carnagione era chiara, gli occhi di un celeste quasi trasparante ed il naso lungo e sottile. Il viso era allungato e la sua voce aveva una cadenza particolarissima per quelle terre e tradiva le sue origini provenzali. Sembrava assorto nel suo lavoro, quando si destò all’improvviso. E a destarlo era stata una parola. Una parola pronunciata da sua nipote Chantal. L’uomo si voltò e fissò la ragazza. “Un fiore?” Ripetè stupito. “Che fiore? E di che uomo parli?” Domandò.
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29-08-2011, 21.04.23 | #7 |
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" Zio Jalem!!! che il signore di vi benedica!!"
Vi prego fatevi abbracciare, quanto tempo!! "piccolo Black, il pony si chiamava piccolo Black! Vi ricordate ancora di lui? Non ci posso credere , sentire di nuovo il vostro abbraccio e quel dolce leggero di profumo di sandalo sulla vostra pelle, mi sembra che tutto il tempo passato via di qui, non sia mai esistito. Vi prego , state con me , non lasciatemi sola quando dovrò entrare nella sala di Lord Tudor" Scesi da cavallo con l'aiuto di Jalem , lo guardavo stando attenta che lui non se ne accorgesse.Il tempo era passato si! Il suo passo non era più quello celere di tanti anni fa , ma il suo portamento era sempre quello, imponente e maestoso e tanto sicuro di se. Ci avviammo verso la grande scalinata quando non potei far a meno di incrociare lo sguardo di quella bellissima dama dal portamento regale. " quanto è bella Jalem..ma chi è?"
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29-08-2011, 23.33.11 | #8 |
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Daniel era inseguito dalla polizia.. Era da giorni che non mangiava e aveva rubato un pezzo di pane al mercato.. Non aveva più lavoro.. Finì in una strada con un enorme villa.. C'era un cancello aperto e vide una dama scendere da una carrozza e un uomo dire:
“Lady Gonzaga! Non posso crederci, proprio voi!” Non ci pensò due volte approfittò della distrazione dei due e sgattaiolò dentro la villa..
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30-08-2011, 00.06.02 | #9 |
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Chantal avvertì stupore in quella domanda.
Tutto ciò che lei gli aveva narrato,dell'irruzione dei Ginestrini,delle minacce alla sua cattadra,del suo desiderio di far comunque ritorno in facoltà l'indomani,sembrava non aver scalfito l'austera figura di suo zio,i cui occhi di un azzurro mutevole si calavano tra il mondo esterno e la sua anima,proprio come vetro trasparente,impenetrabile,eppure che lascia vedere tutto. E non la sorprese la sua reazione,nè che si curasse tanto della sua ultima affermazione. "Sì,ho veduto un uomo e vi ho parlato".Ripetè Chantal. Lo zio se ne stava alla scrivania,ma aveva distolto lo sguardo dai suoi scritti per guardare la nipote,lei fu assalita da un improvviso senso di colpa,non avrebbe dovuto rivelargli di quella figura,non in quel momento.Da quegli occhi riusciva a cogliere ed anticipare ogni parola,ogni pensiero che attraversasse il cuore e la mente di padre Adam. Così,si voltò nella sua trasparente veste di lino bianco che le si raccoglieva al seno con piccole piegoline ornate di un pizzo lavorato a mano,e forzando un sorriso si portò al suo strumento. "Desiderate che suoni per voi,zio?" Mentre attendeva il suo assenso,egli non rifiutava mai a quella richiesta,fece roteare intorno al medio con le altre dita il suo anello,per poi sfilarlo. Chantal portava sempre un anello alla mano sinistra,si componeva di una fascia d'oro che accoglieva nel centro un ovale con sopra intarsiata la figura di un uomo col capo cinto di alloro.Ai due lati vi erano due piccole pietre lisce,una del colore dell'ambra,l'altra dell'ametista. Ho tenuto quell'anello,non me ne separerò mai più,l'ho tenuto perchè quando distolgo lo sguardo dal tuo volto,lo poso su di esso,e vi ritrovo quell'immagine di uomo col capo cinto di alloro,e ai miei occhi si apre il volto del mio campione,del Cavaliere che non si dimentica,dell'uomo che adoro come mio Dio mentre io gli ripongo sul capo l'alloro. Il ricordo di queste righe scritte un tempo oramai lontano la tormentava ogni qualvolta si sfilava l'anello.E neppure lei era conscia dell'arcano motivo che,come un rito,la induceva a spogliarsene prima di suonare. "Vedete,zio,ora non è importante quella figura..Perchè non abbandonate i vostri intenti e vi distendete mentre suono?Il Sole volge con purpureo incedere alla sera,ricordate che una volta mi diceste queste parole?Mai intraprendere questioni al calar della sera,la sera è sacra a Dio poichè è da preludio alla Notte governata dalla Luna,e la Notte è della quiete,non degli spiriti guerrieri".Chantal fece ad imitare la voce grossa dello zio,riproducendo con precisione quel suo suono con cadenza impressa dalla profumata Provenza,e le sue parole presero ad echeggiava nella sala evocando immagini di colline adorne di lavanda.Sapeva che se lo avesse fatto,egli avrebbe sorriso e il suo animo si sarebbe rasserenato. Ma l'eco di quanto aveva udito nella mattinata in biblioteca,quando si fece il nome del capo,ancora la lasciava turbata."De Jeon"rievocava,"De Jeon è stato designato come il maestro".Ripeteva nella sua mente con l'accortenza che quel nome non le affiorasse alle labbra,ma rimanesse confinato in un pensiero cupo e avvinto dall'incertezza. Dalla distensione che pian piano andava addolcendo le espressioni del volto dello zio,Chantal comprese trattarsi dell'approvazione ch'ella aveva richiesto.E iniziò a far vibrare le corde dell'arpa. |
30-08-2011, 01.15.09 | #10 |
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Scossi il capo e gettai sul letto il velo nero che mi copriva il volto.
Ero stanca di portare quel lutto insensato. Mi sentivo soffocare dall'abito scuro e da quell'atmosfera tetra, dunque le mie dita corsero alla gola e litigarono con la collana di perle che mi imprigionava. Ero vedova. Vedova di un uomo che odiavo. Mi sedetti e pensai rapidamente alla successione vorticosa degli eventi che avevano travolto la mia tranquilla esistenza. Ero cresciuta a corte, accanto ai principi di sangue, come si addiceva al rango della mia famiglia e, fino a qualche mese prima, volevo solo essere una degna discendente della mia casata. Nel blasone di famiglia c'era un ramo di edera rampicante e il motto: Semper prospera. Mio padre diceva che era così che la nostra linea di sangue, più antica di quella del sovrano stesso, aveva attraversato i secoli. Amavo la vita di corte e il luccichio delle meravigliose sale del palazzo. Camminavo nelle gallerie piene di specchi e assistevo alla continua ascesa politica del nome dei Du Blois. Presto mio padre, Thierry Alexandre Du Blois e Duca di Beauchamps, mi avrebbe trovato uno sposo e la linea di sangue sarebbe continuata attraverso di me, la sua unica figlia. Che ne sapevo io del mondo, mentre crescevo tra le feste del palazzo e i dolci ammonimenti di mia madre? Tutto finì quando mi ritrovai, nel bel mezzo della notte, a prepararmi per fuggire da quella folla inferocita che si era radunata al di fuori delle mura del palazzo. I rivoluzionari stavano facendo scempio dell'antica nobiltà. Thierry Du Blois aveva nascosto i nostri tesori e preparava la nostra fuga oltre il mare, quando fu arrestato. Pagammo un caro prezzo per salvargli la vita: fu così che mi trovai sposata all'uomo che aveva arrestato mio padre. Il regalo di nozze del mio sposo fu di rendermi orfana. Ormai sposato all'erede della fortuna dei Du Blois che bisogno aveva di mantenere le sue promesse? Relegata in campagna dal mio amorevole marito, nella residenza dei duchi di Beauchamps, stavo preparando un piano di fuga, quando giunse una notizia che mi fece traboccare il cuore di macabra felicità: ero vedova. Tornai in città e occupai gli appartamenti di mio marito. L'eroe della rivoluzione era morto in una volgare rissa da taverna. Così ero diventata la giovane e affranta vedova di Gilbert Lambrois. "Semper prospera..." sospirai, disfando i bagagli e sistemando i miei abiti. Non conoscevo il mondo in cui mi ero trovata catapultata, ma sapevo che avrei dovuto rendere onore a quel motto e a coloro che prima di me lo avevano pronunciato con orgoglio. Mi avvicinai allo specchio e mi incipriai con cura per apparire più pallida. Spazzolai i capelli e li intrecciai morbidamente. I miei occhi non versavano lacrime da quando mi era giunta notizia dell'esecuzione dei miei genitori e mi rifiutavo di piangere la sorte di quel farabutto di mio marito. Mi aveva rivolto la parola poche volte ed erano state tutte sgradevoli. "Melisendra Yolande Demetra Du Blois, Duchessa di Beuchamps..." mi coprii con il velo da lutto, "vi presento la vedova Lambrois." Osservai corrucciata la mia immagine riflessa. Ero troppo giovane per quelle vesti che sembravano il sudario di una monaca. "Madame, portatemi il vestito color avorio!" Gridai in direzione del corridoio. Attesi che la mia dolce governante facesse capolino dalla porta. Era stata la mia balia ed era l'unica che non mi aveva mai abbandonata. Non avevo altri servitori con me. Disponevo delle fortune dei Du Blois, ma non avevo intenzione di vendere i gioielli di famiglia per pagare uno stuolo di cameriere. Cosa ne sarebbe stato di me adesso? Orfana e vedova. La corte si era dispersa e ciascuno aveva pensato a salvare se stesso. I tempi erano incerti e io ero solo una giovane aristocratica caduta in disgrazia. "Vedova Lambrois..." sussurrai, come per abituarmi al suono di quelle parole. Mi parve di sentire qualcuno bussare e delle voci provenire dall'ingresso di casa. "Madame?" domandai, lanciando un'occhiata nervosa all'uscio della mia camera.
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Ama, ragazza, ama follemente... e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente. Ultima modifica di Melisendra : 30-08-2011 alle ore 01.57.52. |
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